Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    20/04/2014    2 recensioni
«Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.» — Dal Capitolo IV
Sono passati alcuni mesi dalla fine delle scuole superiori, e ogni membro dell'ex Generazione dei Miracoli ha ormai intrapreso una strada diversa.
Kuroko è rimasto solo, non fa altro che pensare ai chilometri di distanza fra lui e Kagami, tornato negli Stati Uniti.
Tuttavia, incontrato uno dei suoi vecchi compagni di squadra della Teiko, Kuroko comincia una crociata per poter ripristinare la vecchia Gerazione dei Miracoli, con l'aggiunta di nuovi membri, scoprendo, attraverso un lungo e tortuoso percorso, realtà diverse e impensabili.
«La Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.» — Dal Capitolo VII
[Coppie: KagaKuro; AoKise; MuraHimu; MidoTaka; NijiAka; MomoRiko; forse se ne aggiungeranno altre nel corso della fanfiction.
Accenni: AkaKuro; KiseKuro; MiyaTaka; KiMomo; KuroMomo; KagaHimu.
Il rating potrebbe salire.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hall of Fame'
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Capitolo VIII





Siamo fiamme di luce, e bruciamo con la stessa intensità.

Tetsuya si era sentito un vero idiota.
Per un momento credette non fosse possibile che dalla sua bocca fosse uscita una frase simile e si illuse di non aver detto nulla.
Perché sua nonna avrebbe dovuto salutare Kagami, visto che si erano parlati poco prima che lui tornasse a casa e venisse informato del suo arrivo? Alla vergogna si aggiungeva la fastidiosa consapevolezza di aver detto qualcosa di completamente insensato.
Dopotutto era stupido pretendere di riuscire a esternare i propri sentimenti così facilmente, soprattutto dopo aver sofferto così tanto, soprattutto al cospetto di una situazione così strana alla quale Tetsuya non riusciva ancora a credere: non gli sembrava vero che Kagami fosse tornato, che si trovasse proprio di fronte a lui.
Pur non dandolo a vedere, Tetsuya era divorato dalla gioia e dall'imbarazzo, e Kagami, che al contrario di lui si faceva sempre tradire dalla propria espressione e dai propri gesti - soprattutto di fronte a Kuroko che, dopo averlo osservato per così tanto tempo, aveva imparato cosa significasse ogni suo movimento -, era evidentemente a disagio.
Se quella situazione imbarazzante non si protrasse ulteriormente lo dovettero entrambi a Nigou, che evidentemente aveva inseguito Tetsuya e ora era balzato in mezzo a loro abbaiando.
Probabilmente vedere un ragazzo alto e robusto come Kagami spaventarsi alla vista di un cane di taglia media doveva star suscitando nella maggior parte dei passanti una certa ilarità, e Tetsuya, in cuor suo, era felice che stesse già borbottando qualcosa contro Nigou, dimostrando di non essere cambiato affatto e dando la conferma che il ghiaccio era stato rotto, seppur in modo bizzarro.
«K-Kuroko, toglimelo di dosso!» pochi mesi erano bastati perché Kagami si disabituasse completamente all'irruenza affettuosa di Nigou, che ormai era un cane adulto e quindi d'impatto più spaventoso.
«Scusami.» Tetsuya si era chinato leggermente in avanti e aveva battuto un paio di volte la mano sulla coscia, attirando l'attenzione di Nigou che, almeno temporaneamente, si era scostato da Kagami e aveva accennato a calmarsi; tuttavia le sue scuse non riguardavano il comportamento del cane.
«Mi dispiace che tu non mi abbia trovato in casa, ma stavo facendo la spesa.»
«Non c'è problema, Kuroko.»
Per quanto tempo sarebbe rimasto? Perché si parlava di “rimanere” e di “ripartire”, giusto? C'era un lasso di tempo in cui gli sarebbe stato concesso di stare con lui e poi lo avrebbe dovuto lasciar ripartire per gli Stati Uniti, ovviamente.
Voleva chiedergli il motivo della sua visita, che cosa stesse facendo negli Stati Uniti, se sarebbe stato disposto ad uscire un po' con lui il giorno dopo, ma in verità anche il solo domandargli come stesse gli risultava terribilmente difficile.
«Stavo tornando a casa, sono arrivato ora.»
Tetsuya notò solo in quel momento il trolley grigio antracite ai piedi di Kagami: prima, dopotutto, era riuscito a vedere solo le sue spalle e la sua testa, a causa dello sciamare prorompente dei passanti.
«Ti accompagno.» Tetsuya aveva risposto immediatamente, scambiando una rapida occhiata - quello che a lui parve uno sguardo complice - con Nigou.
«Sempre che la cosa non ti rechi disturbo.»
«Ah! E perché mai dovrebbe, scemo?»
A Tetsuya scappò un sorriso timido e leggermente tremolante, un attimo fugace in cui si permise di mostrare l'emozione che in quel momento gli scorreva nelle vene e gli faceva scoppiare il petto.
«Allora ti accompagno, Kagami-kun.» era bellissimo poter ripetere il suo nome e averlo proprio di fronte a lui, senza la minaccia di rievocare ricordi lontani e risvegliare la consapevolezza della distanza, che puntualmente finiva per ferirlo e ottenebrare ogni speranza di rivederlo.
Tetsuya scivolò in silenzio al suo fianco, aspettò che Kagami afferrasse saldamente il manico del trolley e insieme si fecero strada nell'esagitata massa cupa dei passanti.
