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Autore: Ed1505    01/08/2003    12 recensioni
Cosa accadrebbe se Rufy & Co. fossero dei liceali dei giorni nostri? E se Nami fosse un'amica d'infanzia del giovane?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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BEST FRIENDS

 

Era una calda giornata di maggio ed il sole splendeva nel cielo privo di nuvole. Nonostante le lezioni fossero finite da un pezzo, la scuola brulicava di ragazzi impegnati con i vari club. Al campo di baseball gli allenamenti procedevano a pieno ritmo. L’obiettivo della squadra era arrivare al Koshien. Il capitano era stato categorico: chi batteva la fiacca era fuori. Sul monte di lancio, l’asso della squadra si allenava dando fondo alla sua inesauribile energia.

“Ecco che ne arriva un’altra!”

La palla, velocissima, arrivò dritta sul guanto del ricevitore, che si alzò massaggiandosi la mano.

“Ahi ahi! Ma perché devo essere io il suo ricevitore?”
“Perché tu sei l’unico che riesce a ricevere i suoi lanci. E sei vuoi essere un titolare, devi accontentarti.”

“Però se continua così, va a finire che mi rompo il braccio prima di arrivare al torneo.”

“Ok, ho capito. Ehi, Rufy!!”

“Che c’è, capitano?”
“Cerca di fare lanci meno potenti, altrimenti ci mandi tutti i ricevitori all’ospedale!!”

“OOOOKKKKKKKEEEEIIII!!”

Al di là della rete che delimitava il campo, una ragazza assisteva agli allenamenti del lanciatore. Lo osservava con espressione triste. In quel momento, udendo i passi di qualcuno alle sue spalle, si voltò di scatto. Un’altra ragazza, più grande, era arrivata in quel momento.

“Nojiko! Che ci fai qui?”
“Ti cercavo. Ho visto che al tuo club gli allenamenti erano finiti, così sono venuta a cercarti qui. Non dubitavo di trovarti intenta a osservare l’allenamento di baseball…”

“Che vorresti dire? E poi tu non dovresti essere qui, questo è il campo sportivo del liceo! Quello della tua università è accanto all’altro edificio.”

“Sì, lo so. Volevo solo chiederti se ti andava di tornare a casa insieme a me.”

“Ed Ace?”
“Tale e quale a suo fratello! – con un gesto del capo indicò il lanciatore – Si preoccupa solo dei suoi allenamenti.”

“Non farci caso. Sono solo un po’ delusi, perché desideravano arrivare al Koshien insieme.”

“Lo so. Ad ogni modo, che fai? Resti ad osservare il tuo bel lanciatore o vieni con me, sorellina?”
“Scema! Quante volte devo ripeterti che Rufy è solo mio amico?! Esattamente come lo è tuo e di tutti gli altri.”

“Sarà…Io ti aspetto all’entrata, tu va a cambiarti.”

“Ok. Faccio presto.”

“Sì, a tra poco, Nami.”

La più grande andò verso l’entrata della scuola, mentre la minore corse verso gli spogliatoi del club di basket femminile, di cui faceva parte. Nami aveva 17 anni ed una folta chioma di capelli rossi. Frequentava il secondo anno di quel liceo ed era una delle giocatrici di punta della squadra femminile di basket. La ragazza che la stava aspettando era sua sorella maggiore. Aveva 19 anni e frequentava l’università accanto al liceo. Il lanciatore della squadra di baseball era il migliore amico di Nami. Si conoscevano fin da bambini, così come Nojiko conosceva da sempre Ace, suo fidanzato nonché fratello maggiore di Rufy. Tra le due coppie di fratelli c’era la stessa differenza d’età, ma una grande caratteristica li differenziava, a detta di Nami. Lei non era innamorata di Rufy. O meglio, questo era ciò che diceva a chiunque lo insinuasse. In realtà aveva una cotta per lui da quando andavano ancora alle elementari. Rufy era un bambinone, un ingenuo, le cui uniche passioni erano il baseball, il cibo e la sua banda di amici. Ma per lei era sempre stato speciale. Nemmeno Nami riusciva a capire il perché. Forse per il modo in cui la trattava, privilegiato, ed il modo in cui gli si illuminavano gli occhi quando stava per lanciare…Mentre si cambiava, pensando a tutto questo, all’improvviso il suo cellulare cominciò a squillare. Quando vide di chi era la chiamata, impallidì di colpo. Fece un respiro profondo e rispose.

“Pronto? Sì. Sì. Oggi? A che ora? Non so se…O- ok. Ho capito. Va bene. Sì, a dopo.”

Chiuse la comunicazione e fissò il telefono tristemente. Finì di vestirsi e corse dalla sorella.

“Ce ne hai messo, di tempo! Ho visto Usop, gli ho detto che torni con me. Ma che hai? Sembri stravolta!”
“No, no. E’ tutto a posto. Andiamo?”
Così si diressero verso casa.

Circa mezz’ora dopo, gli allenamenti del club di baseball finirono. Rufy si diresse verso la sede del club e, durante il tragitto, incontrò i suoi amici.

“Ciao! Ho appena finito! Faccio la doccia e vi raggiungo.”

“Ok. Vedi di sbrigarti, che poi dobbiamo passare a prendere Ace.”

“Non è con Nojiko?”
“No. Lei e Nami sono già tornate a casa insieme.”

“Capisco. Ci vediamo tra poco.”

E così corse a farsi una doccia. Rufy, 17 anni, era considerato il ragazzo più esuberante e chiassoso di tutta la scuola. In genere, quando passava lui, l’umore di tutti migliorava. Aveva una massa di capelli neri spettinati, che cercava di sistemare con il cappello da baseball. Sotto l’occhio sinistro correva una cicatrice, che si era procurato da piccolo, per convincere alcuni bulletti della sua scuola che era in grado di saltare giù da un albero molto alto. Quel giorno, Nami aveva cercato in tutti i modi di dissuaderlo, ma lui non le aveva dato retta e si era buttato. Risultato: aveva rischiato di perdere un occhio cadendo di testa su una pietra appuntita! Vedendo tutto quel sangue, i bulletti erano fuggiti e Nami aveva trascinato il suo amico fino a casa, da sua madre, che aveva avvertito i parenti del bimbo. Ed il loro passato era pieno di eventi del genere, in cui si erano aiutati a vicenda. Ed era proprio per quello che erano tanto legati da sembrare fidanzati.

