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Autore: Kary91    23/04/2014    15 recensioni
|Gale Hawthorne & Haley Mellark; Post-Mockingjay | Accenni Everthorne/Everlark/Ganna|
"Ho capito il tuo segreto” specificò, squadrandolo con le mani dietro la schiena e un accenno di rossore sulle guance. Gale attese per un po’, ma Haley sembrava decisa a volerlo tenere sulle spine. La bambina gli rivolse un paio di occhiate di sottecchi con l’aria di chi la sa lunga, prima di allungarsi verso di lui per sussurrargli qualcosa all’orecchio. “Tu sei il suo angelo custode” mormorò infine, posandosi le mani a cono attorno la bocca per essere sicura che nessun altro sentisse.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bimba Mellark, Gale Hawthorne, Katniss Everdeen
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'I don't love you (but I always will); '
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Premessa.

Questa storia è ambientata a quattro o cinque anni di distanza dall’epilogo de “Il Canto della Rivolta. Gale è tornato a vivere nel Distretto 12 da qualche mese, assieme a suo figlio, Joel, e a Johanna Mason, che vive con loro. Haley Mellark è la primogenita di Peeta e Katniss. La storia si riallaccia a una precedente one-shot, “Di Comete, Principesse e Anime Gemelle”, ma risulta abbastanza comprensibile anche senza aver letto la prima parte.

 

Forse sbagliano anche gli angeli.

 

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«Avrei voluto parlarle di tutte le bugie che le avevo raccontato.

E che lei mi dicesse che non c’era niente di male, perché a volte bisogna fare qualcosa di cattivo per fare qualcosa di buono.»

Molto forte, incredibilmente vicino. Jonathan Safran Foer.

 

Gale scoccò un’occhiata distratta al cielo, attendendo con pazienza che incominciasse a scurirsi. Lo scricchiolio delle foglie lo spinse a più riprese a voltarsi verso sinistra, ma ad ingannarlo era solo il vento, che spettinava giocoso le chiome degli alberi. Katniss non era ancora arrivata anche se probabilmente l’avrebbe fatto presto, spuntandogli silenziosamente alle spalle come era solito fare lui quando erano ragazzi.

Da una settimana a quella parte avevano incominciato a recuperare qualche vecchia abitudine e lo sperone di roccia era tornato a essere il loro luogo di ritrovo nel tardo pomeriggio, prima che entrambi rincasassero dalle rispettive famiglie. Spesso trascorrevano quel tempo assieme chiacchierando. A volte andavano a caccia o al lago per pescare, e in quelle occasioni a Gale veniva facile credere che il tempo non fosse mai passato. Che ci fossero ancora soltanto loro due, il ragazzo e la ragazza che facevano squadra nei boschi, muovendosi come due parti dello stesso essere. Nonostante quei momenti fossero sempre più frequenti, il cambiamento era comunque evidente. Lo si percepiva attraverso i loro discorsi e nei volti di entrambi, spesso privi di quei sorrisi che in passato affioravano durante i pomeriggi trascorsi oltre la recinzione di filo spinato. Uno dei cambiamenti più grandi stava correndo incontro a Gale proprio in quel momento: le trecce nere oscillavano a ogni suo passo e l’accenno di broncio disegnava sul suo volto un’espressione crucciata, quasi offesa. L’aria accigliata di Haley Mellark sfumò comunque in fretta e, nel momento in cui la bambina raggiunse la porzione di bosco dominata dalla roccia, il solito sorriso vispo era già tornato ad accarezzarle le guance arrossate dal gran correre.

 “Ehilà, papà di Joel!” esclamò con il fiatone, abbandonandosi sfinita sul prato. Gale le rivolse un’occhiata perplessa.

“Ma tu non eri al Prato con Joel e gli altri ragazzini?”

Haley scosse il capo. Distese le braccia e le gambe nell’erba e chiuse gli occhi, per riprendersi dalla corsa.

“Sono stanchissima, dormirei per due giorni interi!”

“Sbaglio o mi avevi promesso che non saresti più tornata nei boschi da sola?” le fece notare Gale, non nascondendo, tuttavia, un mezzo sorriso.

