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Autore: atl340    22/04/2014    1 recensioni
(...) Accettando, almeno per il momento, la sconfitta, Jack sospirò e scivolò nella sedia di fianco alla sua, prendendo uno dei fogli dal banco di Alex e leggendo ciò che vi era scritto. Come sempre si trattava di qualcosa che andava oltre ciò che Jack era in grado di apprezzare, e sorrise ai dettagli di ciò che aveva scritto il suo migliore amico, sorrise a tutte quelle parole di cui non sapeva neanche il significato. (...)
Anche se aveva problemi dal punto di vista sociale, era raro che Alex potesse essere battuto su quello dell’apprendimento.
La prova si trovava sul foglio che stava tenendo in mano, e Jack sorrise.
Gli individui affetti da sindrome di Asperger si concentrano quasi esclusivamente su uno specifico talento che posseggono.
(Jalex; AU; TRADUZIONE)
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alex Gaskarth, Jack Barakat
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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                                                                             GUTS
                              
Autrice: atl340 on livejoural.com (ingoldblo0d on twitter)
Traduttrice: Just a sad song
Raiting: giallo
Pairing: Jalex (Jack/Alex)
Note: Slash, AU, Traduzione.

Link alla fanfiction originale: http://atl340.livejournal.com/11437.html#cutid1

DISCLAIMER: THE MATERIAL PRESENT IN THIS ACCOUNT CONSISTS OF THE TRANSLATION OF THE FANFICTION "GUTS", BY ATL340 AND THE ENTIRE WORK BELONGS EXCUSIVELY TO ITS AUTHOR;THE TRANSLATION, HOWEVER, BELONGS TO THE OWNER OF THIS ACCOUNT, ANTONIA (Just a sad song), WHO DOES NOT GET PAID IN ANY FORM FOR HER WORK.

IMPORTANTE: lo sviluppo di questa storia è fortemente influenzato dalla sindrome di Asperger, sindrome di cui uno dei protagonisti (come leggerete tra qualche riga) è affetto. Non essendo specializzata in questo campo ed avendo a disposizione solo le informazioni che ho trovato su internet, vi lascio il link della pagina wiki dedicata proprio a questa sindrome http://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Asperger . La dicitura 'tematiche delicate' è legata proprio alla presenza di questo disturbo.

Vi auguro buona lettura e spero di vedere qualche recensione :)
Antonia (Just a sad song)

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«Hai dormito bene stanotte?»

Battendo gli occhi e spostando gli occhi sul tavolo, Alex notò il suo migliore amico intento ad osservarlo con attenzione mentre mangiava. In passato le sue guance sarebbero arrossite in seguito a quello sguardo, ma ora, dopo così tanti anni, Alex alzò semplicemente il viso con fare interrogativo.

«C-cosa?»

Osservò con occhi attenti il più piccolo mentre posava il cucchiaio nella tazza con un lieve tintinnio.

«Sembri molto stanco.» spiegò dolcemente, e gli occhi di Alex puntarono verso il basso, mentre un leggero calore ricopriva le sue guance.

«Mia madre ha tipo… riorganizzato la camera, diciamo. » mormorò a bassa voce, «Mi ha un po’ scombussolato.»

Aveva fatto molto più che scombussolarlo, lo aveva portato a rigirarsi tutta la notte con lacrime di frustrazione negli occhi fino a quando non ebbe semplicemente lasciato perdere, decidendo invece di buttare le coperte per terra, prendere una penna ed il suo quaderno ed iniziare a scrivere, raggomitolato nel confortevole spazio sotto la finestra. Così facendo non era riuscito a chiudere occhio, ma non lo disse ad alta voce. Jack lo avrebbe intuito in ogni caso.

A quel punto il più piccolo sospirò, quasi in maniera colpevole, mentre prendeva il piatto vuoto di Alex insieme al suo e li posava nel lavandino affinché sua madre li lavasse.

«Ti ci abituerai» tentò, e quando i loro occhi si incrociarono Alex annuì leggermente, riconoscente. Era la cosa che Jack diceva sempre, perché non c’era davvero nient’altro che potesse dire. E anche se erano migliori amici, Jack capiva meglio di chiunque altro –anche meglio dello stesso Alex, qualche volta- che ciò continuava a far incendiare le guance del più grande con una sfumatura di imbarazzo perché era semplicemente stupido il fatto che non riuscisse a dormire solo perché sua madre aveva fatto qualche minimo cambiamento nella sua stanza, cambiamento che Jack non sarebbe nemmeno stato in grado di notare.

Alex spostò lo sguardo, fermandosi ad osservare l’orario dall’orologio sul muro mentre Jack si sedeva di nuovo e cercava la sua mano sotto il tavolo per stringergliela. Era solo un piccolo conforto che rendeva Alex riconoscente, tanto da farlo girare e portarlo a guardare Jack negli occhi per un po’, per poi sospirare e spingere la sedia, stringendo un po’ di più la mano dell’altro prima di lasciarla.