Sotto il getto d’acqua fredda, Rufy si mise a pensare proprio a Nami. Da un po’ di tempo era diventata strana. Spesso evitava di tornare a casa con loro, come faceva sempre una volta. Inoltre aveva anche cominciato a disertare le loro uscite di gruppo. Ed evitava sempre di incrociare il suo sguardo. Tutto era cominciato circa due mesi prima. Un giorno lui e Nami avevano litigato, perché lui insisteva nel voler giocare una partita, nonostante avesse una caviglia slogata. Lei aveva cercato di convincerlo a rinunciare, perché era troppo rischioso, ma lui non aveva voluto sentir ragioni. Quando Nami aveva insistito ulteriormente, le aveva urlato di farsi gli affari suoi e di non impicciarsi della sua vita. Lei allora era scappata via, dopo averlo schiaffeggiato. Quella sera, sentendosi tremendamente in colpa e stupido, Rufy si era presentato a casa di Nami per chiederle scusa, ma lei non aveva voluto vederlo. Il giorno dopo lei l’aveva cercato e si era scusata per la sera prima. Poi gli aveva chiesto scusa per aver esagerato nel dirgli di non giocare. Lui si era assunto tutta la responsabilità ed avevano fatto pace. Ma da quel giorno lei era cambiata e Rufy era stato il primo ad accorgersene. Soprattutto, aveva notato, non sorrideva più come prima. Non illuminava più il viso coi suoi splendidi sorrisi che gli avevano fatto girare la testa più di una volta…

Scosse la testa con forza, per togliersi quei pensieri dalla mente. Si ripeteva in continuazione che doveva dimenticare l’amore che nutriva per lei, ma non era così facile.

Spense il rubinetto, si asciugò e si vestì. Quando uscì, trovò gli altri piuttosto innervositi.

“Ma quanto ci hai messo?! Eppure sapevi che ti stavamo aspettando, Rufy!”

“Scusate, scusate! Mi ero appisolato un momento!”

“Tsk! Che disgraziato!”

Anche se lo stavano sgridando, i suoi amici gli volevano molto bene. Erano tutti molto legati e formavano un gruppo affiatatissimo e inseparabile. Oltre a lui e Nami, ne facevano parte altri quattro ragazzi. Zoro era il migliore amico di Rufy e l’elemento chiave del club di kendo della scuola. Era un tipo scontroso con gli estranei e chi non conosceva a sufficienza, ma un ottimo amico per chi lo conosceva bene. Usop era un abilissimo membro del club di tiro con l’arco. La sua mira era pari alla sua abilità nel raccontare balle. Ormai i suoi amici non l’ascoltavano nemmeno più, quando parlava. Sanji era il portiere titolare della squadra di calcio e faceva il cascamorto con qualsiasi ragazza gli capitasse a tiro. In realtà, però, era un ottimo amico e, avendo compreso da molto tempo i sentimenti di Rufy per Nami, evitava di provarci troppo con l’amica. Infine c’era Bibi. Era la migliore amica di Nami, membro del comitato studentesco, assolutamente negata per qualsiasi tipo di sport e costantemente ai primi posti nella classifica dei migliori studenti dell’istituto. Aveva una cotta tremenda per Rufy, di cui tutti erano al corrente, tranne il diretto interessato. Tutti e quattro erano del secondo anno, come Rufy e Nami, ma non nella stessa  sezione. Rufy era in classe con Sanji e Zoro, mentre Nami con Usop e Bibi. A volte al loro gruppo si aggiungeva anche Kosa, un vecchio amico di Bibi, ma a causa del suo carattere poco socievole, preferiva starsene in disparte la maggior parte delle volte. Nojiko ed Ace, altri due membri “posticci” del gruppo, erano troppo impegnati a fare i piccioncini per uscire con gli altri, quindi si univano a loro raramente. Nami, Nojiko, Ace e Rufy erano amici d’infanzia e vicini di casa. Rufy e Nami avevano frequentato insieme anche elementari e medie. Alle medie avevano conosciuto Zoro, Usop e Sanji. Mentre, una volta entrati al liceo, avevano fatto amicizia con Bibi e Kosa.

Dopo essere passati a prendere Ace, tornarono a casa tutti insieme, come ogni giorno. Prima di entrare in casa, Rufy gettò un’occhiata alla casa di Nami, due numeri più avanti. Aveva deciso che le avrebbe chiesto direttamente il motivo del suo comportamento. Quel giorno aveva chiesto a Bibi, ma nemmeno lei aveva saputo dirgli nulla. Chiedendolo all’interessata, avrebbe sicuramente ottenuto una risposta.

Entrato in casa, sentì un buon profumo venire dalla cucina. I genitori di Rufy ed Ace erano morti alcuni anni prima e loro vivevano con la sorella maggiore, Makino. Essendo abbastanza più grande di loro, alla morte dei genitori era divenuta la loro tutrice legale ed erano rimasti tutti e tre a vivere nella stessa casa di prima.

Ace e Rufy corsero in cucina e baciarono la sorella contemporaneamente, uno per guancia.

“Eh eh, grazie, fratellini! Ben arrivati.”

“Che c’è di buono?”
“Una sorpresa! Ora andate a lavarvi le mani, che tra poco è pronto.”

“Va beeeneee!!”

Ed obbedirono, pregustandosi una cenetta deliziosa.

 

Il giorno successivo, Rufy notò con dispiacere che Nami non era a scuola. Pensò che forse si era ammalata. Ma durante l’intervallo, a metà mattinata, Usop arrivò di corsa nella sua classe, portando con sé una notizia incredibile. Prese in disparte Rufy, Zoro e Sanji e li fissò, preoccupato.

“Ragazzi…E’ successo un casino. Nami è stata arrestata per furto!”

I tre non gli credettero e scoppiarono a ridere, pensando ad una delle sue solite balle. Ma Usop rimase serio, senza arrabbiarsi come faceva solitamente.

“Non sto scherzando. Ho sentito ora i prof. che ne parlavano. Chiedete a Bibi, se non mi credete. Anche lei ha sentito tutto.”

