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Autore: Black Chevy    17/07/2008    4 recensioni
Sapeva che c’era qualcosa che non andava. Anzi ne aveva la certezza più assoluta, sebbene si ostinasse a ignorare tutti i segnali. Il “segnale” più clamoroso era il fatto che credeva che la sua vita fosse completamente diversa...Pensieri di Dean durante l'episodio 2x20. Attenzione, spoiler!
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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In prenda ad una fortissima cris

In prenda ad una fortissima crisi di astinenza dai fratelli Winchester, ho deciso che riguardarmi la terza serie non sarebbe bastato a curarmi.. così, ecco qui... provo con le fanfic. Mi azzardo a mettermi nel POV di Dean e a proporvi la mia prima ff di Supernatural. Spero che vi piaccia!

Se vi è piaciuta fatemelo sapere ^_-

Sapeva che c’era qualcosa che non andava. Anzi ne aveva la certezza più assoluta, sebbene si ostinasse a ignorare tutti i segnali. Il “segnale” più clamoroso era il fatto che credeva che la sua vita fosse completamente diversa.

No, non credeva...lui sapeva che la sua vita era o almeno era stata completamente diversa.

Sua madre era morta, uccisa dal demone dagli occhi gialli, quando lui e Sam erano solo dei mocciosi.

Suo padre..

Chiuse gli occhi, strofinandosi le palpebre con le dita. Non voleva pensare a suo padre.

Lo avrebbe fatto rimettere in piedi a calci nel culo e lo avrebbe costretto a fronteggiare l’enorme cumulo di menzogne che aveva davanti.

Solo che le menzogne erano così rassicuranti, così invitanti.

Sua madre e Jessica erano vive, suo fratello era al sicuro e stava per laurearsi.

E lui aveva una fidanzata molto hot e con un lavoro molto rispettabile.
Sorrise appena contro il vetro della bottiglia. Avrebbe potuto davvero innamorarsi di lei.
Se solo tutto questo fosse vero, pensò amaramente.

Espirò a fondo, mentre sentiva la porta di casa aprirsi alle sue spalle. Lanciò un’occhiata al di sopra della spalla in direzione del rumore.

Jessica.

“Ti disturbo?”

Scosse la testa in segno di diniego, posando la bottiglia accanto al suo piede. Strinse un po’ le labbra, guardando la ragazza sedersi sul gradino accanto a lui, dopo aver raccolto la gonna in modo da non stropicciarla.

“Tua madre minacciava di tirar fuori le foto di famiglia. Sono scappata prima che arrivasse ad agguantare l’album dell’asilo”.

Altre menzogne. Sammy ed io non siamo mai andati all’asilo. John ci portava in giro con lui, ci faceva dormire nei motel pensò cupamente.

Abbassò un po’ la testa, senza rispondere. Non era in vena di far conversazione. Soprattutto con la ragazza morta di suo fratello. Non riusciva a guardarla, senza che il ricordo del suo corpo avvolto dalle fiamme gli tornasse alla mente.

E le urla di Sam, rifletté. Le urla di suo fratello che riempivano la casa, ben più alte e disperate del crepitio delle fiamme. Aveva dovuto portarlo fuori di forza, l’aveva colpito e gli aveva fatto del male per salvargli la vita. Aveva impiegato mesi per superare la morte di Jess. Anche se Dean era convinto che in qualche modo il dolore provato per la perdita della sua ragazza era sempre presente. Come era stato sempre presente per suo padre, dopo la morte di Mary.

Si voltò leggermente per guardare il profilo di Jess. I suoi capelli biondi assumevano una sfumatura dorata alla luce del tramonto. Aveva indosso un lungo vestito nero e delle scarpe con un tacco pericolosamente alto.

Si sarebbe lanciato nel fuoco per lei pensò, continuando a osservarla.

“Dean, che cosa c’è?” gli chiese lei, leggermente a disagio.

Scosse nuovamente la testa, tornando a fissare un punto indefinito davanti a sé. Il quartiere assumeva un’aria ancora più tranquilla al tramonto. Il rumore del traffico era pressoché inesistente e i bambini erano tutti rientrati in casa per cenare. C’era solo il tenue mormorio del vento e il rumore distante di qualcuno che tagliava l’erba nel giardino.

“Ti senti bene? Vuoi che vada a chiamare Sam?”

“No” rispose in fretta, facendole cenno di non alzarsi. “E’ solo che…”

S’interruppe non sapendo come proseguire. Tornò a fissarle la porzione di vialetto davanti a lui.

E’ solo che credo che tu avresti potuto renderlo felice. Con te.. beh con te viva probabilmente non sarebbe diventato un cacciatore. O forse se lo fosse diventato ugualmente, almeno avrebbe avuto una persona da cui tornare. Sai, una persona che non sono io. Se dovesse succedermi qualcosa…se almeno avesse avuto te, le cose potrebbero essere molto diverse.

