Premessa.
Questa storia è ambientata a quattro o cinque anni di distanza dall’epilogo
de “Il Canto della Rivolta. Gale è tornato a vivere nel Distretto 12 da qualche
mese, assieme a suo figlio, Joel, e a Johanna Mason, che vive con loro. Haley Mellark è la primogenita di Peeta
e Katniss. La storia si riallaccia a una precedente one-shot, “Di Comete, Principesse e Anime Gemelle”, ma risulta
abbastanza comprensibile anche senza aver letto la prima parte.
Forse sbagliano anche gli angeli.
«Avrei voluto parlarle di
tutte le bugie che le avevo raccontato.
E che lei mi dicesse che non c’era niente di
male, perché a volte bisogna fare qualcosa di cattivo per fare qualcosa di
buono.»
Molto forte, incredibilmente vicino. Jonathan Safran Foer.
Gale scoccò un’occhiata distratta al cielo, attendendo
con pazienza che incominciasse a scurirsi. Lo scricchiolio delle foglie lo
spinse a più riprese a voltarsi verso sinistra, ma ad ingannarlo era solo il
vento, che spettinava giocoso le chiome degli alberi. Katniss
non era ancora arrivata anche se probabilmente l’avrebbe fatto presto,
spuntandogli silenziosamente alle spalle come era solito fare lui quando erano
ragazzi.
Da una settimana a quella parte avevano incominciato a
recuperare qualche vecchia abitudine e lo sperone di roccia era tornato a
essere il loro luogo di ritrovo nel tardo pomeriggio, prima che entrambi
rincasassero dalle rispettive famiglie. Spesso trascorrevano quel tempo assieme
chiacchierando. A volte andavano a caccia o al lago per pescare, e in quelle
occasioni a Gale veniva facile credere che il tempo non fosse mai passato. Che ci
fossero ancora soltanto loro due, il ragazzo e la ragazza che facevano squadra
nei boschi, muovendosi come due parti dello stesso essere. Nonostante quei
momenti fossero sempre più frequenti, il cambiamento era comunque evidente. Lo
si percepiva attraverso i loro discorsi e nei volti di entrambi, spesso privi
di quei sorrisi che in passato affioravano durante i pomeriggi trascorsi oltre la
recinzione di filo spinato. Uno dei cambiamenti più grandi stava correndo
incontro a Gale proprio in quel momento: le trecce nere oscillavano a ogni suo
passo e l’accenno di broncio disegnava sul suo volto un’espressione crucciata,
quasi offesa. L’aria accigliata di Haley Mellark
sfumò comunque in fretta e, nel momento in cui la bambina raggiunse la porzione
di bosco dominata dalla roccia, il solito sorriso vispo era già tornato ad
accarezzarle le guance arrossate dal gran correre.
“Ehilà, papà di
Joel!” esclamò con il fiatone, abbandonandosi sfinita sul prato. Gale le
rivolse un’occhiata perplessa.
“Ma tu non eri al Prato con Joel e gli altri
ragazzini?”
Haley scosse il capo. Distese le braccia e le gambe
nell’erba e chiuse gli occhi, per riprendersi dalla corsa.
“Sono stanchissima, dormirei per due giorni interi!”
“Sbaglio o mi avevi promesso che non saresti più
tornata nei boschi da sola?” le fece notare Gale, non nascondendo, tuttavia, un
mezzo sorriso.
Haley si posò entrambe le mani sugli occhi, cercando
di filtrare la luce del sole con le dita.
“Ma non sono sola, ci sei tu!” obiettò, scattando a
sedere. Si sfilò qualche filo d’erba dai capelli e si sistemò le trecce
continuando a squadrare Gale durante quell’operazione. “Aspetti la mamma?”
chiese infine, gattonando fino a raggiungere la roccia. L’uomo aggrottò le
sopracciglia.
“Cosa ti fa
credere che stia aspettando lei?”
Haley gli rivolse un sorriso furbetto.
“L’ho vista, no?” rispose, unendo i piedi e
fasciandoli con le mani. “Viene qui a cacciare con te tutti i pomeriggi.
L’altro ieri si è pure fatta male alla gamba e tu l’hai portata a casa.”