“Avanti, Usop!! Ma ti pare che Nami potrebbe rubare qualcosa? E’ furba e attaccata al denaro, ok, ma ha anche un grande senso di giustizia!”

“Zoro ha ragione. Si saranno sicuramente sbagliati. O forse tu hai capito male…”

“Vi dico che è così! Stavano addirittura parlando di sospenderla da scuola!”

All’improvviso Rufy, che fino a quel momento era stato ad ascoltare in silenzio, afferrò Usop per il colletto della divisa.

“Stammi bene a sentire, Usop!! Io conosco Nami da quando eravamo ancora solo due poppanti piscialetto! E’ la mia più cara amica e la conosco meglio di chiunque altro!! Lei non farebbe niente del genere nemmeno se fosse in punto di morte, e se sento ancora qualcuno accusarla di fare cose del genere, gli spacco la faccia con queste stesse mani!!!”

“Rufy, lascialo, gli stai facendo male! Usop non l’ha accusata di nulla, ci ha solo riferito ciò che ha sentito. Dai, calmati. Sicuramente c’è stato un malinteso.”

Rufy lasciò Usop, che prese a tossicchiare, massaggiandosi la gola. Poi corse via, come una furia.

Corse fino a casa di Nami, dove si attaccò al campanello. Ad aprire andò Nojiko. Inizialmente la sua intenzione era di cacciarlo ma, vedendolo così sconvolto, si sentì in dovere di dargli qualche spiegazione. Lo fece entrare e gli offrì da bere.

“Non dovresti essere a scuola?”
Rufy non rispose. Si limitò a fissare la ragazza, scuro in volto. Lei capì che era stata una domanda assurda. Come poteva pensare alla scuola in un momento come quello?

“Dov’è Nami?”
“…Vedo che hai saputo…”

“Già…Dov’è?”
“Alla polizia. Lei e la mamma si sono dovute presentare questa mattina presto, per parlare con il proprietario della merce rubata e decidere il da farsi. Ieri non sembrava intenzionato a sporgere denuncia, ma potrebbe aver cambiato idea.”

“Ma che dici…? Vuoi dire…che DAVVERO Nami ha rubato qualcosa?”
Il volto del giovane aveva assunto un’espressione a dir poco sconvolta e la sua voce tremava leggermente. Nojiko lo guardò con tenerezza. Sapeva che Rufy adorava sua sorella, e che riponeva in lei la massima fiducia. D’altronde, era lo stesso che faceva anche lei.

“Già. Nemmeno io ci potevo credere. Anzi, NON VOLEVO crederci. Inizialmente ho pensato ad un malinteso, ma il proprietario della merce l’ha riconosciuta. E lei…beh, ha confessato.”

“Ma non è possibile!! Nojiko, Nami non può aver rubato! Lei ha un innato senso della giustizia, non farebbe mai nulla del genere!"

“Questo lo so anch’io, Rufy. Ma ultimamente è così strana…Sono certa che l’hai notato anche tu. Non capisco che le passi per la testa. E non vuole confidarsi nemmeno con me. E’ la prima volta in 17 anni.”

“E’ vero, è strana, ma io non credo comunque che sarebbe capace di fare una cosa del genere. Per cosa, poi? Di soldi non mi pare ne abbia bisogno. Attaccata al denaro com’è, ne mette sempre da parte un sacco. E mi sembra un po’ grandicella per voler solo attirare l’attenzione.”

“Non so cosa dirti, Rufy. Sono sconvolta quanto te.”

In quel momento udirono la porta d’ingresso aprirsi. Pochi istanti dopo, Bellemer, la madre di Nami e Nojiko, entrò in cucina. Vedendo Rufy si stupì, ma subito comprese e sorrise.

“Ciao Rufy. Come va?”
Aveva l’aria distrutta. Si capiva che non aveva chiuso occhio, la notte precedente. Prima che Rufy potesse rispondere, entrò anche Nami. Vedendo il giovane s’irrigidì, bloccandosi sulla porta.

“Che diavolo ci fai qui?”
“Secondo te? Ho sentito cos’era accaduto e sono corso ad accertarmi della cosa. Ero convinto si trattasse di una bugia.”

“Invece hai scoperto che è la verità. Ora puoi anche andartene.”

“Nami, non mi sembra proprio il caso di comportarti così scortesemente. Rufy era solo preoccupato per te.”

“Beh, per quel che me ne importa può anche farne a meno! Vado di sopra!”

E corse su per le scale, verso la sua camera. Bellemer, dopo aver sospirato, disse:

“Mi dispiace, Rufy. Non riesco a capire cosa le sia successo. Ha ammesso di aver rubato quelle cose, ma non ha voluto dire il perché. Ha detto che le andava di farlo e basta. Si è comportata in modo arrogante con tutti e siamo state fortunate che il tipo che ha derubato sia stato comprensivo. Altrimenti dovremmo pagare non poco…”

“Bellemer, se non ti spiace…vorrei andare un attimo di sopra, a parlarle.”

“Vai pure, Rufy. Spero che almeno tu riesca a farla ragionare.”

“Me lo auguro…”

Il ragazzo salì i gradini velocemente e, arrivato davanti alla camera della giovane, bussò con forza.

“Nami, fammi entrare! Voglio parlarti.”

“Invece io non voglio parlarti. Vattene a scuola!”

“Nami, per favore. Fammi entrare.”

“Sparisci, Rufy! Non ti voglio in casa mia!”

I nervi del giovane stavano saltando. Si voltò verso le scale e vide Nojiko e sua madre. La donna annuì con il capo. Qualche danno non la preoccupava. L’importante era che sua figlia si decidesse a parlare con qualcuno. E con chi altri, se non il suo amico di sempre, la sua ombra?
“Grazie Bellemer. E scusami fin d’ora. Nami. Ti conviene stare lontana dalla porta.”

“Eh? Ma cos…”

Non fece in tempo a finire. Rufy tirò una poderosa spallata alla porta, che si aprì, scardinandosi. Massaggiandosi la spalla dolorante entrò, incurante del disastro appena provocato.

“Tu…tu sei pazzo!! Ti rendi conto di cosa hai fatto?!”
“Pagherò tutti i danni. Però ora devi ascoltarmi.”

“Non ne ho la minima intenzione!”

