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Autore: atonement    21/04/2014    2 recensioni
Per un minuto siamo solo due persone che si chiedono perché le cose vanno come vanno.
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Quando finiscono nel letto dei suoi genitori, le mani sudate e i capelli tutti bagnati dalla pioggia, Blaine prende Bill in un modo strano e mai provato – un modo che non è né scopare né fare l’amore, ma che è solo KurtKurtKurt per lui e qualcosa di diverso ancora per Bill – qualcosa che è lacrime trattenute tra le ciglia, e un nome singhiozzato che non è il suo.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio | Coppie: Blaine/Kurt
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
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Qualche avvertimento (che vorrei leggeste tutti, per favore). E lo dico per voi, perché ci sono molte possibilità che un certo tema potrebbe infastidirvi, e io non voglio assolutamente che succeda una cosa del genere.
  • Cross-over perché, come forse avrete notato (a meno che voi non facciate come la volpe qui presente che si limita a leggere il riassunto della storia e, se le piace, la apre), c’è un “Nuovo personaggio”, anche se tanto nuovo non è, visto che si tratta di Bill Kaulitz. Sì, il cantante dei Tokio Hotel. Probabilmente molti lo ricorderanno così, ma in questa storia ho voluto immaginarlo in questo modo, cioè com’era circa un anno fa (sì, giuro che è lui).
  • Vorrei sottolineare l’avvertimento Incest. Forse qualcuno avrà sentito parlare del Twincest Kaulitz (che, per l’appunto, riguarda fan fiction, fanart e chi più ne ha più ne metta su una relazione tra i gemelli Kaulitz), ed è proprio di questo che si parla qui. Quindi no, l’incesto non riguarda in alcun modo né Kurt, né Blaine né nessun altro personaggio di Glee, ma mi rendo conto che potrebbe ugualmente dare fastidio a qualcuno. Comunque, ci tengo a precisare che è trattato molto alla leggera, anche perché è solo una one shot. Insomma, è presente nella storia, ma è presente esattamente come avrebbe potuto esserlo una qualsiasi altra storia d’amore.
 
Se queste mie pseudo-note non vi hanno già fatto arrendere in partenza (cosa molto probabile, lo so XD), giuro che ho finito qui. Almeno con le note iniziali.
Anzi, no! Il titolo, The half killed, è preso da un brano della colonna sonora di *rullo di tamburi*… Atonement! Sono la banalità, lo so. Ma penso che quella colonna sonora sia davvero una meraviglia.
E ora ho finito davvero.
 
 



 
 
 



 
 
 
 
The half killed
(Per un minuto siamo solo due persone che si chiedono perché le cose vanno come vanno)
But know this; the ones that love us never really leave us. And you can always find them… in here,
Sirius Black.
 








 
 
Le nuvole minacciano pioggia, quando vede quel ragazzo troppo bello e troppo alto per essere di Lima che sfoglia le pagine di un vecchio libro.
 


Blaine si prende il permesso di sedersi accanto a lui una domenica mattina, mentre un uomo imbruttito dall’età e forse da qualcos’altro bestemmia neanche troppo a bassa voce contro questi froci che leggono chissà che mentre la gente normale esce a prendere una boccata d’aria, i bisogni del suo cane lasciati a terra accanto alla panchina su cui è seduto quel ragazzo.

È uno di quei tanti, assurdi momenti in cui Blaine cerca un motivo per andare avanti senza Kurt, per dimenticare Kurt, per dimenticare come si fa ad amarlo, per imparare ad amare qualcuno che non sia lui.

Il parchetto di Lima è terribile, solo erba gialla e alberi con poche foglie, sempre di meno ogni volta che va lì, ma ha esattamente il fascino tipico della solitudine di cui sente il bisogno in questo momento. E quel ragazzo seduto lì, su quella panchina rovinata, si intona proprio bene all’ambiente, i capelli lunghi e biondi legati in una coda bassa e morbida, la ricrescita di un biondo appena più scuro e appena più sporco che fa capolino dalla sua cute. Ha la pelle chiarissima, ma non come quella di Kurt. È più comune, proprio come i suoi occhi scuri e vagamente a mandorla.

Blaine si prende ancora qualche istante per osservarlo, in tutta la sua mise stravagante fatta di piercing e tatuaggi, di gilet e jeans stretti. Non sa perché lo attiri – non si sente attratto da quel ragazzo, per quanto sia bello; è solo confuso dal modo in cui non riesce a togliergli gli occhi di dosso. Ha un fascino strano, completamente diverso da quello sfacciato ma in modo elegante di Kurt – e Blaine si dà dello stupido non appena lo pensa, perché grazie tante, nessuno avrà mai il fascino di Kurt. Ma quel ragazzo ne ha comunque uno particolare e tutto suo, ed è un fascino che a Blaine ricorda se stesso, in qualche modo.


 
C’è una piccola foglia gialla, secca e raggrinzita, sui capelli chiari del ragazzo, quando Blaine si siede accanto a lui.

«Cosa stai leggendo?»

Il ragazzo alto – altissimo, pensa, ora che è seduto accanto a lui – chiude di scatto il libro, un libro semplice e marrone, senza nessun titolo. Sembra più un diario, ma Blaine non ne è sicuro, perché non ha osservato davvero le sue pagine – forse per rispetto, forse per distrazione.

«Sono solo… cose» risponde il ragazzo, stringendosi il piccolo libro al petto. Blaine sussulta al suono della sua voce – così strana, roca, con un accento tanto particolare da rendergli difficile capire da dove potrebbe venire. Fissa lo sguardo sulla sua mano sinistra, dove quattro dita sono segnate per sempre dal tatuaggio di quattro numeri, uno per ogni falange.

«Cose belle, spero» mormora, accennando un sorriso.

L’altro si stringe nelle spalle e sbuffa una risata, scuotendo la testa.