«Faremo tardi a scuola» borbottò, e anche se non era vero, anche se sapeva che sarebbero arrivati ridicolmente in anticipo, Jack concordò come faceva sempre, con un leggero sospiro, alzando la zip della sua felpa prima di uscire con il più grande ed incamminarsi verso il college.

---

A Jack già piaceva il nuovo college.

Non tanto per il lato educativo, dato che non glie ne importava proprio niente —ma per il campus, le persone che lo frequentavano.

E forse le persone erano la cosa più importante per lui.

Il liceo… non era andato bene per Alex, di conseguenza neanche per Jack. Era una luogo in cui il più piccolo era davvero felice che ne lui ne il suo amico dovessero più tornare. Erano stati al college solo per una settimana, ma Jack sapeva che sarebbe andato tutto bene lì. O meglio, sapeva che Alex sarebbe stato bene, e quello era l’obbiettivo.

Le persone lì capivano –sia gli insegnanti che gli studenti— e per questo avevano ricevuto tutta l’approvazione del più piccolo. Fino a quel momento aveva controllato il posto, facendo molta attenzione alle reazioni che ognuno aveva nel relazionarsi con Alex, e sapeva che forse era un po’ esagerato, ma semplicemente non voleva assolutamente ripetere l’esperienza del liceo. Per niente. Voleva che i successivi due anni fossero felici per Alex, e se non avesse ritenuto quel luogo adatto, non avrebbe esitato a cambiare istituto insieme all’altro ragazzo per andare da qualche altra parte, senza dare conto ad eventuali problemi e spese.

Questi erano ormai stati accettati come parte del pacchetto, comunque.

In ogni caso, le paure di Jack e le sue preoccupazioni si erano rivelate inutili. Lì era diverso, tutto era più maturo, e anche se tutti gli insegnanti sapevano di Alex e anche alcuni studenti che aveva incontrato lo avevano intuito, tutto era andato per il meglio. Nessuno lo aveva preso in giro ne commiserato e Jack era davvero, davvero grato di ciò.

Era abbastanza sicuro che ne era valsa la pena, lavorare in diversi posti, mettere da parte dei soldi e prendere parte a lezioni private per far alzare i suoi voti, affinché riuscisse ad arrivare al livello richiesto per entrare nel college dove Alex voleva andare.

Magari il più grande sarebbe riuscito ad essere finalmente felice lì, e il sol pensiero fece sorridere Jack mentre lui ed Alex entravano nell’aula -solo dieci minuti dopo essere usciti da casa- per dirigersi verso il suo fondo, dove il più grande si sedette sulla sedia nell’angolo. Alex non disse nulla, ma Jack sapeva che essere isolato da tutto il resto lo faceva sentire più a suo agio.

Questo non voleva dire che lui non ci provasse, comunque, a farlo sedere avanti. Semplicemente… voleva che l’altro stesse bene, ma allo stesso tempo voleva spingerlo un po’, migliorare il suo modo di relazionarsi in modo tale da tenere sotto controllo la sua condizione, batterla.

Ma Alex non era per niente accondiscende in questo campo, quindi scuoteva ogni volta la testa mentre tirava fuori dallo zaino dei fogli su cui aveva scritto con la sua ordinata grafia.

Accettando, almeno per il momento, la sconfitta, Jack sospirò e scivolò nella sedia di fianco alla sua, prendendo uno dei fogli dal banco di Alex e leggendo ciò che vi era scritto.

Come sempre si trattava di qualcosa che andava oltre ciò che Jack era in grado di apprezzare, e sorrise ai dettagli di ciò che aveva scritto il suo migliore amico, sorrise a tutte quelle parole di cui non sapeva neanche il significato.

Perché questo era il problema delle persone male informate ed ignoranti: pensavano che Alex fosse stupido.
Non lo era.
Era più intelligente di Jack, più intelligente della maggior parte degli studenti del loro liceo, e magari anche più intelligente della maggior parte delle persone che frequentavano quel college.

Anche se aveva problemi dal punto di vista sociale, era raro che Alex potesse essere battuto su quello dell’apprendimento.

La prova si trovava sul foglio che stava tenendo in mano, e Jack sorrise.

Gli individui affetti da sindrome di Asperger si concentrano quasi esclusivamente su uno specifico talento che posseggono.

Questo era solo uno dei periodi che ricordava dopo aver letto innumerevoli libri ed articoli a riguardo, durante gli anni.

Il dono di Alex era, senza ombra di dubbio, la scrittura. Ed era davvero stupefacente. Aveva scritto risme su risme in tutta la sua vita, talvolta anche solo descrizioni di ciò che aveva intorno, mentre altre volte erano lunghe e dettagliate storie che necessitavano una immaginazione tanto grande da far sì  che finanche Jack rimanesse stupito dalle capacità del suo migliore amico.

Non era quindi strano il fatto che il ragazzo stesse studiando Inglese, e dopo aver letto qualche riga del nuovo componimento di Alex, Jack era sicuro che il più grande avrebbe ottenuto senza sforzo i migliori risultati in quel corso. Quel pensiero gli causò una piacevole ondata di sollievo nello stomaco.