Rufy afferrò con forza le spalle di Nami e la costrinse a sedersi sul letto. Negli occhi di lei balenò un briciolo di paura. Non l’aveva mai visto così. Era a dir poco infuriato. Sapeva di averlo deluso e le dispiaceva. Ma non credeva che potesse reagire così violentemente. Non con lei, almeno. Mille volte l’aveva visto fare a botte e sapeva che era decisamente meglio non farlo arrabbiare. Ma mai e poi mai si era rivolto a lei anche soltanto con un tono di voce più duro del normale. E allora, che gli stava accadendo, in quel momento? Dov’era finito il suo vecchio e caro amico Rufy? Forse era rimasto giù in cucina, shockato per il suo comportamento. E quello che aveva davanti era solo il suo alter ego, che non accettava un trattamento simile dalla sua più cara amica. Ad ogni modo, Nami decise di non farsi spaventare. In fondo lei era sempre stata una dura, che non si faceva spaventare per nulla. Lo fissò, sforzandosi di assumere l’espressione più fredda che le riuscisse.

“Si può sapere che diavolo vuoi da me?!”
“Voglio sapere che cosa ti è preso. Perché ti comporti così?”

“Così come?”
“Così! Eviti me e gli altri amici! Rubi! Tratti male tua madre e tua sorella! Tutte cose che, di norma, non faresti nemmeno se fossi costretta!”

“Quello che faccio e come mi comporto sono affari miei!”

“Non se così facendo fai soffrire chi ti sta intorno! Hai provato a guardare gli occhi di tua madre? Sono occhi disperati! Che si chiedono perché sua figlia, tanto dolce e affettuosa un tempo, ora la tratti con freddezza! E Nojiko? Si chiede perché la sua sorellina, che per lei è più importante di chiunque altro e che le ha sempre detto tutto, abbia smesso di confidarsi, e la tratti quasi come un’estranea! Tutto questo non è assolutamente da te!”

“Ma che ne sai tu di cosa è da me e di cosa non lo è?!?!”
Nami si era alzata ed aveva cominciato ad urlare. Rufy sosteneva il suo sguardo furioso con un altro altrettanto alterato.

“Lo so, perché ti conosco meglio di chiunque altro! Perché sono tuo amico da più di 15 anni!!”

“Non è vero…”

Ecco. Era arrivata al culmine. Ora si metteva a mentire su una cosa tanto importante, per lei. Ma, vista la situazione in cui si trovava, non poteva fare altrimenti. Se si fosse circondata di persone che la amavano avrebbe peggiorato le cose. Meglio farsi odiare dalla persona che più contava per lei. Anche quello, in un certo senso, era un modo per esprimere l’amore che provava per lui. Si morse il labbro con forza. Respirò a fondo. E cominciò. Era l’inizio della fine.

“No, non è assolutamente vero!! TU NON SEI NULLA PER ME!! Si solo un dannato rompicoglioni, che mi è sempre stato appiccicato! E se proprio vuoi saperlo…NON TI HO MAI POTUTO SOFFRIRE, TI HO SEMPRE DETESTATO!! Io non ti sopporto, non ti ho mai sopportato! E non voglio mai più vederti, SPARISCI PER SEMPRE DALLA MIA VITAAA!!!”

SCIAFF!!

Nami si ritrovò stesa sul letto, con una mano posata sulla guancia dolorante. Rufy la guardava con gli occhi sbarrati ed una vena che continuava a pulsargli sulla tempia, la mano ancora aperta, dopo averle tirato lo schiaffo.

I capelli sparsi sul viso, appiccicati alla pelle a causa delle lacrime di rabbia e del sudore, Nami lo guardò, con occhi di ghiaccio. Un ghiaccio dal quale nasceva, però, una fiamma ardente. La fiamma dell’ira.

“Io ti odio. Ti odio! TI ODIO!! VATTENE IMMEDIATAMENTE FUORI DA CASA MIA, NON TI VOGLIO MAI PIU’ VEDERE!!”

Rufy continuava a fissarla. Poi deglutì rumorosamente.

“Come desideri. Uscirò per sempre dalla tua vita, Nami. Non avrai mai più nulla a che fare con me. Addio.”

Ed andò via. Sulla scala incontrò Bellemer e Nojiko, a dir poco sconvolte.

“Scusate la confusione. E scusatemi anche per lo schiaffo. Non avrei mai dovuto alzare le mani su di lei, ma la rabbia ha avuto il sopravvento sulla ragione. Sappiate che per me voi tre siete state una seconda famiglia. Anzi, con Ace e Makino, la famiglia che ho sempre desiderato e che per troppo poco tempo ho avuto.”

Ed uscì di casa, di corsa, per non far vedere a nessuno i suoi occhi traboccanti di lacrime. Perché un uomo non deve piangere e se proprio non riesce a trattenersi, deve farlo di nascosto. Era questo l’unico insegnamento ricevuto dal padre, morto troppo presto per aiutarlo a comprendere meglio i dolori e gli ostacoli che la vita gli avrebbe fatto trovare sul cammino.

Intanto, Bellemer e Nojiko si erano dirette verso la stanza di Nami. Lei era stesa sul letto, che piangeva disperata, con il viso premuto sul cuscino, per soffocare i singhiozzi. Il corpo scosso dai singulti mal celati, sembrava in preda alle convulsioni.

Le due compresero che in quel momento l’unica cosa giusta da fare era lasciarla sola, così rimisero in piedi la porta, appoggiandola in modo da lasciare Nami in pace. Una volta giunte in cucina, davanti ad una tazza di the, Nojiko disse:

“Mamma…temo proprio che Nami, questa volta, si sia cacciata in un brutto casino.”

“Sì, tesoro. Lo temo anch’io. Ed ora, l’unica persona che probabilmente sarebbe stata capace di tirarcela fuori, è uscita dalla sua vita.”

“Spero solo che non sia per sempre. Non credo che riuscirebbe a resistere a lungo, senza Rufy accanto.”

 

Il giorno seguente, Nami non si presentò a scuola e Bellemer fu convocata dagli insegnanti. Le venne detto che, saputo del furto, l’istituto aveva deciso di dare a Nami una settimana di sospensione. Bellemer non fece molto caso alla cosa. Tanto più che la sera prima sua figlia le aveva comunicato la sua intenzione di lasciare la scuola. Almeno per un po’ di tempo.