Gale distolse lo sguardo per poter tornare ad
appoggiare la nuca contro lo sperone. Un paio di giorni prima Katniss si era storta la caviglia scivolando sulla riva,
mentre pescavano al lago. Per quanto fossero ancora piuttosto agili, non erano
di certo gli stessi cacciatori silenziosi e attenti di una volta. Quella era
un’altra delle cose in cui Gale si sentisse maggiormente cambiato.
“Adesso sta meglio?” chiese, tornando a voltarsi verso
la bambina. Haley annuì con vigore.
“Mamma mi ha
detto che quando eravate piccoli era successa la stessa cosa. Lei si era fatta
male e tu l’avevi portata a casa sulle spalle.”
Gale aggrottò appena le sopracciglia.
“Sul serio te l’ha raccontato?”
La bambina annuì di nuovo, fissandosi per un istante
le mani macchiate d’erba. Gale era sorpreso; non si aspettava che Katniss parlasse di lui – di loro – ai figli. L’episodio a
cui si riferiva Haley risaliva a quando erano ancora poco più che ragazzini[i].
Katniss era inciampata su una radice mentre stavano
andando a controllare una trappola e si era torta il ginocchio. Anche in
quell’occasione, così come era accaduto due giorni prima, aveva insistito per
tornare a casa a piedi, ma non era riuscita a fare più di dieci metri. Così,
dopo aver discusso animatamente con lui per qualche minuto, si era aggrappata
esitante al suo collo, per lasciarsi trasportare sino a casa. Se da ragazzi
avevano impiegato il tragitto calcolando quanti soldi avrebbero potuto ottenere
con la poca selvaggina che si erano procurati al mattino, quel pomeriggio di diversi
anni dopo si erano limitati al silenzio, intervallato dai respiri di entrambi e
dallo scricchiolare delle foglie sotto i loro piedi.
“Senti...” Haley interruppe le sue riflessioni,
picchiettandogli un indice sulla spalla. “...ma se l’hai portata a casa sulle
spalle, allora sei proprio forzuto. Mi fai vedere i muscoli?” chiese, chiudendo
la mano a pugno e piegando il braccio, facendogli segno di imitarla. “Dai,
fammi vedere!”
Gale la guardò con sconcerto per qualche istante, prima
di scuote il capo con espressione divertita. Le uscite spontanee di quella
ragazzina riuscivano sempre a coglierlo alla sprovvista.
“Perché invece non torni alla panetteria, così puoi
chiedere al tuo papà di farti vedere i suoi?”
Haley roteò gli occhi.
“I muscoli del mio papà li ho già visti” spiegò,
alzandosi sulle ginocchia. “Ne ha tanti, è proprio forzuto, se mi attacco qui
mi solleva con un braccio solo!” spiegò, premendo entrambe le mani
sull’avambraccio di Gale. “Tu secondo me non ci riesci!” lo sfidò poi, sorridendogli
con espressione malandrina. Gale non ribatté, limitandosi a ricambiare il
sorriso.
“Mi dici come mai non sei più al Prato con gli altri
ragazzini?” cambiò invece discorso. Haley fece una smorfia e riprese a tirare
fili d’erba.
“Mi sono ricordata che dovevo farti delle domande”.
“Non sono bastate quelle dell’altra volta?”
“Uh uh.”
La bambina scosse il capo, tornando a sorridere con
espressionemalandrina. Gale sospirò. Non aveva voglia di sostenere un secondo
interrogatorio, dopo quello della settimana precedente, ma la conosceva ormai
abbastanza bene da sapere che non si sarebbe mossa da lì fino a quando lui non
l’avesse accontentata.
“E va bene” si arrese, facendo aderire la schiena alla
roccia e mettendosi a braccia conserte. “Sentiamo: che cosa vorresti
chiedermi?”
Lo sguardo di Haley si illuminò. La ragazzina si
avvicinò ulteriormente a Gale, appoggiandosi a sua volta allo sperone. Incrociò
le gambe sull’erba e fece mente locale per un po’, accompagnando il tutto con
un prolungato “Umh....”.
Gale abbozzò un mezzo sorriso. Era evidente dal modo
in cui esitava che non avesse alcuna domanda da fargli, ma cercava solo di
guadagnare tempo per poter restare nei boschi un po’ più a lungo. La bambina
riuscì comunque a farsi venire in mente qualcosa da chiedere e il suo sguardo
si fece raggiante nel momento in cui si accorse di poter finalmente sciogliere
il silenzio.