«E’ davvero bello.» commentò, poggiandosi allo schienale della sedia con un sorriso che scomparve poco dopo mentre Alex appallottolava il foglio in risposta. Lo faceva sempre.

«Potrebbe essere migliore.» borbottò il più grande in maniera assente, mentre scriveva su un altro foglio.

E Jack non poté fare altro che sospirare, facendo terminare la ripetitiva conversazione come aveva sempre fatto.

«Certamente.»

Aveva capito che era più semplice concordare con l’amico piuttosto che discutere.

---

La sindrome di Asperger portava molte pressioni alla vita di Alex.

Fondamentalmente, queste pressioni erano relative al tempo.

La routine: questo era ciò su cui si fondava tutto. Tutto quanto era ripetuto allo stesso modo tutti i giorni, contando finanche i minuti per evitare di sgarrare. Il moro non era in grado di ricordare un giorno in cui non si fosse svegliato alle 6, non avesse fatto la doccia per undici minuti prima di vestirsi e scendere in cucina per aspettare un’ora, prima di camminare verso la casa di Jack.

Non riusciva a ricordare un singolo giorno in cui non avesse pianificato con precisione una colazione di venti minuti seguita dal tragitto verso la scuola a cui forzava anche il suo migliore amico.

Tutto si era svolto in quel modo anche prima che lui avesse una vaga idea di cosa ‘Asperger’ significasse, e le poche occasioni in cui i suoi genitori o Jack avevano provato a variare quella routine, erano sempre finite con numerosi pianti.

In generale pianti di frustrazione, perché anche dopo tutto quel tempo non riuscivano a capire quanto fosse importante per Alex quella routine. Lo manteneva lucido, lasciava la sua ansia a livelli normali. Era come una linea di guida della sua vita, e la sua mente non contemplava neanche l’idea di essere come Jack, che si alzava quando voleva e faceva la prima cosa che gli veniva in mente. Non c’era nessun ordine, e quell’idea era talmente insopportabile da far contorcere le interiora di Alex.

Ma in ogni caso, Jack non aveva la libertà di fare tutto ciò che Alex non poteva, per il semplice fatto che le loro vite erano talmente intrecciate che anche la meticolosa routine di Alex non poteva fare altro che tirarsi dietro anche Jack.

Il più grande non poteva farci niente, davvero non poteva, ma se il suo amico non era pronto con la colazione sul tavolo alle 7:40 ogni mattina, sicuramente ne sarebbero conseguite lacrime e scenate. Non era in grado di sopportare l’idea di essere in ritardo anche solo di pochissimo.

La routine era tutto, e quel bisogno di organizzazione precisa non andava in modalità ‘off’ neanche nei fine settimana.

Era modificato, comunque, perché Alex si sentiva abbastanza colpevole già solo facendo portare a Jack questo fardello durante la settimana. Non riusciva a togliergli anche quei due giorni di riposo, quindi anche se voleva solo alzarsi alle sei come al solito e andare a casa dell’amico, si costringeva a rimanere fermo, gironzolando ansiosamente nella sua casa fino a quando Jack non decideva di arrivare.

Il fatto che il ragazzo si presentasse ad un orario diverso ogni week-end lo faceva impazzire, ma non diceva mai nulla. Sapeva quanto fosse stato fortunato ad aver trovato qualcuno in grado di adattarsi alla sua routine e… prendersi cura di Alex come lui faceva. Il più grande, quindi, non decideva per Jack cosa dovesse fare o meno nei week-ends fondamentalmente perché non voleva, ma anche perché nella sua testa c’era sempre una vocina spaventata che lo avvertiva di non tirare troppo la corda.

Perché Jack non era per nulla obbligato a fare tutto ciò che aveva fatto fin da quando si erano conosciuti.

Non era stato obbligato a proteggere Alex al liceo, non era stato obbligato ad avere la pazienza di un santo in grado di sopportare la routine del più grande, e non era stato obbligato a lavorare durante tutta l’estate per risparmiare il denaro necessario per pagare il college che Alex aveva scelto.

Non era stato obbligato a fare nessuna di quelle cose, ma lui le aveva fatte e Alex non poteva rischiare. Non poteva rischiare qualcuno che era sempre stato così fedelmente al suo fianco.

E forse era proprio quello, il suo essere così incredibilmente fedele, che rendeva incredibile il tutto anche per il più grande.

Alex era stato il motivo per cui il liceo era stato così terrificante, il motivo per cui gli altri ragazzi avevano fatto ciò che avevano fatto. Jack avrebbe potuto lavarsene le mani in qualsiasi momento ma non lo aveva fatto, aveva semplicemente preso l’ennesimo fardello dalle spalle di Alex e lo aveva reso suo, senza domande, senza ripensamenti.

