Serie TV > Supernatural
Ricorda la storia  |      
Autore: Lucy_lionheart    22/04/2014    2 recensioni
"La pura essenza di un angelo sta nella cura"
Era caldo: quello era stato il primo vero, razionale pensiero di Balthazar. L’atmosfera, l’aria, qualunque cosa fosse era calda. Non calda come un fuoco, però; si trattava di una sorta di calore che lo scaldava senza bruciarlo, gli penetrava sotto la pelle e gli avvolgeva le ossa. Il secondo pensiero era stato che aveva della pelle e delle ossa.
A distanza di poco dalla sua morte, Balthazar si scopre nuovamente in vita, resuscitato dall'arcangelo Gabriel, anche lui misteriosamente vivo. Tra i due si stabilisce in breve tempo un accordo molto semplice: guardarsi le spalle a vicenda e tenersi compagnia lungo la fuga. Ma se scappare dal Paradiso è infondo abbastanza facile, farlo da se stessi si rivelerà essere impossibile.
( Ship praticamente sconosciuta, lo so. La ff è dedicata a chiunque, come me, la apprezza e a chiunque scoprirà di farlo. ♥ )
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Balthazar, Gabriel
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro, Più stagioni
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: Raison d'etre
Coppia: BalthaGab ( Balthazar and Gabriel)
Raiting: Arancione.
Avvertenze: What if, slash, spoiler, accenni di Destiel perché non sono riuscita a resistere, ship sconosciuta, ci sono dei punti che potrebbero provocare dolore, linguaggio alle volte non esattamente fine e delicato. L'autrice chiede scusa a Nicholas Cage -a lei piace- e fa notare che ha scritto la prima parte dopo il pranzo di Pasqua, un po' brilla, e la seconda dopo essere tornata a casa da Paquetta accusando i sintomi di quello che definiva un "raffreddorino" e che ha scoperto essere un trentotto e passa di febbre.
Detto questo, datemi il benvenuto nel fandom di spn di EFP ( le recensioni sono gradite! ) ♥

Raison d'etre.






















Era caldo: quello era stato il primo vero, razionale pensiero di Balthazar. L’atmosfera, l’aria, qualunque cosa fosse era calda. Non calda come un fuoco, però; si trattava di una sorta di calore che lo scaldava senza bruciarlo, gli penetrava sotto la pelle e gli avvolgeva le ossa. Il secondo pensiero era stato che aveva della pelle e delle ossa.
Fu ciò a far scattare la molla: di colpo Balthazar si rese conto che il suo petto si alzava e si abbassava, l’aria ne entrava e ne usciva, che il suo cuore batteva come un tamburo fuori controllo, pompando il suo sangue, il quale andava a fluire  nei mille ruscelli delle sue vene.
Lui era vivo.
Allo spalancarsi degli occhi, la luce colpì con violenza la sua cornea e fu solo per incredulità e curiosità che resisté alla tentazione di chiuderli di nuovo, lasciandosi avvolgere dal buio di quello che era solo un innocuo sonno. Il suo sguardo divenne avido e iniziò a cercare una qualunque spiegazione in quel bagliore caldo, lo stesso che lo scaldava, fin quando non intravide qualcosa: si trattava di una sagoma nera, una specie di ombra, che adesso era venuta a stagliarsi su di lui, macchiando la purezza di quel bagliore.
Le ciglia bionde dovettero sbattere un paio di volte prima di iniziare a donare delle forme quanto più umane all’ombra. Prima apparve il bavero di una camicia, poi i capelli, una fronte, un sorriso tutto tirato sull’angolo sinistro, dove la guancia era rigonfia di un qualcosa che sporgeva dalle labbra e che, aguzzata un po’ più la vista, era identificabile in un sottile bastoncino bianco. Fu dopo averlo notato che  Balthazar capì e pronunciò le sue nuove prime parole: 

« Non dovresti essere morto, tu? »


Gabriel, ovvero la misteriosa sagoma chinata da prima su di lui, un piede al lato sinistro del suo corpo e uno al destro, a osservarlo con le mani in tasca e la stessa verve di un’automobilista che ha preso un cane e si è fermato solo per vedere se avesse il microchip o meno, sbatté gli occhi un paio di volte, prima di lasciarsi andare in una risata divertita e sbattuta contro le arcate bianche dei denti, strette attorno ad un leccalecca.
