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Autore: Elsa Maria    22/04/2014    8 recensioni
“È caldo.” Alzò lo sguardo verso di lui. “Mi piace il suono del tuo cuore.” Sussurrò, sorridendo dolcemente.
“Uh?” Ricambiò lo sguardo, non avendo ascoltato ciò che gli era appena stato detto.
“Niente.” Appoggiò nuovamente la guancia sul suo petto nudo, mentre l’altro gli passò una mano sulla schiena, che fece scorrere fino ai capelli. Li sfregò tra le dita. Erano morbidi.
“Ti amo, lo sai?”
“Me lo ripeti in continuazione.” Sospirò lievemente, mentre l’altro si rattristò, procurando a quello che era sotto un’espressione interrogativa. Non capiva perché si era intristito. In realtà non lo capiva mai. Stava male. Bene.
Mai.
“Sembra tu non lo capisca…” Mormorò, senza nuovamente essere sentito dal compagno, il quale gli stava per chiedere cosa avesse detto, ma avendo chiuso gli occhi, esitò, capendo che non voleva più parlare.
Non andava bene.
Non si capivano.
Era ovvio che sarebbe finita; anche se non sarebbe mai dovuto accadere.
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One-shot song-fic dalla canzone "The one that got away" di Katy Perry sulla coppia MidoTaka (che venero). Dedicata a mughetto nella neve, la quale mi ha costretto a tornare a pubblicare. E la ringrazio.
Buona lettera!
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Shintarou Midorima, Takao Kazunari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“È caldo.” Alzò lo sguardo verso di lui. “Mi piace il suono del tuo cuore.” Sussurrò, sorridendo dolcemente. 
“Uh?” Ricambiò lo sguardo, non avendo ascoltato ciò che gli era appena stato detto.
“Niente.” Appoggiò nuovamente la guancia sul suo petto nudo, mentre l’altro gli passò una mano sulla schiena, che fece scorrere fino ai capelli. Li sfregò tra le dita. Erano morbidi.
“Ti amo, lo sai?”
“Me lo ripeti in continuazione.” Sospirò lievemente, mentre l’altro si rattristò, procurando a quello che era sotto un’espressione interrogativa. Non capiva perché si era intristito. In realtà non lo capiva mai. Stava male. Bene.
Mai.
“Sembra tu non lo capisca…” Mormorò, senza nuovamente essere sentito dal compagno, il quale gli stava per chiedere cosa avesse detto, ma avendo chiuso gli occhi, esitò, capendo che non voleva più parlare. 
Non andava bene.
Non si capivano.
Era ovvio che sarebbe finita; anche se non sarebbe mai dovuto accadere.

 

In another life, I would be your girl

 


