Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: ShadowOnTheWall_    22/04/2014    0 recensioni
[Possibili Spoiler della quarta stagione e presenza di OC]
Il potere risiede dove gli uomini credono che risieda. Può essere considerato un gioco da guitti, un drago di pezza. La lotta per ottenerlo, però, è reale, sanguigna e pregna di distruzione e soltanto il più forte riuscirà a sopravvivere, a sedere sul Trono di Spade e riportare la pace nel Continente Occidentale. E il gioco dei troni divenne una danza mortifera tra il drago e il leone.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jaime Lannister, Joffrey Baratheon, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Spoiler!, Tematiche delicate
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Mentre Myrcella si allontanava da Approdo del Re, Tommen aveva cercato in tutti i modi di non piangere e di non salire egli stesso sulla piccola imbarcazione che la stava portando via. In un luogo in cui non avrebbe mai potuto raggiungerla senza una motivazione accettabile. Aveva pianto, ma non aveva urlato di bloccare la nave e di restituirgli la sua amata sorella. Perché Myrcella era sua e di nessun altro. Mai. Sempre sua. Solo sua. Questo, però, non aveva avuto rilevanza per nessuno all’interno della corte.
Non aveva emesso fiato neanche quando Joffrey l’aveva ridicolizzato dinanzi a tutte le persone riunite per scontrare la più giovane delle due principesse di Westeros. Tommen sapeva che se solo avesse schiuso le labbra, tutti i suoi sentimenti si sarebbero riversati intorno a lui. E non poteva far sì che accadesse. A dispetto di ciò che suo fratello poteva pensare, Tommen non era affatto uno sciocco. Sapeva attendere.
Shirhae era al suo fianco, in uno splendido abito smeraldino che le faceva risaltare gli occhi colmi di lacrime trattenute, fiera e orgogliosa leonessa che non avrebbe mai mostrato la propria debolezza. Tommen l’ammirava. Tommen non riusciva a nascondere nulla.
 Sua madre aveva promesso a suo zio che gli avrebbe strappato la sua gioia più grande, ma Tommen non aveva trovato sollievo in quella minaccia. Myrcella non sarebbe tornata in ogni caso. E Tommen avrebbe preferito in cuor suo che suo zio fosse felice, che conoscesse anche lui l’amore vero. Forse l’avrebbe aiutato a comprendere cosa provasse il piccolo leone che non riusciva a smettere di osservare la barca divenire sempre più puntiforme. Il piccolo e coraggioso leone che non riusciva a smettere di piangere.
Myrcella era entrata quasi in lacrime nelle sue stanze di primo mattino. Aveva subito chiuso la spessa porta di noce dietro di sé per non attirare gli sguardi indiscreti e aveva fatto del suo meglio per trattenere le lacrime. Era una Baratheon e una Lannister. Una principessa di Westeros. Non doveva mostrarsi debole. E poi non voleva spaventare il suo fratellino, l’unico che potesse confortarla. L’unico che provasse così tanto amore per lei da ascoltare il suo dolore. Sua sorella, la splendida e affascinante Shirhae, la dolce e solare principessa, non avrebbe mai potuto comprendere cosa turbasse davvero la giovane poiché aveva sempre sognato di sposarsi e divenire la Lady cantata nelle ballate, e Myrcella necessitava di qualcuno con cui potesse sfogarsi.
Tommen era ancora a letto e stava sognando. Suo zio Jaime era tornato alla Fortezza Rossa, dopo essersi liberato abilmente dalla sua prigionia, come un vero cavaliere, e gli stava insegnando ad utilizzare la spada. Nel suo sogno Tommen brandiva un bastone, proprio come durante i primi allenamenti un anno prima. Gli mancavano, i loro scontri sotto il Sole della capitale. Sua madre e la sua sorella maggiore non erano presenti, ma in quel momento non gli sembrò affatto un problema. Myrcella li stava osservando accomodata su una panchina. Era più bella del solito e Tommen poteva bearsi del suo dolce e luminoso sorriso che avrebbe rischiarato la più uggiosa mattinata invernale. In verità Tommen non aveva mai sentito il gelo dell’inverno, ma sapeva che sua sorella avrebbe potuto riportare l’Estate soltanto ridendo leggermente. Nel suo sogno Myrcella lo spronava a combattere e si complimentava con lui per i suoi affondi. Anche suo zio sorrideva. Negli occhi verdi poteva scorgere tutto l’orgoglio che suo fratello Joffrey non avrebbe mai potuto mai sentire su di sé. Stava quasi per sferrare il colpo finale e disarmare suo zio quando percepì delle scosse sulle spalle.
