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Autore: Darik    18/12/2004    1 recensioni
Quando sei abituato ad affrontare una cosa soltanto, ti ritrovi vulnerabile.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gendo Ikari
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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TRA PADRE E FIGLIO

E’ da un po’ di tempo che attendo questo momento. E con quali sentimenti non lo so. C’è un grande caos dentro di me. In passato credo che non me ne sarebbe importato granché.

O meglio, avrebbe avuto un certo grado di importanza, dopo aver scoperto che lui era diventato insostituibile per il mio scopo, ma sarebbe stata una preoccupazione materiale, niente di più.

Il cuore non sarebbe stato toccato, io non lo avrei mai permesso.

Ho impiegato anni per alzare intorno al mio cuore un muro, un solido muro che mi proteggesse da tutto e da tutti, e certo non sarebbe stato un semplice ragazzino a farlo crollare.

Perché io in passato ho sofferto tanto, e queste sofferenze hanno reso quel muro incrollabile.

Almeno, era questo che credevo.

Ma ora scopro delle crepe in questo muro, crepe piccole, minuscole, appena percettibili. Ma sempre crepe sono, e possono far cadere tutto, perché tutto comincia da ciò che è piccolo.

E’ stato cosi per la vita sulla Terra, dagli organismi monocellulari agli esseri umani, è stato cosi per l’universo, dalla sfera di materia che originò il Big Bang fino alle miriadi di galassie grandi e piccole.

Ed è cosi anche per il cuore.

Non è la prima volta che ho a che fare con una situazione simile, mi è già successo diversi anni fa.

Sapete cosa significa avere un unico scopo nella propria esistenza?

E quando tu coltivi un obbiettivo preciso per buona parte della tua vita, dedichi ad esso ogni energia, ogni pensiero, ogni desiderio.

Vivi per quell’obbiettivo, sei legato ad esso indissolubilmente.

Però può succedere che quell’obbiettivo ti venga tolto quando ormai sei sul punto di realizzarlo.

Può succedere che un semplice gesto vanifichi anni di duro lavoro e di pianificazione continua.

Quando quella ragazza con i capelli azzurrini e gli occhi rossi mi si è ribellata contro, sapete cosa mi ha fatto più male?

Non l’avambraccio che mi strappò perché bisognosa di materia organica con cui riformare il suo, e neanche quella frase che mi disse guardandomi dritto negli occhi: “Io non sono la tua bambola”.

No, queste cose crearono in me stupore, grande stupore, ma non dolore.

Il dolore arrivò quando la vidi librarsi in aria come un angelo, sollevata da mani invisibili che la condussero in quella creatura che era fonte sia di vita che di morte…. senza di me.

Io dovevo essere con lei in quel momento, e invece no.

Mi lasciò indietro, come se non esistessi.

In pochi attimi mi venne tolto un momento che attendevo da anni.

Il mio obbiettivo.

Quello fu veramente doloroso.

Quando poi fu tutto finito, io mi ritrovai con niente.

Il mondo e l’umanità furono risparmiate, anch’io fui risparmiato, non so come e non so perché.

Però maledii il fatto di essere stato risparmiato, perché il mio obbiettivo mi era stato tolto, non avevo più un motivo per vivere.

Avrei voluto sprofondare, andare in esilio, dimenticarmi di tutto e di tutti ed essere dimenticato da tutto e da tutti.

Volevo diventare il niente, lo stesso niente che era apparso nella mia vita.

Ma neanche questo mi fu permesso, perché la mia organizzazione continuò ad esistere.

Da agenzia militare divenne un agenzia di ricerca scientifica all’avanguardia.

E chi più di me poteva esserne il comandante?

Chi la conosceva meglio di me?

Nessuno, e mi ritrovai cosi di nuovo implicato in un turbinio di umanità varia, diverso e insieme simile a quello che avevo conosciuto per tanto tempo.

La differenza più grande era però che non avevo più il mio muro intorno al cuore, distrutto da quelle crepe che nacquero e compirono la loro opera nel giro di pochi minuti, quando fui tradito e le incontrai per la prima volta.

Ero in balia delle onde, e non avevo niente a proteggermi.

Avevo bisogno di un nuovo obbiettivo, ma non poteva essere il lavoro, il lavoro era solo uno strumento.

Lo sempre considerato lo strumento per raggiungere qualcosa, niente di più.

E nella mia disperazione, una disperazione ben celata dalla maschera di ghiaccio che è il mio volto, trovai un nuovo scopo anch’esso disperato: farmi odiare da lui.

Stavo sprofondando sempre di più, avevo bisogno di un appiglio, e lo avrei trovato nei rapporti umani.

Ma non rapporti umani mielosi e stucchevoli, stupidaggini da film.

No, io ero abituato ad essere detestato, a me piaceva essere odiato, volevo riempire il mio cuore con l’odio altrui, una nuova linfa vitale che legandomi agli altri mi avrebbe permesso di salvarmi.

Un metodo folle, ma che avrebbe funzionato, doveva funzionare, non ne conoscevo altri.

So fare tante cose, ma i sentimenti, diciamo positivi, sono un qualcosa di poco conosciuto per me.

I sentimenti possono riempirti la vita, io ho avuto solo una dolce parentesi che però mi ha ferito due volte, la prima volta quando la persi in quella specie di incidente, la seconda volta quando feci di essa lo scopo della mia vita e mi fu strappato quando ero ormai vicinissimo.

Ma i sentimenti negativi li conosco benissimo, e loro non ti feriscono quanto ti abitui.

Anche loro possono sostenerti.

E il suo odio mi avrebbe sostenuto tantissimo.

