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Autore: SylPms    20/04/2014    3 recensioni
101 - One Hundred and One | OOC | Fluff / Drama | Delena | AU = tutti umani
Elena fa parte di quei "ragazzi particolari". E' una delle ragazze più brillanti del suo corso ma al di fuori degli esami, nessuno, a parte Caroline, l'ha mai sentita parlare di qualcosa che non riguardi lo studio o la scienza. E' una di quelle ragazze che non riescono a guardarti negli occhi, una di quelle che per il nervosismo inizia a parlare delle cose più inadatte, una di quelle che ama catalogare tutto e sapere sempre cosa ci sarà dietro l'angolo. Per questo motivo costruisce liste delle cose da fare e dei desideri da realizzare. E' la spontaneità quello che le manca, l'impulsività, la gioia di vivere. Damon incarna tutti i suoi demoni interiori, ciò che non è mai stata e che mai sarà, o almeno di questo è convinta prima di incontrarlo. Sarà Damon ad aiutarla a completare la sua lista, in un modo che non si sarebbe mai aspettata.
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline\Klaus, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Klaus, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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101 - One Hundred and One 

"I feel it in my bones, I'm stronger now
I'm ready for the house - such a modest house
I can't do it alone every time I see you in the world"
Step - Vampire Weekend

 
 

Il sole splendeva sulla St.George University. Un forte odore di vernice si captava già una volta scesi a Tooting Broadway , sulla Garratt Terrace. Il piccolo cancelletto era stato riverniciato alla perfezione e quell’insolito bel tempo che superava qualsiasi aspettativa del londinese rassegnato al malinconico tempo autunnale full-time, contribuiva alla diffusione dell’odore acre dell’acrilico blu ciano. Il primo semestre del tuo secondo anno sarebbe iniziato tra due minuti e trentasette secondi e uno strano formicolio, del quale non riuscivo a captare l’origine, si era svegliato con me quella mattina. Abitavo poco distante da lì, nei pressi di Kennington Park. Otto fermate di metropolitana. Nonostante vi fossero appartamenti graziosi anche più vicini all’Università, avevo preferito di gran lunga qualche fermata di metro in più, alla confusione del Wimbledon Stadium, poco distante dall’ospedale, intorno al quale sembravano sorgere centri sportivi come funghi, come per invogliare ad una vita attiva e salutare, decisamente in netto contrasto con il Lambeth Cemetery, esattamente adiacente. Non mi era mai venuto in mente di far visita allo stadio di Wimbledon, né tantomeno al Fishponds playing field, ma più di una volta mi ero concessa una passeggiata lungo i viali alberati del Lambeth Cemetery. Non era esattamente quello che si poteva definire un cimitero. Vi passavo le mie giornate migliori, contrariamente a quello che si potesse pensare. Mi suscitava estrema calma e pace ed era forse l’unico luogo dov’ero sicura di poter essere me stessa senza limiti o paura di giudizi. I suoi inquilini non erano molto loquaci e comunque non invitavo mai nessuno con me. Sarebbe stato parecchio inquietante invitare qualcuno a fare un giro al cimitero.
Varcato il cancello della St. George,ecco la solita sensazione. Era inevitabile sentirsi estremamente piccoli e insignificanti di fronte alla maestosità dell’edificio, che più che sembrare un’Università, aveva l’aria di un aeroporto. Le pareti rosso ruggine che rispecchiavano in pieno la Londra stereotipata di Hard Times* , salvati però dalla fuliggine, si alternavano a file di vetrate illuminate dalla naturale luce del giorno. Alzai lo sguardo e notai un gruppo di persone indaffarate che in pochi minuti passavano da una parte all’altra del corridoio, come se sotto i piedi avessero quei calzini di lana che si utilizzano per raccogliere energia elettrica e strofinarsi sopra i capelli palloncini da compleanno.
Controllai l’orologio digitale dorato che avevo al polso e non appena i secondi furono prossimi a completare il loro ciclo sessagesimale e a lasciar spazio alla nove, sentii che era il momento giusto per entrare. Mossi un piede in avanti ma rimase inevitabilmente a mezz’aria.