Camminandogli a fianco, con gli occhi bassi e le labbra cucite dall'imbarazzo, dalla triste consapevolezza che quei mesi passati separati avevano permesso che fra loro si ergesse un muro, Tetsuya non poté evitare di pensare che quello non era il primo tentativo di dichiarazione andato fallito.
Già in prima superiore aveva provato a confessargli i suoi sentimenti: aveva cercato di farlo dopo la vittoria contro la Touou, quando si erano ritrovati soli sul terrazzo, ma le poche parole che era riuscito a pronunciare avevano assunto una forma ben diversa da quella pensata e, ufficialmente, il suo tentativo era andato in fumo a causa della cena “avvelenata” di Riko, pur essendo consapevole che non sarebbe riuscito a dirgli quelle poche e semplici parole che aveva in testa da mesi neppure se non avesse perso i sensi.
Era stato il primo, goffo tentativo, al quale ne seguitarono altri di cui, in quel momento, riusciva a ricordare solo i più significativi.
Aveva pensato di dirglielo subito dopo la partita contro la Rakuzan, quando si erano ritrovati soli negli spogliatoi, ma Hyuuga aveva fatto irruzione e li aveva interrotti ancor prima che potesse aprir bocca.
Ci aveva provato anche in seconda superiore, per esempio pochi giorni prima di Natale, quando aveva accompagnato Kagami - in partenza per gli Stati Uniti per le vacanze - all'aeroporto, e poi appena un mese dopo, quando era stato Taiga ad accompagnare lui, ma dal veterinario, perché Nigou si era rotto una zampa, ma per entrambe le volte non era riuscito a far fronte al disagio e si era bloccato senza poter dire una parola.
Visti gli scarsi successi, i tentativi si erano via via diradati, ma Tetsuya ricordava con precisione l'ultimo, e la sensazione di doloroso torpore mentale che lo accompagnava in quei giorni - gli ultimi giorni di terza superiore, per essere precisi -.
Aveva quasi paura di avvicinarsi a Kagami, temeva che gli avrebbe comunicato che se ne sarebbe ritornato in America - come effettivamente fece -, quindi quella volta non era stato solo l'imbarazzo a mettere a freno la sua dichiarazione, ma anche la consapevolezza che il venire a galla di un simile sentimento avrebbe potuto comportare la rottura della loro amicizia, incrinare la loro sana ed intima confidenza; allo stesso tempo, qualora Taiga avesse avuto davvero il desiderio di tornare a Los Angeles, Tetsuya non avrebbe mosso alcuna obiezione e sarebbe stato disposto, anche se con molta fatica, a lasciarlo andare: dopotutto non si sentiva in diritto di trattenerlo in Giappone, tarpargli le ali.
Se dichiararsi significava rinunciare a lui, allora preferiva accontentarsi di ciò che già si era creato fra loro, nonostante il prezzo da pagare fosse quello di torturarsi ogni giorno un poco di più.
Eppure, in quei mesi passati in solitudine, Tetsuya si era reso conto di aver sbagliato: quando Kagami gli aveva detto che sarebbe tornato negli Stati Uniti, lui avrebbe dovuto semplicemente prendergli la mano, supplicarlo di non partire e dirgli che lo amava.
Aveva provato e provava ancora un rimorso assurdo, perché a sgretolare la loro intima amicizia, al posto della sua dichiarazione, ci aveva pensato la distanza. Se si fosse dichiarato a Kagami a tempo debito, la condizione sarebbe stata molto simile a quella che stavano vivendo in quel momento, ma molto probabilmente si sarebbe sentito più libero, leggero e magari sarebbe perfino riuscito ad accettare la situazione.
Pensò che anche quello fosse il momento adatto per dirglielo, così stretti nella folla, ma comunque soli in due, l'uno a fianco all'altro e l'uno completamente concentrato sull'altro, ma rispetto al passato gli pareva un comportamento inadeguato, inadatto e fuori dal tempo - avrebbe dovuto dichiararsi prima che partisse, non ora che Kagami era tornato ad appartenere a quel grande territorio sconosciuto che si estendeva oltre mare -
Avrebbe dovuto dirglielo e, per una volta, assecondare il proprio cuore e rinnegare quella vita piatta e fredda che gli pesava sulle spalle, dettata dalla razionalità.


La sera prima, mentre lui si occupa di disfare l'unico bagaglio e sistemare nell'armadio i pochi abiti che era riuscito a portarsi dietro, Tetsuya si era seduto ai piedi del letto e lo aveva fissato per un po' - mettendolo in imbarazzo come al solito -, finendo per chiedergli se non sarebbe stato disposto ad uscire il pomeriggio seguente.
Kagami avrebbe voluto chiedere degli altri - ad esempio Kise, visto che l'unica e l'ultima volta che lui e Tetsuya si erano sentiti al cellulare, Ryouta non aveva perso tempo e aveva proclamato immediatamente la propria presenza -, ma per il poco che era riuscito a fissare Kuroko negli occhi, e per il poco che era riuscito a capire osservando quello sguardo acquoso e indifferente, gli era parso che volesse un' uscita fra loro due e basta. Comprensibile, visto che non si vedevano da almeno cinque mesi.
Dopo avergli risposto che andava bene, aveva provveduto a buttarlo fuori di casa - e non perché fosse Tetsuya a dargli fastidio, ma Nigou: troppo interessato ai lacci delle sue scarpe e troppo rumoroso … troppo pauroso -, ma anche Kagami stesso non era rimasto nell'appartamento, anzi lui e Kuroko avevano deciso di cenare nel più vicino dei fast-food - in onore dei vecchi tempi -, visto che casa sua era sprovvista di cibo.