« Cazzo,» esclamò, sempre a denti serrati, prima di togliersi dalla bocca il dolciume, « non mi aspettavo chissà quale elogio da parte di uno come te, ma almeno un qualcosa di più carino potevi dirlo! »
Lo sguardo corrucciato di Balthazar non mutò di una sola virgola e gli occhi si fissarono bene su quelli dell’arcangelo. No, era sicuro, Gabriel era morto, Lucifero l’aveva schiantato con la stessa facilità con cui si scaccia una mosca. Un fratricidio del genere in Paradiso viene narrato come se fosse l’ultimo film vincitore dell’Oscar e Balthazar aveva sentito la storia della sua morte e visto le immagini delle immense ali nere dipinte sull’asfalto almeno da un centinaio di angeli diversi. Castiel per primo.
Bastò il pensiero di quel nome a farlo sprofondare ancor di più nell’incredulità di tutta quella scena. Non era solo Gabriel quello che non sarebbe dovuto essere in vita.
« Tu eri morto, okay? Morto. E io lo stesso. Allora spiegami, lo siamo ancora o-»
« Sei vivo e vegeto.» Tagliò corto Gabriel, spazientito da quelle due sole ed estremamente lecite parole pronunciate dall’altro. « Post scriptum: lo sei per merito del sottoscritto, quindi potresti anche impegnarti e sputare un minimo ringraziamento in una qualunque lingua. Scegli quella con l’espressione più corta, fai come ti pare, insomma.»
« Quindi Lucifero non ti ha ammazzato.»
Gabriel non rispose e si lasciò andare in un sospiro esasperato e terribilmente teatrale, scavalcando definitivamente l’angelo minore.
« Ah, puoi anche alzare il culo e evitare di rimanere steso sulla spiaggia come una balena spiaggiata, sai. Hai delle belle gambine, fanne uso.»
Quella frase innescò in Balthazar l’ennesima operazione di razionalizzazione; Gabriel non pareva esattamente intenzionato a fornirgli dettagliate e precise spiegazioni sulla sua, sulla loro, attuale situazione, quindi si sarebbe dovuto arrangiare e cercare di comprendere subito, dopo i suoi primi cinque minuti di nuova vita, ciò che trapelava dalle parole dell’altro.

Per prima cosa gli era stato detto che poteva muoversi e questo era fondamentale. Quando alzò la mano e la strinse davanti ai suoi occhi, fino a conficcarsi le unghie nei palmi e sentire ogni nervo recepire il dolore, quasi trattenne il respiro. Non gli sembrava vero.
Per un essere celestiale la morte non è assenza. Anzi, non è morte. E’ qualcosa che va ben oltre il distaccarsi dell’anima dal corpo, si tratta più di un suo smembramento. E’ come prendere un foglio di carta e strapparlo in due, poi in quattro, poi in otto e così via, procedendo fin quando non ci saranno che briciole che il vento condurrà in centinaia di direzioni diverse… no, no, quel che ha vissuto non si ferma qui!  Per spiegarlo agli uomini lo si dovrebbe paragonare alla scissione di un atomo.
E’ esistere e non allo stesso tempo.
Per un qualcuno come lui, che aveva sentito la sua essenza smembrarsi ora dopo ora, giorno dopo giorno senza poter fare nulla, adesso avere per intero non solo la sua anima, ma anche il suo corpo –perché sì, quello era il suo vecchio tramite, ne era più che certo!- era terribilmente difficile da credersi.
Con una cautela che capì non essere necessaria nel momento in cui i suoi muscoli si tesero senza dar ostacolo alcuno, Balthazar si porto su a sedere e lasciò che le sue spalle si sgranchissero, facendosi scappare un piccolo ghignò quando le ossa schioccarono. Tornò quindi a guardarsi le mani e trovò tra gli spazi delle dita dei nuovi indizi che subito si ricollegarono a ciò che poco prima l’arcangelo aveva detto. A sporcargli le unghie e i vestiti c’erano granelli appartenenti alla sabbia sulla quale soltanto ora realizzava di essere seduto.  Non ci vollero che pochi secondi perché capisse che la luce che lo aveva svegliato era quella di un sole nelle ore di pieno splendore e subito dopo, procedendo per semplice logica, spostò gli occhi avanti a sé, sicuro di trovare il mare, che di fatti gli rispose con l’infrangersi di una debole onda sul vicinissimo bagnasciuga.
« Che paese è?»
Gabriel, che aveva rivolto lo sguardo annoiato ad un granchio che scappava a nascondersi sotto la sabbia chiara, tornò con rinnovato interesse a Balthazar, evidentemente soddisfatto di quella domanda più comune, almeno nei suoi standard.
« Bermuda. Un isolotto carino e completamente disabitato e-»
« Totalmente e completamente dentro il Triangolo, vero? »
Questa volta fu Balthazar ad interrompere il fratello, che in tutta risposta, invece di prendersela, ghignò con fare ancor più divertito, tornando poi a compiere passi intenzionalmente mal calibrati e calcare le sue impronte, come a voler fare un dispetto alle onde che continuavano a cancellarle col loro passaggio.