«Sì» sussurra con un sorriso stentato, rivolgendogli una breve occhiata. «Penso di poterle considerare cose belle.»
Blaine arrossisce – non per timidezza, né per imbarazzo, ma perché si rende improvvisamente conto di quanto sia sempre stato difficile, per lui, parlare con un ragazzo che in un modo o nell’altro gli interessa. Pensa a Jeremiah, all’imbarazzo che ha provato dopo aver cantato una serenata per lui, a quanto non sia stato in grado di dirgli che gli piaceva in un altro modo, seduti ad un tavolino a bere caffè. E poi pensa a Kurt, e a quanto gli sia sempre sembrato tutto così semplice, con lui – quando lo ha incontrato per la prima volta e lo ha preso per mano, quando gli ha confessato di amarlo mentre lui gli raccontava di aver fatto colazione da Tiffany, e ancora quando gli ha detto di averlo tradito, dopo avergli cantato Teenage Dream con le lacrime agli occhi.

Il ragazzo lo fissa incerto, forse confuso dal suo silenzio.

«Sono Blaine» sorride lui, porgendogli la mano.

«Bill» risponde l’altro, e lascia che la loro stretta duri solo il minimo necessario. Blaine ha un déjà vu, qualcosa che riguarda una scala, tante uniformi rosse e blu e occhi azzurri azzurri azzurri, ma è solo un attimo e lui si sbriga a scacciare quel pensiero, perché gli occhi del ragazzo, gli occhi di Bill, sono dello stesso colore del cioccolato, e lo stanno guardando con sincera curiosità.

«Beh, è stato un piacere, Blaine» dice Bill in tono pratico, alzandosi dalla panchina. Si pulisce velocemente le cosce e Blaine fa indugiare il suo sguardo sulle sue lunghe, lunghissime gambe, prima di alzarsi a sua volta e trovarsi in piedi di fronte a lui. Ci saranno almeno venti centimetri di differenza tra di loro, e lui si sente incredibilmente stupido di fronte a quello che è quasi un uomo, un uomo alto e con braccia forti e robuste, un filo di barba che lo rende molto attraente.

«Sì» sussurra, gli occhi che indugiano sul suo sopracciglio forato, e ancora sui due piercing che decorano il suo labbro inferiore e sul piccolo septum che gli buca il naso. Sono cose che ha sempre trovato un po’ volgari, se non fosse che Bill sembra perfettamente a suo agio con se stesso – e forse è questo che lo ha attirato, più che la sua bellezza dai lineamenti delicati.
«Come mai tu non – Voglio dire, non ti ho mai visto qui.»

Bill sembra perdere la sua sicurezza ferrea e rigida, ma è solo un istante ed è solo qualcosa che gli attraversa gli occhi, prima che alzi una spalla con noncuranza.

«Sono tedesco» spiega, guardandosi intorno. «Sto solo… viaggiando un po’. Sai, vedere dove mi porta il cuore, in un certo senso.»

«E ti ha portato in Ohio

Il disgusto con cui Blaine pronuncia il nome dello stato fa ridere Bill, o almeno fa ridere le sue labbra. Quando torna a guardarlo è un po’ meno teso.

«Già. Suppongo che ognuno abbia i suoi posti da visitare.»

Blaine annuisce, ma non dice niente. È strano il modo in cui si sente legato a questo ragazzo. Non ha niente a che vedere con la chimica che c’è tra lui e Kurt, né con il loro bisogno quasi fisico di stare insieme. E non c’entra niente nemmeno con l’amicizia tra lui e Sam. C’è solo la sensazione che lui e Bill, in un certo senso, siano simili. Condividono qualcosa, forse.

«Ti fermerai molto qui a Lima?» chiede, guardandolo negli occhi.

Le spalle di Bill si alzano con noncuranza, anche se il ragazzo non interrompe il loro contatto visivo. Blaine lo vede sospirare, forse cercando una risposta da dargli che non sia scortese e che non gli faccia capire che, in fondo, non sono affari suoi, e sta per scusarsi per la propria curiosità, quando Bill risponde:

«Resterò per tutto il tempo che mi servirà, credo. Lavoro in un piccolo bar qui vicino, il Lima Bean; lo conosci?»

«Tu lavori al Lima Bean

Bill aggrotta le sopracciglia, apparendo confuso e forse un po’ ferito.

«Uhm, sì» annuisce, stringendo il proprio libro al petto con più forza. «Perché?»

«Niente, niente» risponde Blaine, un piccolo sorriso di circostanza sulle labbra. «Non ti ho mai visto lì, e io – è solo – è da un po’ che non vado in quel bar» finisce di spiegare, balbettando un po’.

Non va in quel bar da qualche settimana, in effetti. Quei tavolini gli ricordano Kurt, insieme ai cupcakes e alle uniformi dei baristi e alle colonne spesse, per non parlare poi dei caffè che lui e il suo ragazzo prendevano sempre insieme.
Forse sbaglia; forse dovrebbe essere più coraggioso, e non vivere né nei ricordi di quegli occhi azzurri, né nei rimpianti. Forse non dovrebbe nemmeno farci l’amore, con Kurt, non se lui continua a ripetergli che non stanno insieme, e che è stato bello, ma

«Blaine?»

Blaine scuote la testa, scacciando dalla propria mente i ricordi del matrimonio mancato del professor Schuester.

«Scusa» sorride, guardando Bill. È proprio bello, pensa; tanto bello da fargli pensare che forse, dopotutto, il fatto che questo ragazzo lo attiri così tanto non dev’essere un caso. Blaine sa che lui e Kurt sono destinati a stare insieme, lo sa – lo sa per istinto più che per ragione, e sa pure di non sbagliarsi. Più o meno. Ma per istinto sa anche che Bill, su quella panchina, non ci si è seduto per caso.

La voce di Bill lo riscuote ancora una volta dai suoi pensieri, mentre il ragazzo lo saluta gentilmente con un “ci si vede, uh”. Blaine annuisce, e gli sorride.

Al Lima Bean, allora.