E quando l’idea della fine del liceo aveva iniziato a farsi strada, Jack non aveva la minima voglia di iscriversi ad un college. Non sapeva cosa voleva fare, ma una tale educazione non era sicuramente parte del piano. E nonostante ciò, poiché Alex voleva andarci, e poiché per motivi ignoti il più piccolo era sempre con lui in qualunque cosa, aveva lavorato ovunque era stato in grado di farlo, usando poi metà dei soldi per la quota di iscrizione e l’altra metà per le lezioni private necessarie affinché i suoi voti raggiungessero quelli standard richiesti per andare al college con Alex.

Qualche volta, quando ci pensava, il più grande non poteva fare altro che rimanere a bocca aperta per il fatto che Jack aveva fatto tutto ciò solo per stare con lui. Non lo meritava, non c’era discussione a riguardo. Ma allo stesso tempo non c’era discussione sul fatto che lui ne avesse bisogno.

Era già abbastanza dura con Jack al suo fianco. Se non ci fosse stato… Alex non sapeva come sarebbe sopravvissuto.

Perché per quanto i suoi genitori provassero a capire la sua condizione, loro… non ci riuscivano. Sua madre non riusciva a capire perché Alex si rattristiva così tanto nel vederla cambiare le lenzuola, o sistemare qualcosa in camera. Non capiva perché gli faceva quasi pizzicare la pelle e gli rendeva impossibile dormire. Neanche Alex ci riusciva, sapeva solo che le sue mani iniziavano a sudare quando le cose non erano nello stesso posto in cui erano il giorno prima.

Questa era la sorprendente caratteristica di Jack: era in grado di capire Alex anche quando neanche lui stesso ci riusciva. Quando l’amico si sentiva abbastanza a suo agio da spiegargli ciò che provava, che fosse ansia o paura, Jack non lo guardava mai di traverso come tutti gli altri facevano. Si comportava invece come un insegnante, annuendo e parlando di alcune cose che ricordava dai libri ed articoli che aveva letto a proposito della sindrome.

Parlava, parlava fino a quando Alex non poteva fare altro che ridere per il tono serio dell’amico.

E a quel punto avrebbe sorriso, perché Jack lo faceva sempre sentire come se fosse tutto okay, come se fosse normale anche se era evidente che non lo era. Rassicurava Alex che tutto ciò che provava andava bene, e talvolta ciò faceva una enorme differenza.

Quindi Alex non meritava Jack, ma ciò non voleva dire che lo voleva lasciar andare via.

E per questo, anche se lo uccideva, non gli imponeva una routine anche il sabato e la domenica. Si muoveva senza meta con un formicolio sotto la pelle e lasciava che Jack avesse una specie di vita normale per uno o due giorni.

Una piccola parte di Alex –molto piccola- voleva che il suo migliore amico non venisse nei fine settimana, voleva che fosse in grado di uscire normalmente e fare cose che non necessitavano un ordine specifico. Non voleva avere il monopolio della vita di Jack come sapeva già di avere. Qualche volta voleva che Jack si dimenticasse di lui per un po’, che si rilassasse.

Ma era solo una piccola parte.

Il resto di lui era egoista, e voleva Jack con se il più possibile. Il più grande era tutto per lui, e Alex provava così tanto amore e rispetto nei suoi confronti solo per il fatto che era rimasto. La sua vita era basata su Jack, anche se non voleva. Era la sua ancora, ne aveva bisogno e lo voleva.

Per questo, anche se una piccola parte di se si sentiva colpevole, la maggior parte rinasceva ogni volta che Jack varcava la porta di Sabato e Domenica mattina e lo abbracciava strettamente con il suo caratteristico sorriso.

Il mondo di Alex girava sempre più attorno  a lui ogni giorno che passava.

---

Per quanto volesse bene al suo migliore amico –tanto, davvero tanto- qualche volta era più difficile del solito avere a che fare con il comportamento di Alex.

Quando si svegliò un martedì mattina, già sapeva che quello sarebbe stato uno di quei giorni più difficili.
Gemendo nel leggere le lettere rosse dell’orologio che indicavano le 7:38, Jack seppellì il viso sotto cuscino e pensò che Alex sarebbe arrivato tra due minuti, si sarebbe lamentato del fatto che l’amico non aveva ancora fatto la doccia e che la colazione non era ancora pronta.

La sua vita faceva schifo.

Riflettendo sul da farsi, il più piccolo sospirò e decise di saltare la doccia, trascinandosi fuori dal letto e cercando di vestirsi con gli occhi semi-chiusi.

‘Stronzo’ borbottò tra se e se, non sapendo se aveva dimenticato di impostare la sveglia, se aveva premuto i tasto ‘snooze’ o se aveva semplicemente dormito e basta. In ogni caso Alex si sarebbe arrabbiato e Jack si lamentò sottovoce, notando il cambiamento dei numeri da 7:38 a 7:39 prima di scendere giù per le scale ed aprire i mobili della cucina per prendere i cereali, fare il caffè e sistemare il tavolo e sistemarsi in modo tale da non far capire che si era svegliato venti secondi prima; il tutto nello stesso momento.

Non avrebbe fatto alcuna differenza, ma Jack ci provò comunque.

