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Autore: konachan98    21/04/2014    1 recensioni
«N-non ridere!»
Ti ordina, dal principe che è, stringendo imbarazzato le labbra sottili.
«S-scusa--!»
Dici a fatica, soffocando altre risate -non di scherno, ma intenerite-, mentre l'altro strappa un filo d'erba e te ne consegna un lato, sbuffando un poco.
«Promettilo!»
Intuendo quel che vorrebbe fare -un symbol, un gesto tangibile del vostro patto-, domandi, leggermente confuso:
«...non dovrebbe essere fatto con una tavoletta o un anello?»
«Oh, insomma! Prometti o no?»
|Una What if? senza particolari pretese, nata dalla velata richiesta di un professore a cui non so dire di no.
Mea culpa.|
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Achille, Patroclo, Ulisse
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Σψμβολ


 

E' giorno.
Alzi lo sguardo, Patroclo, e un po' sbuffi: non ti abituerai mai al sole accecante di Ftia, o al loro accento, dalle consonanti così dure e dalle vocali così ampie.
Ti riesce difficile credere che sia greco, quello stesso greco che suonava da sé, che parlavi al cospetto di Menezio, tuo padre, quello stesso padre che ti ha fatto esiliare lì, senza onore e soprattutto senza amore.
L'ironia delle tre Moire ti fa sorridere amaramente: Onore del padre.
Chiudi gli occhi, e speri di sognare.
Chissà, sognare casa, sognare tua madre, il cibo caldo, l'amore che non ti è mai stato concesso.
Fino ad adesso.
Perché, dopotutto, anche l'esilio ha i suoi vantaggi, ed essi portano il nome di Achille.
Sotto le fronde di un olivo, sotto il caldo sole d'estate, sotto un fiume di pensieri, sorridi e sussurri, prima di addormentarti:
«Grazie...»


 

E' buio.
I tuoi occhi non vedono, Patroclo, e le tue orecchie non ascoltano.
Tutto ciò che senti sono urla distanti, cornici disperate del dolore lancinante al petto e del sapore di ferro e polvere che ti ristagna in bocca. Probabilmente è quello il sapore della morte, pensi, e speri che sia solo un brutto sogno.
Sì, di sicuro è un incubo, ti dici.
Tra poco ti sveglierai, pensi, e ti ritroverai dentro la tenda dell'accampament--no, anzi, sarete ancora a Ftia, ti sveglierai e troverai Achille a guardarti contrariato come al solito, gonfiando le guance in un modo che hai sempre trovato dannatamente infantile e dannatamente dolce.
E' di sicuro un incubo, pensi, perché la morte è fredda, e tu senti caldo ovunque: sul palato, in bocca, giù per la gola, al petto, tra le scapole...
Poi una voce ti fa perdere il filo dei tuoi pensieri, ma non hai capito quel che ha detto: eri distratto, o avevi troppo male, oppure era sussurrato, o forse tutte queste cose messe insieme, e magari tante altre.
Poi lo senti.
«Parlami, Patroclo, parlami...»
Una preghiera, dall'ultima persona che ti saresti aspettato di riceverla.
«Odisseo...»
E' una risposta a fior di labbra, un sospiro che esce timido e silenzioso, troppo pigro o affaticato per farsi sentire.
Sai già che succederà, dove ti porterà.
Ed è l'unica cosa che vuoi, al momento.
Una seconda occasione.
«Grazie...»


 

«--atroclo? ... Patroclo? ... Patroclo!»
Ti lamenti a bassa voce, stringi infastidito le palpebre, per poi aprire gli occhi.
Il contrasto tra luce e buio ti acceca per un attimo, fino a quando non riesci a delineare in controluce onde di miele, pelle di ceramica, occhi splendenti e freschi come l'erba.
«Mhn--! Cosa c'è...?»
Con una mano copri la bocca aperta per uno sbadiglio, mentre la vista si fa annebbiata.
«Insomma, svegliati!»
Sbotta Achille, contrariato, con le mani sui fianchi e il corpo proteso in avanti, per poter guardare il suo migliore amico, il suo unico amico negli occhi.
«Sono sveglio!»
Ribatti, per poi stropicciarti gli occhi.
«Uh, sicuro!»
Sbuffi, mentre l'altro, ridacchiando con l'aria di chi sa di aver vinto, si siede al tuo fianco.
«Come mai sei qui?»
«Uh...beh, si sta bene, no?»
«Sai che non intendo questo. Perché non sei venuto all'allenamento?»
Balbetti, ti guardi intorno, giochi col tessuto della tunica quasi lo stessi torturando. Non è il tuo forte nascondere il disagio, eh?
«Hm--non stavo bene»
Achille si volta, con lo sguardo di quando si coglie qualcuno a mentire, anche se si vuole la verità.
«Patroclo»


 