« Tom…,» lo richiamò una voce lontana, dolce e musicale. Una voce amata. Vi era una nota sbagliata. Di afflizione e preoccupazione, però al bambino non importava. Voleva ancora riposare e sognare. Poteva percepire le braccia di suo zio stringerlo a sé mentre lo sollevava e gli baciava la fronte, fiero per i suoi progressi, « Svegliati, Tom,» continuò imperterrita scuotendolo ancora un po’. Tommen fu costretto a destarsi del tutto e l’immagine di suo zio scomparve. Fu sostituita da una altrettanto gradita. Quella dell’unica fanciulla che avrebbe mai potuto toccargli il cuore.
« Cella,» la chiamò dolcemente prima di scoccarle un sorriso pieno e splendente. Era felice di vederla. Non era inusuale che sua sorella lo svegliasse al mattino. Per questo non si allarmò. Di solito, però, spalancava le tende e lasciava entrare il Sole. Poi rideva, come solo lei sapeva fare, e gli baciava leggermente le labbra. A Tommen sembrava sempre di destarsi da un sogno e viverne un altro, « Un così bel sogno,» aggiunse tra sé sbadigliando e stropicciandosi gli occhi smeraldini. Vi era una nota sbagliata. Questo il bambino lo percepiva. Sua sorella non rideva. Schiuse gli occhi e la osservò. Myrcella era sempre splendida e la sua avvenenza oscurava persino quella del Sole. Quella mattina indossava un abito rosato impreziosito da dei disegni dorati su di una fascia violetta intorno alla vita. I lunghi e profumati capelli biondi le ricadevano sulle spalle strette e la fasciavano come creando degli immaginari monili aurei. Myrcella non aveva bisogno di gioielli per risplendere. Era una leonessa dorata. E lui era un leone, nonostante Shirhae avesse affermato, a malincuore e sospirando, che erano cervi come il padre. Il loro posto era l’uno al fianco dell’altra. Però Myrcella aveva gli occhi arrossati e gli zigomi erano velati da una patina cristallina, « Stai piangendo? Qualcuno ti ha fatto del male?» domandò divenendo improvvisamente serio, accarezzandole gli avambracci e facendola avvicinare alle lenzuola candide del suo enorme letto principesco. Myrcella accolse l’offerta e salì sulle coperte per poi immergersi nell’abbraccio dolce e invitante di suo fratello. Tommen si lasciò invadere dal profumo lieve della fanciulla e la strinse maggiormente a sé, baciandole la fronte. Myrcella sorrise per quel gesto confortevole e quasi paterno, ma subito tutta quella orribile situazione la investì con la potenza di un tornado. Quella era l’ultima mattina in cui avrebbe potuto condividere il letto con Tommen. L’ultima mattina in cui avrebbe potuto baciarlo e stringerlo e sperare. Sperare che anche ad un Baratheon poteva essere concessa la stessa possibilità di un Targaryen.
« Lo zio Tyrion,» sussurrò posando una mano sul petto di suo fratello. I loro visi erano quasi a contatto e Tommen poteva percepire il respiro di sua sorella sulle labbra. Quasi si chinò a sfiorare quelle calde e rosee di Myrcella e accarezzarle con le proprie. Ma la notizia lo sconvolse a tal punto da fargli spalancare gli occhi smeraldini screziati di oro.
« Cosa?» esclamò quasi inorridito, come per invitare la sorella a negare ciò che aveva appena affermato. Suo zio era un uomo buono. Portava sempre dei doni per lui e Myrcella. Aveva sempre una parola gentile e raccontava loro storie di draghi e di leoni. Era un uomo furbo e straordinario, che riusciva sempre a strappargli un’allegra risata. No, lo zio non avrebbe mai potuto fare del male a sua sorella, « Lo zio non lo farebbe mai, Cella. Lui ci vuole bene. Tanto bene,» tentò di farla ragionare sottovoce, stringendola maggiormente a sé. Myrcella scosse il capo e alcune ciocche dorate coprirono il medaglione con lo stemma dei Lannister che la loro madre le aveva donato sette anni prima.
