Titolo: Raison d'etre
Coppia: BalthaGab (
Balthazar and Gabriel)
Raiting: Arancione.
Avvertenze: What if,
slash, spoiler, accenni di Destiel perché non sono riuscita
a resistere, ship sconosciuta, ci sono dei punti che potrebbero
provocare dolore, linguaggio alle volte non esattamente fine e
delicato. L'autrice chiede scusa a Nicholas Cage -a lei piace- e fa
notare che ha scritto la prima parte dopo il pranzo di Pasqua, un po'
brilla, e la seconda dopo essere tornata a casa da Paquetta accusando i
sintomi di quello che definiva un "raffreddorino" e che ha scoperto
essere un trentotto e passa di febbre.
Detto questo, datemi il
benvenuto nel fandom di spn di EFP ( le recensioni sono gradite! )
♥
▬Raison d'etre.
Era caldo: quello era stato il primo vero, razionale
pensiero di Balthazar. L’atmosfera, l’aria,
qualunque cosa fosse era calda. Non
calda come un fuoco, però; si trattava di una sorta di
calore che lo scaldava
senza bruciarlo, gli penetrava sotto la pelle e gli avvolgeva le ossa.
Il
secondo pensiero era stato che aveva della pelle e delle ossa.
Fu ciò a far scattare la molla: di colpo Balthazar si rese
conto che il suo
petto si alzava e si abbassava, l’aria ne entrava e ne
usciva, che il suo cuore
batteva come un tamburo fuori controllo, pompando il suo sangue, il
quale
andava a fluire nei
mille ruscelli delle
sue vene.
Lui era vivo.
Allo spalancarsi degli occhi, la luce colpì con violenza la
sua cornea e fu
solo per incredulità e curiosità che
resisté alla tentazione di chiuderli di
nuovo, lasciandosi avvolgere dal buio di quello che era solo un innocuo
sonno.
Il suo sguardo divenne avido e iniziò a cercare una
qualunque spiegazione in
quel bagliore caldo, lo stesso che lo scaldava, fin quando non
intravide
qualcosa: si trattava di una sagoma nera, una specie di ombra, che
adesso era
venuta a stagliarsi su di lui, macchiando la purezza di quel bagliore.
Le ciglia bionde dovettero sbattere un paio di volte prima di iniziare
a donare
delle forme quanto più umane all’ombra. Prima
apparve il bavero di una camicia,
poi i capelli, una fronte, un sorriso tutto tirato
sull’angolo sinistro, dove
la guancia era rigonfia di un qualcosa che sporgeva dalle labbra e che,
aguzzata un po’ più la vista, era identificabile
in un sottile bastoncino
bianco. Fu dopo averlo notato che
Balthazar capì e pronunciò le sue
nuove prime parole:
« Non dovresti essere morto, tu? »
Gabriel, ovvero la misteriosa sagoma chinata da prima su di lui, un
piede al
lato sinistro del suo corpo e uno al destro, a osservarlo con le mani
in tasca e
la stessa verve di un’automobilista che ha preso un cane e si
è fermato solo
per vedere se avesse il microchip o meno, sbatté gli occhi
un paio di volte,
prima di lasciarsi andare in una risata divertita e sbattuta contro le
arcate
bianche dei denti, strette attorno ad un leccalecca.
« Cazzo,»
esclamò, sempre a denti serrati, prima di togliersi dalla
bocca il
dolciume, « non mi aspettavo chissà quale elogio
da parte di uno come te, ma
almeno un qualcosa di più carino potevi dirlo! »
Lo sguardo corrucciato di Balthazar non mutò di una sola
virgola e gli occhi si
fissarono bene su quelli dell’arcangelo. No, era sicuro,
Gabriel era morto,
Lucifero l’aveva schiantato con la stessa facilità
con cui si scaccia una
mosca. Un fratricidio del genere in Paradiso viene narrato come se
fosse
l’ultimo film vincitore dell’Oscar e Balthazar
aveva sentito la storia della
sua morte e visto le immagini delle immense ali nere dipinte
sull’asfalto
almeno da un centinaio di angeli diversi. Castiel per primo.
Bastò il pensiero di quel nome a farlo sprofondare ancor di
più
nell’incredulità di tutta quella scena. Non era
solo Gabriel quello che non
sarebbe dovuto essere in vita.
« Tu eri morto, okay? Morto. E io lo stesso. Allora spiegami,
lo siamo ancora
o-»
« Sei vivo e vegeto.» Tagliò corto
Gabriel, spazientito da quelle due sole ed
estremamente lecite parole pronunciate dall’altro.
« Post scriptum: lo sei per
merito del sottoscritto, quindi potresti anche impegnarti e sputare un
minimo
ringraziamento in una qualunque lingua. Scegli quella con
l’espressione più
corta, fai come ti pare, insomma.»