« Non male come posto in cui resuscitare, eh?» aggiunse, tronfio della voglia di complimentarsi con se stesso. Balthazar, però, fece spallucce e pulì i jeans –gli stessi che aveva indosso il giorno della sua dipartita- dalla sabbia profumata di quel piccolo gioiello naturale.
« Non proprio. Intendiamoci, è una favola, bel posto per una settimana di vacanze, ma preferisco l’Europa. Cemento, clima tiepido, un po’ umido, palazzi alti con sotto il continuo rumorio di gente.. hai presente? »
« Ho presente. Certo che hai dei gusti strani, eh. » Disse, leggermente stizzito.
« Disse quello che succhia catrame colorato. »
Gabriel alzò entrambe le sopracciglia, mordendo con aggressività il lecca-lecca, ormai ridotto ad una misera pallina di zucchero e colorante, e il biondo ebbe l’impressione che qualcosa nel suo sguardo volesse dirgli “ricordati che stai parlando con un arcangelo”, ma non vi badò. Non l’avrebbe fatto in ogni caso.
« Quanto tempo è passato da-»
« Da quando ti sei fatto impalare? Beh, più o meno sei mesi. Poteva andarti peggio. A tal proposito, non ho ancora sentito la parolina magica.»
« Non fino a quando non mi darai una minima spiegazione concreta, Gabriel. Non ti chiedo di fare il resoconto stillato in comma. Solo un po’ di frasi una dopo l’altra. Sei il messaggero, no? Comunicare dovrebbe essere la cosa che meglio ti riesce.»
« Riesco in svariate cose molto bene, se è per questo. Comunicare, come dici tu, incluso, ovviamente.»
« E allora comunicami quanta merda ci è caduta addosso in questo periodo e soprattutto perché sono vivo.»
Gabriel, per la prima volta da quando Balthazar aveva riaperto gli occhi, tacque. Poi, con passi normali e lasciando perdere la sfida prima intrapresa con le onde, camminò fino al punto in cui il primo sedeva e si lasciò cadere accanto a lui, stendendosi e raccogliendo le braccia dietro la testa, lo sguardo puntato dritto verso dove la linea del cielo era una sola con quella del mare.
« Dio ancora non si trova. Il Purgatorio è in subbuglio. Ci sono mostri ovunque e quei due fratelli -sai di chi parlo, non stiamo nemmeno a nominarli, portano sfiga- ci stanno pensando. Io non ho intenzione di occuparmene. Rettifico: io non ho intenzione di occuparmi proprio di nulla.»
Balthazar incrociò le gambe magre e tené lo sguardo sul volto dell’arcangelo. Gli aveva appena descritto l’ennesima sfumatura di chaos e lui era rimasto impassibile; ad essere più corretti sarebbe meglio dire “indifferente”. Sarà che era appena tornato in vita e non si voleva subito infilare nei casini. Sarà che su quell’isola dispersa tutto il resto pareva lontano milioni di anni luce da lui e che non c’era nessun motivo per alzarsi e raggiungerlo.
Aveva solo voglia di fare domande.
« Gabriel, esattamente quanti sanno che sei vivo?»
« Oh, tira a indovinare. »
Disse, spostando gli occhi dall’orizzonte all’angelo, il solito ghigno sulle labbra e nessun lecca-lecca, solo un bastoncino di plastica appiccicosa. A quel punto mancava una sola domanda e Bathazar, pur sapendo che Gabriel  era perfettamente consapevole di cosa stava per chiedergli, non volle comunque lasciargli via di scampo e diede voce ai suoi pensieri.
« Perché io? »
Gabriel lasciò schioccare le labbra e fece finta di cercare parole che già sostavano da un po’ nella sua scatola cranica, pronte per essere indossate con un bel vestito nuovo per un’uscita elegante del sabato.
« Perché, perché, perché..», ripeté con aria scanzonata e dando un tono un po’ musicale all’ultima vocale.   « Perché hai presente gli altri miei fratelli, no? Zacharia e Uriel? Sanguisughe. Raphael? Un represso che non vedeva l’ora di giocare a fare il grande capo indiano per un po’ mentre Micky non c’è.  Per finire, proprio Michael, molto caro, sì, ma è un vecchio guerrafondaio divertente quanto un ornitorinco e un palo nel retto. Lucifer mi stava simpatico, beh, almeno prima che, vediamo, diventasse Il Nemico e non avesse rimpianto alcuno a farmi fuori. Sinceramente non ci tengo. »
Le gambe si piantarono per bene sulla sabbia e le solette delle scarpe iniziarono a spingere, formando un monticello che poi esse stesse distrussero, alzando un polverone di granelli che finì sui vestiti e nei capelli di entrambi.