Volevo il suo odio, e lo avrei avuto.

D’altronde ero già sulla buona strada prima che lo convocassi nella mia agenzia, passi ulteriori furono fatti durante il suo periodo di permanenza qui.

E io ne avevo fatti altri dopo che lui se ne andò: si laurea all’università?

Non mi è passato neanche per l’anticamera del cervello l’idea di andare alla cerimonia.

Si sposa con quella mezzo sangue tedesca dai capelli rossi?

Neanche un biglietto di auguri.

Mette al mondo dei figli?

Non so neanche i loro nomi.

Telefonate, visite ogni tanto?

Mai, neanche un accenno.

Ero sicuro che mi odiasse, sentivo il suo odio verso di me, e io me ne nutrivo, come un vampiro che affonda i suoi canini in una giugulare.

E finalmente il muro venne ricostruito, e quelle maledette crepe sul mio cuore, ho sentito che si erano richiuse.

Però c’era un dubbio che mi assillava, non più di tanto perché io la ritenevo una cosa semplicemente assurda: e se non dovesse più odiarmi?

Pochi giorni fa ricevetti una sua telefonata, con voce calma, adulta, mi disse: “Papà, tra qualche giorno verrò a trovarti, non appena ultimate alcune faccende di lavoro”.

Cosa voleva dire?

Forse voleva venire da me, ad urlarmi il suo disprezzo, il suo odio nei miei confronti.

Se era questo, allora ben venga.

Il suo odio sarebbe stato la mia gioia.

Ma quel dubbio mi diceva: “E se invece volesse perdonarmi?”

No, impossibile, quel vigliacco di mio figlio non avrebbe mai il coraggio di farlo, sa solo fuggire dalle difficoltà maledicendone le fonti.

Ma la voce che aveva al telefono, per nulla adirata, mi faceva sospettare.

Ora è giunto il giorno della sua visita, lo sto attendendo nel mio ufficio, con le mani intrecciate sotto il mento.

Ho di nuovo tutte e due le mani, grazie ad una protesi bionica molto sofisticata.

Poi odo sotto il pavimento il rumore dell’ascensore, ancora pochi attimi, e lui sarà qui.

Il cuore mi batte fortissimo nel petto.

L’eccitazione di sapermi odiato ai massimi livelli umani da lui, unita alla paura di sentirmi dire… no, non voglio pensarci.

Poi la porta si apre, e lui entra.

E’ cresciuto molto, alto quanto me e forse anche di qualche centimetro in più.

Vestito con un jeans marrone e una camicia a maniche lunghe di colore bianco.

Il suo viso assomiglia un po’ al mio, ma i suoi lineamenti sono molto più sereni, addolciti.

Con passo sicuro avanza verso di me, e ad ogni suo movimento in avanti, il mio battito cardiaco aumenta.

Infine si ferma proprio davanti alla mia scrivania.

Cerco di mantenere un atteggiamento freddo, brusco, come mio solito.

“Che cosa vuoi?”

“Immagino che tu sia molto occupato, quindi sta tranquillo, ti porterò via solo un minuto” mi risponde con voce calma.

“Allora?”

“In questi ultimi anni ho riflettuto molto sul nostro rapporto, anzi, sul nostro non-rapporto, e alla fine ho capito una cosa, papà…”

Mi ha chiamato papà, ma ancora posso salvarmi. Non è la prima volta. Se ha messo ordine dentro di se, può dirmi anche con calma che mi odia.

“Ho capito che io e te siamo uguali. Io e te siamo stati feriti in profondità, e questo ci ha portato ad alzare un muro intorno al nostro cuore, che ci ha resi freddi, insensibili, solitari..”

Discorso semplice, ma giusto.

“Eravamo diventati l’uno il ritratto dell’altro, tale padre, tale figlio. Chissà, forse uno dei motivi per cui non ti sopportavo era che inconsciamente in te rivedevo me stesso, e siccome io mi odiavo, allora odiavo anche te”.

Bene, molto bene.

“Però ora ho capito che ciò è sbagliato, non devo odiarmi, non devo considerarmi sbagliato. Sono un essere umano, ho i miei difetti, ma ho anche delle qualità. E non importa cosa pensino gli altri di me. Ho capito che non devo più fuggire, andrò avanti dritto per la mia strada, sostenendomi sulle mie gambe e aiutato dalla mia famiglia. Ho smesso di odiarmi, ma ho capito che tu sei ancora dentro la trappola da cui io sono uscito”.

Ha smesso di odiarsi, il timore che dica quella parola aumenta, vorrei cacciarlo fuori, ma non ci riesco. E non tutto è perduto, probabilmente nei miei confronti prova un immensa pena, non è proprio come l’odio, comunque…

“E ora riesco a vederti sotto un altro punto di vista, conosco le tue sofferenze, so cosa stai passando adesso, e non posso odiarti, non sarebbe giusto..”

Non dirlo.

“Ti perdono e ti voglio bene”.

Rimango inebetito.

“Hai una famiglia che ti aspetta papà, e la porta della mia casa sarà sempre aperta per te. Ecco, ho finito. Sai, pensavo di dover fare chissà quale discorso, e invece mi è risultato tutto cosi semplice.”

Mi sorride, e se ne và.

Quando la porta si chiude, resto fermo per molti minuti.

Poi chino la testa sulla scrivania.

Con le mani cerco qualcosa da stringere, ma non la trovo.

Che tu sia maledetto, Shinji Ikari, figlio mio, per aver trovato il coraggio di perdonarmi.

E che sia maledetto io stesso, Gendo Ikari, per essere un vigliacco incapace di accettare tale perdono.

FINE

  
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