« Quindi Lucifero non ti ha ammazzato.»
Gabriel non rispose e si lasciò andare in un sospiro
esasperato e terribilmente
teatrale, scavalcando definitivamente l’angelo minore.
« Ah, puoi anche alzare il culo e evitare di rimanere steso
sulla spiaggia come
una balena spiaggiata, sai. Hai delle belle gambine, fanne
uso.»
Quella frase innescò in Balthazar l’ennesima
operazione di razionalizzazione;
Gabriel non pareva esattamente intenzionato a fornirgli dettagliate e
precise
spiegazioni sulla sua, sulla loro, attuale situazione, quindi si
sarebbe dovuto
arrangiare e cercare di comprendere subito, dopo i suoi primi cinque
minuti di
nuova vita, ciò che trapelava dalle parole
dell’altro.
Per
prima cosa gli era stato detto che poteva muoversi e
questo era fondamentale. Quando alzò la mano e la strinse
davanti ai suoi
occhi, fino a conficcarsi le unghie nei palmi e sentire ogni nervo
recepire il
dolore, quasi trattenne il respiro. Non gli sembrava vero.
Per un essere celestiale la morte non è assenza. Anzi, non
è morte. E’ qualcosa
che va ben oltre il distaccarsi dell’anima dal corpo, si
tratta più di un suo
smembramento. E’ come prendere un foglio di carta e
strapparlo in due, poi in
quattro, poi in otto e così via, procedendo fin quando non
ci saranno che
briciole che il vento condurrà in centinaia di direzioni
diverse… no, no, quel
che ha vissuto non si ferma qui! Per
spiegarlo agli uomini lo si dovrebbe paragonare alla scissione di un
atomo.
E’ esistere e non allo stesso tempo.
Per un qualcuno come lui, che aveva sentito la sua essenza smembrarsi
ora dopo
ora, giorno dopo giorno senza poter fare nulla, adesso avere per intero
non solo
la sua anima, ma anche il suo corpo –perché
sì, quello era il suo vecchio
tramite, ne era più che certo!- era terribilmente difficile
da credersi.
Con una cautela che capì non essere necessaria nel momento
in cui i suoi
muscoli si tesero senza dar ostacolo alcuno, Balthazar si porto su a
sedere e
lasciò che le sue spalle si sgranchissero, facendosi
scappare un piccolo ghignò
quando le ossa schioccarono. Tornò quindi a guardarsi le
mani e trovò tra gli
spazi delle dita dei nuovi indizi che subito si ricollegarono a
ciò che poco
prima l’arcangelo aveva detto. A sporcargli le unghie e i
vestiti c’erano
granelli appartenenti alla sabbia sulla quale soltanto ora realizzava
di essere
seduto. Non ci
vollero che pochi secondi
perché capisse che la luce che lo aveva svegliato era quella
di un sole nelle
ore di pieno splendore e subito dopo, procedendo per semplice logica,
spostò
gli occhi avanti a sé, sicuro di trovare il mare, che di
fatti gli rispose con
l’infrangersi di una debole onda sul vicinissimo bagnasciuga.
« Che paese è?»
Gabriel, che aveva rivolto lo sguardo annoiato ad un granchio che
scappava a
nascondersi sotto la sabbia chiara, tornò con rinnovato
interesse a Balthazar,
evidentemente soddisfatto di quella domanda più comune,
almeno nei suoi
standard.
« Bermuda. Un isolotto carino e completamente disabitato
e-»
« Totalmente e completamente dentro il Triangolo, vero?
»
Questa volta fu Balthazar ad interrompere il fratello, che in tutta
risposta,
invece di prendersela, ghignò con fare ancor più
divertito, tornando poi a
compiere passi intenzionalmente mal calibrati e calcare le sue
impronte, come a
voler fare un dispetto alle onde che continuavano a cancellarle col
loro
passaggio.
« Non male come posto in cui resuscitare, eh?»
aggiunse, tronfio della voglia
di complimentarsi con se stesso. Balthazar, però, fece
spallucce e pulì i jeans
–gli stessi che aveva indosso il giorno della sua dipartita-
dalla sabbia
profumata di quel piccolo gioiello naturale.
« Non proprio. Intendiamoci, è una favola, bel
posto per una settimana di
vacanze, ma preferisco l’Europa. Cemento, clima tiepido, un
po’ umido, palazzi
alti con sotto il continuo rumorio di gente.. hai presente? »
« Ho presente. Certo che hai dei gusti strani, eh.
» Disse, leggermente
stizzito.