«Patroclo!»
La sua voce è rotta, il che è strano.
O meglio, sarebbe strano per gli altri, abituati a vederlo così orgoglioso, così pieno di sé, così...così Achille.
Tu invece sai cosa si nasconde dietro quella maschera di arroganza, ira e indifferenza: dolcezza, affetto, anche ingenuità. E' come un bambino, un bambino rimasto invischiato nei giochi degli adulti, e che ora non sa più come tirarsene fuori.
Senti le sue mani calde prenderti, le sue braccia che ti stringono a sé, come se fossi l'arco per Artemide, il fulmine per Zeus, la cetra per Apollo; il tesoro più prezioso di uno degli dei, di uno di quegli stessi dei che ormai sembrano non interessarsi più a voi; o forse ne sono fin troppo interessati: dei che ghignano sul sangue sparso e si prendono gioco della disperazione.
Patroclo, non hai mai capito come potessero coesistere in una persona due entità, due personalità così differenti: quelle stesse mani avevano accarezzato e ucciso, quelle stesse labbra avevano sussurrato parole di miele e sputato sopra a dei cadaveri, quegli stessi capelli erano stati splendenti del sole e sporchi di sangue.
Ti sembra impossibile, fuori da ogni schema logico, da ogni possibilità reale, ma non ti importa, dopotutto.
E' Achille, e ti basta.
«Achille, io--»
Il re di Itaca tenta di dire qualcosa, forse di scusarsi per colpe che non ha, forse di confortarlo, ma non ne ha il tempo.
«Fuori dai piedi»
Il suo ordine è duro, scivola tra i denti e finisce con la forza di uno schiaffo.
A te, che ormai hai il respiro affannoso e la carnagione pallida come la neve (neve sporca di sangue, neve impura), dispiace: non era lui la colpa di tutto questo. Ma Odisseo è intelligente, sai che capirà.
Senti il vento accarezzarti gli zigomi e dei passi veloci scivolare sulla terra arsa dal sole, segno che Achille sta correndo, probabilmente verso la tenda di Macaone.
«...perché?»
Un'unica parola sibilata, che però dice, urla anche troppo.
Perché non mi hai ascoltato? Perché stai morendo? Perché non posso fare niente? Perché non riesco a tenerti con me? Perché non me ne sono accorto prima? Perché sono stato così egoista?
Rimani in silenzio, riuscendo solo a stringere un po' la mano sulla tunica dell'uomo che ti sta accompagnando, che ti ha accompagnato per una vita.
Non lo so. Non lo so. Non lo so. Non lo so. Non lo so. Non lo so.
Ma sono qui.

Lui se ne accorge -c'è sempre stato un legame tra voi, un qualcosa d'insondabile, nuovo, misterioso e bellissimo-, e ti stringe ancora di più al petto.
Una goccia salata cade e si spezza sulla tua mano.
«Patroclo...»


 

«Hm...è che...»
Sospiri, non sai esattamente come dire quel che stai pensando.
Inspiri, tentando di donarti più coraggio possibile.
Via il dente, via il dolore, giusto?
«Non mi piace»
«...è successo qualcosa? Se ti hanno detto qualcosa, io--»
«No, no, niente del genere!»
Non più del solito, almeno.
«E' solo che...non mi sembra giusto. Che senso ha passare persone innocenti a fil di spada? E se hanno fatto qualcosa, ancora peggio: non è uccidendole o ferendole che riavrò ciò che ho perso»
Achille ti guarda con uno sguardo indecifrabile: non riesci a capire anche solo se ha una connotazione positiva o negativa.
«S-so che è stupido, ma--»
«Sai, t'invidio»
Ora è il tuo sguardo a essere indecifrabile, mentre gli occhi verdi dell'altro sono rivolti verso le rade nuvole sopra le vostre teste.
«Sei intelligente. Sei sempre stato più intelligente di me, dei miei insegnanti,...di chiunque conosca. Non credo di capire pienamente quel che stai dicendo, ma ho l'impressione che sia giusto e importante. Non so perché. Lo sento»
Ora il tuo viso si sta illuminando di un tanto flebile quanto stupido -lo sai che è stupido e goffo, lo senti- sorriso.
«Comunque!»
Achille si volta di scatto, finendo per rivolgere l'intera parte frontale del suo corpo verso di te.
«Se non vuoi partecipare, a me sta bene. Ma rimarresti almeno a guardare?>>
Immediatamente, si accorge che manca un pezzo alla sua richiesta, una parte fondamentale, che provvede ad aggiungere celermente:
«Per favore?»
Involontariamente, perdi uno sbuffo di risate, istigando un lieve rossore nelle guance dell'amico.
«N-non ridere!»
Ti ordina, dal principe che è, stringendo imbarazzato le labbra sottili.
«S-scusa--!»
Dici a fatica, soffocando altre risate -non di scherno, ma intenerite-, mentre l'altro strappa un filo d'erba e te ne consegna un lato, sbuffando un poco.
«Promettilo!»
Intuendo quel che vorrebbe fare -un symbol, un gesto tangibile del vostro patto-, domandi, leggermente confuso:
«...non dovrebbe essere fatto con una tavoletta o un anello?»
«Oh, insomma! Prometti o no?»