“Certo che tu vuoi proprio bene alla mia mamma, eh?”
osservò, ricoprendosi le mani di fili d’erba. Gale ammutolì sorpreso, pur
sforzandosi di mostrarsi impassibile. Quella bambina aveva un talento
invidiabile nel riuscire a metterlo a disagio.
“Siamo molto amici” rispose infine, stringendosi nelle
spalle. “Un po’ come te e Joel. Lui è il tuo migliore amico, no?”
Haley annuì, ma l’accenno di broncio di poco prima
tornò a farsi strada sul suo volto.
“Sì, anche se ogni tanto mi fa davvero arrabbiare”
commentò con serietà, tormentandosi i lacci delle scarpe da ginnastica. “Anche
tu fai arrabbiare la mamma, qualche volta?”
Gale abbozzò un mezzo sorriso.
“Più di qualche
volta.”
La bambina arricciò il naso, ritirandosi in un breve
silenzio meditativo. Rivolse poi un’occhiata pensierosa a Gale e alla fine
sorrise.
“Tu la proteggi
sempre” dichiarò infine, alzandosi in ginocchio per avere gli occhi all’altezza
dei suoi. “Anche se ogni tanto litigate la proteggi comunque. Come quando l’hai
portata a casa sulle spalle, l’altro giorno.”
Gale distolse lo sguardo, non sapendo bene cosa
rispondere. Era difficile, alle volte, vedersela con i bambini. Notavano tutto
e non si facevano problemi ad ammetterlo, senza sapere quali nervi scoperti
avrebbero potuto toccare con le loro osservazioni.
“Ci provo, sì” rispose infine, passandosi una mano
dietro la nuca. “Gli amici si comportano così”.
“Ma la mamma ha già il papà che la protegge” osservò Haley,
afferrandosi una caviglia e cercando di tenersi in equilibrio. Non parlava in
tono di voce ostile o indispettito: sembrava veramente incuriosita da quelle
premure nei confronti di Katniss. Gale tornò ad
appoggiarsi i gomiti sulle ginocchia, smarrendo lo sguardo nel folto della
vegetazione di fronte a sé.
“Quando si
sceglie di volersi prendere cura di una persona, la si protegge anche quando
non ne ce n’è veramente bisogno” rispose infine, tornando a voltarsi verso la
bambina. “A volte non serve nemmeno che quel qualcuno lo sappia.”
Haley rimuginò per qualche istante sulle sue parole,
tornando a sedere a gambe incrociate di fianco a lui. Tutto a un tratto si batté
una mano sulla fronte, come colta da un’illuminazione improvvisa.
“Ah!” esclamò, scattando nuovamente in ginocchio. “Ho
capito!”
Gale aggrottò disorientato le sopracciglia.
“Che cosa hai
capito?”
Haley gli rivolse un sorrisetto enigmatico.
“Ho capito il tuo segreto” specificò, squadrandolo con
le mani dietro la schiena e un accenno di rossore sulle guance. Quella reazione
lo incuriosì ulteriormente, nonostante tutto quel parlare di segreti stesse
incominciando a farlo sentire a disagio. Attese per un po’, ma Haley sembrava
decisa a volerlo tenere sulle spine. La bambina gli rivolse un paio di occhiate
di sottecchi con l’aria di chi la sa lunga, prima di allungarsi verso di lui
per sussurrargli qualcosa all’orecchio.
“Tu sei il suo
angelo custode” mormorò infine, posandosi le mani a cono attorno la bocca per
essere sicura che nessun altro sentisse.
Gale analizzò con sconcerto l’espressione furbetta che
era tornata a fare capolino nel volto di Haley. Si mise a ridere, suscitando
l’irritazione della ragazzina.
“Ma sì!” ribatté Haley, alzandosi in piedi; incominciò
a camminare avanti e indietro di fronte a lui. “Sei bello e sai volare, perché fai il pilota[ii]
e aiuti sempre la mamma, anche quando lei non lo sa: proprio come fanno gli
angeli! Sai, loro sono invisibili e noi a volte non sappiamo che ci sono, però
ci proteggono sempre, anche quando non li vediamo. Anche quando non vogliamo!”