La mattina seguente, quindi, Kagami stava tornando a casa con due gigantesche borse per la spesa e cercava di prepararsi mentalmente all'incontro con Tetsuya: dopo tanto tempo gli faceva davvero piacere poter stare con lui, ma un'inevitabile sensazione di disagio lo seguiva come un'ombra, non lo abbandonava mai: era ridicolo che avesse paura di rimanere solo troppo a lungo con Kuroko, ma era proprio così.
Aveva paura che i suoi sospetti potessero venire a galla, che Tetsuya decidesse di schiaffeggiarlo in pieno viso con quella dichiarazione da cui era sempre scappato: Kagami non capiva niente di sentimenti, era sempre stato un totale disastro anche quando doveva consigliare qualche amico in difficoltà, ma di una cosa era certo, e cioè dei sentimenti di Kuroko, quelli che da anni cercava di evitare in ogni modo, per un motivo non chiaro.
Tetsuya aveva sicuramente mantenuto i contatti con qualcuno degli ex-membri della Generazione dei Miracoli, e lui avrebbe voluto incontrare Himuro, quindi perché non uscire tutti insieme? In quel momento, però, ebbe l'impressione che non avrebbe fatto in tempo a cambiare programma, telefonare a Tetsuya, convincerlo ad acconsentire e poi chiamare Himuro e chissà chi altro per chiedere la loro disponibilità ad uscire quello stesso pomeriggio. Ormai mancavano solo quattro ore all'appuntamento ed era quasi impossibile che sarebbe andato tutto come avrebbe voluto.
«-micchi?!»
Kagami si fermò immediatamente, aggrottando la fronte confuso: gli era sembrato di sentirsi chiamare, ma non ne fu sicuro e rimase in attesa solo per qualche attimo, pronto a riprendere a camminare.
«Kagamicchi!»
A Kagami fu tutto più chiaro: si voltò rapidamente, rimanendo a fissare incredulo Kise, che si stava avvicinando a tutta fretta con le labbra increspate in un sorriso amichevole.
«Ehi!» anche le labbra di Kagami si incresparono in un lieve sorriso, decisamente compiaciuto per quella manna dal cielo che di nome faceva "Ryouta Kise".
«Kagamicchi, da quanto sei qui?!» Kise era indeciso se essere felice per Kuroko e triste per se stesso, oppure dimostrarsi semplicemente offeso perché nessuno lo aveva avvisato dell'arrivo di Kagami.
«Sono tornato ieri sera.»
Ovviamente Kise non fu molto contento di sentire quelle parole: davvero Tetsuya non lo aveva ancora avvertito? Si affiancò a Kagami e diede una rapida occhiata al cellulare, per assicurarsi dell'eventuale presenza di un sms - che effettivamente c'era e gli diede una minuscola speranza che si frantumò non appena scoprì essere l'ennesima ammiratrice anonima -
«E Kurokocchi lo sa?» ecco: probabilmente Tetsuya non gli aveva ancora detto nulla perché non lo sapeva, perché Kagami aveva pensato di riposarsi e poi magari gli avrebbe fatto una sorpresa quello stesso pomeriggio.
«Sì, oggi usciamo.» Kagami parlò senza pensare e ringraziò di aver omesso il fatto che lui e Tetsuya si fossero visti anche la sera prima.
Kise assunse un'espressione che indugiava fra il sorpreso e l'offeso: Tetsuya lo aveva saputo prima di lui e non gli aveva detto nulla.
«U-umh, ecco ...» Kagami si schiarì leggermente la voce e sembrò sollevare un braccio nel tentativo di grattarsi la nuca, senza riuscirci a causa delle borse della spesa: era indubbiamente a disagio, perché ebbe l'impressione che Kise stesse aspettando qualcosa, o forse fu semplicemente la sua immaginazione, visto che avrebbe preferito un'uscita di gruppo piuttosto che stare tutto il pomeriggio solo con Tetsuya.
«Ecco, se ti fa piacere potresti uscire con noi.»
«Eh?» Kise si sorprese di quelle parole, tanto che rimase a fissare l'altro con un cruccio confuso in volto: se avesse accettato, Tetsuya non sarebbe stato affatto contento, così come non lo sarebbe stato quando sarebbe venuto a conoscenza del suo patto con Himuro.
Pensando alla situazione fin troppo complicata, quasi non si lasciò scappare un'imprecazione: a pensarci bene poteva essere un modo per impedire a Kagami e Kuroko di avvicinarsi troppo, ma se avesse accettato non lo avrebbe fatto certo per quel motivo, in più non gli andava affatto di ricoprire il ruolo del terzo incomodo.
«E se ...» esitò solo per un attimo, ma Kagami lo stava già esortando ad andare avanti con lo sguardo.
«Se facessimo un'uscita di gruppo? Sai, l'altro giorno ho incontrato Himurocchi.» Himuro, che avrebbe potuto trascinarsi dietro Murasakibara, mentre lui avrebbe portato Momoi, avrebbe parlato con Kuroko del suo patto e si sarebbero impegnati per ricevere il consenso di Atsushi quel pomeriggio stesso.
«Per me non c'è problema.» pronunciando quelle parole, Kagami pensò che Tetsuya lo avrebbe ammazzato: ancora una volta, a causa dell'assurda paura che gli facevano i sentimenti, stava mandando a monte qualcosa.
«Se ci riesco chiamo anche Momoicchi-chan e ti faccio sapere.» e anche Kise, in quel momento, stava riflettendo su qualcosa che si avvicinava molto ai pensieri di Kagami.