“ Ah, ah, ah! Cosa pensi di fare?”
La voce di Caroline mi arrivò cristallina alle orecchie e quasi mi fece sobbalzare. La sua esile mano con tanto di unghie laccate rosso fuoco si erano arpionate al mio avambraccio e in quel momento riuscii a sentire l’intera circolazione dell’arto bloccarsi.
“Mi stai comprimendo il nervo ulnare” esordii stizzita “E’ piuttosto doloroso”.
Erano le nove e un minuto e avrei voluto evitare di arrivare in ritardo il primo giorno del secondo anno e anche i restanti del semestre, se fosse stato possibile. “E’ un punto scoperto sai, scavalca l’articolazione del gomito e..”
Caroline roteò gli occhi e sentii il suo indice affusolato posarsi sulle mie labbra pronte per uno sproloquio sul sistema nervoso periferico. “Elena, ti prego” mi guardò come per rimproverarmi “Evita questi discorsi con me, ti ricordo che studio medicina anche io. Non ho bisogno che tu mi riassuma la biografia del nervo ulnare” scosse la testa.
“Tecnicamente un nervo non può avere una biografia.. anche se essendo formato da cellule che sono le basi strutturali della vita…”
Si lasciò andare in una risata divertita. Il suo sguardo non era mai duro o realmente infastidito quando mi guardava. Mi conosceva da più tempo di chiunque altro e aveva imparato a sopportare la mia scarsa tecnica retorica e ancor di più il mio senso dell’umorismo pari a quello di Sheldon Cooper**.  “Elena” mi richiamò per l’ennesima volta con la voce ancora spezzata dalla risata. “Cos’avevamo detto a riguardo?” cercò di incalzarmi con lo sguardo a ricordare il nostro famoso discorso pre-secondo anno “Niente…” cominciò lei.
“Niente sproloqui, niente discorsi nozionistici, niente approfondimenti non richiesti, solo conversazioni frivole e leggere” Non ero sicura di aver ricordato tutto ma ciò riassumeva per sommi capi le mie più grandi difficoltà in ambito sociale. Tenere conversazioni accattivanti non era il mio forte. Non ero mai stata quella carismatica o quella divertente nella compagnia. Se volessimo essere più precisi, dovremmo dire che non ero mai stata quella e né tantomeno avevo mai avuto una compagnia o nulla che si potesse definire tale. A parte Caroline avevo un altro paio di conoscenti, tutti suoi amici. Qualche volta si univano a noi o meglio, io mi univano a loro, ma nella maggior parte dei casi eravamo solo noi due. Mi riusciva difficile non sentirmi un peso per Caroline che sembrava mettere da parte la sua vita e talvolta la sua vera indole per prendersi cura di me. Era totalmente l’opposto di quella che ero io. Caroline era un vero e proprio animale sociale. L’avevo sempre invidiata e sarebbe stato stupido negarlo. Invidiavo la sicurezza che aveva in qualsiasi cosa facesse, il suo sapere cosa fare o dire in ogni circostanza, il suo riuscire ad essere sempre se stessa. Quando avevamo deciso di iscriverci entrambe a medicina fu un sollievo per me sapere che non sarei stata da sola perché la storia de “addio liceo, benvenuta vita nuova” all’Università non avrebbe funzionato. Caroline aveva già le idee chiare, sarebbe diventata un brillante chirurgo pediatrico mentre io ancora oscillavo indecisa su un filo sospeso nel vuoto. Avevo sorpreso tutti con questa mia scelta, in ogni caso. Non pochi avevano pensato o esplicitamente detto che avrei avuto bisogno io di un medico e che alla sola idea di farsi curare da me , preferivano scavarsi la fossa.
Sfidavo delle volte a credere che anche Caroline non lo pensasse. Non c’era giorno che non mi chiedessi cosa ci avesse trovato in me, perché avesse iniziato a parlarmi. La sua amicizia era forse l’unica cosa spontanea nella mia vita ed era stato grazie a lei se ero riuscita a sbloccarmi e a superare alcune delle situazioni più difficili della mia vita. Anche quando desideravo ardentemente di essere lasciata in pace a marcire da sola nella mia stanza per mesi, ringraziavo di avere la sua presenza accanto a me.