« Disse quello che succhia catrame colorato. »
Gabriel alzò entrambe le sopracciglia, mordendo con
aggressività il
lecca-lecca, ormai ridotto ad una misera pallina di zucchero e
colorante, e il
biondo ebbe l’impressione che qualcosa nel suo sguardo
volesse dirgli
“ricordati che stai parlando con un arcangelo”, ma
non vi badò. Non l’avrebbe
fatto in ogni caso.
« Quanto tempo è passato da-»
« Da quando ti sei fatto impalare? Beh, più o meno
sei mesi. Poteva andarti
peggio. A tal proposito, non ho ancora sentito la parolina
magica.»
« Non fino a quando non mi darai una minima spiegazione
concreta, Gabriel. Non
ti chiedo di fare il resoconto stillato in comma. Solo un po’
di frasi una dopo
l’altra. Sei il messaggero, no? Comunicare dovrebbe essere la
cosa che meglio
ti riesce.»
« Riesco in svariate cose molto bene, se è per
questo. Comunicare, come dici
tu, incluso, ovviamente.»
« E allora comunicami quanta merda ci è caduta
addosso in questo periodo e
soprattutto perché sono vivo.»
Gabriel, per la prima volta da quando Balthazar aveva riaperto gli
occhi,
tacque. Poi, con passi normali e lasciando perdere la sfida prima
intrapresa
con le onde, camminò fino al punto in cui il primo sedeva e
si lasciò cadere
accanto a lui, stendendosi e raccogliendo le braccia dietro la testa,
lo
sguardo puntato dritto verso dove la linea del cielo era una sola con
quella
del mare.
« Dio ancora non si trova. Il Purgatorio è in
subbuglio. Ci sono mostri ovunque
e quei due fratelli -sai di chi parlo, non stiamo nemmeno a nominarli,
portano
sfiga- ci stanno pensando. Io non ho intenzione di occuparmene.
Rettifico: io
non ho intenzione di occuparmi proprio di nulla.»
Balthazar incrociò le gambe magre e tené lo
sguardo sul volto dell’arcangelo.
Gli aveva appena descritto l’ennesima sfumatura di chaos e
lui era rimasto
impassibile; ad essere più corretti sarebbe meglio dire
“indifferente”. Sarà
che era appena tornato in vita e non si voleva subito infilare nei
casini. Sarà
che su quell’isola dispersa tutto il resto pareva lontano
milioni di anni luce
da lui e che non c’era nessun motivo per alzarsi e
raggiungerlo.
Aveva solo voglia di fare domande.
« Gabriel, esattamente quanti sanno che sei vivo?»
« Oh, tira a indovinare. »
Disse, spostando gli occhi dall’orizzonte
all’angelo, il solito ghigno sulle
labbra e nessun lecca-lecca, solo un bastoncino di plastica
appiccicosa. A quel
punto mancava una sola domanda e Bathazar, pur sapendo che Gabriel era perfettamente
consapevole di cosa stava
per chiedergli, non volle comunque lasciargli via di scampo e diede
voce ai
suoi pensieri.
« Perché io? »
Gabriel lasciò schioccare le labbra e fece finta di cercare
parole che già
sostavano da un po’ nella sua scatola cranica, pronte per
essere indossate con
un bel vestito nuovo per un’uscita elegante del sabato.
« Perché, perché,
perché..», ripeté con aria scanzonata e
dando un tono un po’
musicale all’ultima vocale. «
Perché hai presente gli altri miei fratelli, no? Zacharia e
Uriel? Sanguisughe.
Raphael? Un represso che non vedeva l’ora di giocare a fare
il grande capo
indiano per un po’ mentre Micky non c’è.
Per finire, proprio Michael, molto caro, sì, ma
è un vecchio
guerrafondaio divertente quanto un ornitorinco e un palo nel retto.
Lucifer mi
stava simpatico, beh, almeno prima che, vediamo, diventasse Il Nemico e
non
avesse rimpianto alcuno a farmi fuori. Sinceramente non ci tengo.
»
Le gambe si piantarono per bene sulla sabbia e le solette delle scarpe
iniziarono a spingere, formando un monticello che poi esse stesse
distrussero,
alzando un polverone di granelli che finì sui vestiti e nei
capelli di
entrambi.
« Ma da soli ci si annoia. Avevo bisogno di compagnia, di
qualcuno a cui
importasse di tutta questa storia poco quanto importa a me. Stavo
cercando
qualcuno del genere quando sono andato a sbattere in un brandello della
tua
anima. Era un ricordo divertente. » L’ultima parola
venne calcata, come a
sottolinearne l’importanza basilare. « Ti fingevi
un alto cardinale per
convincere delle suore di un convento della Germania del nord a darti
un quadro
risalente al 1430 circa.»