Prendendo due tazze dalla mensola più in alto, il ragazzo sospirò nel vedere lo stato di quella che aveva nella mano sinistra. Era di blu, di plastica e leggermente scheggiata, per non parlare del colore che si era ormai sbiadito dopo i numerosi lavaggi. Alex si rifiutava di usarne un’altra, comunque.

Stava giusto riempiendo quella tazza quando sentì un leggero bussare alla porta seguito dall’entrata dell’amico.

Jack si trovava a sinistra della macchinetta per il caffè, con i denti che torturavano il labbro inferiore, e non provò neanche a salutare Alex, lasciandogli del tempo per abituarsi alla situazione.

Sembrava che stesse facendo il suo meglio per non sembrare troppo visibile.

«A-Alex», Jack mormorò in tono di scuse «La sveglia…»

Smise di parlare, non sapendo cosa altro dire. Vedeva che Alex stava provando a non arrabbiarsi o rattristirsi, e anche se sapeva che non avrebbe funzionato, Jack gli era riconoscente per lo sforzo.

«Mi dispiace.» sussurrò infine, versando il caffè nelle due tazze. «Dobbiamo solo mangiare un po’ più velocemente, okay? TI prometto che usciremo in tempo… anche prima, se vuoi.»

Stava vaneggiando e lo sapeva, ma sentì lo stesso quel familiare senso di disperazione crescergli dentro nel vedere Alex che avvicinava leggermente le unghie al suo stesso avambraccio.

«Alex finiscila.» ordinò con un tono più duro, mentre vedeva che l’amico aveva iniziato a premere di più sulla pelle «Stai reagendo eccessivamente, vieni a mangiare così ce ne andiamo.»

«Io-»

«Siediti e basta.» Jack strinse i denti.

Mise la sua tazza di cereali sul tavolo con un po’ più forza del normale mentre si sedeva ed ignorava l’imbarazzo che si era impossessato di Alex. Jack non voleva litigare, anzi, il più delle volte era molto più comprensivo di chiunque altro, ma talvolta non ci riusciva. Era anche lui umano, e vedere Alex che provava a farsi del male lo faceva imbestialire.

Anzi, il fatto che Alex decidesse di fare ciò a causa di cose avvenute in pochi minuti lo faceva infuriare. Ogni tanto Jack pensava di poterlo capire, ma in realtà non era mai così, quando il momento arrivava. Faceva tutto ciò che poteva per salvaguardare Alex, quindi lo guardò dopo pochi secondi. Ora l’amico era seduto, e stava mescolando i suoi cereali senza un particolare interesse. Sembrava irradiare tristezza.

Una voce sarcastica sembrò sussurrare bel colpo, coglione nella mente di Jack.

Lamentandosi del suo monologo interiore, il più piccolo cercò la mano di Alex sotto il tavolo. Era un po’ fredda al tatto, ma Jack la prese in ogni caso, stringendola e sussurrando ‘scusa’.

Il più grande fece cadere il suo cucchiaio nella tazza, evitando lo sguardo di Jack e alzando meramente le spalle, e il più piccolo sapeva che quello era il massimo che poteva ottenere. Con un sospiro, strinse ancora un po’ la mano dell’altro prima di alzarsi.

«Dobbiamo andare.»

---

La giornata non migliorò neanche a scuola, anche se Alex cercava di non esaurirsi.

Scrivere lo aveva sempre calmato, e quindi trascorse la prima ora seduto giusto un po’ più lontano del solito da Jack. Le parole sembravano uscire come in un flusso dotato di vita propria, e più di una volta Alex si trovò a cancellare ciò che aveva scritto con movimenti violenti della penna, tanto da avere le punte delle dita bianche per la pressione che stava esercitando sulla penna.

Rispose ai diversi tentativi di Jack di iniziare una conversazione con piccoli brontolii e lamenti, ignorando i sospiri dell’altro che stavano diventando sempre più irritati.

Anche se Alex sapeva che stava esagerando –e lo stava decisamente facendo, perché tecnicamente dopo essere usciti di casa a quell’orario erano finanche in anticipo rispetto alla tabella di marcia— non riusciva comunque a far calmare quella specie di prurito che sentiva sotto la pelle. Aveva bisogno di scrivere ciò che provava perché altrimenti avrebbe fatto una di quelle scenate che di solito faceva al liceo, ed onestamente non voleva che nessun altro le vedesse, non voleva che anche questi ragazzi sapessero dei suoi problemi. Per ora erano stati tutti gentili, e non voleva rovinare quel clima. Non voleva rendere anche il college una esperienza da dimenticare. Non voleva che Jack soffrisse di nuovo con lui.

Cercando di rompere il ghiaccio, Alex si fermò nel mezzo di una frase per passare un foglio sul banco dell’amico. Era solo una descrizione di alcuni posti in cui era stato nel passato. Odiava quando le persone leggevano ciò che scriveva, ma conosceva Jack da quando aveva dodici anni ed ormai sapeva che non aveva mai capito il suo bisogno di avere dei limiti in quel campo.

Di solito prendeva il quaderno di Alex quando lui non stava guardando, leggendo tutto ciò che vi trovava senza lasciargli un minimo di privacy.