Nemmeno Rufy andò a scuola quel giorno. E neanche i successivi. Così, tre giorni dopo, Zoro decise di andare a trovarlo a casa sua. Fu Makino ad aprirgli la porta.

“Zoro. Ciao. Accomodati pure. Rufy è di sopra, in camera sua.”

“Ti ringrazio.”

Il giovane entrò nella camera dell’amico senza bussare. Rufy era steso sul letto, con le mani incrociate dietro la testa, intento a fissare il soffitto.

“Ehi. Sono quattro giorni che manchi da scuola. I prof. si sono lamentati, ed il capitano della squadra di baseball ha avuto una crisi isterica. Che ti è successo?”
“Nulla. E’ che non avevo voglia di venire.”

“Uhm…Allora…la storia di Nami era vera, a quanto pare.”

“Già.”

L’amarezza nella voce di Rufy fece comprendere a Zoro che tra lui e l’amica c’era stata una discussione a questo proposito. E non era finita nel modo migliore.

“E’ stata sospesa per una settimana, ma da quel che ho sentito, lei non ha intenzione di tornare a scuola. Ne sai qualcosa?”
“Nulla.”

“Ehi, ma che ti prende, Rufy?! Non è da te essere così giù!”

“A quanto pare ultimamente non faccio che comportarmi in modo diverso dal solito. Ed evidentemente non sono l’unico.”

“Insomma, basta con queste frasi che dicono tutto e nulla! Allora, ci hai parlato o no, con Nami?!”
“Sì, sì…Ci ho parlato.”

“E allora? Che ti ha detto?”
Sul viso di Rufy si dipinse un sorriso ironico che Zoro non aveva mai visto nell’amico. Con voce atona, disse:

“Che non sono cose che mi riguardano…Che per lei non sono nulla e non lo sono mai stato…Che mi ha sempre odiato…Che non mi vuole vedere mai più…Ecco, se non sbaglio i concetti-chiave erano questi.”

“Dì un po’…Mi prendi per il culo?”
Rufy tornò serio. Guardò l’amico negli occhi.

“Ti pare che con questa faccia io abbia voglia di scherzare?”
Zoro rimase per qualche istante in silenzio, a riflettere sulla situazione. Poi sorrise incerto e cercò di sdrammatizzare la situazione.

“Nooo, senti, Rufy…Probabilmente non era in lei. Nami ti adora, lo sanno tutti! Non può averti detto queste cose sul serio! E’ impossibile!”

“Ti assicuro che era serissima. E poi…ha ragione. Io sono stato un coglione.”

“Tu? E perché mai?”
“Perché l’ho picchiata. Le ho tirato uno schiaffo. E ci ho messo parecchia forza.”

“Cazzo…Mi sa che qui sta capitando un grosso casino, amico.”

“Non dirlo a me.”

Zoro guardò l’amico, che aveva un’espressione terribilmente abbattuta. Si capiva che si sentiva tremendamente in colpa per averla picchiata. Preoccupato, gli chiese:

“Che hai intenzione di fare, ora?”
“Cosa vuoi che faccia? Farò come mi ha detto. Starò alla larga da lei e da ciò che la riguarda.”

“Scherzi?! E vorresti lasciarla così?! Qui c’è qualcosa sotto, Rufy! Altrimenti lei non avrebbe mai rubato e non ti avrebbe trattato così. Dobbiamo scoprire cosa le sta succedendo.”

“Ormai la cosa non mi riguarda più.”

“Stronzate! Rufy, è da quando ti conosco che sei cotto di lei! E hai sempre fatto il possibile e l’impossibile perché lei stesse bene e fosse felice. Non ci credo che saresti capace di abbandonarla ora, che si trova in un casino di tali dimensioni!”

“…”

“Dai. Muovi il culo! Chiamiamo gli altri e andiamo ad indagare!”

Rufy sospirò. Poi si alzò e si preparò per uscire. In fondo, avrebbe sempre potuto aiutarla da lontano, nascosto nell’ombra. Ombra…Quante volte aveva sentito i suoi fratelli, Bellemer e Nojiko definirlo tale.

“Rufy è praticamente l’ombra di Nami! Ovunque lei sia, qualunque cosa accada, lui è sempre presente per vegliare su di lei e correre in suo aiuto, qualora ce ne fosse bisogno!”

Nami si arrabbiava, quando dicevano così, e lui la imitava. Ma solo per riflesso. In realtà lui sapeva che era la verità. Era sempre pronto ad accorrere in suo aiuto, se ce ne fosse stato bisogno. Ed anche se lei, ormai, non lo voleva più…lui l’avrebbe protetta sempre. Per sempre. Sì, Zoro aveva ragione. Era da più di quindici anni che la conosceva e da quando era stato abbastanza grande per comprendere come andavano le cose, l’amava. Non avrebbe smesso proprio ora. Neanche per tutto l’oro del mondo, l’avrebbe abbandonata.

 

Una settimana dopo, Rufy rientrò a casa dopo gli allenamenti di baseball. Era molto stanco ed andò diretto in camera sua. Dopo circa cinque minuti, sentì bussare.

“Rufy, posso entrare?”
Era Ace.

“Certo, vieni.”

Il ragazzo entrò e prese a guardarsi intorno in silenzio.

“Beh, che c’è? Hai bisogno di qualcosa?”
“No, nulla…Volevo chiederti…tu e gli altri state ancora cercando informazioni su cosa sta accadendo a Nami?”
“Certo. E continueremo fino a quando non l’avremo scoperto. Almeno, questo vale per me.”

“Avete scoperto nulla, fino ad ora?”
“No, niente. Senti, ma perché mi fai tutte queste domande, Ace?”
“Beh, vedi…Anch’io sono amico di Nami da molto tempo, la conosco da sempre, praticamente…E poi Nojiko è veramente preoccupata per lei…”

“Ace, puoi arrivare al dunque? Mi stai facendo preoccupare, non è da te girare attorno ai discorsi in questo modo!”

“Ecco, ho fatto anch’io delle ricerche, per conto mio. Più che altro ho chiesto un po’ in giro. Ed un mio amico mi ha detto…”

“Qualcosa su Nami?”
“Già.”

“E cosa? Dai, parla, Ace!”