Balthazar rise al sentir riesumare dal passato quella vecchia
avventura. « Oh
sì, era un piccolo gioiello. Non potevo
lasciarmelo scappare, anche a costo di fingermi uno dei bigottoni che
lava i
calzini a sua eminenza.»
Entrambi sghignazzarono per qualche minuto, prima che Balthazar
chiedesse
quella che, a conti fatti, sarebbe dovuta essere l’ultima
domanda posta.
« E’ questo l’unico motivo? Tutto
ciò di cui hai bisogno è un compagno di
giochi e mi hai scelto perché sono quello più
simpatico di tutti?»
Gabriel gli rivolse ancora un’occhiata prima di scuotere
lievemente le spalle
in segno di diniego.
« Non solo. Ti ho scelto anche perché tu, come me,
sei stato pugnalato alle
spalle dal più caro dei tuoi fratelli e per quanto tu possa
negare, so che non
riesci a odiarlo.»
Era bastata quella frase perché il silenzio della
consapevolezza calasse,
lasciando spazio solo al rumore delle onde. Gabriel buttò
fuori un sospiro e
colse l’opportunità per trasformare il finire di
quello sbuffo in parole. «
Dato che ci siamo passati entrambi, adesso sappiamo tutti e due
guardarci
reciprocamente le spalle a dovere e evitarci altre pugnalate. »
Lo stecco del leccalecca sparì dentro il pugno di Gabriel,
che immediatamente
si aprì, lasciando cadere solo sabbia, che andò a
confondersi col resto, e,
infine, due cioccolatini, i quali vennero prontamente acchiappati dalla
mano
sinistra, un momento prima che si protendesse verso Balthazar.
« Allora? Ci stai? Non hai nulla da perdere, tanto.
»
Balthazar fissò Gabriel negli occhi senza dire una sola
parola. Poi la mancina
rubò uno dei due cioccolatini.
Mentre la carta, srotolandosi, frusciava
e il sorriso di Gabriel si faceva ancora più
grande, mormorò una sola
cosa:
« Ci togliamo da
questo mortorio e andiamo a fare qualcosa, allora? »
Era
passato un altro anno da quando aveva buttato giù quel
cioccolatino e aveva
scoperto che era ripieno di whiskey. Un anno dal momento in cui aveva
chiesto a
Gabriel che giorno fosse di preciso e lui aveva risposto facendogli gli
auguri
di Buona Pasqua. Da lì lo scambio di parole che li aveva
preceduti prima di
sparire in uno schiocco di dita dalle Bermuda era stato un qualcosa di
molto
simile a “Mi
stai prendendo per il culo” e “Che ti devo dire, riportare in
vita
qualcuno oggi è tradizione”.
Avevano girato il mondo, in quell’anno. Il rifrullo delle
loro ali li aveva
portati ovunque avessero voglia di andare, per poi tornare, la sera, a
rifugiarsi nel posto più sicuro di tutti: il Paradiso. Era
stato Gabriel ad
avere quella pensata; “il posto più nascosto
è quello in cui nessuno ti verrebbe
a cercare, perché è troppo ovvio”,
aveva detto, aggiungendo poi “regola numero
uno di un buon film d’avventura. Dico roba come Indiana
Jones, non Nicholas
Cage”. Di fatti quel
trucco aveva
funzionato alla grande, almeno finché, beh… il
Paradiso aveva chiuso e loro si
erano ritrovati davanti al niente con la stessa faccia di due ragazzini
che
beccano incatenate le porte del pub dove hanno preso centinaia di
sbornie.
“ Chiuso per
rinnovamento della gestione”, avrebbero dovuto
scriverci davanti.
Le reazioni a quella situazione improvvisa erano stato varie: prima
rabbia
scaturita dall’orgoglio ferito di due angeli, subito a
seguire la realizzazione
che quello che avevano perso non era la loro dimora, ma il loro
nascondiglio,
la casetta sull’albero più alto di tutti. E quindi
erano stati sputi sul nome
di Metatron e insulti, prima di mettersi le mani in tasca e trovarsi un
posto
sulla Terra che non fosse infestato da alcuni dei loro fratelli, i
quali, poco
ma sicuro, già erano alla ricerca di un uovo qualcuno che
gli desse ordini,
perché si sa, gli
angeli senza un capo
erano solo un branco di pecore scelte che belava al nulla e Gabriel non
aveva
alcuna voglia di mettersi a fare il pastore.
“Casomai
faccio il pornoattore, che, beh, finisce anche quello in
“ore”,
ma è una cosa bella diversa” aveva
commentato, provocando le risate di
entrambi.