“E non dimenticarti della tua lista”
La sua voce mi fece risvegliare da quel vortice di pensieri che mi aveva portata in un’altra dimensione, come spesso accadeva e allo stesso tempo mi turbò. Sapevo benissimo a cosa si riferiva e ogni volta che ci ripensavo mi chiedevo cosa mi era passato per la testa, quando avevo accettato quel patto o meglio, quando avevo deciso di mostrarle una cosa così privata. Ora non potevo decidere di tirarmi indietro dal nulla perché, sebbene fossi carente in molti atteggiamenti, la mancanza d’onore non era una mia peculiarità.
Annuì distrattamente. La famosa lista di cui parlava Caroline giaceva a pagina trecentocinquantasette del mio libro ancora intonso di Neurologia, piegata in quattro parti. L’avrei affissa alla mia porta, di modo da aver sempre in mente quali dovevano essere i miei obiettivi, così mi aveva detto Caroline. Ero una campionessa nello stilare elenchi e fare progetti, ma la mia abilità terminava alla pura fase elaborativa. In ogni caso non credevo che sarei riuscita a mettere una spunta nemmeno ad un terzo delle cose elencate.
“Sei molto carina oggi” cinguettò, squadrandomi da cima a fondo. Mi guardai di rimando, quasi non ricordassi cosa indossavo, cosa impossibile, dal momento che premeditavo sempre il giorno prima cosa indossare. Quel giorno avevo optato per una gonna fino al ginocchio color prugna, una semplice maglietta nera a tre quarti con lo scollo a U e delle calze coprenti neri, infilate alla perfezione nei miei biker boots di fiducia. Il tutto era, ovviamente, merito di Caroline che aveva rivoluzionato il mio guardaroba che forse non vedeva un nuovo capo da anni. Ero rimasta comunque fedele ai toni cupi e poco accesi che riflettevano anche la mia personalità. Le sorrisi mormorando un “grazie” imbarazzato e mi sentii tirare per un braccio dentro alla hall dell’Università.
L’aula B12 si trovava al secondo piano, in fondo al corridoio. Era una sala contenuta, molto più piccola rispetto a quella dell’anno precedente, ma era risaputo che dopo il primo anno le rinunce agli studi fioccano dal nulla nella facoltà di Medicina. I posti nelle ultime file erano in parte già occupati ma mio malgrado Caroline non aveva affatto intenzione di andare oltre la terza fila. Detestavo la sensazione dei primi banchi e l’inevitabile scambio di sguardi con il docente di turno. Il problema nasceva soprattutto una volta usciti dall’aula, quando si incontrava il professore all’Eddie Wilson Coffee dell’Università. Salutarlo o non salutarlo? Era il dilemma che mi faceva sempre optare per uno scadente caffè delle macchinette. Senza che potessi obiettare, andammo a prendere posto nella seconda fila, io seduta all’estremità. Posai la mia borsa color cammello al lato della poltroncina blu notte e mi guardai intorno, notando la religiosità con cui i professori rispettavano il quarto d’ora accademico. Avremmo iniziato Neuroscienze e Psichiatria ed ero elettrizzata all’idea. La neurochirurgia era la branca che più di tutte mi affascinava ed ero impaziente di conoscere il Professor Fell.
“Sono così eccitata” mi precedette Caroline, sedendosi accanto a me “Il Professor Fell verrà a farci lezione!” le brillarono gli occhi nel pronunciare il suo nome.
Il Professor Fell, oltre ad essere il nostro professore di Neuroscienze, era anche uno dei neurochirurghi più brillanti dell’intera Gran Bretagna e avrebbe scelto in quella classe i suoi pupilli da istruire e portare con sé alla ricerca dell’aneurisma perfetto e sebbene a Caroline la neurochirurgia non interessasse particolarmente, non avrebbe certo rinunciato ad un’opportunità simile.
“Ho letto il suo ultimo libro, mi ha colpita la sua riflessione a pagina duecentoquarantatre, quella al secondo rigo. Non avrei mai pensato ad una cosa del genere!”