“Questa è un’altra cosa che ti ha raccontato June Hawthorne[iii]?”
chiese Gale, ripensando all’elaborata teoria sulle anime gemelle che la
ragazzina gli aveva descritto qualche settimana prima. Quell’osservazione
sembrò alimentare l’irritazione di Haley, che alzò gli occhi al cielo.
“Non ridere, sto dicendo una cosa vera!” si impuntò,
“È così e basta! Non sei come un principe azzurro, perché quelli hanno i
capelli biondi e pure un cavallo. E non sei nemmeno l’anima gemella della
mamma, perché lei ama papà e il papà ama la mamma. Sei il suo angelo custode!”
ribadì con serietà, tornando a sedersi a gambe incrociate di fianco a lui. Si
mise a braccia conserte e gli rivolse un’occhiata ammonitrice, come se lo
stesse invitando a non contraddirla. Gale si limitò a scuotere il capo, un
accenno di sorriso divertito ancora a piegargli le labbra. L’ostinazione che
regnava nel volto della bambina la rendeva incredibilmente simile a Katniss, accentuando le somiglianze già evidenti a un primo
sguardo. Il silenzio insolito che li attorniò tutto a un tratto rinforzò
quell’impressione; Haley in quello non era mai stata come la madre. Lei i vuoti
di parole li aveva sempre riempiti tutti, eppure in quel momento sembrava
decisa a non cedere, mentre attendeva che lui confermasse la sua teoria.
“Gli angeli custodi sono buoni, Haley” rispose infine
lui. La bambina aggrottò le sopracciglia, rivolgendogli un’occhiata confusa.
“Beh, tu sei buonissimo!” osservò, dando una scrollata
di spalle. Gale si sforzò di sorridere, ma il suo sguardo spento tradì
l’increspatura delle labbra. Scosse il capo, sforzandosi di trattenere
l’espressione distesa di poco prima. Non ci riuscì; la naturalezza con cui
aveva ormai imparato ad accogliere le osservazioni buffe della bambina stava
gradualmente sfumando, di fronte a quella candida ammirazione. La sua
indulgenza era uno schiaffo in pieno volto, perché sapeva di non potersela
permettere, ma c’erano cose che non si potevano spiegare a una ragazzina di
sette anni. Stralci di passato che lo tenevano spesso sveglio la notte,
spingendolo a rivivere in sequenza ogni scelta di cui si era pentito,
marchiandolo a fuoco di sbagli.
“Ho fatto delle cose di cui non vado fiero” ammise
infine in tono di voce atono. “Cose brutte, difficili da capire per una
bambina.”
Haley storse la bocca in una smorfia impensierita,
prima di appoggiare il mento ai palmi delle mani. Il silenzio tornò a caricare
di disagio il petto di Gale, mentre gli occhi chiari della ragazzina lo
scrutavano con attenzione, come se lo stessero sondando. Riconobbe ancora Katniss in quell’espressione indagatrice e il senso di
colpa minacciò di graffiare via la serenità che quel pomeriggio nei boschi aveva
incominciato ad intagliargli dentro.
“Lo sai...” esclamò tutto a un tratto Haley, interrompendo
il silenzio, “Mio papà dice sempre che a tutti capita di fare delle cose
brutte, ogni tanto. E che a volte si deve fare qualcosa di cattivo per fare
qualcosa di buono” spiegò con aria seria, prima di dare una scrollata di
spalle. “È stato così anche per te?” chiese infine con un’insolita sfumatura di
dolcezza. Si alzò in ginocchio per avere gli occhi all’altezza di quelli di Gale.
“Hai fatto delle cose brutte perché volevi fare del bene?”
Le labbra dell’uomo tornarono a incresparsi
lievemente, azzardando un debole sorriso. Haley stava parlando con
un’accortezza fuori luogo per una ragazzina esuberante come lei.
“Pensavo di sì” ammise infine, mettendosi a braccia
conserte. “Ma mi sbagliavo.”
“Anche agli angeli custodi succede, sai?” rispose la
bambina, posandogli solidale una mano sulla spalla. “Di sbagliare. L’importante
è che poi si chiede scusa. Tu l’hai fatto?”
Gale abbozzò un sorrisetto amaro.