“Mio fratello” mormorò incerto. “Lui è ... okay?”

Si girò appena per vederla corrugare le sopracciglia. Jessica rimase un istante in silenzio, prima di scuotere appena la testa sorridendo nervosamente.

“Intendi dire se è felice? Beh sì, immagino di sì” rispose, sorridendogli poi dolcemente. “Gli manchi. Sei il suo fratellone” aggiunse poi, dandogli un pugno leggero sulla spalla.

La guardò per un attimo, prima di sorriderle a sua volta.

Già. In realtà sei tu che gli manchi, Jessica. Tutto questo dovrà finire.

Questa non è al vita che conosco, non è quasi nemmeno il fratello che conosco.

Non posso restare qui. Semplicemente non posso.

Sollevò la testa per guardarla, non appena Jess si rimise in piedi. Il sole era quasi scomparso oltre la linea dell’orizzonte e i colori infuocati del tramonto si erano lentamente spenti per lasciare il posto alle luci tenui delle prime ore della sera.

Si umettò le labbra, osservando il viso dolce della ragazza, incorniciato dai riccioli biondi.

“Non ha mai amato nessuna quanto ama te” mormorò a fatica sentendo una morsa dolorosa stringergli il petto.

Ho cercato di aiutarlo dopo che tu sei morta. Ma non sono esattamente la persona più indicata per consolare qualcuno.

Non so cosa avrei dato o cosa avrei fatto perché tu vivessi, Jessica.

Potevi rendere felice mio fratello, potevi dargli una casa a cui tornare, quando non era con me in giro a caccia di cose cattive.

Si costrinse a guardarla di nuovo quando sentì la sua mano posarsi gentilmente sulla sua spalla. Avvertì la morsa diventare più serrata quando Jess gli sorrise piano, prima di posargli un bacio leggero sulla fronte.

Chiuse gli occhi, combattendo contro l’impulso di mettersi a gridare o di tirar pugni alle pareti. O più semplicemente di mettersi a piangere. Più i minuti trascorrevano, più sapeva che quello non era il suo posto.

Tutta quella felicità non era altro che un’illusione.

Perché la prima cosa che aveva imparato nella vita è che c’era il dolore.

E cose che si nascondono nell’ombra, pronte a divorarci.

“Dai, adesso rientriamo. Sta cominciando a rinfrescare. E se arriviamo tardi al ristorante, Sam inizierà a lamentarsi come fa sempre”.

“Vai pure. Arrivo subito” rispose, alzandosi in piedi. Strinse le labbra, osservando Jess superarlo e rientrare in casa. Colse appena l’immagine di suo fratello che l’aspettava nell’ingresso e che le sorrideva, prima di girarsi nuovamente verso la strada.

L’aria fresca della sera fece tremare appena le cime degli alberi, mentre i lampioni si accendevano lungo i marciapiedi. Le ombre della notte si estendevano lentamente andando a riempire i vuoti lasciati dai colori scomparsi del sole morente.

Non c’erano cose, non c’erano pericoli annidati nell’ombra.

Non è questo il mio posto.

* - * - *

Erano passati tre giorni da quando era tornato dal suo personalissimo Paese delle Meraviglie. Sammy gli aveva chiesto un paio di volte che cosa non andasse ma non gli aveva risposto.

La verità è che riusciva ancora a sentire il buon profumo dei capelli di sua madre, il calore del suo abbraccio. Riusciva a vedere il sorriso di Jessica e il sorriso dello stesso Sam quando stava con lei.

Alla fine Sam aveva desistito, sapeva che quando iniziava a ringhiargli contro in un certo modo era meglio smettere di insistere.

Chiuse il borsone con un gesto secco, caricandoselo poi su una spalla.

“Lascia stare, faccio io” sentì subito la voce della crocerossina.

“Ce la faccio ancora a portare il borsone” brontolò, rifiutandosi di darglielo. Lo vide stringere le labbra, fulminandolo con lo sguardo.

“Bobby ha detto di non fare sforzi” gli ricordò con il tono di voce da primo della classe.

Non si prese nemmeno il disturbo di rispondergli, limitandosi a dirigersi verso la porta della stanza del motel. Si fermò per voltarsi di nuovo verso il fratello minore, che come al solito si stava assicurando di non aver dimenticato nulla.

“Sam?” lo chiamò. Si inumidì le labbra, incontrando il suo sguardo.

“Cosa?”

Ti manca mai Jessica?

Ti chiedi mai se non fosse morta, cosa…

“Guido io” disse invece, scendendo i gradini.

In fondo, quella domanda aveva una risposta piuttosto semplice.

  
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