L’espressione interdetta di Caroline mi fece capire che non aveva idea di cosa vi fosse scritto a pagina duecentoquarantatre né nelle altre restanti. Misi le mani avanti, come per ammettere la mia colpa prima ancora che potesse dire qualcosa e mi scrollai le spalle sorridendo. Alle volte mi rendevo conto da sola dell’assurdità delle cose che dicevo e capivo bene gli sguardi indecifrabili dei miei interlocutori quando accadeva.
Man mano che l’aula prese a popolarsi, il tipico brusio di sottofondo andò ad ovattare la voce di Caroline, presa a raccontarmi i piani per il fine settimana nei quali non avevo ancora capito se fossi inclusa anche io. A quanto pare aveva escogitato un piano per incontrare la compagnia di Niklaus. Niklaus o Klaus, come lo chiamavano tutti, era un ragazzo del terzo anno che aveva conosciuto l’anno prima e dal quale era rimasta particolarmente colpita. Dopo la storia con Tyler non sembrava aver mostrato interesse per qualcun altro e quando mi aveva mostrato Klaus ero rimasta a dir poco sconcertata, specialmente per il cambio di caratteristiche. Forse aveva davvero intenzione di dimenticare Tyler. Era un ragazzo originario di Londra con un adorabile accento scozzese, dal momento che aveva vissuto lì per più di dieci anni. Suo padre si occupava di relazioni internazionali e ambasciate e per questo non aveva mai avuto tempo di stabilirsi davvero in una città, fino ad allora. Insomma, aveva avuto la vita che Caroline aveva sempre desiderato per sé. In continuo viaggio, cosmopolita, aver tempo solo per avventure senza rischiare di affezionarsi troppo… A parte la sua vita movimentata , ciò che aveva colpito Caroline era la sua aria nordica e da gentiluomo resa alla perfezione dai suoi riccioli biondi e dagli occhi cerulei, incastonati sul volto come pietre preziose. Di certo non ero comunicativa come Caroline e mai mi sarei sognata di mettere le mie emozioni una dietro l’altra come faceva lei, ma ascoltarla mi piaceva parecchio e  in qualche modo riuscivo a cogliere sempre qualcosa che mi era sfuggito della vita fino a quel momento. Tuttavia erano altrettanti i momenti in cui non riuscivo a comprendere le sue decisioni totalmente irrazionali ai miei occhi. Quando mi parlava dell’essere ciechi in amore, non riuscivo davvero a capire a cosa si riferisse perché delle volte si limitava ad ignorare o a far finta di non vedere cose che invece erano palesi. Ad interrompere lo sproloquio di Caroline sul modo all’antica che Klaus aveva nel salutarla con il baciamano, fu l’ingresso del Professor Fell in aula.
“Buongiorno ragazzi, prendete pure posto” la voce da tenore del Professor Fell invase l’aula e bastò da monito per interrompere le conversazioni frugali che andarono scemando come la fiamma di una candela arrivata al culmine. Si era presentato con il camice bianco, lungo fino alle ginocchia e lo stetoscopio al collo, forse per darsi quell’aria autorevole e saccente che la sua giovane età tendeva a far dimenticare. Era proprio la sua età però che gli aveva fatto guadagnare tutto quel rispetto. Soli trentacinque anni e già neurochirurgo affermato con una cattedra universitaria stabile. Sotto il camice portava una camicia leggera bianca che lasciava immaginare un fisico tonico e asciutto e una cravatta di un tono di blu. Non era particolarmente alto, ma ciò di certo non toglieva credito alla sua figura. “E’ davvero bello” disse Caroline sognante, con il mento perfettamente incastrato nel palmo della sua mano. Accennai ad un sorriso verso la sua proverbiale propensione verso gli uomini più grandi e per chiunque avesse il titolo “medico” stampato su un pezzo di carta incorniciato. In quello stesso momento il flebile cigolio della porta bianca dell’aula catturò la mia attenzione e mi voltai istintivamente. Senza che me ne rendessi nemmeno conto un “davvero bello” uscì dalle mie labbra, forse troppo impercettibilmente perché fosse colto da Caroline.