« Ma da soli ci si annoia. Avevo bisogno di compagnia, di qualcuno a cui importasse di tutta questa storia poco quanto importa a me. Stavo cercando qualcuno del genere quando sono andato a sbattere in un brandello della tua anima. Era un ricordo divertente. » L’ultima parola venne calcata, come a sottolinearne l’importanza basilare. « Ti fingevi un alto cardinale per convincere delle suore di un convento della Germania del nord a darti un quadro risalente al 1430 circa.»
Balthazar rise al sentir riesumare dal passato quella vecchia avventura. «  Oh sì, era un piccolo gioiello. Non potevo lasciarmelo scappare, anche a costo di fingermi uno dei bigottoni che lava i calzini a sua eminenza.»
Entrambi sghignazzarono per qualche minuto, prima che Balthazar chiedesse quella che, a conti fatti, sarebbe dovuta essere l’ultima domanda posta.
« E’ questo l’unico motivo? Tutto ciò di cui hai bisogno è un compagno di giochi e mi hai scelto perché sono quello più simpatico di tutti?»
Gabriel gli rivolse ancora un’occhiata prima di scuotere lievemente le spalle in segno di diniego.
« Non solo. Ti ho scelto anche perché tu, come me, sei stato pugnalato alle spalle dal più caro dei tuoi fratelli e per quanto tu possa negare, so che non riesci a odiarlo.»
Era bastata quella frase perché il silenzio della consapevolezza calasse, lasciando spazio solo al rumore delle onde. Gabriel buttò fuori un sospiro e colse l’opportunità per trasformare il finire di quello sbuffo in parole. « Dato che ci siamo passati entrambi, adesso sappiamo tutti e due guardarci reciprocamente le spalle a dovere e evitarci altre pugnalate.  »
Lo stecco del leccalecca sparì dentro il pugno di Gabriel, che immediatamente si aprì, lasciando cadere solo sabbia, che andò a confondersi col resto, e, infine, due cioccolatini, i quali vennero prontamente acchiappati dalla mano sinistra, un momento prima che si protendesse verso Balthazar.
« Allora? Ci stai? Non hai nulla da perdere, tanto. »
Balthazar fissò Gabriel negli occhi senza dire una sola parola. Poi la mancina rubò uno dei due cioccolatini.
Mentre la carta, srotolandosi, frusciava  e il sorriso di Gabriel si faceva ancora più grande, mormorò una sola cosa:

« Ci togliamo da questo mortorio e andiamo a fare qualcosa, allora? »


Era passato un altro anno da quando aveva buttato giù quel cioccolatino e aveva scoperto che era ripieno di whiskey. Un anno dal momento in cui aveva chiesto a Gabriel che giorno fosse di preciso e lui aveva risposto facendogli gli auguri di Buona Pasqua. Da lì lo scambio di parole che li aveva preceduti prima di sparire in uno schiocco di dita dalle Bermuda era stato un qualcosa di molto simile a “Mi stai prendendo per il culo” e “Che ti devo dire, riportare in vita qualcuno oggi è tradizione”.
Avevano girato il mondo, in quell’anno. Il rifrullo delle loro ali li aveva portati ovunque avessero voglia di andare, per poi tornare, la sera, a rifugiarsi nel posto più sicuro di tutti: il Paradiso. Era stato Gabriel ad avere quella pensata; “il posto più nascosto è quello in cui nessuno ti verrebbe a cercare, perché è troppo ovvio”, aveva detto, aggiungendo poi “regola numero uno di un buon film d’avventura. Dico roba come Indiana Jones, non Nicholas Cage”. Di fatti  quel trucco aveva funzionato alla grande, almeno finché, beh… il Paradiso aveva chiuso e loro si erano ritrovati davanti al niente con la stessa faccia di due ragazzini che beccano incatenate le porte del pub dove hanno preso centinaia di sbornie.
“ Chiuso per rinnovamento della gestione”, avrebbero dovuto scriverci davanti. Le reazioni a quella situazione improvvisa erano stato varie: prima rabbia scaturita dall’orgoglio ferito di due angeli, subito a seguire la realizzazione che quello che avevano perso non era la loro dimora, ma il loro nascondiglio, la casetta sull’albero più alto di tutti. E quindi erano stati sputi sul nome di Metatron e insulti, prima di mettersi le mani in tasca e trovarsi un posto sulla Terra che non fosse infestato da alcuni dei loro fratelli, i quali, poco ma sicuro, già erano alla ricerca di un uovo qualcuno che gli desse ordini, perché si sa,  gli angeli senza un capo erano solo un branco di pecore scelte che belava al nulla e Gabriel non aveva alcuna voglia di mettersi a fare il pastore.  “Casomai faccio il pornoattore, che, beh, finisce anche quello in “ore”, ma è una cosa bella diversa” aveva commentato, provocando le risate di entrambi.