Stavano fuggendo? Sì. Gabriel
era
maledettamente bravo nel farlo e Balthazar aveva imparato velocemente
dal
maestro. Le basi,
dopotutto, già le
aveva: sfiducia verso ciò che lo circondava, voglia di
divertirsi senza essere
giudicato da niente e nessuno, responsabilità solo e
unicamente verso se stesso
e, infine, un compagno con cui pararsi il culo a vicenda.
Un mix perfetto che l’aveva portato, all’imbrunire
del giorno, in mezzo alla
foschia di Londra. Non stava, però, nelle strade affollate
di gente con la
pelle di ogni colore, ma in appartamento abbastanza in alto da
lasciarsi alle
spalle il continuo brusio della metropoli.
Nei settantacinque metri quadri che lo componevano a farla
da padrone
era un silenzio tale che i talloni scalzi di Balthazar che
attraversavano il
parquet erano ben udibili, così come il suo respiro. Gli
piaceva sentirlo
entrare e uscire dalla bocca, la sensazione era per lui la stessa
provata da un
qualunque uomo amatore delle sigarette che diceva di fumare
perché lo
rilassava.
Lanciò uno sguardo all’orologio sopra la sua
testa: fermo da tempo sulle due e
quaranta, non si azzardava a rompere col suo ticchettare quel silenzio
mistico.
La polvere si era accumulata sulle lancette, così come sui
pavimenti, sui
divani e su tutto il resto. Balthazar la poteva vedere galleggiare nei
ritagli
di luce che filtravano dalle tende socchiuse del terrazzo. Con lentezza
allungò il braccio e raccolse
qualcosa da un mucchio posato all’angolo della scrivania. La
mancina spolverò
la superficie dell’oggetto interessato, sollevando una nuvola
d’acari che non
poté non farlo tossire e, tra un colpo e l’altro,
imprecare contro il dorso
della mano.
« Salute! »
Balthazar si voltò senza sorpresa alcuna verso la voce che
era andata a rompere
il silenzio dell’appartamento; lo fece perché
prima di tutto l’aveva
riconosciuta e poi perché non c’era
nessun’altro a parte Gabriel che avrebbe
potuto trovarlo.
Non rispose e l’altro non ne fece un dramma. Sapeva che
“grazie” non era
esattamente la prima parola del vocabolario di Balthazar,
così come non era
neanche la sua. Tornò invece a porre la sua attenzione sul
quadrato che aveva
raccolto, sciogliendo il velo bianco che lo avvolgeva.
« Non sai quanto mi ci è voluto a trovarti. Potevi
avvertire, lasciare una nota»
« La maggiore.»
« Questa è una battuta da cabaret di quarta
classe, bello. Non fa abbastanza
ridere per essere una giustifica.»
« Gabriel, lo so che mi hai individuato non appena ti sei
svegliato dal tuo
sonnellino di bellezza. Non ti condanno se ne hai approfittato per
farti un
giretto per i negozi di caramelle della città. Ce
n’è uno abbastanza
appariscente a-»
« Un chilometro e mezzo circa da qui? » lo
interruppe con aria annoiata,
estraendo dalla tasca una caramella grande quanto una falange e avvolta
in una
carta lucida e strisciata di bianco e rosso. « Caruccio.
Queste qui all’amarena
non sono per niente male, ma ho visto comunque di meglio.»
Balthazar sbuffò l’inizio di quella che doveva
essere una risata sarcastica al
sapore non di amarena, ma di “non me ne meraviglio”
e non badò a Gabriel che in
passi veloci si avvicinava, sporgendo il collo per osservare il quadro
al
centro delle attenzioni dell’altro. Rise.
« Hey, questo me lo ricordo! E’ uno dei miei
ritratti che preferisco- anche se
questa mania dei boccoli non so davvero da dove l’avessero
tirata fuori, fra
tutti. Si può sapere che ci fa in questo buco polveroso?!
Dovrebbe essere
esposto in qualche bel museo italiano.»
«Dovrebbe, già.»
Ribatté Balthazar, guardando con occhi quasi brillanti il
tesoro che aveva tra
le mani. “L’annunciazione”,
novantotto per duecentodiciassette centimetri,
era uno dei primi lavori di Leonardo Da Vinci
e, tecnicamente, avrebbe dovuto trovarsi alla Gallerie degli Uffizi di
Firenze,
non in un appartamento londinese qualunque.
« E’ un falso molto ben fatto oppure ti sei rimesso
a fare il ladro e adesso a
Firenze sono nel panico?»
Ipotizzò Gabriel, spostando adesso gli occhi sul biondo, il
quale si limitò a
continuare a osservare le pennellate secche di secoli di quel
capolavoro.
« No, non è un falso. Si tratta
dell’originale. » Una piccola pausa, necessaria
a umettarsi le labbra. « Il falso è quello a
Firenze.»