Una chioma corvina disordinata aveva catturato la mia attenzione. Tuttavia quei capelli che avevano l’aria di essere morbidi e profumati erano forse solo un sessantacinquesimo del resto del corpo dell’individuo che li portava sulla testa. Un fisico tonico e scolpito, francamente evidente sotto il tessuto sottile di una maglietta di cotone nero si contraeva ad ogni suo passo, così come le braccia tese nel sollevare una valigetta nera che portata da lui sembrava comunque leggerissima e per finire, last but not least, un pezzo d’oceano intrappolato nelle sue iridi. Nell’osservarlo, mi sentii sopraffatta da una sensazione mai provata prima. Ero quasi certa di essere rimasta con un dito a mezz’aria e la bocca schiusa, inumiditasi istintivamente come avessi l’acquolina davanti ad un pasto succulento.
Un turbinio di vergogna e pudore mi avvolse all’istante. Ero consapevole che fissare le persone non era segno di grande educazione e che si trattava di una di quelle cose su cui Caroline mi aveva intimato di lavorare ma.. il modo in cui guardavo quell’altro essere umano sconvolgeva me stessa. Non appena anche il resto della classe si accorse della presenza di quella specie di dio nordico, visto il netto contrasto tra occhi, capelli e pelle diafana, riuscii a distogliermi dalla sua figura. Quasi in preda al panico iniziai a rammendare le mie cose dalla borsa per preparare il quaderno per gli appunti e nel farlo urtai Caroline non poche volte, per via del tremore che si era impossessato di me.
“Elena” mi posò una mano sul braccio, per placarlo dal momento che il mio improvviso attacco di Parkinson rischiava di far tremare l’intera fila. “Che ti succede?”
“Io.. niente” scossi la testa “Ero solo sovrappensiero”. Mi ritrovai improvvisamente particolarmente interessata al taglio irregolare delle puntine per la mia matita hb2. 
Caroline sorrise, con il fare di chi la sa lunga “Devono essere dei pensieri davvero elucubranti o forse eccitanti” rise,  notando il rossore improvviso sulle mie gote che io stessa riuscivo a percepire. “Tranquilla Elena, il professor Fell fa questo effetto a molte” sospirò, come fosse una quindicenne innamorata del suo professore di storia.
Il professor Fell non rientrava minimamente nei miei pensieri e quella visione mi aveva fatto perfino dimenticare l’emozionante, ormai secondaria, lezione di neurochirurgia che stava per iniziare. Nel momento in cui anche l’attenzione di Caroline venne colta dal nuovo arrivato, i suoi occhi si sgranarono ma in un’espressione ben diversa. “NO!” esclamò quasi troppo ad alta voce. Si portò subito una mano sulla bocca, guardandosi intorno già completamente rossa per il suo tono di voce. Non avevo  grande abilità nell’interpretare le reazioni altrui e mi ritrovavo sempre costretta a porre la fatidica domanda di spiegazione “Che succede?”
“No, non può essere Elena!” Caroline si portò le mani sul volto scuotendo la testa, come se un avvenimento terribile si fosse appena verificato.
“Caroline ! Mi dici cosa succede ?”
“Lo vedi quel ragazzo lì?” sporse appena l’indice per evitare di indicarlo palesemente. Quando mi voltai, ritrovando i suoi occhi di ghiaccio, persi un battito e mi dissi che sì, l’avevo visto e fin troppo bene.
“Si, un ragazzo normale” mi scrollai le spalle facendo trasparire una leggerezza non poco incoerente “Cos’ha di strano?” …a parte una bellezza fuori dal comune, avrei voluto aggiungere.
“Io lo conosco” scosse la testa Caroline, sperando che non la notasse o che non si ricordasse di lei. “L’ho conosciuto questa estate a Plymouth” sospirò al solo pensiero “E diciamo che abbiamo condiviso delle..esperienze” si schiarì la gola.