“Dice di averla vista più volte in compagnia di un gruppo di ragazzi.”

“Sicuro che non l’abbia vista mentre era con noi?”
“Sicuro. Dice di conoscere di vista quella gente.”

“Ed è sicuro che fosse Nami? Voglio dire, come faceva a sapere che si trattava di lei?”
“Perché è venuto qualche volta qui da noi ed ha conosciuto sia te che lei.”

“Capisco. Beh, immagino che non sia tutto qui, giusto? Altrimenti non avresti quell’espressione preoccupata.”

“Esatto. Ecco, i tipi con cui ha visto Nami…sono più grandi di voi, hanno circa la mia età. Inoltre…come dire…beh, diciamo che non è propriamente gente a posto.”

“Cosa intendi dire?”
“Rufy, promettimi di non agitarti, ma…sono dei poco di buono, dei delinquenti, che hanno avuto più volte a che fare con la polizia.”

Rufy guardava il fratello con occhi e bocca sbarrati. Ace aveva lo sguardo fisso sul pavimento.

“E Nami andrebbe in giro con gente del genere?!”
“Così pare. Inoltre…”

“Oh, Santo Cielo, c’è dell’altro?!”
“Sì. Nami è stata vista rubare altre volte.”

Rufy non rispose. Sbatté un pugno sul muro imprecando. Un rivolo di sangue uscì dalla ferita appena apertasi sulla sua mano.

“Rufy, la mano! Stai attento, vuoi rovinarti? Se ti fai male addio baseball!”

“Ma chi se ne frega del baseball!! Piuttosto, chi altri lo sa?”
“Nessuno. Non ho detto nulla nemmeno a Nojiko, perché non volevo che si preoccupasse troppo. E, a dire il vero, ero indeciso se dirlo anche a te. Temevo perdessi il controllo. Ma poi ho pensato che forse…Tu sei l’unico che possa fare qualcosa.”

Il giovane guardò suo fratello maggiore.

“Hai ragione. Hai assolutamente ragione.”

Si tolse velocemente la divisa ed indossò un paio di jeans ed una camicia. Poi corse fuori dalla stanza. Urlò un distratto “non aspettatemi per cena” e uscì di casa, in direzione di quella dell’amica. Suonò e ad aprire fu nuovamente Nojiko, che si stupì non poco, vedendolo.

“Rufy!”

“Nami è in casa?”
“No, è uscita. Che sorpresa, credevo aveste deciso di non incontrarvi più!”

“Infatti. Ma devo vederla subito. Sai dov’è andata?”
“Non ne ho idea. Circa mezz’ora fa ha ricevuto una telefonata. E’ impallidita di colpo, e dopo aver borbottato qualcosa è andata in fretta in camera sua. Quando è uscita ha detto che aveva un impegno ed è andata via. Ma non chiedermi né dove né con chi. Non ha voluto dirmelo.”

“MALEDIZIONE!! Grazie dell’informazione, Nojiko! Ciao!”

Fece per correre via, ma la ragazza lo bloccò.

“Aspetta! Rufy, è forse accaduto qualcosa?”

Il giovane si limitò a fissarla. Aveva gli occhi sbarrati, sembrava pazzo e Nojiko si allarmò ancora di più.

“Rufy, se sta succedendo qualcosa a Nami devi dirmelo!”

“Senti, io so poco o niente. Per questo devo parlarle. Ma ti giuro che non appena scopro qualcosa, sarai la prima a saperlo.”

“Ti prego, Rufy. Io mi fido ciecamente di te. Proteggila come puoi. Non mi interessa da chi o da cosa, ma tu proteggila.”

“Stai tranquilla. Ti assicuro che farò di tutto per far tornare tua sorella quella si sempre. Di tutto.”

“Allora l’affido a te. Mi raccomando.”

“Ok. Ciao.”

E corse via, afferrando il telefonino e chiamando subito Zoro e gli altri. Quindici minuti dopo si trovava nel centro città, in compagnia del suo migliore amico, di Sanji e di Usop.

“Che cosa?! Un gruppo di delinquenti?”
“Esatto. Sono convinto che ricattino Nami per farla rubare al loro posto.”

“Questo spiegherebbe il suo atteggiamento strano. Ma come fai a essere sicuro che adesso sia con loro?”

“Ne sono certo. Me lo sento.”

“Ok. Allora, come facciamo a trovarla? Potrebbero essere dovunque!”

“E’ meglio dividerci. Ognuno controllerà una zona e chi la trova chiama gli altri. Non dovrebbero essere in molti, quindi dovremmo farcela in quattro.”

“E- ehi! N- non vorrete che anch’io vada a cercarli da solo, vero? M- magari sono armati!”

“Dannazione, Usop! Tu vai con Sanji, d’accordo? Basta che ti muovi!”

“O- Ok.”

Dopo essersi divisi le zone da controllare, partirono alla ricerca. Rufy era sconvolto e provava un’orribile sensazione di disagio. Sentiva che Nami era in pericolo e che aveva bisogno del suo aiuto. E aveva il terrore di arrivare troppo tardi. Per cosa non sapeva nemmeno lui, ma non osava nemmeno immaginarlo. Se le fosse accaduto qualcosa, qualsiasi cosa, si sarebbe ritenuto direttamente responsabile. Si sentiva in colpa per essersi separato da lei, non pensando alla possibilità che potesse essere in pericolo.

Dopo venti minuti di corsa disperata, all’improvviso, una chioma rosso fuoco attirò la sua attenzione. E la vide. Nami era a poca distanza da lui, circondata da un gruppetto di sei ragazzi che la stava praticamente trascinando. Quella che vide sul volto di lei era un’espressione terrorizzata. Non esitò un solo istante. Afferrò il telefono e contattò subito Zoro. Spiegò dove si trovava e gli disse di avvertire Sanji e raggiungerlo subito. Poi chiuse la comunicazione e seguì il gruppetto. Li vide scomparire in un vicoletto buio, guardandosi attorno con circospezione. Si avvicinò ulteriormente fino a raggiungere l’imboccatura del vicolo, dove si fermò, indeciso sul da farsi. Pensò che forse era meglio aspettare gli altri. In fondo quelli erano in sei e più grandi di lui. Ma un urlo improvviso gli fece cambiare idea. Era la voce di Nami, che gridava aiuto. Senza esitazione si precipitò nel vicolo e ciò che vide gli gelò il sangue nelle vene. I sei delinquenti avevano fatto stendere Nami a terra, strappandole la maglietta. Uno di loro, probabilmente il capo, era sopra di lei e cercava di toglierle anche i pantaloncini. Ma lei cercava di opporre una disperata resistenza, scalciando, graffiando e urlando. Spazientito, il ragazzo sopra di lei le tirò un pugno sul volto. Un rivolo di sangue scivolò dalla sua bocca e ciò servì a far riprendere Rufy dallo shock.