«Ci vediamo alle tre davanti alla statua di Hachikou, va bene?»
«Perfetto!»
Sì: Tetsuya li avrebbe sicuramente ammazzati.


Kise era arrivato in ritardo. No, non all'appuntamento: aveva chiamato Momoi non appena si era congedato da Kagami, ma a quanto pareva Satsuki aveva già deciso cosa farne del suo giorno libero, ovvero andare dritta dritta a casa di Aomine per fare pressione su di lui.
Gli era andata meglio con Himuro che, venendo a conoscenza dell'arrivo di Kagami - Kise si tranquillizzò un po' quando seppe di non essere stato l'unico a non venire avvertito del fatto -, aveva accettato di buon grado e aveva capito immediatamente che quell'invito aveva un secondo fine, ovvero trascinarsi dietro Murasakibara e provare a convincerlo a prendere parte al progetto di Tetsuya.
«Si è arrabbiato?» Kise diede un'occhiata a Kagami, che se ne stava seduto ai piedi della statua in silenzio.
«L'ho sentito al cellulare, ma non mi sembrava molto contento.» Taiga sospirò stuzzicandosi la radice del naso con l'indice e il pollice.
Kise guardò all'orizzonte, in cerca di Kuroko o Himuro e Murasakibara, torturandosi il labbro inferiore con i denti: se Tetsuya non era contento di quell'uscita a cinque, figurarsi quando sarebbe venuto a sapere del suo patto con Tatsuya!
«Che c'è?»
Kise doveva essersi lasciato sfuggire un qualche rantolio di disperazione, perché ora Kagami lo stava fissando accigliato.
«Eh? Ah, niente niente!» Kise accennò un sorriso nervoso e sembrò schiaffeggiare l'aria con la mano, tornando a schiudere le labbra per dire qualcos'altro.
«Ciao.»
«Ah!» Ryouta ebbe un sussulto e si voltò immediatamente.
«K-Kuroko! Smettila!» Taiga, invece, rimproverò Tetsuya con tono alterato e lievemente tremolante.
«Di fare cosa?» Tetsuya lo fissò con sguardo interrogativo.
«Di apparire all'improvviso!» Kagami si era disabituato anche a Kuroko, e se prima aveva imparato molto faticosamente ad avvertire - quasi sempre - la sua presenza, ora gli sembrava che ogni progresso fosse stato annullato, che bisognasse ricominciare tutto da capo, e non gli piaceva, gli ricordava troppo i fantasmi e il mondo sovrannaturale in generale.
Prima che potessero dire altro, l'attenzione di tutti e tre fu attirata da una voce familiare, anzi due.
«Muro-chin, ho fame.»
«Atsushi, hai appena mangiato.»
Kagami storse il naso: sperava di non dover più vedere Murasakibara, ma a quanto pareva Himuro se lo era trascinato dietro. Non che ci fosse da stupirsi, visto che era un po' come se avesse dovuto fare da balia ad un poppante.
«Eh? E loro che ci fanno qui?» anche Murasakibara, dal canto suo, non sembrava molto contento di vederli: né Kise, né Kuroko, né Kagami, al quale riservò un'occhiata più prolungata e minacciosa, come quella di un bambino che combatte per conquistare un giocattolo.
«Murasakibaracchi!» Kise simulò un sorriso: era ovvio che Himuro non glielo avesse detto, ed era giusto che lo avesse fatto, altrimenti avrebbe rifiutato.
Murasakibara non prestò attenzione a Kise e poggiò la mano sulla testa di Tetsuya, spettinandogli lentamente i capelli in quella che ormai era un'abitudine.
Tetsuya, dal canto suo, si scansò con un'espressione infastidita in volto.
«Andiamo a casa, Muro-chin.»
«Cosa? No, Murasakibaracchi‒»
«Ah!» Himuro interruppe la protesta di Kise e guardò Murasakibara sorridendo «ricorda cosa ti ho detto, Atsushi.»
Murasakibara rimase a fissarlo in silenzio solo per qualche attimo, poi inspirò leggermente e socchiuse gli occhi, in segno di resa.
Kise rimase a fissarli per qualche attimo, chiedendosi quale potesse mai essere il ricatto di Himuro e a quanto dovesse essere abile nel raggirare le persone.
«Bene, allora andiamo.» Kagami si scostò dalla statua, fece un cenno di saluto ad Himuro e si affiancò a Kuroko, consapevole di dover stare molto attento alle proprie mosse.
Erano tutti e cinque legati ad una catena: in quella manciata di ore che sarebbe durato quel bizzarro appuntamento, il comportamento di uno derivava direttamente dall'altro in una concatenazione che rischiava di diventare un circolo vizioso, un effetto domino. Era come se una fiamma bruciasse accanto ad una miccia e ad una pozza di benzina: un movimento sbagliato, un soffio di vento, un'occhiata di troppo o una parola al posto di un'altra avrebbero potuto far esplodere tutto quanto.


«Dai-chan! Si può sapere perché no?!»
«Non urlare, idiota!»
Momoi sbuffò rassegnata, rimanendo con la schiena aderente alla porta e le braccia conserte sotto i seni prosperosi: per quanto avrebbero continuato? Perché Aomine si ostinava a fare il difficile e continuava a rifiutare categoricamente? Momoi non aveva intenzione di muoversi da lì - almeno finché non sarebbe scesa la sera -
«Ti ho detto che non voglio.» Aomine brontolò, fulminandola con lo sguardo: che diavolo ci faceva appiccicata alla sua porta? Sembrava quasi avesse avuto intenzione di impedirgli di scappare, e non che lui avesse intenzione di abbandonare casa sua e darsela a gambe, ma sapersi negata l'uscita era motivo di fastidio e di certo non stava ammansendo il suo umore.