Gli occhi furono illuminati dalla luce del sole filtrata dalle tende bianche di cotone. Aprì lentamente le palpebre, battendole appena le iridi entrarono in contatto con il bagliore; mosse le gambe, rigirandosi dal fianco alla schiena, passandosi le mani sul volto nell’intento di darsi una svegliata. Lanciò un’occhiata al display della sveglia che gli era accanto, qualcuno aveva spento l’apparecchio ed aperto le persiane, girò il volto dalla parte opposta all'orologio notando l’altro posto del letto matrimoniale vuoto. Alzò il busto, stiracchiandosi velocemente le spalle per poi scendere dal letto una volta aver indossato gli occhiali dalla montatura nera e leggera. In quel momento qualcuno bussò alla porta della camera, aprendola poi ed entrando timidamente. “Papà!” Esclamò la bambina, correndogli incontro, abbracciandogli una gamba.
“Buongiorno Sakurako…” La salutò dolcemente, scompigliandole i lunghi capelli neri. 
“La mamma ha preparato la colazione, scendi?” Gli chiese, guardandolo con i grandi occhi di un verde prato intenso; la rappresentazione della spensieratezza.
“Dille che mi faccio una doccia e poi scendo.” Le rivolse un sorriso, uno dei pochi sinceri che riusciva a fare. 
“D'accordo.” E correndo andò al pieno inferiore, dove nella cucina la madre era intenta a riempire le tazzine di caffè. 
L'uomo sospirò, dirigendosi verso il bagno. Entrando chiuse la porta a chiave, andando davanti lo specchio.
Basta, smettila di tormentarmi.- Si disse, guardando intensamente il suo riflesso, come se fosse uno sconosciuto.
Si sciacquò energicamente il viso, non tanto per rinfrescarsi, bensì per far correre via un fastidioso pensiero. Ricordo. 
Levò la maglietta e lasciò cadere a terra i pantaloni componenti del completo da letto; levatosi anche l'intimo entrò nel box doccia, aprendo il rubinetto alla massima potenza. Immediatamente l'acqua lo bagnò, scorrendo su tutto il suo corpo, delineando i muscoli scolpiti, tenuti in allenamento da una corsa serale, dopo il lavoro, che non era per nulla paragonabile all'attività che aveva formato la sua forza fisica. Aveva giocato a basket così bene da essere considerato un miracolo; era stato la shooting guard prima della Teiko, poi dello Shoutoku: Midorima Shintaro, il numero 7 della Generazione dei miracoli, il numero 6 dei Re dell'Est, per questo era conosciuto. Aveva lasciato lo sport durante l'università, dopo alcuni avvenimenti che l'avevano cambiato radicalmente, facendo crescere una tristezza che tutt'ora continuava a radicarsi in lui; non c'era nessuna valvola di sfogo, tutto per colpa di quella persona.
Continuava a sognarlo. 
Come un eco lontano sentiva il nomignolo che gli aveva attribuito.
Da anni ormai trasportava il rancore di essere rimasto fermo a guardare tutto andare a pezzi.
Ora aveva una moglie.
Ora aveva una figlia.
Eppure non andava bene.
Mancava qualcosa. 
Sapeva anche cos'era, ma era troppo tardi; l'aveva perso, se ne era andato.
Si fece uno shampoo veloce, continuando a pensare al suo volto, al suo modo di essere.
Non mi tormentare, ti prego.- Diede un pugno al muro di mattonelle azzurre; chiuse l'acqua e uscì dalla doccia, mettendosi l'accappatoio, guardandosi poi allo specchio. 
Sul suo polso c'era ancora quel segno indelebile; il loro tatuaggio.
Se ne era andato, ma continuava a perseguitarlo. Nei ricordi. Sul suo corpo. Era da per tutto. 
Si finì di preparare, lasciandosi i capelli bagnati per poter non far attendere altro tempo alla sua famiglia, l'unica cosa che aveva e che non riusciva ad apprezzare a pieno.