Gabriel rise, dandogli due colpi sulla spalla sinistra.
« Avevo ragione, allora! L’hai rubata!»
« Non l’ho rubata! L’ho semplicemente
scambiato. E’ successo… tre o quattro
anni fa.»
L’arcangelo parve riflettere un attimo. « Quando
hai preso questo corpo.»
« Già. » Balthazar posizionò
con estrema cura la tela sul piedistallo vuoto che
stava vicino al balcone, per poi uscire su questo, subito seguito
dall’amico.
Recuperò da terra una bottiglia di vino rosso e due calici, uno mezzo pieno e uno vuoto,
precedentemente
preparato, che porse a Gabriel. Il liquore lo riempì per tre
quarti e solo e
unicamente dopo aver fatto ciò Balthazar posò i
gomiti sul cornicione e riprese
a parlare.
« Questo appartamento era del mio tramite.
Il suo nome era Sebastian, Seb, come
lo chiamava la vicina. Non aveva famiglia, la madre era vecchia ed
è morta
quando lui aveva sui ventotto anni, lasciandolo solo in qui. La sua
fortuna è
stata essere un talento, ma non abbastanza. »
« “Un talento, ma non
abbastanza”» Ripeté Gabriel, buttando
giù un sorso di
vino.
« Già. Un talento eccezionale quel che serve e di
più per riprodurre con un’esattezza
strabiliante i quadri più famosi, ma non abbastanza per
farne di propri. Ha
lavorato come falsario per tutta la vita- almeno fin quando non ha
trovato me.»
L’occhio di Balthazar fissò quello di Londra, che
lento girava all’orizzonte.
« Seb aveva vissuto tutta la vita nell’ombra.
Quando l’ho scelto ha detto che
sono stato la prima luce ad averlo mai illuminato. » Una
piccola pausa, un
sorso minuscolo. « Prima di lasciarmi fare, mi ha chiesto un
ultimo favore, uno
scherzo con cui salutare il mondo. Così ho preso la sua Annunciazione del
Da
Vinci, le sue Ninfee
di Monet e tutti gli altri e li ho sostituiti.»
Da dopo quell’avventura il senso del bello di Balthazar era
schizzato alle
stelle. Aveva usato i risparmi del suo tramite per comprare una villa,
che poi
aveva addobbato con cimeli rubati da tutto il globo. Ma i quadri di Seb
erano
rimasti in quella stanza solo perché, in preda a un
desiderio di perfezione
smisurato, Balthazar aveva convenuto che la villa non fosse una cornice
abbastanza bella. Ci voleva qualcosa di più, un qualcosa che
non aveva avuto il
tempo di trovare.
« Un tipo divertente.»
« Già, molto.» Gabriel poté
giurare di aver sentito nostalgia nella voce dell’angelo,
il quale aggiunse dopo un breve silenzio qualcosa che non
poté che confermare
ulteriormente la sua impressione. « Mi sarebbe piaciuto
averlo avuto come
protetto, invece che come tramite. »
« Sei un tipo da protetto?»
« Non mi ci facevi molto, vero? Nemmeno io.»
Ammise, accompagnando il tutto con
l’alzarsi di entrambe le sopracciglia. «Ma mi sono
ricreduto. Non dev’essere
affatto male averne uno.»
« Oh, no, non lo è! » Gabriel lo
esclamò, posando la schiena e tutto il suo
peso al cornicione. Se le sue ali fossero state visibili, Londra le
avrebbe
viste ciondolare da quell’anonimo balconcello.
« E’ piacevole seguirli tutto il giorno. Vederli
crescere. Ascoltarli mentre ti
ringraziano e non lo sanno neanche. Tutto questo è
fantastico.
La parte brutta viene quando ti costringono a dire ad una fanciulla di
appena
sedici anni che non ha mai toccato neanche le spine di una rosa e mai
le
toccherà, perché è andata in sposa ad
un uomo grande quanto suo padre, che
aspetta un figlio e che potrà far nulla riguardo a
ciò, che subirà le offese
degli ignoranti solo per poi vederlo morire a trentatré
anni. »
Il vino nel bicchiere di Gabriel si fece rancido
d’improvviso, così come il suo
volto.
« E tu, tu che dovresti difenderla, che vorresti difenderla,
non puoi!, perché
devi dire che l’ingiustizia più grande di tutti
è la giustizia, giustizia
altissima, divina!
Già; quella è la parte che fa davvero schifo.
»
Balthazar rimase sospeso a fissare il sorriso tirato e aspro sul volto
del
Messaggero di Dio.
« E’ per questo che hai mollato, vero? »
Gabriel rise sottilmente e si passò la mano sul volto.