«Dai-chan, oggi ho rinunciato a dare man forte a Ki-chan che deve convincere Mukkun, e solo perché sono sicura che tu stia facendo il difficile solo per principio.» protestò Momoi, senza muovere un muscolo.
Aomine fece una smorfia e sbuffò indispettito: Satsuki lo conosceva meglio di molto altri, talmente tanto che a volte sembrava riuscire a capire certi suoi desideri ancor prima di lui; per quanto riguardava il progetto di Tetsuya, Aomine sapeva esattamente cosa voleva, anche prima di Momoi.
Era vero che desiderava almeno provarci, ma in quel momento, oltre al non voler ripetere ancora l'esperienza di un'amicizia che viene tenuta insieme da nodi sempre meno resistenti e che puntualmente si sgretola, si aggiungeva un altro pensiero, un pensiero con un nome, una faccia, un corpo: Kise Ryouta, eccolo il suo problema.
Pur di evitare il più possibile Kise, avrebbe rifiutato a qualunque costo.
Il problema, però, era che Kise non si poteva evitare per davvero, visto che erano migliori amici.
«Merda ...» Aomine si rese conto di aver pensato ad alta voce, ma non gli importò e ignorò lo sguardo stizzito di Momoi, che evidentemente pensava che l'insulto fosse stato generato dal nervosismo che la sua presenza stava suscitando in Daiki - nervoso che c'era per davvero, ma che non era niente in confronto ai dubbi che il giorno prima si erano insinuati nella mente del ragazzo -
«Mhn?» Momoi aggrottò appena la fronte, attirata dal tintinnio delle chiavi.
«Che fai?»
«Andiamo a fare un giro.» non era un tentativo di fuga, quello di Daiki; piuttosto sentiva di avere un urgente bisogno di aria fresca, così si avvicinò all'amica e non appena questa si scostò aprì la porta.
Momoi rimase in silenzio, mordendosi delicatamente l'interno della guancia, pensierosa: forse un po' d'aria fresca avrebbe fatto bene ad entrambi, avrebbe allentato la tensione e avrebbe chiarito le idee di Aomine una volta per tutte.


La fiamma ardeva ancora, la miccia era immobile e la pozza di benzina stagnante: Kise era seduto in silenzio a capotavola e fissava i marciapiedi affollati oltre la vetrina del fast-food; Kuroko e Kagami erano seduti alla sua sinistra, il primo scrutava ogni volto, il secondo pareva più interessato ai suoi piedi, forse nel tentativo di nascondere l'imbarazzo; Murasakibara batteva le dita sul tavolo, impaziente di ricevere la propria ordinazione, mentre Himuro era immobile con le labbra increspate in un sorrisetto saccente.
Molto probabilmente Himuro si aspettava che di lì a poco saltasse fuori il discorso sul ripristino della Generazione dei Miracoli, ma Kise pregò mentalmente che non fosse così, altrimenti Tetsuya avrebbe cominciato a chiedersi il perché dell'interesse così sincero ed esagitato di Tatsuya, avrebbe iniziato a sospettare e sarebbe venuto a conoscenza del loro patto da solo, in un modo così brutale da lasciargli il segno di una scottante delusione addosso.
No, Kise non voleva assolutamente deludere Tetsuya, anzi tutto quello che faceva lo considerava funzionale al suo bene.
«Kurokocchi?» com'era prevedibile fu Kise che ruppe il silenzio; quando ebbe l'attenzione di Tetsuya accennò un sorriso e riprese a parlare.
«Mi accompagneresti in bagno?» d'un tratto si trovò scrutato da quattro paia di occhi più o meno perplessi.
«Eh? Kise-chin, fai come le ragazze, adesso?» Murasakibara sembrava essersi stufato di tamburellare il tavolo e prese parte a quel bizzarro scambio di battute - a cui Tetsuya non aveva ancora risposto, per altro -, mettendo Kise ancor più a disagio.
«Proprio adesso? Sto aspettando il milkshake, Kise-kun.»
Kise fu sollevato di sapere che Tetsuya era restio ad assecondarlo per il milkshake, e non perché considerasse l'andare in bagno insieme una cosa da ragazze.
«Ti prego! Cinque minuti!» Kise accennò un tono lagnoso e congiunse le mani davanti al viso, in una supplica infantile; Tetsuya, dal canto suo, non disse altro e si alzò da tavola.
«Scusate, torniamo subito.» infine si congedò educatamente e si incamminò verso il bagno con Kise.
«Kise-kun, perché devo accompagnarti in bagno?» chiese appena furono abbastanza lontani dagli altri tre.
«Devo parlarti.»
Tetsuya tornò zitto e sembrò perfino trattenere il respiro, almeno finché non si ritrovarono soli in bagno.
«Kurokocchi, ti supplico, non arrabbiarti.» Kise era indubbiamente nervoso: avrebbe voluto parlare con un tono di voce più basso, ma il tentativo fallì; per di più avere lo sguardo incuriosito di Tetsuya costantemente puntato addosso non lo aiutava affatto.