 



 
 
La prima cosa a cui pensa quando vede il Lima Bean, leggermente illuminato dal tramonto di quel venerdì sera, è a quanto fosse bella l’atmosfera attorno a quei tavolini appena pochi mesi prima, quando amava Kurt in un modo che era per sempre, e sei l’unico per me.

I ricordi modellano i luoghi in cui viviamo, anche se non ce ne rendiamo conto. O forse sono le persone a farlo. Con un sorriso, con una parola, con un bacio, con un movimento delle dita. Con promesse sussurrate e baci inaspettati. E Blaine pensa a quanto, dopotutto, il modo in cui ama Kurt non sia affatto cambiato. Forse è maturato, ma niente più.

 

Quella sera, Bill è in quel bar, in piedi a prendere ordinazioni e a togliere tazze sporche dai piccoli tavoli. Blaine ricorda quanto Kurt fosse adorabile lì in mezzo, con il grembiule blu come i suoi occhi e il cappello con visiera. Ricorda le sue corse per riempire vasi di biscotti, e i suoi sorrisi dolci ai clienti. Ricorda i sorrisi che rivolgeva a lui.
Osservando Bill che sorride ad una coppia di ragazze, Blaine si rende conto di quanto quel bar, con quel ragazzo altissimo in giro, sembri incredibilmente diverso. Non in modo negativo, ma in un modo affascinante, particolare.

Sceglie con cura tra i tanti tavolini liberi e puliti, evitando ricordi di promesse e persone. Bill lo nota mentre si sfila velocemente la sciarpa blu, e Blaine lo vede trattenere un sorriso mentre prende un’ordinazione. Si chiede che significato abbia quel sorriso, appena appena accennato e colorato da un velo di malinconia. O forse si chiede che significato abbia quella malinconia, così diversa dalla sua in un modo che Blaine non riesce a capire, né a percepire.

 

Mezz’ora più tardi, la sciarpa di Blaine è ancora abbandonata sul tavolino scuro del Lima Bean, ma la sedia di fronte a lui non è più fredda e leggera. C’è un ragazzo meraviglioso che lo guarda negli occhi, con un latte macchiato stretto tra le dita e i capelli biondi legati in una coda bassa. Il suo turno è appena finito.

«Quindi, Blaine Anderson» comincia Bill subito dopo che si sono presentati più decentemente. «Quanti anni hai detto di avere?»

«Non l’ho detto» precisa Blaine, sorseggiando il suo caffè macchiato. Bill lo scruta da capo a piedi con curiosità, appoggiando il mento su una mano e inclinando un po’ il viso di lato. I suoi occhi sono vagamente socchiusi, e Blaine si sente osservato e forse, ma non ne è sicuro, anche un po’ preso in giro. Forse per le dita di Bill che picchiettano sul tavolo, seguendo un ritmo snervante, o forse per il suo sorrisino ironico e compiaciuto.

«Sei uno studente» canticchia divertito, le dita che tracciano il contorno della sua tazza prima che se la porti alle labbra per prendere un piccolo sorso. Blaine apre la bocca per ribattere, ma si rende conto di non poterlo fare perché, beh, lui è effettivamente uno studente. Si chiede cosa lo abbia tradito, ma Bill continua prima che possa dire qualcosa.

«La tua borsa sarà anche vuota, ma è deformata ai lati come se venisse spesso riempita con cose molto pesanti e larghe. Il che mi dice che sei uno studente molto diligente, ma forse te ne vergogni un po’. O magari non vuoi vantartene. È per questo che hai nascosto i libri in macchina prima di entrare qui, giusto?» sorride il ragazzo dagli occhi color cioccolata, prendendo una bustina di zucchero e lanciandogliela scherzosamente. «Metti un altro po’ di zucchero lì dentro, posso vedere quanto ti faccia schifo così amaro dalla tua faccia disgustata.»

Blaine non è sicuro se sia più forte l’impulso di arrossire o quello di spalancare la bocca, ma si rende conto di non poter fermare il rossore che parte dalle sue gote e finisce sul suo collo – la sua bocca, invece, riesce a farla star ferma. Non voleva che Bill lo prendesse per un secchione e, allo stesso tempo, non voleva fare la figura del bambino mettendo due bustine di zucchero nel suo caffè, soprattutto dopo aver visto l’altro ragazzo bere il proprio latte macchiato senza l’aggiunta di nessun dolcificante. Evidentemente, il papillon e i capelli pieni di gel sono stati i primi dettagli ad averlo tradito.

«Non amo molto le cose amare» si difende, versando metà bustina nel caffè ormai tiepido. Sotto lo sguardo divertito dell’altro, ci ripensa e aggiunge anche ciò che resta dello zucchero, rifiutandosi di arrossire ancora di più.

«Io a volte metto tre cucchiaini di zucchero nel mio caffè» gli dice Bill, alzando una spalla. «Il caffellatte e il latte macchiato, però, mi piacciono senza niente. Non cercare di capire perché, io ho smesso di provarci qualcosa come dieci anni fa» ride, mentre i suoi occhi roteano e il suo naso si arriccia un poco.

«Dieci anni fa?» chiede Blaine, che evidentemente ha memorizzato solo quella parte del discorso. «Cavolo, dieci anni fa l’unica cosa marrone che mangiavo o bevevo era il cioccolato…» mormora, sentendosi stupido subito dopo. «Kinder» precisa poi ancora più piano, tanto per scavarsi una fossa ancora più profonda.

Con sua sorpresa, Bill non ride né lo guarda divertito, ma sorride con dolcezza.

«Beh, io all’epoca avevo quindici anni e volevo solo dimostrare che anche io potevo bere una bevanda tanto amara.»

«E a chi volevi dimostrarlo?» sorride Blaine, aspettandosi un sorriso complice in risposta. «A tua sorella maggiore?»

Il sorriso di Bill vacilla un po’, e abbassa lo sguardo subito dopo.
«Il caffè si raffredda» mormora, un’ombra di pianto nella sua voce e nei suoi occhi.