“Buongiorno.” Disse entrando nella cucina. La figlia già stava mangiando un toast, con davanti un bicchiere di succo alla pesca ancora pieno; la moglie le sedeva di fronte, con i gomiti poggiati sul tavolo e la tazzina di vetro fumante tra le mani.
“Buongiorno, Shintarou.” Lo salutò lasciando il bicchiere sul tavolo per alzarsi a baciare il marito.
“Ti ho preparato il caffè.” Posò le sue labbra su quelle di lui, che quasi non sembrò ricambiare.
“Grazie.” Si andò a sedere, versando la bevanda nella sua tazza.
“Papà, oggi andiamo al centro commerciale?” Esortò la bambina che era seduta sulla sedia in ginocchio.
“Sakurako siediti bene -la rimproverò con tono fermo- Oggi è il mio giorno libero, quindi per me va bene, te Kureha?”
“Nessun problema.” Rispose la donna, asciugandosi le mani con uno straccio che lasciò sul piano
dei fornelli. Si scansò dietro l'orecchio una ciocca dei capelli corvini, uguali a quelli della figlia.
“Ieri non me ne sono accorto, ma li hai tagliati.” 
“Uh? Sì.” Sorrise lei, capendo che il marito si riferisse alla sua acconciatura. Il giorno prima aveva tagliato i suoi lunghi capelli in un taglio più comodo e corto all'altezza del collo. “Ti piacciono?”
“Ti stanno bene.”
“Anch'io papà, guarda!” Si intromise la più piccola che, alzata, fece una giravolta, facendo muovere così i capelli; a differenza della madre lei si era solo data un'aggiustata.
“Bellissima.” Commentò, rendendo la bambina ancora più felice. Aveva preso l'altezza dal padre, la corporatura snella dalla madre; i capelli identici a quelli di lei, gli occhi la fotocopia di lui. Quello era il risultato della loro unione... Del loro amore. Sospirò lievemente per non farsi sentire. Se solo ripensava perché aveva scelto la moglie quasi si sentiva male. La guardò, non solo i capelli, ma anche la forma degli occhi e le iridi erano le stesse: a mandorla e azzurri. Era come lui, solo che donna.
“Andiamo subito?” Chiese facendolo riemergere dai suoi pensieri. 
“Certo.” Rispose bevendo tutto d'un sorso il caffè e sparecchiando, mentre Sakurako andò a finire di prepararsi -lasciando pieno il bicchiere.
Lanciò un'occhiata alla moglie. Era da tanto che non gli chiedeva cosa avesse, visto che spesso lo vedeva giù di morale, ma d'altronde lui non rispondeva mai... Le poteva dire: vorrei ritrovare il mio ex ragazzo -sottolineando questo importante dettaglio- per chiedergli scusa di non averlo calcolato, di non aver mai fatto nulla per farlo rimanere accanto a me ed ora me ne sto pentendo amaramente! No che non poteva; quale risultato avrebbe procurato se non altra tristezza? D'altronde, dirlo non avrebbe cambiato nulla perché lui avrebbe continuato ad affliggere i suoi pensieri.
Starà bene? Si chiedeva spesso. Aveva saputo dai suoi ex compagni di squadra che si era trasferito in Hokkaido e stava studiando per diventare musicista; voleva formare una band. Un progetto di cui gliene aveva parlato durante quei rari pomeriggi in cui lui dedicava quel poco tempo all'altro: lui sarebbe dovuto essere la persona a cui dedicare i suoi brani, questo gli aveva promesso una volta, questo era previsto nei loro piani per un futuro che mai si era realizzato. Gli avevano anche detto che era andato in TV una volta, ad un programma non popolare, ma con una certa importanza; non aveva avuto il coraggio di cambiare canale, sarebbe stata la prova del suo fallimento. Il compagno era andato avanti... Almeno lui ci era riuscito, cambiando la sua musa. Chi sarà? Si chiedeva. Continue domande, represse con forza, che mai avrebbero trovato una risposta. 