“Chiedere scusa per certe cose non basta, Halley” rispose. Scoccò un’occhiata
oltre gli alberi, nella direzione da cui era spuntata la ragazzina poco prima,
ma non vide nessuno intento a raggiungerli: Katniss doveva
essere in ritardo.
“A me basterebbe” ammise in quel momento Haley, portandosi
una mano sul cuore e sollevando l’altra. “Giuro!”
L’espressione di Gale si addolcì.
“Questo perché
tu sei una principessa” le
ricordò, facendole una carezza sui capelli. Un sorriso luminoso fece capolino
sul viso della bambina che arrossì, nascondendo il volto dietro le ginocchia.
“Gale?”
“Che cosa c’è, Halley?”
La ragazzina scosse il capo e tornò a ripararsi dietro
le ginocchia, sorridendo timidamente.
“Niente!”
dichiarò, abbracciandosi le gambe con maggior vigore. Gale le rivolse
un’occhiata incuriosita, ma non indagò oltre: Haley i silenzi li riempiva
sempre tutti, ma ogni tanto sembrava avere dei segreti anche lei.
“Non mi hai ancora detto come mai non sei rimasta a
giocare con Joel e il resto della combriccola” osservò infine, alludendo ai
suoi nipoti. Quel pomeriggio avevano deciso di riunirsi al Prato assieme a un
paio di ragazzini della zona e in occasioni simili nessun bambino rincasava mai
prima di essere stato chiamato dai genitori almeno cinque o sei volte.
Haley fece spallucce ed emerse da dietro le ginocchia.
“Volevo starmene da sola” rispose infine, riprendendo
a strappare fili d’erba in generose quantità. Il tono piatto e l’espressione d’un
tratto imbronciata della ragazzina insospettirono Gale.
“Non è che hai litigato con Joel?” chiese. Haley diede
una seconda scrollata di spalle e continuò a giocare con i ciuffi d’erba che
aveva raccolto. Rimase in silenzio per quasi un minuto, mettendosi d’impegno ad
intrecciarli per farsi un braccialetto.
“Gale?” chiamò infine, buttando i fili a terra e
voltandosi verso di lui.
“Sì?”
“Hai un figlio stupido!”
Gale scoppiò a ridere.
“Allora è vero che avete discusso.”
Haley alzò gli occhi al cielo.
“No, però è stupido!” ribadì, alzandosi in piedi e
calciando il mucchietto di ciuffi d’erba che si era accatastato vicino ai suoi
piedi. “Hai un figlio stupido e antipatico, Gale!”
“Questo l’ho capito” rispose l’uomo, non riuscendo a
mascherare un sorrisetto divertito. “Mi spieghi che cosa è successo?”
La bambina sbuffò. Incominciò a girare in tondo
attorno allo sperone di roccia, alternando di tanto in tanto i passi a qualche
saltello.
“È che Joel ha portato la chitarra al Prato” rivelò
infine, senza smettere di camminare. “Lui suona sempre per le altre bambine,
quando glielo chiedono. E a me questa cosa non piace tanto. Io vorrei che la suonasse
solo per me, perché sono io la sua migliore amica” spiegò, fermandosi per
riprendere fiato. Si lasciò cadere nell’erba di e distese nuovamente le
braccia, come aveva fatto al momento del suo arrivo.
“E a Joel questo l’hai detto?” le domandò Gale.
Haley balzò a
sedere di scatto.
“Ma che dici? Certo che no!” esclamò, scuotendo il
capo.
Ancora una volta, Gale si sforzò di trattenere un
sorrisetto.
“Se non glielo dici, come fa a sapere quello che pensi
tu?” chiese, mentre la bambina tornava ad appoggiare la schiena alla roccia.
Haley sbuffò esasperata e si mise a braccia conserte.
“Se lo deve capire da solo, no? Visto che le maestre
dicono tutte che è tanto intelligente!” ribatté spiccia, strappando all’uomo
una risata.
“Noi Hawthorne, ogni tanto,
siamo un po’ lenti a capire le cose.” ammise infine Gale, passandosi una mano
sul collo indolenzito. “Dovrai avere un po’ di pazienza, con Joel.”
Haley arricciò il naso con espressione pensierosa,
prima di stringersi nelle spalle.