Blaine schiude le labbra per dire qualcosa, ma le richiude subito dopo. L’atmosfera giocosa di pochi secondi fa non c’è più, e lui non riesce a spiegarsi il perché. Le mani di Bill tremano impercettibilmente, lui apre più e più volte la bocca e, nel complesso, sembra che sia indeciso su quale comportamento assumere – se tornare allegro ed estroverso, sempre con la risposta pronta e un sorrisino un po’ impertinente, o se…

«Cos’è che vuoi da me, Blaine?» sospira, posando infine la sua tazza vuota sul tavolo. Ha il labbro superiore sporco di schiuma, ma Blaine non riesce a ridere o a trovarlo buffo. È comunque bellissimo, in quel modo nostalgico che lo ha colpito sin dalla prima volta che lo ha visto.

«Io… Io non lo so» sussurra. Non che sia una bugia; non lo sa davvero. Quando Bill continua a guardarlo negli occhi, Blaine sospira agitato e tenta di spiegare, ma riesce solo a gracchiare parole piene di rabbia. «Senti, in questo momento sono davvero incasinato. Ho tradito il ragazzo che amo per un tipo conosciuto su Facebook solo perché eravamo lontani e seriamente, chi sarebbe tanto idiota da fare una cosa del genere? E adesso lui non mi vuole, e grazie tante, mica è cretino come me. Ma sai cosa? Non capisco perché deve fare l’amore con me anche se “non stiamo insieme” – parole sue, eh» dice, mimando le virgolette alte con le dita.
Blaine si prende la testa tra le mani e sospira, premendosi i pollici contro le palpebre per impedirsi di piangere. Fuori ha cominciato a piovere e lui non ha l’ombrello.
«E poi ho visto te su quella panchina, e sembravi così…» si prende il labbro inferiore tra i denti per qualche istante, cercando le parole. «Così simile a me. E adesso mi prenderai per pazzo, visto che ti sto praticamente dicendo che mi sono sentito attratto da un ragazzo solo perché mi sembrava tanto disperato quanto me, e perché avevo l’impressione che condividessimo qualcosa.»

Bill non dice niente, ma non lo guarda. Ha le braccia strette al petto, gli occhi fissi sulla pioggia che cade fuori dal locale e le labbra leggermente separate tra loro. Una ciocca di capelli più corti degli altri è scappata dall’elastico che ha usato per legarlo, e gli accarezza con dolcezza il viso pallido.

«Non sai quanto vorrei essere disperato nel modo in cui lo sei tu» sussurra, trattenendo a stento le lacrime. La pioggia continua a cadere fitta fitta fitta, ma nessuno dei due sembra davvero farci caso. Né Blaine, che guarda Bill in un modo tutto nuovo e colmo di stupore e tristezza, né Bill, che cerca quasi di capire cosa c’è tra quelle gocce infinite.
 


Quando finiscono nel letto dei suoi genitori, le mani sudate e i capelli tutti bagnati dalla pioggia, Blaine prende Bill in un modo strano e mai provato – un modo che non è né scopare né fare l’amore, ma che è solo KurtKurtKurt per lui e qualcosa di diverso ancora per Bill – qualcosa che è lacrime trattenute tra le ciglia, e un nome singhiozzato che non è il suo.
Non sa nemmeno perché lo stiano facendo. Sono solo corpi nudi premuti insieme, pianti condivisi e occhi che, nonostante tutto, non si cercano nemmeno una volta. Non è brutto, né sporco o privo di emozioni. Blaine sente ogni lacrima di Bill, calda sulla sua pelle e tra i suoi capelli, ed è abbastanza sicuro che Bill, tra gemiti e singhiozzi disperati, senta le sue, di lacrime – calde, dense e quasi pesanti mentre cadono tra i suoi capelli biondi.

L’amplesso dura più di quanto si fosse aspettato – non perché siano andati di fretta o perché fossero impazienti, ma perché è stato lento e triste, pigro e bello. Bello in un modo strano, certo; ma comunque bello.

 

Bill è il primo ad alzarsi e ad accendersi una sigaretta sul balcone della camera, subito dopo aver indossato boxer, calzini e maglietta, giusto perché teoricamente è ancora inverno e non fa ancora così caldo da potersi permettere di fare i nudisti. Ha ancora i capelli legati, ma la coda è sfatta e disordinata. Blaine osserva le sue gambe lunghe e chiare, pronte a piegarsi non appena il ragazzo appoggia i gomiti sul davanzale del balcone. Una chiarissima scia di fumo comincia a nascere dalla sigaretta di Bill e a morire appena pochi centimetri sopra la sua testa, mentre Blaine si alza a sua volta e, presi al volo un paio di boxer, si sistema accanto all’altro ragazzo, ma dando le spalle a qualunque cosa questi stia guardando.

«Hai pianto, prima» sussurra, guardando da lontano le lenzuola sfatte del letto su cui hanno fatto sesso appena venti minuti fa.

«Anche tu» è la risposta di Bill, affatto calma. Non parlano per qualche istante fatto di un silenzio interrotto solo dal fumare vagamente rumoroso del più alto, finché è proprio Bill a riprendere la parola.
«Sicuro che i tuoi non torneranno molto presto?»

«Sono lontani per lavoro» risponde Blaine, abbastanza abituato a restare solo per qualche giorno. Non gli dà davvero fastidio – sa che i suoi lo amano e tutto il resto – senza contare che ha imparato a cucinare un sacco di piatti diversi. Vede l’altro annuire mentre spegne la sigaretta in un posacenere appoggiato in un angolo del balcone, e si azzarda a chiedergli qualcosa.

«Dove vivi, mentre resti qui in Ohio?»

Bill si stringe nelle spalle, continuando a guardare l’orizzonte. Ormai è tutto buio, se non per i lampioni che illuminano la strada lì vicino e per qualche macchina occasionale che passa con i fari accesi.