Stavano fuggendo? Sì.  Gabriel era maledettamente bravo nel farlo e Balthazar aveva imparato velocemente dal maestro.  Le basi, dopotutto, già le aveva: sfiducia verso ciò che lo circondava, voglia di divertirsi senza essere giudicato da niente e nessuno, responsabilità solo e unicamente verso se stesso e, infine, un compagno con cui pararsi il culo a vicenda.
Un mix perfetto che l’aveva portato, all’imbrunire del giorno, in mezzo alla foschia di Londra. Non stava, però, nelle strade affollate di gente con la pelle di ogni colore, ma in appartamento abbastanza in alto da lasciarsi alle spalle il continuo brusio della metropoli.  Nei settantacinque metri quadri che lo componevano a farla da padrone era un silenzio tale che i talloni scalzi di Balthazar che attraversavano il parquet erano ben udibili, così come il suo respiro. Gli piaceva sentirlo entrare e uscire dalla bocca, la sensazione era per lui la stessa provata da un qualunque uomo amatore delle sigarette che diceva di fumare perché lo rilassava.
Lanciò uno sguardo all’orologio sopra la sua testa: fermo da tempo sulle due e quaranta, non si azzardava a rompere col suo ticchettare quel silenzio mistico. La polvere si era accumulata sulle lancette, così come sui pavimenti, sui divani e su tutto il resto. Balthazar la poteva vedere galleggiare nei ritagli di luce che filtravano dalle tende socchiuse del terrazzo.  Con lentezza allungò il braccio e raccolse qualcosa da un mucchio posato all’angolo della scrivania. La mancina spolverò la superficie dell’oggetto interessato, sollevando una nuvola d’acari che non poté non farlo tossire e, tra un colpo e l’altro, imprecare contro il dorso della mano.
« Salute! »
Balthazar si voltò senza sorpresa alcuna verso la voce che era andata a rompere il silenzio dell’appartamento; lo fece perché prima di tutto l’aveva riconosciuta e poi perché non c’era nessun’altro a parte Gabriel che avrebbe potuto trovarlo.
Non rispose e l’altro non ne fece un dramma. Sapeva che “grazie” non era esattamente la prima parola del vocabolario di Balthazar, così come non era neanche la sua. Tornò invece a porre la sua attenzione sul quadrato che aveva raccolto, sciogliendo il velo bianco che lo avvolgeva.
« Non sai quanto mi ci è voluto a trovarti. Potevi avvertire, lasciare una nota»
« La maggiore.»
« Questa è una battuta da cabaret di quarta classe, bello. Non fa abbastanza ridere per essere una giustifica.»
« Gabriel, lo so che mi hai individuato non appena ti sei svegliato dal tuo sonnellino di bellezza. Non ti condanno se ne hai approfittato per farti un giretto per i negozi di caramelle della città. Ce n’è uno abbastanza appariscente a-»
« Un chilometro e mezzo circa da qui? » lo interruppe con aria annoiata, estraendo dalla tasca una caramella grande quanto una falange e avvolta in una carta lucida e strisciata di bianco e rosso. « Caruccio. Queste qui all’amarena non sono per niente male, ma ho visto comunque di meglio.»
Balthazar sbuffò l’inizio di quella che doveva essere una risata sarcastica al sapore non di amarena, ma di “non me ne meraviglio” e non badò a Gabriel che in passi veloci si avvicinava, sporgendo il collo per osservare il quadro al centro delle attenzioni dell’altro. Rise.
« Hey, questo me lo ricordo! E’ uno dei miei ritratti che preferisco- anche se questa mania dei boccoli non so davvero da dove l’avessero tirata fuori, fra tutti. Si può sapere che ci fa in questo buco polveroso?! Dovrebbe essere esposto in qualche bel museo italiano.»
«Dovrebbe, già.»
Ribatté Balthazar, guardando con occhi quasi brillanti il tesoro che aveva tra le mani. “L’annunciazione”, novantotto per duecentodiciassette centimetri,  era uno dei primi lavori di Leonardo Da Vinci e, tecnicamente, avrebbe dovuto trovarsi alla Gallerie degli Uffizi di Firenze, non in un appartamento londinese qualunque.