“Vorrei che mi proteggesse come tu proteggi la mamma”
rivelò infine, tornando a nascondersi dietro le ginocchia. “I migliori amici
fanno così, no?”
Gale rimase in silenzio per qualche istante, prima di
trovare le parole adatte per risponderle.
“Lo farà” dichiarò infine, parlandole con dolcezza.
“Finché gliene darai la possibilità lui ti proteggerà sempre. Joel ti vuole
molto bene, sai?” rivelò, sorridendo del guizzo di luminosità che fece capolino
nello sguardo della bambina. “Ma è un po’ chiuso e fa fatica a parlare di
quello che prova. Gli riesce più facile preoccuparsi per gli altri, che non per
se stesso.”
Haley aggrottò impensierita le sopracciglia, riflettendo
sulle sue parole.
“Non va mica tanto bene, così, vero papà di Joel?” osservò infine, scuotendo il
capo. “Se uno non dice mai le cose, poi come si fa?”
Gale sospirò e rilasciò il capo all’indietro, tornando
ad aderire con la schiena contro la roccia.
“Si fa che tutte le cose non dette verranno fuori sempre troppo tardi” rispose
infine, distogliendo lo sguardo per immergerlo nella vegetazione di fronte a
sé. La sua espressione si fece d’un tratto distante, come se stesse rimuginando
su un ricordo che non rispolverava da tempo. “E si rischia di rovinare tutto.”
L’espressione della bambina si fece nuovamente
impensierita, contagiata dall’aria assente del suo interlocutore.
“Meno male che ci sei tu che pensi a lui, allora!
dichiarò infine, prima di riesumare il solito sorriso furbetto. “Certo che sei
proprio bravo come angelo custode!” esclamò, agitando la mano per mimare un
segno compiaciuto. Gale scosse il capo, tornando a spostare la propria
attenzione verso la bambina.
“Non sono per niente un angelo, Hales” le ricordò,
arrendendosi a un accenno di sorriso.
“Dai, un po’ sì”
ribatté la ragazzina, accentuando l’espressione malandrina nel suo volto. Aveva
in sé la tenacia e la determinazione di Katniss, ma
in momenti come quelli a Gale veniva spontaneo credere che avesse preso
soprattutto dal padre. Era per via del suo ottimismo e per quella capacità
innata che aveva di riuscire a vedere del buono in tutti. Perfino in chi, come
lui, degli angeli aveva ben poco.
“Dovresti andare a casa, adesso” osservò infine
l’uomo, accarezzando i capelli della bambina. “Se tua mamma ti trova qui quando
arriva e scopre che le hai disobbedito ci fa a pezzetti tutti e due!”
Haley scoppiò a ridere.
“Ma che dici, tu c’hai i muscoli, non può farti a
pezzetti!” ribatté, scuotendo il capo con vigore. “Lei è una femmina e tu sei
forzuto, puoi proteggere anche me se la mamma si arrabbia!”
“Guarda che le donne possono essere pericolose e forzute quanto gli uomini”
le fece notare Gale. “Specialmente alcune.”
“Come Johanna?” chiese la bambina, decidendosi
finalmente ad alzarsi in piedi.
L’uomo si mise a ridere.
“Johanna sa essere molto pericolosa quando la si fa
arrabbiare.”
“Secondo me ti mena!” azzardò la bambina,
rivolgendogli l’ennesima occhiata malandrina. Gale la squadrò con espressione
incredula.
“Ma no che non lo
fa!” ribatté, punzecchiandole giocosamente il fianco con un dito. Haley si
ritrasse dall’attacco di solletico, mettendosi a ridere. “Ho i muscoli, no? Non
mi può picchiare nessuno.”
“Giusto. E poi gli angeli non si menano” osservò seria
la ragazzina, mettendosi a braccia conserte. “Da grande sarò forzuta anch’io,
vero papà di Joel?”
“Tu sarai la più forzuta di tutti” confermò l’uomo con
un sorriso. “Ma promettimi che non picchierai Joel, le volte in cui ti farà
arrabbiare.”
Haley ci pensò un po’ su, esibendo una smorfia poco
convinta.