«Sto in un piccolo albergo. Fortunatamente anch’io ho una famiglia abbastanza ricca alle spalle. Senza di loro, questo viaggio me lo sognavo.»

Le sopracciglia di Blaine si aggrottano, mostrando la sua confusione.

«Non capisco» mormora, guardando il suo profilo elegante. «Se da quel punto di vista non hai problemi, perché allora lavori al Lima Bean? Insomma, ti porterà via un sacco di tempo. No?»

Bill si irrigidisce, ma non dice niente. Allunga le braccia verso i propri capelli e tira via l’elastico scuro, lasciandoli liberi. Le ciocche cadono sulle sue spalle e su parte della sua schiena, dandogli un’aria più femminile e allo stesso tempo più adulta.

«Posso restare a dormire qui?» gli chiede, guardandolo per la prima volta negli occhi da quando hanno smesso di fare sesso nel letto dei genitori di Blaine – molto più grande comodo, e anche incredibilmente facile da mettere a posto.
Non che si siano guardati negli occhi durante l’amplesso. C’è stato solo un momento, dopo che Bill è venuto, in cui i loro sguardi appannati si sono incrociati – quello di Blaine triste, forse colpevole; quello di Bill rassegnato, ma anche incredibilmente innamorato. Non che Blaine sappia chi possa meritare tutto quell’amore da parte di quel bellissimo ragazzo, comunque.

Blaine annuisce alla domanda dell’altro, e si mettono d’accordo affinché lui lo accompagni al suo albergo la mattina dopo, in macchina.
 


Quella notte, mentre dormono ai lati opposti del letto, entrambi sono certi di sentire dei singhiozzi soffocati contro il cuscino di piume dell’altro.



 



 
 
Blaine gli parla di Kurt qualche giorno dopo, mentre fumano nel letto di Bill. O meglio, nel letto di una stanza che appartiene solo momentaneamente a Bill – solo finché non se ne andrà, per ragioni e per persone che Blaine non conosce e di cui, dopotutto, preferisce non sapere niente. Si sente un po’ egoista a pensarlo, ma davvero, la sua situazione è già abbastanza incasinata senza che un ragazzo bellissimo diventi un problema da aggiungere ad una lista già troppo lunga.

«Si chiamava Kurt» mormora, osservando un quadro dall’altra parte della stanza. Non è brutto, ma non gli dice niente. È solo un vaso pieno di fiori. «Il mio ragazzo, sai» aggiunge poi, preoccupato che Bill non capisca di cosa sta parlando.

Bill lo fissa un po’ stranito e solleva un sopracciglio, osservandolo curioso.

«Chiamava?» dice. «Perché parli di lui al passato?»

Blaine scrolla le spalle e scuote la testa, sistemandosi sul materasso con le gambe incrociate. Allontana il busto dallo schienale del letto e si curva un po’ su se stesso. È coperto solo da un lenzuolo bianco.

«Non è più il mio ragazzo» spiega, senza guardarlo. Poi sbuffa una risata un po’ amara, un po’ soffocata. «Non so nemmeno se lo sarà di nuovo, un giorno.»

A giudicare dal silenzio nella stanza, Bill non sa cosa rispondere. Si limita a guardare l’altro ragazzo con un’espressione stupita, forse un po’ arrabbiata. Per un attimo, Blaine ha l’impressione che lo stia guardando come se fosse uno stupido.

«Non dovresti parlare di lui al passato» dice soltanto, spegnendo la propria sigaretta nel posacenere sul comodino lì accanto. Blaine annuisce e sospira.

«Sì. Forse hai ragione.»

E non aggiunge altro. In un certo senso sente che, se lo facesse, gli occhi di Bill si riempirebbero di lacrime.


 
Va avanti così per una settimana. Blaine non ne parla con nessuno. Né con Sam, né con Tina, né con Cooper o con i suoi genitori. Tantomeno con Kurt, che tra l’altro si fa sentire pochissimo. Non che abbia torto, comunque.

Blaine non è tanto stupido da sapere che Bill potrebbe sparire da un giorno all’altro senza dire niente, e non è nemmeno tanto ingenuo da essersi preso una cotta per lui. Certo, è bello e molto attraente, ma finisce lì. E non è nemmeno per quello che si è avvicinato a lui la prima volta, perché non è di certo il primo ragazzo bello su cui ha posato gli occhi da quando lui e Kurt si sono lasciati, ma è il primo che… Blaine non lo sa. Perciò lo chiede a Bill.

«Perché stiamo facendo questa cosa?»

Stavolta sono nella camera di Blaine, più perché era la più vicina che per altro. Il sesso è stato strano e intenso come la prima volta, come tutte le altre volte, ma Bill è stato più irrequieto, più ansioso. Anche se il letto è un po’ troppo piccolo per due persone, non sono sdraiati o seduti in nessuna posizione intima. Bill è rannicchiato verso la fine del letto, la schiena appoggiata al muro di lato, mentre Blaine è seduto a gambe incrociate sul cuscino. Hanno entrambi i boxer addosso, e nient’altro.

«Sto leggendo un romanzo» gli risponde Bill, osservando le proprie dita tatuate e giocando con un anello. «Si chiama The help; è molto bello. L’altro giorno ho letto qualcosa, una frase che mi ha fatto pensare a tutta questa… cosa che c’è tra di noi, tra me e te.»

Si interrompe per qualche istante, giusto il tempo di sistemarsi in una posizione più comoda. I lunghi capelli biondi gli ricadono sul viso e sulle spalle, rendendolo dolorosamente affascinante.

«Per un minuto siamo solo due persone che si chiedono perché le cose vanno come vanno, era la frase. Siamo proprio noi due, non ti pare?»