« Si capisce quando lo
racconto, eh? Chiamalo il mio deficit recitativo. Ogni grande attore ne
ha uno,
dopotutto.»
Parve pensare altri due minuti, prima di ricominciare a parlare col suo
solito
tono deciso.
« A proposito di deficit! Sai chi ho incontrato prima?
Castiel, il piccolo riottoso.
Ah- lo so che vuoi chiederlo, ma non ne hai le palle; sta bene,
comunque.
Sempre nell’epicentro del terremoto. Quando hai intenzione di
dirgli che sei,
umh, vivo? Sapessi, al momento sta- »
« Non m’interessa dirglielo. E non
m’interessa sapere cosa fa. » Tagliò
Balthe,
sparendo poi dietro il calice, ma non agli occhi di Gabriel, che
sorrise tra sé
e sé.
« Certo. Ma la vuoi sapere una cosa? »
« Assolutamente no. »
« Cassie ci ha indovinato. Ha fatto la cosa giusta.
»
« Gabriel,
il tuo cervello ha
rovinato fino ad arrivare
al tuo culo? Non puoi veramente dire che- »
« Aspetta! Fammi parlare e ascolta, una volta tanto, coglione! Non sto
parlando
di giocare a fare Dio solo per farsi esplodere le budella e scatenare
il peggiore
party in Purgatorio, quella è stata una mossa da cazzoni,
così come credere a
Metatron -Metatron, ma dico, l’hai guardato in faccia?-, quello che dico è
altro! »
L’entusiasmo che l’arcangelo mise in quelle parole
stupì Balthazar, ma quando
quest’ultimo fece per aprire nuovamente bocca, il primo
ancora lo zittò,
continuando nel suo monologo entusiasta.
« Papino non era scemo. Ci avrà creati prima, ma
sai qual è la ragione d’esistenza
di noi angeli? Gli uomini. Per questo non ha accettato che Lucifero li
trattasse con disprezzo. La pura essenza di un angelo sta nella cura.
Noi
viviamo per proteggere questi esseri che subiscono la
gravità. Se siamo soldati
non è per difendere Dio, lui sa fare il suo lavoro da solo,
ma per loro. Peccato
solo per un piccolo dettaglio: noi diamo tutto per loro e loro non
sanno
neanche che ci siamo
Io e te possiamo fare gli indifferenti quanto ci pare, ma sentiremo
sempre e
comunque dolore, perché sappiamo che l’amore che
diamo e che neghiamo di dare
non torna indietro. Eppure non possiamo fare a meno di darlo, di
preoccuparci.
Siamo… agitati dalla smania di occuparci di qualcuno!
E’ questa a consumare me,
te, Michele, Raffaele, Anael e chiunque altro tu voglia nominare.
Eccetto
Castiel.
Questo perché lui ha trovato qualcuno che non si
è lasciato solo prendere e
tirare su dall’Inferno –sai
a chi mi riferisco, non farmelo nominare, che
pronunciare quel cognome è l’equivalente del farsi
passare davanti un gatto
nero e rompere cento specchi tutti insieme. Il punto
è che il Winchester
maggiore –cazzo,
l’ho detto! Vabeh, dicevo- lui
gli ha salvato il culo a sua volta. Più
volte. Ha abbondantemente restituito ciò che Castiel ha
donato senza neanche
saperlo.
Ed è questo a porlo su un gradino diverso. La
reciprocità e l’equivalenza.»
Ora il suo discorso era concluso; Gabriel glielo fece capire serrando
le labbra
e guardandolo fisso negli occhi. Per
tutto il tempo in cui aveva parlato, Balthazar era rimasto ad
ascoltarlo e si
era reso conto di non aver mai dato così tanta attenzione a
qualcuno prima d’allora.
Le parole di Gabriel erano la Dea Verità più nuda
che gli si fosse mai stata presentata
e davanti al suo splendore privo di veli non poté far altro
che ammutolire.
Ancora il silenzio la fece da padrone, insieme al vino che avevano
abbandonato,
imbevuto, nei rispettivi bicchieri.
« Perché mi hai detto tutto questo?»
Disse Balthazar dopo una decina di minuti, facendoli tornare
là, sul balcone,
Londra al tramonto di fronte.
L’arcangelo riempì d’aria il suo petto e
espirò con fare esagerato, senza un
vero perché.
« Sei tu che hai iniziato con le confessioni, Balthe.
»
Balthazar ridacchiò e alzò la mano che stringeva
il calice sopra la testa in
segno di resa.
« Perdono. Quando bevo il vino mi si scioglie la lingua.
»
« Ohh, ne so qualcosa! »
Esclamò Gabriel nel bel mezzo di una risata, volgendo poi di
nuovo lo sguardo
al biondo con un fare furbo che lo allarmò. Eccoci,
pensò.