“Non posso promettertelo, certe volte è proprio
stupido!” concluse infine, prima di venire distratta da uno scricchiolio di
foglie dietro di sé. Si voltò per esaminare la zona e Gale allungò il collo per
fare altrettanto, ma non c’era nessuno oltre a loro due. “Adesso vado a casa!”
dichiarò infine la bambina, tornando a voltarsi verso di lui. “Mi sa che la
mamma sta per arrivare.”
Si sistemò le trecce tirandole per le estremità e si
allontanò correndo in direzione della porzione di bosco che avrebbe portato
alla panetteria. Meno di un minuto più tardi era già tornata indietro.
“Gale?” mormorò con esitazione, spuntando da dietro un
albero. Gale era ancora lì, nella stessa identica posizione in cui l’aveva
lasciato poco prima. Non si era sorpreso nel vederla spuntare nuovamente vicino
alla roccia: sapeva che quando se ne andava senza salutare aveva in programma
di rispuntare poco dopo con almeno qualche domanda di riserva.
“Che cosa c’è, principessa?”
Haley sorrise, nel sentirsi chiamare così. Le guance
le si tinsero di rosso e gli occhi tornarono a brillarle, accentuando la
vivacità del suo sguardo. Quel soprannome speciale e un sorriso erano
sufficienti per renderla felice. Sarebbe stato bello, si trovò a riflettere
Gale, se fosse bastato un principessa per strappare un sorriso anche a
sua madre; ma non era così. Con Katniss non era mai
stato così.
“Sei un po’ anche il mio angelo custode?” chiese
infine la bambina, abbracciando l’albero dietro il quale era nascosta.
Gale le sorrise, passandosi con imbarazzo una mano
dietro la nuca. Per un attimo i suoi pensieri si spostarono verso il figlio e
gli scambi di battute che lui e Haley avevano avuto poco prima. Gli venne
spontaneo sentirsi ancora una volta a disagio al pensiero di quanta differenza
ci fosse fra gli atteggiamenti maturi e controllati di Joel e l’esuberanza di
Haley, tipica dei ragazzini della loro età. Fu in quel frangente che si accorse
di quanto avessero bisogno di essere protetti entrambi, nonostante la loro
infanzia stesse procedendo spensierata, al contrario di quella che avevano
avuto i suoi fratelli. Andavano difesi dagli sbagli e dalle incertezze che
risiedevano ancora nei sogni agitati dei loro genitori.
“Un po’ sì” la accontentò infine, ripetendo le parole
con cui le aveva risposto la ragazzina poco prima. Per anni aveva temuto ogni
responsabilità che prevedesse il doversi prendere cura di qualcuno, ma c’era
qualcosa in quella bambina che continuava a spingerlo verso il se stesso di una
volta: il ragazzo che credeva che proteggere le persone fosse la sua unica
qualità[iv].
Quel ragazzo si sbagliava, Gale l’aveva imparato a sue spese. Eppure,
osservando il rinnovato luccichio nello sguardo di Haley e il suo sorriso
allegro, avvertì l’incombenza di una responsabilità nuova, proprio come il
giorno in cui aveva sorpreso una ragazzina con la treccia accucciata vicino
alle sue trappole. E seppe che avrebbe fatto del suo meglio per proteggere
anche lei: la cometa del Distretto 12[v].
Quella ragazzina che ricordava tanto la madre, ma che al tempo stesso non le
somigliava per niente.
“Allora posso
andare!” dichiarò in quel momento Haley, sgusciando fuori da dietro l’albero. Saltellò
fino a raggiungerlo e gli bussò sulla spalla, prima di schioccargli un bacio
sulla guancia.
“Ciao, papà di Joel!” lo salutò, percorrendo poi a
ritroso lo sprazzo d’erba. Meno di cinque minuti più tardi un rumore di passi
spinse Gale a sorridere e a chiedersi cosa, questa volta, avesse spinto la
ragazzina a tornare indietro. Fece per chiederglielo, voltandosi verso sinistra.
La figura che emerse da dietro gli alberi aveva gli
stessi capelli scuri di Haley e l’espressione vigile, guardinga, che aveva
assunto la bambina in più occasioni quel pomeriggio. Fu qualcos’altro,
tuttavia, a catturare l’attenzione di Gale: un terzo dettaglio in comune con la
ragazzina che gli aveva fatto visita poco prima. Era un sorriso appena
pronunciato, come quelli che arricciavano le labbra di Haley nei momenti in cui
la bambina nascondeva intimidita il volto dietro le ginocchia: ed era rivolto a
lui. Sorrise a
sua volta, mentre la persona appena arrivata prendeva posto al suo fianco,
occupando la parte dello sperone su cui fino a poco prima era stata appoggiata
la figlia.