« E’ un falso molto ben fatto oppure ti sei rimesso a fare il ladro e adesso a Firenze sono nel panico?»
Ipotizzò Gabriel, spostando adesso gli occhi sul biondo, il quale si limitò a continuare a osservare le pennellate secche di secoli di quel capolavoro.
« No, non è un falso. Si tratta dell’originale. » Una piccola pausa, necessaria a umettarsi le labbra. « Il falso è quello a Firenze.»
Gabriel rise, dandogli due colpi sulla spalla sinistra.
« Avevo ragione, allora! L’hai rubata!»
« Non l’ho rubata! L’ho semplicemente scambiato. E’ successo… tre o quattro anni fa.»
L’arcangelo parve riflettere un attimo. « Quando hai preso questo corpo.»
« Già. » Balthazar posizionò con estrema cura la tela sul piedistallo vuoto che stava vicino al balcone, per poi uscire su questo, subito seguito dall’amico.
Recuperò da terra una bottiglia di vino rosso e due calici,  uno mezzo pieno e uno vuoto, precedentemente preparato, che porse a Gabriel. Il liquore lo riempì per tre quarti e solo e unicamente dopo aver fatto ciò Balthazar posò i gomiti sul cornicione e riprese a parlare.
« Questo appartamento era del mio  tramite. Il suo nome era Sebastian, Seb, come lo chiamava la vicina. Non aveva famiglia, la madre era vecchia ed è morta quando lui aveva sui ventotto anni, lasciandolo solo in qui. La sua fortuna è stata essere un talento, ma non abbastanza. »
« “Un talento, ma non abbastanza”» Ripeté Gabriel, buttando giù un sorso di vino.
« Già. Un talento eccezionale quel che serve e di più per riprodurre con un’esattezza strabiliante i quadri più famosi, ma non abbastanza per farne di propri. Ha lavorato come falsario per tutta la vita- almeno fin quando non ha trovato me.»
L’occhio di Balthazar fissò quello di Londra, che lento girava all’orizzonte.
« Seb aveva vissuto tutta la vita nell’ombra. Quando l’ho scelto ha detto che sono stato la prima luce ad averlo mai illuminato. » Una piccola pausa, un sorso minuscolo. « Prima di lasciarmi fare, mi ha chiesto un ultimo favore, uno scherzo con cui salutare il mondo. Così ho preso la sua Annunciazione del Da Vinci, le sue Ninfee di Monet e tutti gli altri e li ho sostituiti.»
Da dopo quell’avventura il senso del bello di Balthazar era schizzato alle stelle. Aveva usato i risparmi del suo tramite per comprare una villa, che poi aveva addobbato con cimeli rubati da tutto il globo. Ma i quadri di Seb erano rimasti in quella stanza solo perché, in preda a un desiderio di perfezione smisurato, Balthazar aveva convenuto che la villa non fosse una cornice abbastanza bella. Ci voleva qualcosa di più, un qualcosa che non aveva avuto il tempo di trovare.
« Un tipo divertente.»
« Già, molto.» Gabriel poté giurare di aver sentito nostalgia nella voce dell’angelo, il quale aggiunse dopo un breve silenzio qualcosa che non poté che confermare ulteriormente la sua impressione. « Mi sarebbe piaciuto averlo avuto come protetto, invece che come tramite. »
« Sei un tipo da protetto?»
« Non mi ci facevi molto, vero? Nemmeno io.» Ammise, accompagnando il tutto con l’alzarsi di entrambe le sopracciglia. «Ma mi sono ricreduto. Non dev’essere affatto male averne uno.»
« Oh, no, non lo è! » Gabriel lo esclamò, posando la schiena e tutto il suo peso al cornicione. Se le sue ali fossero state visibili, Londra le avrebbe viste ciondolare da quell’anonimo balconcello.
« E’ piacevole seguirli tutto il giorno. Vederli crescere. Ascoltarli mentre ti ringraziano e non lo sanno neanche. Tutto questo è fantastico.
La parte brutta viene quando ti costringono a dire ad una fanciulla di appena sedici anni che non ha mai toccato neanche le spine di una rosa e mai le toccherà, perché è andata in sposa ad un uomo grande quanto suo padre, che aspetta un figlio e che potrà far nulla riguardo a ciò, che subirà le offese degli ignoranti solo per poi vederlo morire a trentatré anni. »
Il vino nel bicchiere di Gabriel si fece rancido d’improvviso, così come il suo volto.
« E tu, tu che dovresti difenderla, che vorresti difenderla, non puoi!, perché devi dire che l’ingiustizia più grande di tutti è la giustizia, giustizia altissima, divina!