Dopo tanti anni il più grande si era ormai abituato, e talvolta lo lasciava leggere con piacere.

Jack iniziò a leggere e sul suo viso si formò un piccolo sorriso che Alex notò mentre guardava di nascosto la sua reazione.

La mano del più piccolo raggiunse il suo fianco pochi secondi dopo, mentre si piegava un po’ di più verso di lui.

«E’ davvero bello.» commentò dolcemente «Batterai tutti in questa materia, lo sai?»

La risposta di Alex fu una alzata di spalle. Aveva deciso di seguire i corsi di Inglese e Letteratura fondamentalmente perché erano le uniche cose in cui era bravo. Gli piaceva scrivere, comunque, e tutti gli avevano sempre detto che aveva un vero e proprio talento in ciò. Il più grande non concordava completamente e non si sentì molto a suo agio nell’udire quelle parole. Il più piccolo era certo che sarebbe andato bene, e Alex aveva quasi paura di deluderlo.

Sentì un brivido pervaderlo quando le dita di Jack iniziarono a toccarlo sul fianco. Le persone come lui non amavano il contatto fisico. Alex si sentiva male anche solo quando i genitori provavano ad abbracciarlo. A Jack però piaceva pensare di essere l’unica eccezione a quella regola, e anche Alex pensava che lo fosse. Quando si sentiva bene, non gli importava che Jack lo stesse abbracciando o toccando. Era l’unico che poteva mostrargli affetto senza far sentire Alex a disagio.

Ma in giorni come quello, quando si trovava letteralmente al limite… quel contatto era decisamente troppo. Quindi si mosse in avanti per liberarsi dalla presa, scivolando poi nella sua normale posizione e facendo finta di non sentire il sospiro frustrato che uscì dalla bocca di Jack mentre ritirava il braccio.

Durante la seconda ora, Alex non si sentiva bene.

Jack era stato piuttosto silenzioso dopo quell’episodio, e il più grande morse in continuazione l’interno della guancia fino a sentire chiaramente un sapore metallico.

Il più piccolo era al suo fianco, ma il suo corpo era girato da tutt’altra parte, e Alex non riusciva a sopportarlo. Non riusciva a sopportare il suo linguaggio del corpo ne il fatto che non stesse neanche riconoscendo la sua presenza, preferendo invece parlare con il suo altro vicino di banco mentre dovevano lavorare.

Anche se sapeva che Jack voleva solo impartirgli una lezione, la situazione lo fece comunque sentire in colpa poiché lui stesso l’aveva causata, come al solito.

Osservò brevemente se qualcuno lo stava guardando prima di piegarsi verso Jack e toccargli la schiena in maniera imbarazzata. Il più piccolo a malapena girò la testa, all’inizio, e poi sospirò rumorosamente, terminando la conversazione con il ragazzo dall’altro lato prima di dargli attenzione.

«Che c’è Alex?»

Il più grande cercò di non rabbrividire nel sentire quel tono. Jack non si arrabbiava spesso con lui.

«E’-è tutto… apposto?»

«Certo.»

«O-okay ma per come mi stavo comportando prima, è stato-»

«Continua a fare quello che stavi facendo, Alex» Jack lo interruppe «Non… non posso avere a che fare con te al momento, quindi… fai quello che stavi facendo.»

La bocca del più grande non ebbe neanche il tempo di aprirsi per la sorpresa prima che Jack si girasse di nuovo, continuando la conversazione con il ragazzo di prima. Alex si sentì come se l’amico gli avesse appena dato un pugno nello stomaco.

E ancora, anche se sapeva che Jack si stava comportando così solo per farlo scusare, Alex non riuscì a non sperare che l’amico riuscisse a capirlo un po’ di più, che riuscisse a capire come funzionava la sua mente, come lui si sentiva. Perché in quella condizione, era come se ogni emozione in grado di essere provata fosse intensificata di un centinaio di volte, e quindi quel piccolo senso di colpa che probabilmente Jack pensava che lui stesse provando era molto, molto di più di quanto potesse pensare.

Alex era sull’orlo delle lacrime quando si sedette di nuovo, mentre una voce nella sua testa gli ricordava quanto fosse stupido ed inutile.

Nelle occasioni in cui i due litigavano, era semplice per Alex ricordare quanto Jack si sacrificasse per lui tutti i giorni. Era semplice ricordare tutto il lavoro che Jack aveva svolto durante l’estate per andare con lui al college. Era facile ricordare che lui non voleva andare al college ma lo aveva comunque fatto solamente per stare con Alex. Era facile ricordare  tutto ciò che Jack aveva passato durante il liceo, le prese in giro e l’isolamento in cui Alex lo aveva trascinato.

Era facile ricordare che tutto il male attraverso il quale Jack era passato era il risultato della condizione di Alex.

Sei solo un peso.

Quella voce all’interno della sua testa parlò di nuovo, ma sapeva che era vero, che era vero al cento per cento, e il cuore di Alex sembrò essere sottoposto ad un vero e proprio dolore fisico, proprio come ogni altra volta in cui avevano litigato; perché odiava essere così, odiava pesare così tanto sulla vita del suo migliore amico.