“BASTARDO!!!”

Si scagliò con tutta la sua forza su quello che aveva colpito Nami e cominciò a riempirlo di pugni. Tutti erano sconvolti, incapaci di muoversi. Compresa Nami. Ma quella situazione durò ben poco. Ripresisi dallo stupore, intervennero gli altri cinque. Nami gridò.

“Rufy! Attento!”

Il giovane, però, era una furia. Lasciando perdere il capo, si voltò verso gli altri e si scagliò contro di loro. Sembrava una belva. Gli occhi iniettati di sangue, si limitava a picchiare, incurante di chi o cosa colpiva. Nami guardava, stravolta. Ad un certo punto, mentre tre giacevano a terra privi di sensi, un altro lo prese di spalle e lo colpì sulla nuca con una pietra. Rufy rimase stordito per un istante, che gli fu fatale. In due l’afferrarono da dietro, mentre il capo gli si parò davanti.

“Hai finito coi tuoi comodi, dannato…”

E cominciò a picchiarlo, non solo a mani nude, ma anche con un bastone. Ormai Rufy era distrutto, con ferite su tutto il corpo. Nami piangeva, disperata, e continuava a chiedere aiuto, nemmeno lei sapeva a chi.

“Eh eh. Ed ora il colpo di grazia, bel cavaliere. E’ divertente pensare che Nami si è unita a noi per proteggere proprio te. Ed ora, invece, per colpa tua, dovrà assistere alla tua fine. Sogni d’oro, bello…”

Si apprestò a colpirlo violentemente con il bastone, ma qualcuno lo fermò, bloccando l’arma da dietro. Nami esultò.

“Zoro! Sanji! Usop!”

I primi due gettarono un’occhiata a Rufy, coperto di sangue, e a Nami, mezza nuda e con un livido sulla guancia. Usop, invece, restava nascosto dietro di loro. Zoro fissò il capo. Una vena pulsava pericolosamente sulla sua fronte. Non sopportava l’idea che quello avesse ridotto così il suo migliore amico e Nami.

“Sei stato tu a ridurre in quello stato il mio amico?”
Lo sguardo di Zoro spaventò l’altro, che però non perse il suo atteggiamento spavaldo. Con tono di sfida rispose:

“Sì. Perché, c’è qualche problema?”
Un pugno alla bocca dello stomaco lo zittì e gli fece perdere i sensi. Allora si fece avanti Sanji.

“Ed ora veniamo a noi. Primo: ciò che stavate facendo alla dolce Nami è a dir poco deplorevole. Secondo: non perdono chi fa del male a Rufy. Togliete immediatamente le vostre luride manacce dal mio amico…che poi facciamo i conti…”

I due erano terrorizzati. Gettarono da un lato Rufy e cercarono di scappare, ma Sanji li bloccò, e con un paio di calci sistemò anche loro. Intanto Nami, Zoro e Usop erano corsi da Rufy. La ragazza lo stava scuotendo delicatamente.

“Rufy! Ti prego, riprenditi! Rufy!!”

Lentamente aprì gli occhi. Poi si tirò su di scatto.

“Dove sono quei bastardi?!”
“Stai tranquillo. A quelli che erano rimasti ci abbiamo pensato io e Sanji.”

“Uff! Grazie al cielo! Grazie mille, amici.”

“Ho chiamato la polizia, stanno arrivando. Questa volta passeranno un po’ di tempo in galera, vedrete!”

“Se lo meritano…”

Rufy si era alzato, ma aveva difficoltà a reggersi in piedi. Nami si precipitò a sorreggerlo.

“Rufy!”

Lo abbracciò, per sostenerlo. Al giovane la cosa non dispiacque affatto. Intanto, lei guardava fisso a terra, e cercava le parole per dire qualcosa. Con voce molto bassa, cominciò.

“Rufy…io…Scusami. Non volevo dirti tutte quelle cose. E soprattutto, non erano assolutamente vere. Però, in quel momento…”

Rufy la fissò, con il volto tumefatto. Con una mano le afferrò il mento e le fece alzare il volto fino a guardarla negli occhi. Poi le sorrise dolcemente.

“Lascia stare. Acqua passata.”

Poi il giovane si rese conto delle condizioni dei vestiti della ragazza. Arrossì di colpo e si voltò. Quindi si tolse la camicia e gliela porse, sempre senza guardarla.

“E’ sporca di sangue e mal ridotta, ma accontentati. Non ho altro…”

Nami indossò la camicia, poi sorrise, guardandolo maliziosamente.

“Che ti prende, Rufy? Non dirmi che un duro come te arrossisce solo perché ha visto una ragazza in reggiseno! Ma a scuola non eri considerato un playboy?”

“No, è che a vederti mi sono spaventato. Sembravi un ippopotamo in costume da bagno!”

“COSA HAI DETTO!?! IO TI MASSACRO!!!”

E gli tirò un pugno in testa. Lui si portò le mani sul capo, piagnucolando.

“Ehi, piano! Lì sono ferito!”

Subito Nami impallidì e lo fissò preoccupata.

“Santo Cielo, Rufy scusa! Perdonami! Ti ho fatto tanto male?”
Rufy rimase per un po’ a testa china, con le mani sul capo, facendo preoccupare sempre di più la ragazza. Poi, d’un tratto, alzò la testa mostrandole la lingua.

“A dire il vero no. Hai beccato l’unico punto sano! Scherzetto!”

“AAHH, sei uno stupido idiota, Rufy!!”