Blaine lo guarda con consapevolezza, senza scomporsi né cambiare posizione. Aspetta che Bill alzi il viso e lo guardi negli occhi, e allora si permette di chiedersi, per la prima volta, che cosa sia successo a questo ragazzo così bello, così triste e così irresistibile da fargli mancare il fiato, a volte. Osserva l’enorme tatuaggio che ha sul lato sinistro del tronco, tante scritte in una lingua di cui non conosce nemmeno una parola se non quelle imparate a scuola mentre studiava la seconda guerra mondiale e il nazismo. Ne ha davvero tanti, di tatuaggi. Quello sul petto gli sembra assurdo e incomprensibile ma, in realtà, quello che lo incuriosisce di più è anche il primo che ha notato.

«Perché quel tatuaggio?» gli chiede, indicando la sua mano sinistra. Non è il grosso del tatuaggio ad incuriosirlo – praticamente tutta la mano è ricoperta da inchiostro nero – ma i quattro grandi, stilizzati numeri stampati sulle sue dita, dall’indice al mignolo.

 

«Avevo un gemello. Si chiamava Tom.» Bill osserva una foto sulla scrivania di Blaine, sbattendo lentamente le palpebre. Blaine trattiene un po’ il respiro quando si rende conto che è una foto sua e di Kurt – quella in cui sono appoggiati entrambi ad un muretto, Kurt con le braccia incrociate al petto, e lui con la testa appoggiata sulla sua spalla destra. Ama quella foto.

«È l’orario della sua nascita quello?» sussurra, cominciando a mettere insieme i pezzi del puzzle. Bill volta il viso verso di lui e lo guarda stupito. Poi ride e scuote la testa, grattandosi un polpaccio nudo.

«Già, sarebbe stata la cosa più intelligente da fare, vero?» sorride, forse perdendosi nei ricordi per qualche istante. Ma poi si riprende, sospirando pesantemente. «No, comunque. È la mia. Tom aveva la sua. 0620. È nato dieci minuti prima di me.»

Blaine osserva il 0630 tatuato sulla mano di Bill e annuisce, anche se un po’ confuso.

«Non fare quella faccia. È solo… sarebbe stato troppo sdolcinato. E credo che con quelle cifre tatuate sulle dita volesse, sai… ricordarmi che sarebbe sempre stato qui per me, a proteggermi. Non faceva che ripetermi che era il più grande dei due» sorride, strofinando due dita sul proprio collo. «Gli sembrava che, in un certo senso, così avremmo avuto per sempre con noi una parte di noi stessi, ma che allo stesso tempo condividevamo.» Bill rimane in silenzio per qualche istante. Blaine non osa parlare. «Se dovesse succedermi qualcosa, se dovessi morire, non voglio che tu abbia un tatuaggio che ti terrà per sempre legato a me, impedendoti di andare avanti, mi ha detto un giorno. Penso che questo fosse il vero motivo della sua scelta. Anzi, lo era.»

Le gambe di Bill sono sotto il suo mento, ora, e lui le tiene strette strette tra le braccia. Ha gli occhi lucidi, e Blaine ha quasi voglia di abbracciarlo.

«Amo quell’idiota» mormora, tirando su col naso. Blaine sussulta, ma non dice niente. Si rende improvvisamente conto di quanto il ragazzo nel suo letto non sia come lui, affatto. Bill non parla al passato perché vuole fare lo stupido e depresso sentimentale che ha perso il ragazzo, come invece fa lui. Bill parla al passato perché non può fare altrimenti, anche se ha usato il verbo amare al presente. E in effetti, pensa Blaine, lo farebbe anche lui.

«Scusami» sussurra Bill, asciugandosi il viso bagnato. «Forse è meglio se vado.»

Blaine annuisce. Ma non lo pensa davvero.


 
«Perché hai detto che siamo due persone che si chiedono perché le cose vanno come vanno?» mormora, alzando lo sguardo su di lui. Bill ha già infilato la sua maglietta scura e legato i suoi capelli, e le sue gambe lunghe e chiare attirano Blaine in modo particolare e tentatore.

«Non è forse così?» gli chiede, voltandosi verso di lui. Ha gli occhi asciutti, ma sono un po’ gonfi. «Tu ti chiedi perché, in tutto l’Ohio, il coglione che ha tradito il proprio ragazzo sia stato proprio tu – scusa la sincerità, ma sarai d’accordo. E io mi chiedo perché, con tutti gli incidenti che ci sono in Germania, proprio quello mio e di mio fratello doveva essere mortale per Tom.»

Blaine sbatte le palpebre. Sa che Bill sta combattendo per non piangere – lo vede dalle sue labbra che tremano, dal modo in cui si risiede sul materasso e dal modo in cui le sue dita stringono forte quel tessuto morbido. Perciò non dice niente.

«Mi hai chiesto perché lavoro al Lima Bean» dice poi. Deglutisce in silenzio – Blaine lo capisce solo perché vede il suo Pomo d’Adamo muoversi – e poi guarda avanti a sé, verso la finestra chiusa ma senza finestre. Anche oggi, il tempo non è dei migliori.

«Io e Tom guardavamo questo stupido telefilm, anni fa. Ed era davvero, davvero idiota, ma ci piaceva. Non so perché. C’era questa stupida coppia che lavorava in un bar in Ohio e tutto girava attorno a loro due, quindi puoi immaginare che trama acuta e complicata potesse avere» mormora con sarcasmo, una punta di dolore nelle sue parole che Blaine percepisce solo ascoltandolo. Non ci sono più lacrime nei suoi occhi. «E ci dicevamo, dai, un giorno facciamo una pazzia e andiamo a lavorare in uno stupido bar in Ohio. Lì non ci conoscerà nessuno, potremo stare insieme quanto vogliamo. Abbiamo stili così diversi, la somiglianza non la noterà nessuno.»

«Stavate insieme? Nel senso…» Blaine l’aveva più o meno intuito, ma è comunque… strano. Non riesce a capirlo.

«Non pretendo che tu capisca» gli dice subito Bill, come se avesse già affrontato altre volte la stessa situazione. «Non potresti nemmeno, comunque. E non saprei nemmeno spiegartelo. Tu puoi spiegarmi perché ami Kurt?»

