E’
la sua vita
Sente gli applausi, le voci, il rumore dei pop-corn nelle
buste.
Odia quei suoni.
Posa il capo sulle zampe e sospira stancamente.
Fa volare lo sguardo in alto, verso quel cielo notturno,
attraverso quelle sbarre fredde.
Odia quella gabbia.
E vorrebbe volare, sfiorare le nuvole come un uccello.
Libero, finalmente.
Abbassa lo sguardo e lo fa vagare fra tutte quell’altre
gabbie, sistemate in quel telone dove si trova.
Sono i suoi compagni e le sue compagne, segregati a vita in
quel posto.
Sbadigliano, si guardano intorno stancamente, bevono un
sorso d’acqua.
Loro non si preoccupano più di tanto. Sono giovani, freschi,
pieni di speranza.
Lui è vecchio. Magari... magari prima o poi anche loro
capiranno.
Capiranno che non c’è via di fuga. Che si
morirà là dentro, in
quella piccola gabbia.
Lui ha visto altri morire. E presto arriverà anche il suo
turno, se lo sente.
Un piccolo gemito lo fa voltare verso la sua destra.
Ah, già. Il nuovo arrivato.
I suoi occhi ambrati si fermano su quegli azzurri del
piccolo cucciolo che, spaventato, si guarda intorno, rintanato nel suo
angolo
della gabbia.
E’ così piccolo... gli ricorda se stesso; anche
lui aveva
pochi mesi quando è giunto lì.
All’inizio era spaventato a sua volta, poi aveva provato a
fuggire, come altri... a ribellarsi, a non dar retta... ma era stato
inutile.
Inutile.
Presto, presto piccolo
ti arrenderai anche tu.
Si arrendono tutti,
alla fine.
Ecco, è ora di andare.
Si avvicina il solito uomo. Si avvicina alla sua gabbia. Lui
sarà il primo ad uscire, come sempre.
«Coraggio, vieni.»
L’uomo apre la gabbia e, con una frusta, lo incita ad
avviarsi al tunnel di ferro che lo avrebbe condotto alla grande gabbia,
nel
grande telone davanti al pubblico, seguito poi da altri sette suoi
compagni.
Lui non fa storie. E’ inutile.
Si alza in piedi e avanza, muovendo le potenti zampe con
calma.
Entra nel tunnel e inizia a percorrerlo.
Le voci sono sempre più forti, come tutti gli altri suoni.
Continua ad avanzare, sinuoso e tranquillo, come sempre. Ci
è abituato.
Uhm, forse quella sarebbe stata la volta buona. Avrebbe
potuto scappare, perché no? In effetti, avrebbe potuto farlo
in qualsiasi
momento. Gli era stato insegnato ad aprire le porte delle gabbie
perché era una
parte che doveva compiere in uno dei numeri. Non era difficile, avrebbe
potuto
uscire in qualsiasi momento. Scappare via, lontano, correre senza
fermarsi.
Libero.
Il tunnel termina e con esso le sue fantasticherie.
Le luci del tendone lo colpiscono in pieno, come il boato di
applausi e di grida eccitate.
Il domatore è lì, ad attenderlo. Aspetta solo che
lui apra
la porta come gli è stato insegnato.
Si ferma, facendo oscillare la coda, davanti la porta della
gabbia.
I suoi bellissimi occhi si fermano sulla maniglia della
porticina.
Alle sue spalle sente i suoi compagni avvicinarsi.
Scappare.
E’ semplice.
Aprire una porta e
correre via.
Semplice.
Gli applausi si fanno ancor più forti e il domatore
incomincia ad incitarlo ad entrare nella grande gabbia.
Lui socchiude gli occhi e alza lentamente la zampa verso la
maniglia.
Ecco, l’ha fatto di
nuovo.
La porticina si apre e lui avanza senza fretta dentro la
gabbia.
L’ha fatto di nuovo...
Le grida e gli applausi ora sono un tutt’uno con le luci e
lo schiocco della frusta.
... Di nuovo... Si è
arreso.
Il domatore allarga le braccia e annuncia con enfasi:
«Ecco a voi Yhan, la tigre! E le sue compagne!»
Le altre tigri, suoi compagni, escono in quell’istante dal
tunnel e raggiungono i loro posti.
Il domatore fa schioccare di nuovo la frusta e indica a Yhan
il suo posto: una fredda e rialzata pedana di acciaio.
Lui si avvia senza opporsi in alcun modo.
Tanto lo sapeva che
sarebbe andata a finire così.
Sale lentamente le scalette per raggiungere la pedana.
Non sarebbe scappato.
Ora è sulla pedana.
Non poteva
scappare.
Si siede.
Avrebbe continuato a
fare quella vita.
Il domatore si avvicina a lui, incitato dal pubblico.
Fino alla morte.
Volta gli occhi ambrati verso il domatore che alza un
cerchio alla sua sinistra con un finto sorriso sul volto.
E c’era un motivo
perché non poteva scappare.
Uno schiocco di frusta, lui si alza in piedi.
Oh, certo che c’era un
motivo...
«Vai!» esclama il domatore.
Lui salta immediatamente.
Il fatto era che
lui...
Passa il cerchio e atterra su di un’altra pedana, applaudito
intanto dal pubblico.
Fa vagare lo sguardo su tutta quella gente, non
soffermandosi su nessuno. Li osserva e basta con il suo sguardo vuoto,
come
sempre. Uno sguardo vuoto, privo di ogni emozione, ormai. Infine, torna
a
guardare il suo domatore, pronto
per
un altro numero.
Il domatore fa schioccare la frusta e gli ordina di alzarsi
su due zampe.
Lui esita un istante... potrebbe rifiutarsi... potrebbe
farlo... ma non lo fa.
Si alza dritto sulle zampe posteriori e, sì, è
ancora un
boato del pubblico.
Eh, niente... ha perso. Si è arreso.
... Lui... lui non sa
fare altro che obbedire.
Storia scritta di getto ieri sera... E' la prima volta che scrivo un'Originale; l'ispirazione mi è venuta, avrete immaginato, guardando il Circo in tv ieri. Sono sempre stata contro l'utilizzo degli animali selvatici (tigri, elefanti, zebre... e chi più ne ha più ne metta) nel Circo, e questa è come una piccola protesta da parte mia verso queste torture. Sì, perché non sono altro a mio parere. Un animale selvatico dovrebbe essere libero di vivere nel suo habitat naturale, no rimanere chiuso in una gabbia ed essere costretto ad esibirsi davanti ad un pubblico come un pagliaccio. Alla fine, sì, sono belli e carini da vedere, ma sono sicura che loro, in realtà, soffrano molto.
Insomma, spero che vi sia piaciuta (^^), e se per caso dovesse assomigliare ad un'altra fic presente nel sito e non (sono sicura che il tema su cui ho scritto non è poi così originale... sicuramente qualcun altro avrà scritto storie simili), informatemi che provvederò a verificare e rimediare. Grazie.
Ciao! ^^