Haley si posò entrambe le mani sugli occhi, cercando di filtrare la luce del sole con le dita.

“Ma non sono sola, ci sei tu!” obiettò, scattando a sedere. Si sfilò qualche filo d’erba dai capelli e si sistemò le trecce continuando a squadrare Gale durante quell’operazione. “Aspetti la mamma?” chiese infine, gattonando fino a raggiungere la roccia. L’uomo aggrottò le sopracciglia.

 “Cosa ti fa credere che stia aspettando lei?”

Haley gli rivolse un sorriso furbetto.

“L’ho vista, no?” rispose, unendo i piedi e fasciandoli con le mani. “Viene qui a cacciare con te tutti i pomeriggi. L’altro ieri si è pure fatta male alla gamba e tu l’hai portata a casa.”

Gale distolse lo sguardo per poter tornare ad appoggiare la nuca contro lo sperone. Un paio di giorni prima Katniss si era storta la caviglia scivolando sulla riva, mentre pescavano al lago. Per quanto fossero ancora piuttosto agili, non erano di certo gli stessi cacciatori silenziosi e attenti di una volta. Quella era un’altra delle cose in cui Gale si sentisse maggiormente cambiato.

“Adesso sta meglio?” chiese, tornando a voltarsi verso la bambina. Haley annuì con vigore.

 “Mamma mi ha detto che quando eravate piccoli era successa la stessa cosa. Lei si era fatta male e tu l’avevi portata a casa sulle spalle.”

Gale aggrottò appena le sopracciglia.

“Sul serio te l’ha raccontato?”

La bambina annuì di nuovo, fissandosi per un istante le mani macchiate d’erba. Gale era sorpreso; non si aspettava che Katniss parlasse di lui – di loro – ai figli. L’episodio a cui si riferiva Haley risaliva a quando erano ancora poco più che ragazzini[i]. Katniss era inciampata su una radice mentre stavano andando a controllare una trappola e si era torta il ginocchio. Anche in quell’occasione, così come era accaduto due giorni prima, aveva insistito per tornare a casa a piedi, ma non era riuscita a fare più di dieci metri. Così, dopo aver discusso animatamente con lui per qualche minuto, si era aggrappata esitante al suo collo, per lasciarsi trasportare sino a casa. Se da ragazzi avevano impiegato il tragitto calcolando quanti soldi avrebbero potuto ottenere con la poca selvaggina che si erano procurati al mattino, quel pomeriggio di diversi anni dopo si erano limitati al silenzio, intervallato dai respiri di entrambi e dallo scricchiolare delle foglie sotto i loro piedi.

“Senti...” Haley interruppe le sue riflessioni, picchiettandogli un indice sulla spalla. “...ma se l’hai portata a casa sulle spalle, allora sei proprio forzuto. Mi fai vedere i muscoli?” chiese, chiudendo la mano a pugno e piegando il braccio, facendogli segno di imitarla. “Dai, fammi vedere!”

Gale la guardò con sconcerto per qualche istante, prima di scuote il capo con espressione divertita. Le uscite spontanee di quella ragazzina riuscivano sempre a coglierlo alla sprovvista.

“Perché invece non torni alla panetteria, così puoi chiedere al tuo papà di farti vedere i suoi?”

Haley roteò gli occhi.

“I muscoli del mio papà li ho già visti” spiegò, alzandosi sulle ginocchia. “Ne ha tanti, è proprio forzuto, se mi attacco qui mi solleva con un braccio solo!” spiegò, premendo entrambe le mani sull’avambraccio di Gale. “Tu secondo me non ci riesci!” lo sfidò poi, sorridendogli con espressione malandrina. Gale non ribatté, limitandosi a ricambiare il sorriso.

“Mi dici come mai non sei più al Prato con gli altri ragazzini?” cambiò invece discorso. Haley fece una smorfia e riprese a tirare fili d’erba.

“Mi sono ricordata che dovevo farti delle domande”.

“Non sono bastate quelle dell’altra volta?”

“Uh uh.”