« Mi darà in sposa a Trystane Martell,» annunciò d’un fiato con voce sommessa. Fu come se Tommen avesse ricevuto una stiletta gelida dritta al cuore. Sposa. Trystane Martell. Sposa. Quelle parole gli attraversarono la mente per arrivare sino al cuore che perse un battito. Sua sorella era troppo giovane per sposarsi. E poi nessuno, nessuno avrebbe mai potuto amarla quanto la amava lui. Turbato dalla notizia, Tommen schiuse le labbra incapace di articolare parola, « Non lo voglio,» sussurrò contro la sua guancia prima di accoccolarsi nell’incavo del suo collo. Sua sorella non voleva quel lontano Principe di Dorne. Sua sorella voleva lui, Tommen ne era certo. Myrcella l’amava proprio quanto lui amasse lei.
« Andrò a parlare con lo zio,» le promise tentando di mantenere la calma. Però tremava già perché in cuor suo sapeva di non poter far nulla per impedirlo. Se l’accordo con Doran Nymeros Martell, il Principe di Dorne, era stato già sottoscritto, allora niente e nessuno avrebbe mai potuto spezzarlo, « Lui non può. Non può mandarti via. Non è possibile,» quasi rantolò prima di piangere e stringerla più forte. Nessuno poteva portare Myrcella via da lui. Dorne distava leghe da Approdo del Re. Leghe che li avrebbero irrimediabilmente divisi. Al solo pensiero che la sua Myrcella potesse stringersi in un abbraccio con altri, o che potesse baciare un altro, o che potesse ridere alle battute di qualcun altro, gli stringeva il cuore in una morsa crudele e gelida. Ma Tommen era un leone. E i leoni dovevano rimanere imperturbabili. Ricacciò le lacrime e carezzò le braccia di sua sorella, baciandole il capo e facendosi più vicino a lei.
Myrcella tremava leggermente, domandandosi perché suo zio aveva deciso che lei, una bambina di soli nove anni, dovesse sposarsi quando sua sorella, quindicenne e in condizione di potersi maritare, era ancora nubile. L’aveva chiesto a sua madre, ma la regina non le aveva risposto. Si era limitata a bere un sorso di vino dal suo calice d’oro continuando a guardare dinanzi a sé come se sua figlia non fosse stata nelle sue stanze.
La risposta di Shirhae non era stata più esplicativa, anzi l’aveva resa ancora più dubbiosa. Shirhae aveva sospirato, melanconica e infelice, mentre affermava che forse non era nel suo Destino sposarsi e creare una famiglia.  
« Cosa farò senza di te?» mormorò tornando a d osservare suo fratello che le stava accarezzando i lunghi capelli biondi, lasciati sciolti e ricci sulle spalle strette, « Senza nostra madre? Senza Shirhae? Non avrò nessuno,» soggiunse tra sé sottovoce, angosciata, pregando gli Dei, Antichi, Nuovi e tutti gli altri mai esistiti, che il suo promesso sposo non fosse crudele e che non fosse un selvaggio. Sua madre una volta le aveva riferito che i Martell erano pericolosi e scortesi, ma Shirhae aveva ribattuto che la sua era soltanto gelosia poiché Rhaegar Targaryen aveva sposato Elia Martell e non Cersei Lannister.
« Io parlerò con zio Tyrion.»
« Oh Tom, tu non puoi far nulla. È stato già tutto deciso. Partirò domani all’alba,» esclamò Myrcella, spezzando tutti i suoi sogni. E tutto ciò che Tommen poté fare fu baciarle la labbra e stringerla a sé, pregando che l’alba del giorno dopo non sorgesse mai.
Il Mare Stretto brillava sotto la luce del Sole tiepido tipico dell’Autunno. Non vi erano nubi nel cielo, ma il vento soffiava gelido agitando la superficie cristallina. Il canto dei gabbiani risuonava alto sulla spiaggia dorata. Era un paesaggio malinconico e il principe Tommen, un ragazzo di nove anni, biondo e alto per la sua età, lo osservava con un lieve sorriso sulle labbra. Aveva i gomiti appoggiati sulla fredda pietra delle mura cittadine, Ser Merryn Trant alle sue spalle osservava il popolo e i soldati che passeggiavano trasportando vasi e armamenti. Gli ultimi effetti della battaglia delle Acque Nere, che tanto l’aveva atterrito, erano le tre catapulte dalle quali Joffrey aveva lanciato i dissidenti traditori che avevano tentato di far penetrare Stannis Baratheon all’interno della capitale. Le mura erano state riparate in fretta, per il timore di un altro attacco che avrebbe trovato impreparati soldati e cittadini. Sulla spiaggia erano ancora presenti i resti delle navi nemiche incendiate dall’Altofuoco, l’arma utilizzata da suo zio Tyrion per evitare il massacro.