“Ehi, Catnip” la salutò Gale
a quel punto; un’insolita punta di malinconia lo sorprese, appoggiandosi al suo
petto.
“Ehi, Gale” rispose Katniss,
cingendosi le ginocchia con le braccia: il sorriso di poco prima c’era ancora,
lieve, ma facilmente individuabile, nonostante la donna avesse già distolto lo
sguardo.
Quel sorriso lo spinse a pensare che in fondo Haley avesse
ragione. Alle volte era necessario accettare di aver fatto del male spinti
dalla convinzione di fare del bene. Valeva la pena concedersi qualche passo
lontani dagli sbagli del passato, per tornare a proteggere le persone che
vivevano il presente. Di errori probabilmente ce ne sarebbero stati altri e
ogni sbaglio avrebbe comportato un peso, ma si potevano sorreggere, con la consapevolezza
di non essere il solo ad avere le mani macchiate di colpe.
Aspirare a non commettere più sbagli era probabilmente
assurdo, quasi stupido. Perché forse, Haley Mellark
aveva avuto ragione anche in quello: forse, in fondo, sbagliavano anche gli
angeli.
«Era
stranissimo, vederlo da lontano. Così piccolo.
Nel
mondo, mi faceva una tenerezza che non sapevo provare per lui nella casa.
Volevo
proteggerlo dalle cose terribili che nessuno si merita.»
Molto forte,
incredibilmente vicino. Jonathan Safran Foer.
[i] Riferimento a un passaggio di Catching Fire: ”
[ii] Secondo il mio head-canon
personale Gale è diventato pilota di linea, dopo aver prestato servizio per 10
anni come pilota militare al Distretto 2. Spesso porta Joel (e qualche volta
anche i nipoti o Haley e suo fratello Rowan) a
gironzolare a bordo di un’hovercraft.
[iii] June Hawthorne è la figlioletta di Vick, già menzionata da Haley
in “Di comete, principesse e anime gemelle”.
[iv] Riferimento a una frase che Gale dice a Katniss, tratta da un passaggio di Mockingjay:
“Prendermi cura della tua famiglia. Quella era la mia unica qualità”.
[v] Haley viene soprannominata da Joel “Halley”
e la “Cometa del Distretto 12” nella one-shot omonima per via della cometa di Halley, che ha
un significato importante per Katniss, Gale e i loro
padri.
Nota dell’autrice.
Questa volta il
polpettone sarà breve, perché mi vergogno già troppo al pensiero di aver
scritto l’ennesima storia chilometrica >.< Dunque…. Dopo aver scritto una
Everlark dovevo per forza tornare all’ovile e
coccolarmi il forzutissimo “papà di
Joel”, perché già ne avevo la nostalgia. Questa seconda parte, come avevo
suggerito in precedenza, si sofferma soprattutto sull’amicizia fra Katniss e Gale, in parte anche perché pian piano sto
cercando di “riempire i buchi” fra le varie one-shot
legate al Post-Mockinjay, in maniera da poter
giustificare alcune cose che accadranno in futuro. C’è anche qualche primo
accenno all’intesa fra i due nanerottoli, Haley e Joel, anche se quest’ultimo
per ora non sembra essere molto interessato alle attenzioni dell’amica del
cuore xD La faccenda del “menare” e i lievi accenni a
Johanna li ho inseriti come “preludio” per una Ganna che ho plottato e che
prima o poi mi piacerebbe anche finire, ma conoscendomi ci vorrà un po’. Basta,
ho detto tutto. Spero tanto che questa seconda parte non abbia deluso chi aveva
già letto “Di comete, principesse e anime gemelle” – soprattutto poiché quella
parte aveva molti più accenni Everlark. Colgo l’occasione
per ringraziare e scusarmi con le persone che hanno recensito Come un
Pittore, prometto che cercherò di rispondere ai vostri commenti il prima
possibile!
Un abbraccio!
Laura