“Uhm..” la guardai perplessa senza ben capire quale fosse effettivamente il problema e tornai a guardare il ragazzo del mistero per qualche altro secondo “Beh, capisco Caroline. Magari vuoi salutarlo?”
“Cosa?? Non ci penso nemmeno ! La mia vita è finita, posso scordarmi le ore di pratica extra con il professor Fell” piagnucolò.  Non riuscivo ancora a capire il motivo del suo struggersi e mi odiavo ogni secondo di più. Avrei dovuto intuire tutto dai suoi gesti e dalla sua espressione scandalosa eppure non potei fare altro che guardarla perplessa, in attesa di altri dettagli.
 “Siamo stati a letto” disse molto velocemente “Più di una volta” aggiunse mentre la vergogna, ma non certo il rimpianto, si faceva spazio dentro di lei.
Ora era stata davvero chiara e sarebbe stato impossibile per chiunque fraintendere quello che intendeva.  “O-oh capisco. Beh Caroline, magari si ricorda di te” le dissi, non sapendo se effettivamente era davvero quello che voleva.
“Io spero di no! E’ l’assistente del professor Fell, chi l’avrebbe mai detto ! Mi sembrava solo un pallone gonfiato” sbuffò infastidita. “C’è anche da dire però che a letto è davvero formidabile”
Arrossii a quella parole,immaginandomi all’istante il corpo del ragazzo dai capelli corvini non più coperto dal tessuto dei vestiti che indossava. Questo genere di argomenti era stato sempre un tasto dolente e Caroline non aveva davvero riserve quando si trattava di essere sessualmente esplicita.
 Lo osservai mentre aiutava a sistemare i cavi del proiettore, chino sulle prese intrecciate e consumate dell’auletta B12. Ad ogni suo movimento i muscoli tesi venivano delineati inconfutabilmente , quasi fosse l’uomo vitruviano o uno di quel modellini anatomici da laboratorio. A pensarci bene, avremmo appreso molto meglio l’anatomia dell’apparato locomotore usando lui come manichino! In quello stesso istante il ragazzo, ancora senza nome per me, alzò lo sguardo e notò che lo stavo guardando insistentemente in direzione di quello che fino a pochi secondi fa era il suo fondoschiena. Inutile dire che un’espressione pienamente compiaciuta si dipinse sul suo volto, specialmente quando arrossii come un pomodoro maturo.
“Oh no, sta venendo verso di noi” Caroline si voltò istintivamente dall’altro lato, sperando in quel modo di nascondersi. In mano teneva un malloppo di fogli spillati sull’angolo destro in alto e sul viso un sorriso strafottente, uno di quelli che la avevano ammaliata qualche mese prima.
“Buongiorno” proferì. La sua voce mi arrivò alle orecchie così familiare che mi chiesi se non l’avessi già conosciuto prima. Era vero che tendevo a fare confusione con i visi, ma uno come il suo difficilmente si poteva scordare. Aveva una voce calda e profonda come il rombo di un motore, ma allo stesso tempo distaccata e disinteressata, senza alcuna pretesa di dimostrarsi sensuale o accattivante in quanto già lo risultava naturalmente. Trasalii quando si fece così vicino da rendere la fragranza della sua acqua di colonia quasi fastidiosa. “Buongiorno” mormorai flebilmente, senza guardarlo in faccia. Quando parlò di nuovo però, mi sentii quasi costretta ad alzare lo sguardo e lo puntai a livello della sua fronte, così come mi aveva suggerito di fare Caroline, quando sentivo di non poter sopportare il peso di uno sguardo. In quell’occasione mi chiedevo cosa diamine mi passasse per la testa e perché non dovessi riuscire ad affrontare le situazioni in modo sfacciato e sicuro e mi lasciassi scappare qualsiasi opportunità.
“Io sono l’assistente del professor Fell, Damon Salvatore” sorrise come a completare quel suo biglietto da visita in bellezza.
“Elena Gilbert” mi presentai, tendendogli stupidamente una mano, cosa della quale mi pentii all’istante. A quel gesto Damon accennò ad un sorriso divertito e decise comunque di imitarmi e di far oscillare le nostre braccia nel gesto convenzionale.