“Oggi sembra far freddo, non ti conviene mettere qualcosa al collo?” Disse Kureha, affacciandosi dalla finestra della loro camera da letto, notando il grigiore delle nuvole, anche se il sole splendeva nel cielo.
“Forse hai ragione...” Aprì il cassetto nell'armadio, dove erano riposte sciarpe e cappelli. Guardò le sciarpe interrogativo, indeciso quale scegliere. 
“Questa.” Intervenne la donna indicandone una rossa in fondo al cassetto. “Si abbina con il maglione.” 
“Non la metto da anni...” Mormorò prendendola.
“È la stessa che avevi addosso il giorno che mi avevi scambiato per un altro; me lo ricordo perché era giugno e faceva un caldo da squagliarsi, mentre te andavi in giro con la sciarpa.” Rise, abbracciandolo da dietro. 

Shin-chan, questa te la regalo io, quindi mettitela, okay?

Gli aveva detto ciò la sera prima del giorno citato dalla moglie. 
“Come mi avevi chiamato? Takao Kazunari, sbaglio?”
Quel nome. 
Deglutì.
“No, proprio lui; era il mio...”
Ragazzo.-
“... migliore amico.”
“Già, poi avete perso i contatti...” Sussurrò rattristata notando la reazione del marito, tant'è che a Midorima sembrò che lei sapesse. “Portavo i capelli corti... Proprio come adesso.” In questa frase ci fu un tono di malinconia, quasi per lanciare il messaggio: ‘L'ho fatto per te’; ma in realtà lei non sapeva quanto non fosse un bene.
Non poteva saperlo.
Non doveva saperlo.
“Lo so, me lo ricordo.” Le rispose rivolgendole un sorriso, come per accontentarla. Prese l'accessorio di stoffa, avvolgendolo intorno al collo. 
“Vado a vedere se Sakurako è pronta.” Disse lei, capendo che parlare era inutile. Era sempre inutile parlargli, l'aveva notato, niente lo scalfiva, nessuna situazione, nessuna parola, rinchiuso nella sua membrana di ghiaccio. Sentiva i rumori, ma niente in realtà lo raggiungeva; cosa poteva fare di più oltre che amarlo? Sembrava sempre sbagliare. Questo già da prima del matrimonio, l'estate dell'anno del loro incontro.
“Pronta?” Chiese alla figlia entrando nella stanza.
“Sì.” Disse lei, chiudendo la borsa a tracolla rosa chiaro, decorata con una farfalla di strass. 
“Allora andiamo.” E le toccò una spalla appena passò. 
Midorima era già sceso, pronto per tirar fuori la macchina. La famiglia salì sulla Mercedes e, allacciate le cinture, partirono.

“Papà.” Lo chiamò la figlia, interrompendo il silenzio che c'era nell'auto. Neanche la radio era accesa. “Quando te lo sei fatto quel tatuaggio?” Ed indicò lo strano segno all'altezza del polso. Un cuore con la metà destra contornata e una piccola croce sotto la punta.
Perché lo stava chiedendo? Proprio su quella ferita ancora aperta e sgorgante di sangue.
“Questo?” Mostrò meglio il tatuaggio alla figlia, alzando l'avambraccio dal volante.
“Si.”
“Me l'ero fatto quando andavo all'università, uguale alla ragazza con cui stavo, prima di tua madre... Me l'ha fatto proprio lei, senza che io me ne accorgessi.” Spiegò con un sorriso malinconico.
“Con quel tatuaggio tuo padre sembrava uno studente modello dagli oscuri segreti.” Scherzò anche la madre.
Il segno indelebile che aveva lasciato sul suo corpo, l'alimentatore di quei sgraditi ricordi che lo corrodevano. Più questi erano belli, più sentiva le gambe cedergli, le mani tremare, la vista appannarsi. Dal profondo del suo cuore udiva qualcuno gridare: ‘Salvatemi’, ma continuava a chiudere sempre più porte, per soffocare inutilmente quel grido. Era in quei momenti che riviveva l'estate dopo il liceo, quando per la prima volta lui era diventato solo dell'altro e questo solo suo; la loro unione era stata così profonda, così toccante, che mai quando era accaduto si sarebbe immaginato che non l'avrebbe più toccato dopo allora... Lui, con il suo nome armonioso -almeno per sé- quanto tagliente... Non voleva ripeterlo ancora, non voleva sentirlo nuovamente, era soprattutto questo a fargli male. 
“Davvero?” Esortò la bambina, stupita nel sentire il racconto. “Voglio anch'io un tatuaggio con la persona che amo.”
“Non te lo lascerò fare.” Controbatté il padre. D'altronde neanche a lui la vicenda del tatuaggio era andata allegramente con i genitori, ai quali non diede spiegazioni precise dato che la verità sarebbe stata molto peggio della finzione: avrebbe potuto dire che gli era stato fatto dal suo fidanzato dopo essersi ubriacato sul tetto della casa dei genitori dell'altro finendo gli alcolici che c'erano? Sarebbe stato come condannarsi a morte certa.
“Uffa...” Sbuffò imbronciata, gonfiando persino le guance per enfatizzare il sentimento. 
“Ci sono tante altre forme d'amore, un tatuaggio è troppo; non devi rifare l'errore di tuo padre, tutti lo scambiavano per uno Yakuza.”
“Io non voglio essere vista come una della Yakuza.”
“Allora niente tatuaggio.” Detto ciò la madre accese la radio. In quel momento sulla stazione selezionata passava la canzone ‘Ring of fire’ di Johny Cash.
“Questa è bellissima.” Affermò mormorando Kureha che alzò leggermente il volume, chiudendo gli occhi per concentrarsi sulla melodia.