Già; quella è la parte che fa davvero schifo. »
Balthazar rimase sospeso a fissare il sorriso tirato e aspro sul volto del Messaggero di Dio.
« E’ per questo che hai mollato, vero? »
Gabriel rise sottilmente e si passò la mano sul volto. « Si capisce quando lo racconto, eh? Chiamalo il mio deficit recitativo. Ogni grande attore ne ha uno, dopotutto.»
Parve pensare altri due minuti, prima di ricominciare a parlare col suo solito tono deciso.
« A proposito di deficit! Sai chi ho incontrato prima? Castiel, il piccolo riottoso. Ah- lo so che vuoi chiederlo, ma non ne hai le palle; sta bene, comunque. Sempre nell’epicentro del terremoto. Quando hai intenzione di dirgli che sei, umh, vivo? Sapessi, al momento sta- »
« Non m’interessa dirglielo. E non m’interessa sapere cosa fa. » Tagliò Balthe, sparendo poi dietro il calice, ma non agli occhi di Gabriel, che sorrise tra sé e sé.
« Certo. Ma la vuoi sapere una cosa? »
« Assolutamente no. »
« Cassie ci ha indovinato. Ha fatto la cosa giusta. »
«  Gabriel,  il tuo cervello ha rovinato fino ad arrivare al tuo culo? Non puoi veramente dire che- »
« Aspetta! Fammi parlare e ascolta, una volta tanto, coglione! Non sto parlando di giocare a fare Dio solo per farsi esplodere le budella e scatenare il peggiore party in Purgatorio, quella è stata una mossa da cazzoni, così come credere a Metatron -Metatron, ma dico, l’hai guardato in faccia?-,  quello che dico è altro! »
L’entusiasmo che l’arcangelo mise in quelle parole stupì Balthazar, ma quando quest’ultimo fece per aprire nuovamente bocca, il primo ancora lo zittò, continuando nel suo monologo entusiasta.
« Papino non era scemo. Ci avrà creati prima, ma sai qual è la ragione d’esistenza di noi angeli? Gli uomini. Per questo non ha accettato che Lucifero li trattasse con disprezzo. La pura essenza di un angelo sta nella cura. Noi viviamo per proteggere questi esseri che subiscono la gravità. Se siamo soldati non è per difendere Dio, lui sa fare il suo lavoro da solo, ma per loro. Peccato solo per un piccolo dettaglio: noi diamo tutto per loro e loro non sanno neanche che ci siamo
Io e te possiamo fare gli indifferenti quanto ci pare, ma sentiremo sempre e comunque dolore, perché sappiamo che l’amore che diamo e che neghiamo di dare non torna indietro. Eppure non possiamo fare a meno di darlo, di preoccuparci. Siamo… agitati dalla smania di occuparci di qualcuno! E’ questa a consumare me, te, Michele, Raffaele, Anael e chiunque altro tu voglia nominare. Eccetto Castiel.
Questo perché lui ha trovato qualcuno che non si è lasciato solo prendere e tirare su dall’Inferno –sai a chi mi riferisco, non farmelo nominare, che pronunciare quel cognome è l’equivalente del farsi passare davanti un gatto nero e rompere cento specchi tutti insieme. Il punto è che il Winchester maggiore –cazzo, l’ho detto! Vabeh, dicevo-  lui gli ha salvato il culo a sua volta. Più volte. Ha abbondantemente restituito ciò che Castiel ha donato senza neanche saperlo.
Ed è questo a porlo su un gradino diverso. La reciprocità e l’equivalenza.»

Ora il suo discorso era concluso; Gabriel glielo fece capire serrando le labbra e guardandolo fisso negli occhi.  Per tutto il tempo in cui aveva parlato, Balthazar era rimasto ad ascoltarlo e si era reso conto di non aver mai dato così tanta attenzione a qualcuno prima d’allora.
Le parole di Gabriel erano la Dea Verità più nuda che gli si fosse mai stata presentata e davanti al suo splendore privo di veli non poté far altro che ammutolire.
Ancora il silenzio la fece da padrone, insieme al vino che avevano abbandonato, imbevuto, nei rispettivi bicchieri.
« Perché mi hai detto tutto questo?»
Disse Balthazar dopo una decina di minuti, facendoli tornare là, sul  balcone, Londra al tramonto di fronte.
L’arcangelo riempì d’aria il suo petto e espirò con fare esagerato, senza un vero perché.
« Sei tu che hai iniziato con le confessioni, Balthe. »
Balthazar ridacchiò e alzò la mano che stringeva il calice sopra la testa in segno di resa.