“Molto canonica, signorina Gilbert, ma non c’è bisogno di tutta questa formalità con me. Se vuole passare l’esame , la sua preda deve essere un’altra” rivolse uno sguardo indietro al professore.
“Oh no! Non farei mai una cosa del genere! E’.. stata solo una reazione inconscia. Il sistema autonomo non ha fatto in tempo a bloccare la mia reazione e prima che me ne accorgessi, la mano era già a mezz’aria” E in momenti come quelli mi chiedevo se il mio subconscio preparasse prima certe frasi o se fossi così abile da organizzare le idiozie peggiori e pronunciarle con una velocità tale da non poter rimediare. La risata cristallina di Damon mi alleggerì all’improvviso. Sentii la tensione che si era accumulata sui muscoli del mio viso, sciogliersi e restituirmi un’espressione più femminile. “Si rilassi” mi disse abbassando il tono della voce “Non mordo mica”. I suoi occhi magnetici puntarono i miei come volessero inchiodarli e ci riuscirono alla perfezione. Non mi sentivo in grado di muovere un muscolo, nemmeno il piccolo muscolo che mi avrebbe permesso di distogliere le iridi dalle sue. Era forse da secoli che non mi concedevo un sano sguardo penetrante come quello. Era come se percepissi l’azzurro dei suoi occhi sciogliersi e invadere le mie iridi nocciola corrompendole. Uno strano sorriso che non riuscii ad interpretare si fece spazio sul suo volto. Non era un vero sorriso, più che altro una smorfia compiaciuta. Le labbra sollevate verso destra e le sopracciglia leggermente alzate come se mi avesse in pugno in quel momento – e non potevo negarlo. Il rumore improvviso del microfono che cadde sul legno della cattedra mi fece sobbalzare e solo in quel momento realizzai davvero dell’esposizione alla quale mi ero lasciata andare con un perfetto sconosciuto. Improvvisamente irritata da quel potere che aveva esercitato su di me, distolsi lo sguardo lasciando che i capelli mi coprissero parte del volto.
“Dovresti rilassarti un po’, Elena Gilbert, lo dico sul serio” portò entrambe le mani sul banco sul quale erano appoggiate le mie cose, andando a spostare dalla posizione che gli avevo designato e si dondolò leggermente avanti e indietro. “L’eccessiva tensione potrebbe compromettere il tuo rendimento” sorrise, di nuovo e potei benissimo vederlo anche solo con la coda dell’occhio.
“Non è mai stato scientificamente provato, il rendimento sotto stress può aumentare in soggetti particolari” confutai immediatamente la sua teoria , totalmente incoerente con la mia ansia congenita che era andata sempre d’accordo, finora, con i miei ottimi risultati.
“Allora mi sorprenderai” lasciò i fogli che portava con sé sul mio quaderno e tornò alla sua postazione, notando il Professor Fell in difficoltà con la presentazione in Power Point che aveva preparato.
Non appena sentii il mio campo visivo sgombro e la sua presenza decisamente più lontana, raccolsi i fogli che aveva sparso in modo disordinato e mi affrettai a ricomporre ordine sul mio banco. In momenti del genere, quando la mia tranquillità quotidiana veniva sconvolta, l’ordine spaziale era forse l’unica cosa che mi faceva rimanere tranquilla. I nomi e i cognomi di tutti gli iscritti al corso giacevano scritti in una tabella a due colonne e mi resi conto che si trattava del foglio firme, unica ragione per la quale si era rivolto a me, ora era tutto più chiaro.