Shin-chan lo conosci Johnny Cash? Era un cantante famoso che amava tantissimo sua moglie June, ha anche ricantato una canzone composta da lei: ‘Ring of fire’. Ci vedi? Io sono Johny e tu June, ci sta, no?

Aveva scherzato un pomeriggio, mentre leggeva una rivista di musica e lui era impegnato a studiare. 
Studiare.
Non faceva altro.
Era stato questo a dividerli; lui non voleva scocciature, non gli interessava altro: solo studiare.

“Non ne posso più della tua insistenza, Takao!”

Era stato quello l'inizio dell'errore.
“Tutto bene, Shintaro?” Lo richiamò la moglie, notandolo triste e soprappensiero.
“Sì.” Rispose con un tono freddo e distaccato. Andava tutto bene, doveva liberare la mente, non pensare a niente. Da quanto non riusciva a farlo? Chiudere gli occhi e rilassarsi, scaricare la tensione... L'esercizio scaramantico che faceva la sera prima di una partita, con accanto il lucky item del giorno, passione che non era svanita, ma che teneva nascosta. Prima, mentre attendeva che la moglie controllava se la figlia fosse pronta, aveva dato uno sguardo alle predizioni di Oha-asa. Il cancro al terzo posto con lucky item una sciarpa rossa e consigliava di lasciarsi andare con la musica, che avrebbe aiutato a portar via pensanti fardelli... Anche se quella canzone che stavano sentendo tutt'altro faceva che scacciare i pensieri pesanti; lo scorpione, invece, era primo in classifica con lucky item un candelabro... Non riusciva a non guardare anche il suo oroscopo, era come un'abitudine. Mentre la figlia, che era pesci, si trovava al quinto, l'oggetto fortunato era un elemento rosa e la borsa era perfetta; non aveva controllato la moglie perché sapeva che odiava questo genere di cose, quindi aveva evitato di farsi prendere dalla tentazione di farle portare in giro un qualcosa di scomodo.
Alla fine in lui non era cambiato nulla, tutto era rimasto fermo a quando si erano lasciati, non era andato avanti, non riuscendo più ad apprezzare la sua vita, neanche la riuscita dei suoi esami, l'essere diventato medico... Niente.
Arrivati al centro commerciale, una volta parcheggiato, Kureha portò la figlia a comprarsi vestiti nuovi e, mentre questa si stava provando gli indumenti, si voltò verso Midorima che si era seduto annoiato, guardandolo duramente.
“Non ce la faccio più.” Esortò.
“Cosa?” Mormorò il marito ricambiando lo sguardo stupito.
“Non so perché tu sia sempre così triste e per quale motivo mi isoli, anzi, ci isoli, ma io sono arrivata al limite...” Sospirò. “Non so perché, ma anche se non sembra che tu te ne accorga, io ti amo e non credo che questo debba essermi un peso; anzi avendo una figlia ed essendo sposati si presuppone che noi due ci amiamo, dico bene?”
“Kureha...” Non era né un sì, né un no. Voleva difendersi. Da cosa? Da quel filo di speranza che aveva raggiunto la fine del baratro?
“Fa silenzio, non voglio scuse. C'entra il ragazzo di quel tatuaggio.”
Come faceva a sapere che fosse un ragazzo? Ne rimase stupito, tant'è che glielo domandò. 
“Me lo ricordo, quando ti chiesi chi te l'avesse fatto mi dicessi un amico... Ma prima hai mentito a tua figlia, o forse sei stato onesto con lei e non con me, oppure falso con entrambe deviando la verità? Sai una cosa? Io non lo so. Io di te non so niente. Perché sei così chiuso? Perché non riesci ad apprezzare ciò che hai, guardando sempre con rimpianto ciò che non hai più? Mi dispiace se hai litigato con quel ragazzo, Takao; ma non è né colpa mia, né colpa di Sakurako. Non ti sto chiedendo di dimenticarlo, ma ti prego... Guarda fiero ciò che hai conquistato con tanto impegno. La vita è fatta di scelte, a volte si perdono alcune occasioni, ma se ne acquistano altre.” Sorrise, cercando di rassicurare il marito, non aveva altro da aggiungere. Finalmente aveva parlato e il marito sembrava spiazzato; e lo era eccome. Si sentiva stupido, veramente sciocco. Pur accorgendosi che con la moglie la situazione era completamente congelata non aveva fatto nulla per rimediare, come con Takao. Aveva continuato a fare niente. Perché si comportava in quel modo? Non riusciva a carpirsi... Eppure sentiva dentro di sé il bisogno di dire basta. 