Tanto era mutato in un anno. Dalla morte di suo padre, Re Robert Baratheon, Primo del suo Nome, gli avvenimenti si erano succeduti frenetici e incalzanti, mentre il principe rimpiangeva la pace della sua infanzia. La morte di Ned Stark, il suo capo reciso da Ilyn Payne che ancora lo tormentava di notte, come la supplica di Lady Sansa nelle orecchie e il sorriso compiaciuto di Joffrey dinanzi al suo viso, era stata la miccia che aveva scatenato la guerra contro il Nord e le Terre dei Fiumi. Robb Stark, il Giovane Lupo, era morto per mano del suo alfiere e di Lord Frey e il Nord era caduto in disgrazia. Suo zio Stannis, il quale aveva promulgato una lettera nella quale vi era scritto che lui, Joffrey e Myrcella erano frutto di incesto, li aveva attaccati, ma era stato annientato da suo nonno e dai Tyrell. Suo zio Renly, nominatosi re, era morto in circostanze misteriose. La guerra sembrava essere volta al termine, ma Tommen nutriva un vigoroso senso di oppressione sul cuore. Quel mondo era crudele e il principe avrebbe dovuto comprenderlo prima che lo divorasse con i suoi denti aguzzi. Soltanto i più forti potevano vivere e Tommen doveva armarsi di astuzia e saggezza.
« Tom,» lo chiamò una voce cristallina e dolce, facendolo riemergere da quei pensieri di guerra. Tommen, in verità, non comprendeva la ragione per la quale quel gioco, quella corsa al trono, era cominciato. Nessuno gli aveva spiegato che gli uomini erano avidi di potere e che era piuttosto semplice incoccarne le frecce. Nessuno tranne Shirhae. Si volse ad osservare sua sorella avanzare verso di lui, i lunghi capelli biondi acconciati in una treccia elaborata, gli orli dell’abito amarantino animati dal vento e le forme gentili che si intravedevano. Suo zio Kevan, non appena l’aveva scorta, l’aveva chiamata Cersei per poi correggersi e scusarsi con lei. Shirhae era la loro madre da giovane, la fierezza nello sguardo e la grazia nei modi. Una regina.
« Shirhae,» la accolse con un sorriso mite per poi tornare ad osservare il mare. Poteva scorgere degli uomini a cavallo e dei servitori intenti ad erigere tende per un accampamento fuori dalle mura, ben distante da quello dei Tyrell. Riconosceva qualche vessillo. Erano i signori Dorniani, la delegazione che suo zio Tyrion avrebbe dovuto accogliere quella mattina. Tommen sospirò scuotendo il capo. Sua sorella sicuramente non era tornata.
« Cosa stai facendo, fratellino?» gli domandò posando la mano destra, piccola e candida, sulla sua spalla. Shirhae era una fanciulla dolce, una guida, e il suo sorriso era sempre stato sincero. Aveva raccontato loro favole e leggende, li aveva fatti sognare, ma non aveva mai spiegato loro che quelle storie non erano vere. Che le canzoni non raccontavano nulla di reale.
« Secondo te nostra madre mi permetterà di andare a Dorne da Cella ora che la guerra è finita?» rimuginò tra sé, osservando un vessillo con il Sole caldo di Dorne trafitto da una lancia. Myrcella gli scriveva e le sue lettere erano colme di gioia poiché il principe Trystane era un ragazzo nobile e cortese.
« Tommen, fratellino, Myrcella oramai è una principessa Dorniana. Certamente potrai andare a farle visita, la vedrai ai tornei e alle occasioni ufficiali, ma non sarà mai come prima,» replicò dispiaciuta, gli occhi verdi striati di malinconia. Tommen era certo che ne avvertiva l’assenza tanto quanto mancava a lui, « Forse inizierai il tuo addestramento per divenire un cavaliere. Non ti piacerebbe essere Ser Tommen?» esclamò prima che le sue labbra rosee si distendessero in un sorriso armonioso che le faceva risaltare i tratti gentili. Tutto ciò che Tommen aveva sempre desiderato era divenire un cavaliere come suo zio Jaime, invincibile e senza timore alcuno, e Shirhae lo sapeva bene. Tommen ricambiò il sorriso e posò le labbra sulla sua guancia, ringraziandola per il suo affetto. L’avrebbe resa orgogliosa, era una promessa. 
  
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