Tutti scoppiarono a ridere, mentre la polizia entrava nel vicolo. Quando videro le condizioni di Rufy e Nami chiamarono subito un’ambulanza, ma Nami spiegò che non avevano fatto in tempo a farle nulla, grazie a Rufy. Comunque, i poliziotti insistettero per farla andare ugualmente. Bellemer e Nojiko furono contattate, così come Makino ed Ace, che si recarono di corsa in ospedale. Quando, arrivate, Bellemer e Nojiko videro Nami in corridoio assieme agli altri, corsero ad abbracciarla. La ragazza spiegò tutto e disse che era salva solo grazie a Rufy, che in quel momento stava ricevendo le cure adeguate. Disse anche che le dispiaceva moltissimo averle trattate male, ma loro non erano arrabbiate. Soltanto felici di aver ritrovato la loro Nami.

Quando ebbe finito, il medico andò da Makino e Ace e disse che Rufy era stato molto fortunato, perché con ferite del genere avrebbe potuto finire molto peggio. Addirittura avere danni permanenti. Ma per fortuna, aggiunse, aveva la testa veramente dura, visto che con tutti quei colpi aveva perso i sensi solo per pochi istanti. Comunque, quella notte Rufy avrebbe dovuto rimanere in ospedale, sotto osservazione. Allora Nami si offrì di passare la notte a fargli compagnia.

“No, Nami. Tu oggi hai passato una terribile avventura, è meglio se vai a casa a riposare. Rufy non ha bisogno d’assistenza, e se proprio ci vuole qualcuno, resto io. Grazie comunque per l’offerta.”

“No, Makino! Io sono salva proprio grazie a lui. Glielo devo. Non importa se lui dormirà tutto il tempo. Questo mi sembra il minimo da fare per sdebitarmi. E poi…ecco, vorrei stargli più vicino possibile, ora…”

Nami era arrossita vistosamente e teneva la testa bassa. In quel momento intervenne Rufy, che era appoggiato alla porta e li guardava.

“Se ci tiene tanto, lasciala fare, Makino. Visto che è lei a volerlo, non credo ci sia bisogno di preoccuparsi.”

Makino fece per protestare, ma Zoro la interruppe, con una risatina sarcastica.

“Lascia perdere, Makino. Ormai mi sembra evidente che preferiscono essere lasciati soli. Accontentali, dai.”

I due presi in causa arrossirono di colpo, cercando di balbettare qualcosa, e tutti scoppiarono a ridere. Poco dopo se ne andarono, lasciandoli soli. Prima che Nojiko sparisse, però, Rufy la guardò e disse, sottovoce:

“Hai visto? Rufy mantiene sempre le sue promesse.”

Lei si voltò, sorrise e rispose:

“Sì. E non avevo alcun dubbio.”

Quindi se ne andò. Allora Nami accompagnò Rufy al suo letto e lo aiutò. Poi si sedette su una sedia posta lì vicino. Per un po’ rimasero in silenzio. Poi, all’improvviso, Rufy parlò.

“Senti un po’, ma…che intendeva quel tipo quando ha detto che tu ti sei unita a loro per proteggere me?”
Nami sussultò. Era convinta che in quel momento lui fosse svenuto e non avesse sentito. Invece si era sbagliata. Rossa come un peperone, rispose con voce bassa e titubante.

“E- ecco…Vedi…Ti ricordi quel giorno, qualche mese fa, quando io e te abbiamo litigato di brutto? Quando hai giocato quella partita nonostante fossi infortunato…”

“Certo.”

“Ecco, subito dopo aver litigato con te sono andata a fare una passeggiata per sbollire la rabbia. Mentre camminavo, per sbaglio sono finita addosso ad uno di loro. Hanno cominciato ad infastidirmi, ma io non ci ho fatto caso e me ne sono andata, liquidandoli. Ero convinta che mi avrebbero lasciata in pace. Ma loro mi hanno seguita fino al campo di baseball, dove ero venuta ad assistere alla partita. Se ne sono stati in disparte, ascoltando i miei discorsi con Nojiko, ed hanno scoperto che sei il mio migliore amico. Dopo la partita mi hanno bloccata e hanno cominciato a ricattarmi, dicendo che se non avessi fatto come volevano sarebbero venuti a creare problemi al tuo club di baseball. Dissero che vi avrebbero picchiati tutti ed avrebbero fatto in modo di sospendere la squadra. Io non volevo che questo accadesse, così…Beh, so che andare al Koshien è il tuo sogno e non volevo che si infrangesse per colpa mia…”

Rufy non disse una parola. Poi, dopo qualche minuto di silenzio, domandò:

“Lo sono ancora?”
Nami non capì. Lo guardò, interrogandolo con lo sguardo, ma lui fissava ostinatamente il soffitto, con un’espressione molto seria. Allora disse:

“Di che parli?”
“Sono ancora il tuo migliore amico?”
Allora capì. Dopo tutto ciò che era accaduto era ovvio che volesse saperlo. E Nami si sentì davvero male, pensando a quanto l’aveva fatto soffrire con tutte quelle bugie.

“Certo che sì! Rufy, io ti chiedo scusa per quelle cose che ti ho detto! Non le pensavo minimamente, ma volevo che tu ti allontanassi da me, perché avevo paura di coinvolgerti in quella brutta faccenda! So che ti ho deluso terribilmente con il mio comportamento…Sapere che ero diventata una ladra…Proprio io, la tua più cara amica…dev’essere stato tremendo…Ma io ti assicuro, ti giuro che in realtà non avrei voluto farlo! E soprattutto non avrei voluto ferirti con quelle assurde bugie! In realtà tu sei la persona più importante per me, lo sei sempre stato!”

Arrossì e si portò una mano alla bocca, rendendosi conto troppo tardi di ciò che aveva detto. Ma Rufy era rimasto serio, con gli occhi fissi sul soffitto. Poi li chiuse, sussurrando:

“Anche tu, Nami. Ti voglio bene…”

E si addormentò. Nami continuò a fissarlo dormire per delle ore. Quanto lo amava! E dopo ciò che era accaduto quel pomeriggio, l’amava ancora di più. Sapeva che il suo “ti voglio bene” esprimeva soltanto una grande amicizia e un profondo affetto. Quindi non gli avrebbe detto nulla. L’avrebbe amato in silenzio, come aveva sempre fatto. In fondo, era quello il suo ruolo, no? E pensato ciò, anche lei si addormentò, stringendogli la mano.

 

FINE

  
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