“Shin-chan... Io mi trasferisco, non credo riusciremmo ad amarci, insomma come diresti tu: non era destino; però sono contento che tu mi ami comunque, perché sono certo sia così. Andiamo avanti entrambi, ognuno per le proprie strade, se poi veramente siamo legati, in un'altra vita, chissà, potrei essere la tua ragazza.”

Quello gli aveva detto Takao, il giorno in cui si erano lasciati, uscendo dall'appartamento con una sola borsa e la sua chitarra. Dopo la porta chiusa non c'era più stato nulla. Né Takao, né felicità. Soltanto l'oblio. Freddo. Vuoto. Quella era stato il luogo in cui si era costruito l'armatura che ora portava, ma che... Qualcuno stava cercando di distruggere. Non solo l'aspetto, ma anche il carattere. 
Se fossi morto Takao, probabilmente, lei sarebbe stata la tua reincarnazione.- Pensò facendo un sorriso lieve. 
“Grazie e... Scusami.” Le mormorò, ma lei sentì. Aveva capito. Ne era certa. 
“Come mi sta?!” Esortò Sakurako che, uscendo dal camerino, aveva indossato un intero completo. 
“Ma ti stanno proprio bene! Shintaro, glielo prendi?”
“Io? Quanto...?" Cercò di dire lui, ma fu interrotto dalla moglie.
“Ottimo, papà ha detto di sì, quindi levati i vestiti che li portiamo alla cassa.” Rise Kureha, mentre la figlia esultava contenta, con sottofondo la disperazione del portafoglio di Midorima.