Blaine apre bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma la richiude subito dopo. Si morde la lingua. No che non può. Che c’è da spiegare? È semplicemente Kurt. Logico che lo ama. Non potrebbe smettere nemmeno se si impegnasse sul serio. Quel suo pazzo, fortissimo amore per Kurt gli sembra ogni giorno di più una parte di sé; e lui non può semplicemente strapparsela via, come se niente fosse.

«Appunto.» Bill sorride, un’ombra di malinconia e nostalgia ad oscurare le sue belle labbra. Poi volta il viso per guardarlo negli occhi, e Blaine sobbalza per quel legame improvviso. «Avevo bisogno di venire qui. Lavorare in un bar in Ohio, per quanto stupido… è una parte di lui. È tutto ciò che mi rimane di lui.»

Blaine osserva il suo viso con attenzione. I suoi bei lineamenti, delicati ma particolari, sono evidentemente segnati dal dolore. Per un attimo si chiede come fosse alla sua età, quando suo fratello era vivo e poteva baciarlo, stringerlo, farci l’amore.

«Perché mi stai dicendo tutto questo?» sussurra. Osserva il modo in cui Bill gli sorride, quel suo modo dolce e deciso, familiare e gentile.

«Sai cosa diceva Fromm, sull’amore?»

Blaine scuote la testa. All’inizio non riusciva a capire le risposte di questo strano, bellissimo ragazzo. Non sono dirette, né facili da capire. Ma alla fine sono, anche se non sa come faccia, tanto chiare quanto l’amore che prova per Kurt.

Bill continua.

«Perdersi. Fromm diceva che amare è perdersi. E perdersi è terrorizzante, terribile. Ma io penso che sia allo stesso tempo bellissimo, lo sai? Certo, il “perdersi” di per sé non ti dà sicurezze, anche se può farti scoprire cose incredibili. Ma l’amore… pensi mai a quanto ci perdiamo, quando amiamo profondamente e totalmente? Eppure, non c’è quel tipo di paura. Cioè, la paura c’è, è ovvio, ma è una paura diversa. Io lo sapevo che Tom mi amava… che mi ama. E per quanto quel sentimento – il suo, il mio – mi terrorizzasse, sapevo anche di essere al sicuro, lì tra le sue braccia.»

Oh. Blaine si rende conto del modo in cui Bill trema appena un attimo prima di capire che lo sta facendo a sua volta. Come fai a continuare a vivere?, vorrebbe chiedergli. Come riesci a farlo?

«È morto tra le mie braccia» sussurra l’altro, accarezzandosi le dita segnate per sempre da quel tatuaggio così semplice, così suo. «L’impatto non è stato così forte da… ucciderlo sul colpo. Perciò sono stato lì, non so per quanto, a guardarlo mentre mi lasciava.» Le lacrime calde di Bill macchiano le lenzuola, mentre scendono sul suo viso e poi cadono pesanti. Blaine non sa quando ha cominciato a piangere. Non se n’è accorto. Ha quasi voglia di farlo anche lui, così come ha voglia di stringerlo a sé e baciargli la fronte. Ma non lo fa.

«Non ho fatto che piangere. Per tutto il tempo. Come si può essere tanto stupidi? Lui mi parlava, mi baciava il viso, e io non facevo che piangere. Mi ha parlato del quaderno su cui scriveva tutte le canzoni che parlavano di noi, di me, ma che non mi faceva vedere perché si vergognava» spiega Bill con semplicità. Per un attimo sembra quasi che stia parlando della vita di un altro, ma Blaine sa che non è così, perché ricorda il giorno in cui si sono incontrati esattamente come ricorda quel quaderno, che Bill teneva stretto stretto a sé.

«E poi…» Bill aggrotta le sopracciglia, come se volesse imprimere ancor meglio i ricordi del suo Tom nella propria mente. «Mi ha detto che è stato uno stupido con la storia dei tatuaggi gemelli, perché non è vero, non è vero che non avrò una parte di lui che rimarrà per sempre con me. Quando ami una persona così tanto, c’è una parte di lui che diventa tua, in un certo senso. Così, una parte di te non può che diventare sua. Nel modo più bello e doloroso in cui puoi dare una parte di te a un’altra persona.»

«Amandola» sussurra Blaine, finendo per lui.

Bill posa il proprio sguardo su di lui dopo qualche istante, e quello sguardo rimane lì per molto tempo, i suoi occhi color del cioccolato offuscati dalle lacrime. Blaine non sa come abbia fatto a non crollare prima, non sa darsi una risposta, ma qualcosa gli dice che, probabilmente, una parte di Bill crolla ogni giorno, ogni notte che dorme da solo in un letto a due piazze senza il ragazzo che ama.

«E lo sai qual è… la parte peggiore?» mormora, strizzando gli occhi. «Che uno dovrebbe sentirsi completo, quando ama. Dico, anche se una parte di te è per sempre dell’altro, tu hai lui, hai una parte di quella persona che ami, ed è per sempre. Ma io non – » Bill prova a soffocare un altro singhiozzo, ma non ce la fa. Si porta una mano davanti alla bocca. «Io non mi sento così. Non più. Come faccio a non sentirmi strano, come se una parte di me fosse morta per sempre? Non ho più il mio gemello. Non ho più il mio Tomi» mormora. Si strofina le dita, quelle tatuate, sulle labbra un po’ screpolate e arrossate, ma probabilmente non se ne rende nemmeno conto. È solo un gesto spontaneo, rassicurante e familiare. Spontaneo, esattamente come le braccia di Blaine che si muovono senza che lui possa farci niente, anche se forse è un gesto sbagliato. Stringono forte il corpo di Bill, ed è strano, visto da fuori, perché lui è molto più grande di Blaine, che è più basso e mingherlino.

«Mi dispiace» sussurra proprio Blaine. Fa piccoli cerchi sulla sua schiena, cercando di calmarlo. «Mi dispiace così tanto.»