“Era passato solo per il foglio firme” richiamai Caroline ormai a pericolo scampato. “E io che pensavo avesse notato che lo stavo guardando”
Caroline si voltò con uno sguardo quasi indignato “Mi ha bellamente ignorata!” confessò scioccata Caroline, che a quanto pare, in fondo, sperava di essere ricordata. “Andiamo Elena! Poteva benissimo iniziare dalla fila che gli sta di fronte” scosse la testa, non mostrando però la sua solita comprensione verso le mie arbitrarie interpretazioni. “Tipico di Damon! Ma hai sentito che ti ha detto? Pensava di ammaliarti in qualche modo?” sbuffò “Meno male che sei una persona con sani principi, Elena” asserì convinta “Non potresti mai farti abbindolare da uno simile” scosse la testa, evidentemente infastidita dal comportamento di Damon. Tutto ciò che feci fu comunque annuire senza commentare le sue affermate convinzioni sul mio temperamento. Riuscivo a percepire solo vergogna nell’ammettere mentalmente quella strana sensazione che la breve conversazione con Damon mi aveva provocato. Forse era stato per via della sua acqua di colonia che mi aveva dato alla testa, o per il suo tono di voce estremamente convincente e persuasivo o per il suo sguardo incatenante. Ciò che si stava facendo spazio dentro di me era forse una delle cose più sgradevoli che avessi mai provato e allo stesso tempo che avrei voluto provare ancora. Ciò da cui fuggivo e che mi ritrovavo sempre a cercare. Mi ritrovai a pensare che non gli avrei parlato mai più, né l’avrei guardato. Come se avessero sigillato ermeticamente l’edificio, iniziò a mancarmi l’aria e nell’impugnare la matita, la mano tremante tracciò una linea sconnessa sul foglio immacolato, prima di romperne la punta. Uno strano formicolio si impossessò dei miei arti e improvvisamente sentivo i vestiti estremamente stretti addosso. Chiusi gli occhi cercando di mettere a freno quello strano panico che si era impadronito di me ma non appena il buio della mente sostituì le pareti bianche dell’aula, un oceano in tempesta racchiuso in due iridi rotondeggianti, mi apparve davanti agli occhi. Li spalancai immediatamente e ritrovai lo sguardo costernato di Caroline fissarmi. Perfino i suoi occhi mi sembravano impossibili da sostenere in quel momento e senza dire niente, cercai di concentrarmi sulle parole metalliche del Professor Fell che avevano iniziato a riempire l’aula. 


__________________________________________

Elena:
 
Steps
 

*Hard Times: di Charles Dickens, mi riferisco al celebre passo "It was a town of red brick, or of brick that would have been red if the smoke and ashes had allowed it"
**Sheldon Cooper: personaggio della serie "The Big Bang Theory", noto per il suo scarso senso dell'umorismo.

Note dell'autrice: Salve a tutte ! Sono "di nuovo" qui ! Per quelle di voi che stanno leggendo la mia fanfiction ancora in corso, (), il mio è un ritorno e anche una rivisitazione ! Come avrete letto dagli avvertimenti si tratta di una AU con tanto di OOC ( quello di Elena ovviamente! ). Volevo cimentarmi in un altro genere e soprattutto elaborare qualcosa di più light, più o meno, che servisse da "rifiugio" sia per voi che per me. Che dire, dopo aver letto molte Fanfiction AU, ne sono rimasta affascinata! L'ambito medico purtroppo mi perseguita e fa parte di me, spero non vi dispiaccia particolarmente! :) Per commentare questo primo capitolo posso solo dirvi che inizia già a delinearsi, anche se ancora in modo molto approssimativo, quello che è il personaggio di Elena, alquanto problematico. Forse è difficile da comprendere ed apprezzare, ma andando avanti si scopriranno molte cose su di lei e sul suo modo di approcciarsi con gli altri. Il suo modo di essere mi sta molto a cuore sia perché mi ci rivedo molto, sia perché è collegato a qualcosa a cui sono particolarmente interessata. E Damon assistente?? Io personalmente non chiederei di meglio ! Ho già avuto esperienze con assistenti affascinanti, ma nulla se paragonati a Damon. Per il Professor Fell mi sono ispirata al mio professore di Genetica, che corrisponde realmente alla descrizione fisica che ho dato ! Ehehe ! Per il resto, spero vi siate soffermate a leggere questa storia e che siate arrivate fino a questo punto. Sarei molto felice di sapere cosa ne pensate per cercare di migliorarmi. Cercherò di postare con una certa frequenza, sia qui che su () e spero di non essere troppo ostacolata dalla sessione estiva sempre più vicina ! Per il momento vi saluto, un bacio ragazze!
  
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