“Mamma guarda che bello! Me lo prendi anche questo?!” Chiese Sakurako, attaccando il naso al vetro della vetrina, appannandolo. 
“Sakurako hai comprato abbastanza.” Sospirò la madre, notando Midorima che sconsolato teneva il portafoglio tra le mani con le buste di vestiti -più di quelle prese nel primo negozio.
“Uffa...” Borbottò avvicinandosi alla madre che la prese per mano. Ripresero a camminare, rivolgendo degli sguardi veloci alle vetrine. L'uomo non riusciva a capire come una sola figlia potesse spendere tanto, ma non si soffermò molto a pensare a questo. Era impressionante quanto ogni piccolo dettaglio gli ricordasse l'altro. Dai negozi di basket, alle comitive d'amici e fidanzati, persino i negozi di oggettistica, che spesso visitavano insieme... 
“A chi pensi papà?” Gli domandò poi Sakurako, prendendolo sotto il braccio.
“Come?”
“Sei sempre soprappensiero, non ti stai divertendo?” Gli chiese innocentemente. Rimase sorpreso dal fatto che anche la figlia si fosse accorta del suo disagio; che avesse sentito la discussione con la moglie?
“Non è vero, mi sto divertendo.” Le sorrise.
“A chi pensi?”
“A un mio vecchio amico.” Ammise sospirando; mentire? No, non voleva più farlo -anche se
chiamarlo fidanzato non era una buona tattica.
“Come si chiama?”
Il suo nome.
“Beh...” Un groppo alla gola. 
Il suo nome.
Dillo. Dillo.- 
“Si chiama...”
Non è difficile! T... Ta...-
“Takao.” Sorrise, sentendosi insolitamente più leggero, quasi si fosse levato un peso dal cuore. Quel nome così bello quanto brutto, che rappresentava un capitolo ancora aperto e dolente della sua vita che mai si sarebbe chiuso... Era sempre stato così semplice da pronunciare? 
“Voglio conoscerlo! Sembra che sia veramente una brava persona!”
“Lo è, ma non ci sentiamo più.”
“Perché?”
“Abbiamo litigato e poi si è trasferito.”
La verità. Stava lentamente riaprendo quelle porte verso se stesso.
Non ne poteva più. 
Mai come in quel giorno si era accorto che tutto quello che lo circondava gli ricordava Takao, ma era anche tutto ciò che rappresentava la sua vita.
La moglie.
La figlia.
Se stesso. 
Tutti erano preoccupati per lui.
Non poteva tornare indietro, non c'era una macchina del tempo; neanche il valore del gioiello più costoso avrebbe riportato quello che era... Ma voleva veramente tornare indietro? Che senso aveva avere una famiglia in quel momento altrimenti? 
“È brutto litigare; però di solito faccio subito pace con le mie amiche.” Lo guardò. 
“A noi è andata così, ma lo sai, alla fine litigare serve anche per andare avanti.” Le disse sorridendo e scompigliandole i capelli.
“Di che parlate?” Si intromise la madre.
“Di cose nostre.” Scherzò Midorima. 
“È un segreto.” Aggiunse Sakurako, facendo l'occhiolino al padre. 
Kureha rimase sorpresa dall'espressione del marito, stranamente... Serena? Il suo discorso aveva funzionato così bene? 
“Guarda papà un cantante ed è anche molto bravo! Posso andargli a chiedere una canzone?” Domandò la bambina.
Il padre le diede qualche yen. “Ti aspettiamo qui.” Disse guardando la figlia che si avvicinava al musicista. Vestiva con jeans attillati e una giacca di pelle aperto che mostrava la maglietta arancione dalla scollatura a V. La chitarra elettrica di metallo era nera come i capelli lisci e corti e il plettro azzurro quasi quanto gli occhi… Non poteva essere. Quando la bambina si avvicinò, porgendo i soldi, il cantante scosse la testa rifiutandoli; poi si chinò sulla bambina e gli fece una domanda. Lei indicò verso i genitori. Il musicista sorrise.
Quello stupido sorriso...-
Disse dell'altro all'orecchio della bambina che ritornò correndo verso i genitori. Il cantante girò la manopola per alzare il volume dell'amplificatore, sul quale era poggiato un candelabro dorato -fatto alquanto insolito. 
“Mi ha mandato a dirti che ti dedica una canzone.” Riferì Sakurako entusiasta a Midorima che era alquanto sorpreso, o meglio, non riusciva proprio a crederci. Non era possibile. 
Le mani del musicista si mossero sulle corde, procurando una melodia dolce e intrigante. 
Summer after high school, when we first met ...” Iniziò a cantare.
Non c'è dubbio... È lui.- 
“... We make-out in your Mustang to Radiohead, and on my eighteenth birthday, we got matching tattoos.” Sorrideva pronunciando quelle parole, quasi fossero un dolce ricordo, tenuto nella sua mente con gelosia.
Non sei cambiato...- continuava a pensare Midorima, non riuscendo a distogliere lo sguardo, non ricambiato, dalla sua figura. Così distante, ma così vicino. 
Used to steal your parents liquor and climb to the roof. Talk about our future like we had a clue, never planned that one day I'd be losing you.” Il sorriso si fece malinconico, mentre le labbra si muovevano facendo fuoriuscire la voce intonata.
È proprio la sua voce...- Pensava incantato. 
“Te l'ho detto che era bravo...” Mormorò Sakurako, anche lei affascinata. La bellezza dell'esibizione non era data solo dalla sua brava, ma anche dal sentimento e il significato che per lui nascondevano quelle parole.
Come stava? Si era chiesto spesso. La risposta era sicuramente bene; aveva passato un brutto periodo, forse, ma adesso era felice. 
In another life, I would be your girl, we'd keep all our promises, be us against the world. In another life, I would make you stay. So I don't have to say you were the one that got away, the one that got away.
Quasi non gli venne da ridere traducendo la prima frase. Sarò la tua ragazza, aveva cantato? Poi però sentì quello che era il titolo della canzone: ‘The one that got away’, era così. Quello che se n'è andato. Era triste sentirlo, ma l'uno se ne era andato dall'altro alla fine; eppure erano lì. Uno di fronte all'altro.
Kureha guardò il marito, rimanendo stupita dal volto straordinariamente espressivo. Non avrebbe messo la mano sul fuoco, ma era possibile che quel musicista fosse il famoso Takao?
Midorima sospirò, facendo un lieve sorriso. Per quanti anni fossero passati, lui non era cambiato, ma lo stesso anche per lui... Come bloccati dal passato.
Chi è la tua musa? Si chiedeva spesso. Erano rimasti l'una dell'altro; lui gli era sempre nei pensieri, mentre sé era nelle sue canzoni; anche se quel testo non era stato composto da Takao, il ragazzo sembrava averla studiata a fondo, per un qualche motivo. La canzone era continuata, ma un'altra strofa lo colpì.
All this money can't buy me a time machine, no. Can't replace you with a million rings, no. I should have told you what you meant to me, whoa. Cause now I pay the price.” Il cantante alzò lo sguardo. Anche se la folla si era radunata davanti a loro un piccolo spiraglio permetteva di guardarsi. I loro occhi erano completamente concentrati sullo sguardo dell'altro. Quei ricordi che fino ad allora erano stati tormentosi divennero piacevoli e scorrevano, come scene di un vecchio film, in quello spazio che li divideva. L'ultima volta che entrambi li avrebbero visti. 