Bill scuote la testa, allontanandolo gentilmente. Gli accarezza una guancia, resa ispida da un filo di barba, e sorride con un pizzico di tristezza. È così bello, pensa Blaine. Non dovrebbe soffrire così tanto. Nessuno dovrebbe farlo. Eppure, per un motivo o per un altro, capita a chiunque provi ad amare anche solo un po’, solo per provare.

«Non ti ho detto tutto questo per farti pena» gli dice Bill, fermando i suoi pensieri. Le sue mani scendono sul suo petto nudo e premono proprio in prossimità del cuore. «Tu Kurt lo ami davvero… non è così?»

Il soffocato di Blaine arriva senza nemmeno un attimo di esitazione. Bill sorride ancora una volta.

«Già. Domanda stupida» mormora poi, prima di aggiungere: «Tu non hai bisogno di questo.» Indica se stesso, la stanza, le lenzuola tra cui hanno appena fatto sesso. «E anche se hai sbagliato, anche se sei stato stupido… Tutti sbagliamo, in amore. Te l’ho detto, no? Amare è perdersi. E perdersi, a volte, significa sbagliare strada; anche se sappiamo che quella giusta è un’altra. A volte quella giusta ci fa paura, perché è più difficile o più lunga. E tu sai cosa intendo dire… vero?»


 
La domanda di Bill non aspetta davvero una risposta. È una domanda semplice, intensa, calcolata, e Blaine sa che ha ragione, lo sa benissimo. Ma non può impedirsi di guardarlo con tristezza mentre si veste e si asciuga il viso. Prima i jeans, poi i calzini, poi la cinta. Blaine lo osserva e quasi sorride nell’osservare i suoi stivali, quelli che indossava quel lontano giorno nel parchetto di Lima.

«Dove andrai adesso?» gli chiede, senza smettere di guardarlo. Bill prende la propria borsa e alza appena le spalle, con leggerezza.

«Non lo so. Ho tanti posti da visitare, ancora. Tante piccole parti di Tom.» Bill si ferma qualche istante, trattenendo il fiato e stringendo le labbra. «So che sembrerà stupido. Tom non vorrebbe questo. Mi ha detto di andare avanti, di lasciarmelo alle spalle, anche se una parte di lui sarebbe sempre stata con me. Con le lacrime agli occhi, ma me l’ha detto. E io lo so che forse ha ragione. Ma vedi…» Alza lo sguardo su Blaine. I suoi occhi sono pieni di tanti sentimenti diversi, come la prima volta che sono finiti a letto insieme; solo che adesso Blaine sa per chi è tutto quell’amore. «Continuo a pensare che un giorno lo rivedrò. E non riesco proprio a farne a meno.»

Blaine gli sorride. Si alza in piedi e, anche se è molto più basso, gli accarezza una guancia, guardandolo con dolcezza.

«Non è stupido» sussurra soltanto.

Bill annuisce dopo qualche istante. Lo ringrazia con lo sguardo.
Poi si china con il busto, chiude gli occhi e gli lascia un bacio sulle labbra. Non l’ha mai fatto prima. È un bacio che sa un po’ di addio, ma anche un po’ di tenerezza.

«Ciao» sussurra, guardandolo negli occhi.

«Ciao» risponde Blaine.

Le sue lunghe dita segnate dal tatuaggio di quattro numeri, neri e sottili, sono l’ultima cosa che Blaine vede di quel bellissimo ragazzo, mentre si chiude la porta di casa sua alle spalle.

 

 
 



Blaine chiede a Kurt di sposarlo circa un mese più tardi. Nonostante la loro età, nonostante i consigli dei suoi amici, nonostante il parere discorde di Burt, che per lui è come un padre. Pensa a come, prima o poi, dovrà parlare a Kurt di Bill, di cosa è significato per lui, di cosa gli ha fatto capire. Ma più di ogni cosa, pensa a quanto in fondo abbia sempre saputo, sin dalla prima volta in cui ha visto quegli occhi dolorosamente azzurri, che Kurt è e sarà sempre la sua strada giusta, l’unica in cui può davvero perdersi, per sempre e senza alcun timore.

E mentre si inginocchia di fronte a lui nel punto in cui si sono incontrati per la prima volta, mentre la voce gli trema e sente i suoi amici aspettare quel tanto quanto lui, Blaine gli chiede di sposarlo guardandolo negli occhi in un modo che non fa da mesi. Un modo che gli fa capire quanto loro due siano anime gemelle, due pezzi di puzzle che si completano a vicenda; e devono farlo per forza, perché senza l’altro, senza quel loro amore a volte così assurdo e sin troppo forte, non sono che una persona morta a metà, abbastanza inutile e vuota.

 

Kurt lo guarda con i suoi occhi azzurrissimi, resi lucidi dall’emozione. Esita solo per l’istante che gli permette di trattenere un imbarazzante singhiozzo.

«Sì» sussurra. «Sì.»

Blaine può tornare a respirare.


 
 
 
 
Fine.













 
Note finali: Suppongo che fosse solo qualcosa che avevo bisogno di scrivere. Non sono sicura del perché, e non è nemmeno una di quelle storie che mi fa pensare "dai, però mi è venuta bene". Ci sono alcune cose che forse avrei dovuto cambiare, ma che ho preferito lasciare così.
Spero che nessuno veda come un tradimento ciò che ha fatto Blaine, perché per me non è così. Lui e Kurt, in quel periodo, non stavano nemmeno insieme.
Allo stesso tempo, non volevo portare avanti il messaggio "se muore la persona che ami, allora non troverai mai più nessun altro", davvero. È solo che è una situazione particolare e, almeno nel tempo di questa piccola one shot, non mi sentivo di descrivere le cose in modo diverso.

Come al solito, ringrazio chiunque si sia fermato a leggerla. Per me significa tanto, e lo dico davvero. (':
 
  
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