«Perché dovrei arrabbiarmi?» già, perché avrebbe dovuto arrabbiarsi? Dopotutto Kise, Himuro e Murasakibara avevano già mandato a monte il suo pomeriggio con Kagami, non c'era niente che potesse farlo arrabbiare ancora di più - nonostante non dimostrasse affatto di essere irritato dalla situazione -
«Ecco, vedi …» Kise lasciò che gli occhi rimbalzassero lungo le pareti sterili del bagno e si schiarì a fatica la voce: era nei guai, decisamente.
«Ieri ho incontrato Himurocchi e … e …» a Kise sembrò quasi di essersi dimenticato il resto delle parole da dire «e abbiamo stretto un patto!» poi, finalmente, trovò il coraggio di pronunciarle, seppur molto velocemente.
All'apparenza Tetsuya rimase impassibile e l'unico movimento che tradì un po' di sorpresa in lui fu il battito rapido delle palpebre.
«Un patto?» aveva ripetuto, vedendo Kise annuire con energia subito dopo.
«Hai notato con quanta facilità riesca a manipolare Murasakibaracchi?» non che ci volesse tanto, visto che bastava qualche caramella per corromperlo, ma Himuro sembrava essere un gradino su tutti, come se riuscisse a persuaderlo in qualsiasi modo, anche senza ricorrere ai dolci.
«Con tutto il rispetto, non credo ci voglia molto.»
«È vero, ma quando si parla di basket anche Murasakibaracchi diventa difficile da convincere, altrimenti ci avrebbe già detto di sì.»
Kise deglutì a fatica, e sentendo il bisogno di allentare la stretta intorno al suo collo sbottonò il colletto della camicia.
«Insomma, per farla breve Himurocchi convincerà Murasakibaracchi a dire di sì, ma in cambio si unirà a noi.» Kise sapeva benissimo che Tetsuya era innocuo, che avrebbe risposto con una sonora indifferenza come sempre , eppure strizzò gli occhi e li tenne chiusi per qualche istante, come se stesse aspettando che la furia dell'altro si scatenasse.
«Quindi Himuro-san dovrà giocare con noi?»
Kise si limitò ad annuire.
Indubbiamente Tetsuya non fu affatto contento di quella notizia e lo fu ancora meno quando Kise cominciò a scusarsi - senza interruzione - per aver preso una decisione così avventata.
Non era tanto il fatto che si trattasse di Himuro, ad irritarlo, ma piuttosto l'idea che l'antica sensazione di intimità che sarebbe sussistita fra loro sei sarebbe stata rovinata da un settimo uomo.
«Torniamo di là.» Tetsuya non disse altro, gli voltò le spalle e si diresse verso la porta, e Kise lo raggiunse immediatamente, superandolo.
«Sei arrabbiato con me?»
«No.» ed era vero, perché era profondamente immerso nelle sue congetture per pensare di tenere il muso a Kise.
«Potremmo parlarne adesso.» il suo parve un sussurro, quasi stesse parlando a se stesso «sì, adesso.»
«Umh? Kurokocchi, cos'hai in mente?»
«Se Kagami-kun sente del nostro progetto e ci vede convinti di ciò che vogliamo fare, allora magari …» Kuroko fece una pausa, abbassando il proprio sguardo pensieroso e lasciandosi scappare un flebile sospiro «magari potrebbe decidere di tornare per davvero.»
Kise rimase in silenzio e, ancora una volta, gli rispose annuendo - anche se Tetsuya non lo stava più guardando ed era ormai completamente divorato dai propri pensieri, da Kagami -; poi aprì la porta del bagno e aspettò che Kuroko abbandonasse la sua posizione e uscisse.
«Andiamo.»
«Sì.»
Forse c'era una speranza; forse l'aver mandato a monte quell'uscita a due per un'uscita a cinque e aver stretto un patto con Himuro si sarebbero rivelate due ottime decisioni; forse Kagami avrebbe deciso di non partire per Los Angeles alla scadenza della settimana, come gli aveva detto.
Forse Kagami si sarebbe finalmente deciso a rimanere con lui, anche se il merito sarebbe andato solo al basket e al fascino corrosivo della Generazione dei Miracoli.


Midorima passava la metà dei suoi pomeriggi in biblioteca, dove rimaneva chiuso anche per cinque ore di seguito.
Era buffo pensare che in quel momento, mentre si lasciava la sua seconda ora di studio alle spalle, chiudeva un libro e ne apriva un altro, dedicandosi alla ricerca della pagina giusta, gli altri ex-membri della Generazione dei Miracoli non stessero facendo nulla di particolare, non si stessero sfiancando nello studio dei bioelementi, delle biomolecole e della bioenergia che molto presto lo avrebbe fatto impazzire con i vari tipi di reazioni e le sue formule.
Per qualche strano motivo che non era ancora riuscito a capire, nessuno sembrava aver intenzione di avvicinarsi a lui: il tavolo più piccolo presente in biblioteca era da quattro posti, e ogni volta le altre tre sedie restavano vuote.
Era probabile che molti lo avessero riconosciuto come uno degli ex-miracoli e provassero soggezione nei suoi confronti, o molto più semplicemente era colpa del suo stesso carattere troppo chiuso e riservato.
In verità c'erano due persone in quell'università che, pur trovandosi uno al secondo anno e uno al terzo, gli stavano intorno ogni volta che lo trovavano in biblioteca, distraendo il suo studio e mandando a monte i suoi progetti ogni volta.
Per quel motivo, a Midorima, non dispiaceva restare solo: almeno poteva concentrarsi meglio sui suoi studi e terminava in tempi più brevi.
Anche quel giorno, però, al posto delle quattro ore di studio prestabilite sarebbe riuscito a rispettarne solo la metà.