Addio, Shin-chan. 

Questo era ciò che sembravano dire i suoi occhi. Era stato bello rincontrarlo.
“Andiamo?” Disse poi Midorima.
“Ma non è ancora finita.” Si lamentò la bambina.
“Dopo facciamo troppo tardi e abbiamo da fare; non ci conviene perdere tempo.”
“Uffa...” Sbuffò prendendo la mano del padre che, affiancato da Kureha, si allontanò.

Non avevano nulla da dirsi.
Ognuno per la propria strada.
Se il destino avesse voluto li avrebbe riuniti; c'era tempo. Tra qualche anno forse, quando sarebbero diventati vecchi... Oppure in un'altra vita, dove uno dei due sarebbe stato la ragazza dell'altro.




N.d.A.

Salve gente! Chi non muore si rivede, eh eh. Forse era meglio se non fossi tornata però .-. Nah, non c'è tempo per la depressione, non in una one hot che deprime! Certo, magari vi ho fatto ridere, però pensare che Midorima e Takao sono lontani enon si ricontreranno mai più a me, personalmente, rattrista parecchio!
Come scritto nella descrizione dedico questa 'cosa' alla grande autrice: mughetto nella neve. So che non prediligi la MidoTaka, però... Te la dedico perché è la prima fan fiction che pubblico dopo un troppo lungo periodo di pausa che tu hai interrotto. Grazie! Anche per sopportarmi! Grazie ancora!
Se vi state chiedendo perché non ho usato il ttitolo della canzone per il titolo è perché c'è già qui sul fandom una storia ispirata proprio da questa canzone che si intitola: The one that got away di Athenae (e ne approfitto: grazie per avermi fatto da Beta reader  i tempi che furono per questa one shot >3 Non ho molto da dire sulla mia creazione... E' strano, no? Ma credo che sia meglio lasciar parlare lei. Ben accetti tutti i tipi di recensione: necessito di consigli! Necessito di sapere se le mie storie sono seguite! Quindi ringrazio anche voi lettori! 

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