Rendeva la vita di Jack molto, molto più difficile, e quella era una triste realtà che Alex doveva accettare insieme alle altre cose che lo abbattevano più di tutto.

Non voleva fargli del male, non voleva farlo sentire respinto come sicuramente si era sentito prima. Non voleva rendere Jack triste, ma in qualche modo ci riusciva sempre.

Voleva che Jack fosse un po’ meno… permaloso in casi come quello, voleva che le azioni di Alex non lo colpissero così nel profondo, perché il più grande non faceva davvero con lo scopo di rattristarlo.

Ma come poteva Alex anche solo pensare quelle cose, dopo tutto ciò che era accaduto? La verità era che non aveva nessun diritto di dire a Jack come doveva sentirsi, come doveva reagire. Non poteva farlo, dato che era lui la fonte del problema.

Alex voleva soprattutto riuscire a smettere di fare ciò a Jack tutti i giorni, ma l’unico modo per farlo sarebbe stato lasciarlo andare. Ed era ingiusto ed egoista, ma Alex non poteva farlo. Quel pensiero gli faceva contorcere lo stomaco e gli faceva bruciare ancora di più la pelle.

Sentendosi quasi leggero, aspettò che il rumore all’interno della classe fosse abbastanza forte e che tutti fossero impegnati nel loro lavoro prima di uscire dalla classe a braccia incrociate e camminare nel corridoio fino al bagno. Aveva precedentemente memorizzato la mappa del campus, quindi trovò facilmente la fredda stanza. Era pulita anche per i suoi standard, quindi annuì ed entrò in uno dei box, chiudendo a chiave la porta.

Per un po’ si appoggiò semplicemente alla parete con gli occhi chiusi e cercò di far calmare il caos che regnava nella sua testa. Quella situazione lo avrebbe fatto disperare ancora di più e lo avrebbe portato a fare cose che avrebbero fatto veramente arrabbiare Jack. Anche se non vedeva l’ora di premere con forza le unghie nella sua pelle non lo fece, perché il suo amico lo avrebbe comunque scoperto in un modo o nell’altro e ciò avrebbe causato un disastro anche più grande di quello che aveva fatto quella mattina.

Alla fine non uscì dal bagno fino a quando non sentì la campanella, osservando la sua pelle chiara prima di sospirare ed ritornare nei corridoi.

Sentì il nodo alla gola ingrandirsi un po’ nel vedere Jack appoggiato al muro con lo zaino di Alex ai piedi, quello che aveva lasciato in classe.

Il più grande tentò di leggere l’espressione dell’amico, come un bambino in attesa di ricevere la sua punizione. Jack si mosse per primo, girando gli occhi e muovendo la testa in modo tale da far capire ad Alex che poteva avvicinarsi. Evitando la folla di persone che camminava per il corridoio, il più grande lo raggiunse, mordendosi le labbra fino a quando Jack non sorrise lievemente.

«Abbraccio?»

Aprì le braccia ma Alex scosse leggermente il capo, incrociò le braccia e guardò per terra.

«Non… non volevo farti arrabbiare.» disse a bassa voce, sentendosi a stento.

Jack lo guardò e gli diede un gentile colpetto alla spalla, e quando Alex lo guardò vide che i suoi occhi erano calmi e luminosi e quasi si sentì male.

«Ho reagito in maniera esagerata.»

Questo era ciò che faceva sempre, cercava di alleggerire il senso di colpa che gravava sulle spalle di Alex. E anche se il più grande non concordava, questa volta si morse la lingua, almeno per evitare un altro litigio, e si tirò le maniche della felpa fino alle mani per poi abbracciare Jack. Premette il naso contro il collo dell’amico, accompagnando la chiusura degli occhi con un sospiro.

Calmati, Alex si ripeteva in mente.

---

Pochi giorni dopo, alle 5:30 di pomeriggio, Jack stava spingendo senza particolare attenzione il cibo nel piatto mentre lui ed Alex cenavano. Alcuni libri erano ancora sul tavolo e Jack li guardò distrattamente mentre pensava ad un modo per iniziare a discutere di una cosa con Alex.

Sapeva che probabilmente avrebbe detto di no e si sarebbe anche arrabbiato, ma Jack voleva provarci.

Una delle cose che aveva promesso ad Alex molti anni prima era di aiutarlo sempre meglio che poteva, convivere con la condizione in cui si trovava e non farne un problema. E forse il problema principale causato dalla sindrome di Asperger era proprio l’incredibile difficoltà che Alex trovava nell’interagire socialmente con le persone.  Jack ci aveva avuto a che fare a dodici anni, ma ne era uscito incolume grazie alla sua persistenza e tenacia. Alex non aveva potuto fare altro che abbassare quelle mura che aveva costruito, perché anche se non lo avesse fatto Jack le avrebbe probabilmente abbattute da se.

Il più piccolo sorrise a quel ricordo, sperando di non essere notato da Alex.