« Perdono. Quando bevo il vino mi si scioglie la lingua. »
« Ohh, ne so qualcosa! »
Esclamò Gabriel nel bel mezzo di una risata, volgendo poi di nuovo lo sguardo al biondo con un fare furbo che lo allarmò. Eccoci, pensò.
« Ti ricordo che un’altra cosa che si scioglie quando sei ubriaco sono i tuoi vestiti. E i miei subito a seguire. Poi, puntualmente, al mattino trovo il letto vuoto perché ti piace smaltire i postumi svolazzando.»
Balthazar si lasciò andare in un’espressione da ragazzino spensierato che si accostava troppo bene con la faccia da adulto maturo del suo tramite e con la sua vera faccia di angelo vecchio millenni.
« Hai ancora la camicia aperta.»
« Questo perché tu mi hai portato via più bottoni, ieri notte. »
« Davvero? Non me ne sono reso conto. »
« Da ciò si capisce quanto sei delicato, passiva intraprendente di papà. »
« Chiamami un’altra volta in quel modo e quando decideremo di prenderci la prossima sbornia provvederò ad appuntarmi sul palmo di andare a trovare il caro fratellino Satana e ballarci un paio di rumbe prima di farlo con te. »
« Per favore, da ubriaco sbarelli talmente tanto che non riusciresti nemmeno ad arrivare alla gabbia! »
Gabriel non rispose all’ultima affermazione se non con un’espressione di sufficienza, prima di ritornare a dedicarsi al trascurato calice.
Balthazar guardò le strade, di Londra, striscioline scure e affollate sotto di loro. Esitò. Poi si mandò al diavolo da solo e aprì bocca.
« Hey, Gabe. Ti posso svelare un altro segreto? »
« Mhmh. »
« Siamo angeli. Il vino per noi è come acqua frizzante, non ci fa nulla. Non possiamo ubriacarci. »
Ancora silenzio, per qualche minuto. Gabriel sbatté gli occhi un paio di volte, lo sguardo fisso sul niente, e fece passare il sorso di vino preso poco prima da una guancia all’altra. Poi il suo corpo iniziò a essere scosso da risa, la faccia si gonfiò e, non resistendo più, sputò tutto, scoppiando in una risata fragorosa. Balthazar avrebbe potuto avere tante reazioni, tra cui mandarlo a quel paese perché gli aveva praticamente sputato addosso, ma tutto ciò che fece fu iniziare a ridere insieme a lui.
Risero ancora e ancora, fino alle lacrime, fino ad accasciarsi sulle ginocchia e doversi tenere le pancia, risero così forte che tutti i cittadini di Londra che passavano sotto il palazzo finirono con l’alzare gli occhi al cielo e cercare la fonte di tanta ilarità.
« Non ce la posso fare…! » Mormorò Gabriel quando le risate iniziarono a spegnersi, completamente piegato sul cornicione, con gli zigomi dolenti. Anche a Balthazar facevano un male cane, così come le costole. Troppo impegnato ad asciugarsi gli occhi col dorso della mano, si accorse solo dopo che Gabriel adesso taceva e lo osservava con un mezzo sorriso, maledettamente simile a quello che aveva visto appena tornato in vita.
« Oh, Balthazar. »
«  Che c’è-? » Ansimò, ancora scosso dal ridere.
« Avvicinati. »
Balthazar rimase a fissarlo, ammutolendo, per qualche istante. Buttò giù il poco vino rimasto e abbandonò il bicchiere. I passi che dedicò per arrivare di fronte a Gabriel e posare le mani sul cornicione, ai lati del corpo dell’altro, furono lenti e precisi. Non voleva fargli credere che potesse avere tutto e subito da lui; e questo anche se moriva dalla voglia di accontentarlo. La mano di Gabriel raggiunse il suo collo e Balthazar curvò la schiena.
Il sole calante sparì dietro le loro bocche.
Le dita di Gabriel scivolarono fino al braccio di Balthazar e questo andò a mettere tra i loro volti una piccola distanza, non troppa da non potersi concedere un secondo bacio ma abbastanza da guardarsi negli occhi. Si sorrisero, sbruffoni, divertiti; felici.
« Sai cosa? Potrei aver trovato quella cosa che ti dicevo prima.»
« Oh, dici davvero? »
« Forse.» l’arcangelo ghignò un poco e l’angelo lo seguì. « Sempre che non si faccia ammazzare di nuovo.»
« Non credo lo farà. Ha qualcuno che senza di lui morirebbe di solitudine. »
« Non mi dire.»
« Già. Ti dirò, credo che quel Qualcuno sia il suo Qualcosa. »
«  Ma davvero? »
« Forse. Forse sì.
Al cento per cento. »




 

 ____________________________________________________________________________________________________________




 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Lucy_lionheart