« Ti ricordo che un’altra cosa che si scioglie
quando sei ubriaco sono i tuoi
vestiti. E i miei subito a seguire. Poi, puntualmente, al mattino trovo
il
letto vuoto perché ti piace smaltire i postumi
svolazzando.»
Balthazar si lasciò andare in un’espressione da
ragazzino spensierato che si
accostava troppo bene con la faccia da adulto maturo del suo tramite e
con la
sua vera faccia di angelo vecchio millenni.
« Hai ancora la camicia aperta.»
« Questo perché tu mi hai portato via
più bottoni, ieri notte. »
« Davvero? Non me ne sono reso conto. »
« Da ciò si capisce quanto sei delicato, passiva
intraprendente di papà. »
« Chiamami un’altra volta in quel modo e quando
decideremo di prenderci la
prossima sbornia provvederò ad appuntarmi sul palmo di
andare a trovare il caro
fratellino Satana e ballarci un paio di rumbe prima di farlo con te.
»
« Per favore, da ubriaco sbarelli talmente tanto che non
riusciresti nemmeno ad
arrivare alla gabbia! »
Gabriel non rispose all’ultima affermazione se non con
un’espressione di
sufficienza, prima di ritornare a dedicarsi al trascurato calice.
Balthazar guardò le strade, di Londra, striscioline scure e
affollate sotto di
loro. Esitò. Poi si mandò al diavolo da solo e
aprì bocca.
« Hey, Gabe. Ti posso svelare un altro segreto? »
« Mhmh. »
« Siamo angeli. Il vino per noi è come acqua
frizzante, non ci fa nulla. Non
possiamo ubriacarci. »
Ancora silenzio, per qualche minuto. Gabriel sbatté gli
occhi un paio di volte,
lo sguardo fisso sul niente, e fece passare il sorso di vino preso poco
prima
da una guancia all’altra. Poi il suo corpo iniziò
a essere scosso da risa, la
faccia si gonfiò e, non resistendo più,
sputò tutto, scoppiando in una risata
fragorosa. Balthazar avrebbe potuto avere tante reazioni, tra cui
mandarlo a
quel paese perché gli aveva praticamente sputato addosso, ma
tutto ciò che fece
fu iniziare a ridere insieme a lui.
Risero ancora e ancora, fino alle lacrime, fino ad accasciarsi sulle
ginocchia
e doversi tenere le pancia, risero così forte che tutti i
cittadini di Londra
che passavano sotto il palazzo finirono con l’alzare gli
occhi al cielo e
cercare la fonte di tanta ilarità.
« Non ce la posso fare…! »
Mormorò Gabriel quando le risate iniziarono a
spegnersi, completamente piegato sul cornicione, con gli zigomi
dolenti. Anche
a Balthazar facevano un male cane, così come le costole.
Troppo impegnato ad
asciugarsi gli occhi col dorso della mano, si accorse solo dopo che
Gabriel
adesso taceva e lo osservava con un mezzo sorriso, maledettamente
simile a
quello che aveva visto appena tornato in vita.
« Oh, Balthazar. »
« Che
c’è-? » Ansimò, ancora scosso
dal
ridere.
« Avvicinati. »
Balthazar rimase a fissarlo, ammutolendo, per qualche istante.
Buttò giù il
poco vino rimasto e abbandonò il bicchiere. I passi che
dedicò per arrivare di
fronte a Gabriel e posare le mani sul cornicione, ai lati del corpo
dell’altro,
furono lenti e precisi. Non voleva fargli credere che potesse avere
tutto e
subito da lui; e questo anche se moriva dalla voglia di accontentarlo.
La mano
di Gabriel raggiunse il suo collo e Balthazar curvò la
schiena.
Il sole calante sparì dietro le loro bocche.
Le dita di Gabriel scivolarono fino al braccio di Balthazar e
questo
andò a mettere tra i loro volti una piccola distanza, non
troppa da non potersi
concedere un secondo bacio ma abbastanza da guardarsi negli occhi. Si
sorrisero,
sbruffoni, divertiti; felici.
« Sai cosa? Potrei aver trovato quella cosa che ti dicevo
prima.»
« Oh, dici davvero? »
« Forse.» l’arcangelo ghignò
un poco e l’angelo lo seguì. « Sempre
che non si
faccia ammazzare di nuovo.»
« Non credo lo farà. Ha qualcuno che senza di lui
morirebbe di solitudine. »
« Non mi dire.»
« Già. Ti dirò, credo che quel Qualcuno
sia il suo Qualcosa. »
« Ma
davvero? »
« Forse. Forse sì.
Al cento per cento. »