Midorima aveva notato con la coda dell'occhio un rapido movimento al suo fianco, e allora aveva rivolto uno sguardo fugace e pieno di rammarico al libro a cui avrebbe voluto dedicare l'ultima ora di studio, immaginando che non sarebbe riuscito neppure ad aprirlo.
«Allora? Oggi sei fortunato?»
A Midorima non serviva guardarlo, gli bastava ascoltare quella voce serpentina, vagamente divertita: si ostinavano a prenderlo in giro solo perché seguiva ogni mattina l'oroscopo di Oha Asa, e sembravano non aver intenzione di smettere.
«Sono ottavo.» sbottò stizzito, senza scostare gli occhi dal libro ma comunque impossibilitato a capire una parola, visto che si trovava troppo concentrato a registrare quella presenza fastidiosa che si era appena seduta accanto a lui.
«I Gemelli sono quarti, se ti interessa.»
Il suo interlocutore era dei Gemelli, proprio come Kise: indubbiamente avevano un carattere completamente opposto, ma l'affinità con quello di Midorima risultava per entrambi nulla, esattamente come recitavano i più importanti astrologi.
Quello a cui Midorima era sconosciuto, invece, era il motivo per cui non riuscisse ad andare d'accordo neppure con il suo secondo disturbatore - che ora si stava sedendo di fronte a lui -, visto che era del Capricorno.
«E quello cosa sarebbe?» Hanamiya, forse per la sorpresa di trovare qualcosa di simile sul tavolo, forse per il semplice desiderio di disturbare la quieta della biblioteca, parlò a voce alta ed indicò davanti a sé. Sia Midorima che Imayoshi, allora, seguirono il dito dell'altro e incapparono in quello che il primo riconobbe come il suo oggetto fortunato.
«Non dirmi che-» Imayoshi non riuscì neppure a completare la frase che Midorima afferrò il naso di gomma e lo mise velocemente in tasca.
«È il mio oggetto fortunato, sì.» finalmente sollevò i propri occhi, confermando i suoi sospetti: sia Hanamiya che Imayoshi lo stavano fissando con un sorrisetto divertito, quasi fossero stati pronti a scoppiargli a ridere in faccia da un momento all'altro: cosa volevano? Ne aveva bisogno, era una giornata sfortunata per il Cancro!
Era davvero bizzarro per Midorima essere ignorato dai compagni del primo anno ma essere considerato anche troppo da un ragazzo del secondo e da uno del terzo, ma dopotutto si conoscevano già - di vista, per lo meno -, e ogni tanto potevano parlare anche di basket, oltre che di malattie, patologie, DNA, organi interni, sindromi e formule matematiche.
Midorima non nascondeva di sentirsi a disagio con quei due: senza dubbio, umanamente parlando, non erano i migliori che si potessero desiderare, ma per lo meno erano intelligenti - tanto che Hanamiya aveva iniziato a prepararsi anche per diversi esami del terzo anno, in modo da poter raggiungere Imayoshi - e avevano molta più esperienza di lui, riassumevano con facilità argomenti difficili e a volte sembravano spiegarli meglio dei libri.
C'era una sorta di competizione, fra quei tre; una competizione che Shintarou aveva perso in partenza, visto che si trovava ancora al primo anno, e ciò permetteva la sopravvivenza di un clima meno teso, tanto che sembrava essersi installata una sorta di confidenza.
Non andava particolarmente d'accordo con nessuno dei due, ma si era abituato alla loro fastidiosa presenza. A volte faceva perfino bene scambiare due parole con qualcuno, piuttosto che rimanere ore e ore chinati sui libri in silenzio.
«Il tuo amichetto non ti ha accompagnato, oggi?»
Midorima, che era tornato ad osservare invano il libro, dovette risollevare immediatamente lo sguardo, rivolgendo un'occhiata di disappunto ad Hanamiya non tanto per la domanda invadente, ma per il rumore assurdo che stava facendo per aprire un pacchetto di patatine, finendo a rosicchiarle con noncuranza, urtando violentemente il sacrosanto silenzio bibliotecario: era indubbiamente intelligente, un genio, ma irrispettoso e maleducato.
«No, aveva da fare.» avrebbe voluto aggiungere qualcosa come: “Si chiama Takao, comunque.”, ma preferì essere lapidario come al solito e chiuse il libro in segno di resa: Hanamiya doveva averlo visto avvicinarsi all'ingresso dell'università da solo. A volte capitava.
«Aveva da fare con Miyaji?» adesso ci si metteva anche Imayoshi a punzecchiarlo: quei due parevano delle comare, certe volte.
«Mhn.» Midorima rispose con un brontolio, quasi avesse voluto comunicargli che non aveva più intenzione di continuare la conversazione.
«Ma quei due stanno ancora insieme?» Hanamiya lo incalzò: si erano messi d'accordo e gli facevano una domanda per uno? Pareva un interrogatorio.
«Sì.» era ridicolo: a volte sembrava perfino che avessero a cuore la sua situazione sentimentale, come se a lui dovesse importare qualcosa se Takao stava con Miyaji.
«Da quanto ne so a novembre partiranno per l'Australia. Miyaji vuole andare a trovare i parenti e stanno organizzando il viaggio facendo in modo di includere anche il compleanno di Takao.» Midorima si chiese fra sé e sé il motivo di quella dichiarazione, il perché desiderasse tanto dirlo a qualcuno.