Jack stava facendo il suo meglio per mantenere quella promessa, e ciò che voleva maggiormente era riuscire a liberare Alex dallo schema in cui si era auto-costretto. L’unica persona con cui comunicava –oltre che gli insegnanti e i genitori, quando era obbligato— era Jack e anche se amava essere l’unica persona con cui Alex si sentiva a suo agio, non riusciva a non cercare di cambiarlo.

Voleva che Alex si facesse dei nuovi amici, perché c’erano davvero delle brave persone al loro college. Se il più grande ci avesse anche solo provato,avrebbe visto che socializzare non era tanto difficile. Jack era sicuro al 99 percento che se Alex avesse incontrato nuove persone ci avesse parlato,avrebbe scoperto che era molto più capace di quanto pensava, e poteva anche dimostrare che le teorie dei dottori erano sbagliate.

Ma quella era la parte più difficile, portare Alex a provare.

Era molto, molto testardo, e Jack quasi decise di non chiedergli più di partecipare alla festa a cui erano stati invitati, perché voleva evitare la tragedia che Alex sicuramente ne avrebbe fatto. Ma c’era una voce all’interno della sua testa che gli diceva che senza provarci, le cose non sarebbero certo migliorate.

Di conseguenza Jack si morse il labbro e, con titubanza, allungò la mano verso quella di Alex sotto il tavolo. Il suo nervosismo era visibile da due chilometri di distanza, ma apparentemente l’altro ragazzo non lo notò. Alzò semplicemente un sopracciglio, strinse lievemente la mano di Jack e ritornò a mangiare.

Il più piccolo era felice che Alex non fosse fuggito dal suo tocco. Odiava quando lo faceva e… okay, stava perdendo tempo.

Chiediglielo, cazzo. Sospirò e iniziò a tamburellare con le dita sul tavolo, quasi come per iniettarsi un po’ di adrenalina. Non ci riuscì, ma proseguì comunque.

«Hai presente, ehm, quel ragazzo lì, Jake?»

Incrociò lo sguardo di Alex e l’amico aggrottò le sopracciglia. «Quello che viene con noi ad inglese?»

«Sì…» Jack annuì imbarazzato «Beh, ci ha invitato ad una festa nel fine settimana, quindi…»

«C-cosa?»

Il più piccolo contorse il viso in una lieve smorfia nel sentire la presa di Alex venir meno sulla sa mano.

«Non ti allarmare.» sospirò «Non è chissà cosa, possiamo andare anche solo per poco, okay? Poi se non ti piace ce ne andiamo subito.»

L’altro stava scuotendo la testa prima che Jack avesse finito di parlare.

«N-non posso… non voglio andarci.»

«Ma-»

«Tu però dovresti andarci,» lo interruppe Alex, lasciando la sua mano e prendendo entrambi i loro piatti per metterli nel lavandino «Ti divertirai.»

Jack roteò gli occhi al tentativo dell’amico di sembrare indifferente.

«Voglio che ci andiamo insieme.» chiarì, guardando la schiena di Alex mentre puliva un po’ troppo freneticamente i piatti «Lex, ti prego…»

«Non posso, Jack.» mormorò fermamente Alex, «Lo sai che non posso, ma tu dovresti andarci, no?»

«Ma voglio che tu venga con me!» piagnucolò Jack, poggiando drammaticamente la testa sul tavolo «Non mi divertirò senza di te.»

«Non ci hai mai provato.»

Era una buona argomentazione, ma il più piccolo scosse comunque la testa «Non voglio provare.»


Alzò il viso quando sentì che Alex si stava sedendo di fronte  a lui e cercò di fare gli occhi più convincenti ed imploranti che gli uscivano.

Non funzionarono sul più grande, comunque, e scosse di nuovo la testa «No, ma  tu devi andarci, okay?»

Entrambi guardarono l’orologio e Jack non riuscì a fermare una piccola risata carica di amarezza. Non doveva andarsene, erano a stento le sei,solo la routine di Alex decideva a che ora dovesse rimanere e quando se ne dovesse andare. Ogni tanto Jack gli voleva dire dove poteva infilarsi quella sua routine. Non voleva avere ordini su quando poteva vedere Alex e quando se ne doveva andare.

«Vabbè» mormorò, infilandosi la felpa mentre si alzava «Chiamami dopo, se vuoi.»

«Jack,» Alex si accigliò «Non… non andartene quando stiamo litigando. Non… lo odio.»

Il più piccolo sospirò «Non me ne sto andando perché lo voglio, Alex.»

Alex capì e stettero in silenzio sino a quando Jack sospirò ancora, mentre pensava a quanto odiasse l’atmosfera che si era creata tra loro in quelle ore.

Anche se non era felice, circondò i fianchi dell’amico in un abbraccio e lo strinse forte, sussurrando nel suo orecchio.

«Rilassati e dormi un po’, okay? Domani andrà tutto meglio.»

Jack ci sperava davvero, e fece scorrere le dita tra i capelli di Alex prima di ritrarsi tristemente.

«Ci vediamo domani.»

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