 

Ora non sei più tra le braccia di Achille.
Sei sopra a un tavolo, un tavolo freddo, uno dei tavoli dei feriti.
Lo senti.
Come senti i passi affrettati e nervosi del principe di Ftia, il suo sguardo che ogni tanto si posa velocemente su di te, come se sperasse in un miracolo impossibile, e poi il riprendere dei passi agitati, delle dita che passano tra i capelli sporchi di sudore e di polvere, i sospiri e i gemiti di frustrazione.
Tra quegli stessi borbottii insoddisfatti, senti il nome di Macaone: non è nella tenda, e Achille non può nemmeno uscire a cercarlo. Ha troppa paura di perderti, che tu possa svanire nel nulla, come quando un bambino fa un disegno sulla sabbia e non vuole più andarsene, perché ha paura che possa venir cancellato, strappato dalle onde.
Finalmente, si decide: almeno saprà di aver tentato tutto.
«Vado a cercare Macaone»
Avverte, sull'uscio, ma tu ti ribelli, e dici con il tono più alto che puoi -ovvero, poco più di un sussurro, poco meno di un tono sostenuto-
«No!»
Il sangue che esce mentre tossisci fa impallidire il volto di Achille, che torna immediatamente sui suoi passi, e ora ti prende per mano, gli occhi languidi di terrore, quasi incapace di respirare.
«N-non andar--»
«Patroclo, sono qui!»
Un altro attacco di tosse, Achille che ormai è sull'orlo delle lacrime, schiacciato dalla propria impotenza.
«Smettila, Patroclo...smettila...smettila...!»
A ogni preghiera, la stretta è sempre più forte.
Finalmente, dopo attimi eterni, il tuo respiro torna regolare, e le parole un sussurro.
«Achille...non ho bisogno...di un medico...»
«Non dire sciocchezze, sì che ne hai bisogno!»
«Va tutto bene»
«NO INVECE!»
Lo senti tremare.
E' terrorizzato.
Solo.
La tua mano si stringe un po' sulla sua.
«Achille...ascoltami. Vorrei solo...che tu ascoltassi...la mia confessione...»
«...confessione...?»
«Io...ah...»
Sai cosa vuoi dire, hai sempre saputo cosa vuoi dire, ma adesso ti mancano le parole, non sai esprimere i concetti.
«...perdonami. Io...non ti ho mai detto...davvero...quel che penso...di te...»
Le parole iniziano a farsi sempre più affannose, sempre più spezzate.
Achille ti stringe un po' di più la mano.
«Io...non ho mai avuto...il coraggio...di dire...che...»
Ora o mai più.
«Ti amo...ti amo...ti ho sempre...amato...»
Quegli occhi verdi, ormai, sono calamitati sui tuoi azzurri.
Dentro di te è un vortice, un turbine, un uragano, una tempesta.
Non sai se sia per quello che hai appena detto, per la ferita che continua a sgorgare sangue nero come la pece, o per chissà cos'altro, ma non capisci più niente, e la tua lingua prende vita propria, e parla, dice tutto quello che non hai mai avuto il coraggio di dire:
«Scusami...non te l'ho mai...detto...credevo... ... ...non so cosa credessi...forse che ci saremmo allontanati...non lo so...scusami...sono un bambino timido...avrei dovuto...avrei dovuto dirtelo...quando ce n'era stato...il tempo...è crudele...dirtelo...adesso...lo s--»
«Non puoi»
La sua voce sovrapposta alla tua ti ammutolisce, e ti ritrovi stanco ma febbricitante, morto ma vivo.
«Non puoi pretendere che ti perdoni. Tu--tu mi hai ingannato! Per tutto questo tempo! Non mi hai mai detto niente! Non posso perdonarti! Mai!»
La fronte si posa sul dorso della tua mano, ed entrambi tremate, piangete, vi stringete un po' di più, in cerca di un calore che sta svanendo.
«Dovevi dirmelo prima!»
Ti amo.
«Come puoi dirmelo solo adesso?»
Ti amo.
«Con che coraggio puoi abbandonarmi proprio adesso?!»
Ti ho sempre amato.
Ormai i singhiozzi scuotono come convulsioni il suo corpo, il corpo del migliore tra gli achei, quel corpo adesso così fragile...
«Promettimi che, qualsiasi forma assumerai, qualsiasi cosa diventerai...non mi abbandonerai! Promettimi che sarai sempre al mio fianco, o non ti perdonerò mai! Mai, mai!»
Ormai non hai più forze.
Stai morendo.
Lo senti.
Il tempo scivola come sabbia tra le tue dita, e ormai ti rimangono solo gli ultimi granelli.
E li dedichi a lui.


 

«Sì. Te lo prometto»

  
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