«Non credevo che la cosa fosse così seria.» lo era, ma cosa importava ad Imayoshi? Cosa importava ad Hanamiya? Sembrava quasi che sapessero qualcosa che lui ignorava, o che semplicemente faceva finta di non conoscere, ma Shintarou conosceva benissimo quella sensazione di vuoto che si era instaurata saldamente in lui in seconda superiore e che non lo aveva più abbandonato.
Shintarou conosceva benissimo la terribile sensazione di rimorso per cose non dette; odiava il silenzio, visto che era stato proprio con quello che aveva condannato la propria solitudine, ma sentiva di non poterne fare a meno.
A Shintarou non doveva importare, e così aveva deciso che se ne sarebbe rimasto per sempre chiuso nella sua corazza di cose non dette.

Siamo abissi di tenebra, e sprofondiamo con la stessa velocità.




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L'angolino invisibile dell'autrice:

Avete visto come sono buona? Vi faccio il regalo di Pasqua! No, scherzi a parte auguro davvero buone feste a tutti quanti voi! *^*
Come al solito non sono molto convinta del lavoro e pur essendo un capitolo in cui le cose rimangono in sospeso dovunque, devo ammetterlo, è stato uno dei più complicati da gestire.
Il fatto che ora io abbia da gestire ben quattro membri della Generazione dei Miracoli non mi rende le cose facili, ed è ancor più difficile incatenare ogni avvenimento come si deve, tenendo conto del tempo e delle azioni.
Spero di aver fatto comunque un buon lavoro, visto che ci tengo. E torno a dire che gli aggiornamenti saranno un po' più “rari” ;-;
Ringrazio chi continua a seguirmi e gli auguro di starsi ingozzando con del buonissimo cioccolato, visto che io il mio uovo l'ho già mangiato due giorni fa. Mi chiamava e non sono riuscita ad ignorarlo.
Ok, passiamo al capitolo: non nascondo di avere delle grandi, grandissime/gigantesche/difficoltà con Kagami. Il suo carattere potrebbe risultare moscio, effettivamente; non ho ancora capito come muoverlo e sicuramente mi ci vorrà un po'.
Nonostante questo credo che la prima parte sia stata la più facile (infatti appena terminato il capitolo sette era stata l'unica che ero riuscita a scrivere), anche se l'incontro fra i due è stato abbastanza complicato da gestire (immagino comunque che si trovino a disagio, dopo così tanti mesi passati senza vedersi e senza neppure sentirsi).
In verità dopo aver scritto la prima parte su Kuroko e Kagami mi sono bloccata e tutto ciò che viene dopo l'ho scritto ieri e oggi.
La parte che viene dopo mi convince ancora meno, ma ho pensato che Kagami si senta a disagio molto più di Kuroko e, almeno per il primo giorno, non voglia uscire solo con lui, quindi ecco che ha deciso di invitare anche Kise che, a sua volta, ha preso la palla al balzo per chiamare Himuro (obbiettivo: attirare Murasakibara e metterlo in trappola).
Non so se l'ho già specificato o meno, ma siccome per me loro vivono a Shibuya, ho scelto come punto di incontro la statua di Hachikou. La scelta è semplice: su Google Maps i nomi delle strade sono in giapponese, e siccome io non lo conosco affatto ho preferito trovare un punto di riferimento come un monumento o una statua.
Lasciandoci alle spalle le mie carenze in lingua giapponese, ho voluto aggiungere la parte di Momoi e Aomine più che altro per fare del bene a me: l'incontro di Kuroko con Kagami, Kise, Himuro e Murasakibara stava diventando ansiogeno e non volevo tentare di prolungare la cosa perché avrei sicuramente creato qualche disastro, quindi ho preferito tagliare e tornare da quei cinque in un altro momento.
L'idea di loro seduti al tavolo del fast-food mi ha divertito, lo ammetto: come potete notare sono sadica con voi lettori ma anche con i personaggi, considerando che è una situazione di completo disagio per tutti (l'unico tranquillo è Himuro). Kuroko ovviamente non è stato contento di venire a conoscenza del patto di Kise, però come potete vedere ha accettato e solo perché pensa che sentendone parlare, a Kagami potrebbe venire voglia di tornare in Giappone.
E ho voluto finire con Midorima, che finalmente ci svela il suo rimorso per non aver detto qualcosa a Takao (c'è o non c'è scritto “MidoTaka” nelle coppie?)
Di nuovo, noterete che sono sadica anche con i personaggi: ho voluto assegnargli come “animali da compagnia” (??) Hanamiya e Imayoshi: dopotutto sono due ragazzi intelligenti e nell'anime viene detto che Imayoshi si sta preparando per l'università, quindi eccoli qui a studiare medicina.
Immagino che Hanamiya si divertirà a fare le autopsie. E io mi sono divertita a scrivere della sua mancanza di rispetto per l'ambiente bibliotecario, anche se non gli ho dedicato molto spazio. Diciamo che sono marginali e non hanno neppure molto da spartire con Midorima, appartenendo ognuno ad un anno di corso diverso, però eccoli qui. So che è un trio bizzarro, ma la mia mente malata a volte elabora queste idee e … boh, dovevo scriverlo, ecco tutto.
L'item di Midorima è un naso di gomma, sì. Non un naso rosso da clown, ma proprio un naso finto di gomma.
E ho deciso che Miyaji ha dei parenti in Australia.
Mi spiace se questo capitolo risulta un po' “statico”, ma dal prossimo cambieranno un po' di cose, visto che qualcuno acconsentirà al progetto di ripristino della GoM~
Ancora buona Pasqua a tutti! Rotolo a studiare!
   
 
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