La bambina scosse il capo, tornando a sorridere con espressionemalandrina. Gale sospirò. Non aveva voglia di sostenere un secondo interrogatorio, dopo quello della settimana precedente, ma la conosceva ormai abbastanza bene da sapere che non si sarebbe mossa da lì fino a quando lui non l’avesse accontentata.

“E va bene” si arrese, facendo aderire la schiena alla roccia e mettendosi a braccia conserte. “Sentiamo: che cosa vorresti chiedermi?”

Lo sguardo di Haley si illuminò. La ragazzina si avvicinò ulteriormente a Gale, appoggiandosi a sua volta allo sperone. Incrociò le gambe sull’erba e fece mente locale per un po’, accompagnando il tutto con un prolungato “Umh....”.  

Gale abbozzò un mezzo sorriso. Era evidente dal modo in cui esitava che non avesse alcuna domanda da fargli, ma cercava solo di guadagnare tempo per poter restare nei boschi un po’ più a lungo. La bambina riuscì comunque a farsi venire in mente qualcosa da chiedere e il suo sguardo si fece raggiante nel momento in cui si accorse di poter finalmente sciogliere il silenzio.

“Certo che tu vuoi proprio bene alla mia mamma, eh?” osservò, ricoprendosi le mani di fili d’erba. Gale ammutolì sorpreso, pur sforzandosi di mostrarsi impassibile. Quella bambina aveva un talento invidiabile nel riuscire a metterlo a disagio.

“Siamo molto amici” rispose infine, stringendosi nelle spalle. “Un po’ come te e Joel. Lui è il tuo migliore amico, no?”

Haley annuì, ma l’accenno di broncio di poco prima tornò a farsi strada sul suo volto.

“Sì, anche se ogni tanto mi fa davvero arrabbiare” commentò con serietà, tormentandosi i lacci delle scarpe da ginnastica. “Anche tu fai arrabbiare la mamma, qualche volta?”

Gale abbozzò un mezzo sorriso.

 “Più di qualche volta.”

La bambina arricciò il naso, ritirandosi in un breve silenzio meditativo. Rivolse poi un’occhiata pensierosa a Gale e alla fine sorrise.

 “Tu la proteggi sempre” dichiarò infine, alzandosi in ginocchio per avere gli occhi all’altezza dei suoi. “Anche se ogni tanto litigate la proteggi comunque. Come quando l’hai portata a casa sulle spalle, l’altro giorno.”

Gale distolse lo sguardo, non sapendo bene cosa rispondere. Era difficile, alle volte, vedersela con i bambini. Notavano tutto e non si facevano problemi ad ammetterlo, senza sapere quali nervi scoperti avrebbero potuto toccare con le loro osservazioni.

“Ci provo, sì” rispose infine, passandosi una mano dietro la nuca. “Gli amici si comportano così”.

“Ma la mamma ha già il papà che la protegge” osservò Haley, afferrandosi una caviglia e cercando di tenersi in equilibrio. Non parlava in tono di voce ostile o indispettito: sembrava veramente incuriosita da quelle premure nei confronti di Katniss. Gale tornò ad appoggiarsi i gomiti sulle ginocchia, smarrendo lo sguardo nel folto della vegetazione di fronte a sé.

 “Quando si sceglie di volersi prendere cura di una persona, la si protegge anche quando non ne ce n’è veramente bisogno” rispose infine, tornando a voltarsi verso la bambina. “A volte non serve nemmeno che quel qualcuno lo sappia.”

Haley rimuginò per qualche istante sulle sue parole, tornando a sedere a gambe incrociate di fianco a lui. Tutto a un tratto si batté una mano sulla fronte, come colta da un’illuminazione improvvisa.

“Ah!” esclamò, scattando nuovamente in ginocchio. “Ho capito!”

Gale aggrottò disorientato le sopracciglia.

 “Che cosa hai capito?”

Haley gli rivolse un sorrisetto enigmatico.

“Ho capito il tuo segreto” specificò, squadrandolo con le mani dietro la schiena e un accenno di rossore sulle guance. Quella reazione lo incuriosì ulteriormente, nonostante tutto quel parlare di segreti stesse incominciando a farlo sentire a disagio. Attese per un po’, ma Haley sembrava decisa a volerlo tenere sulle spine. La bambina gli rivolse un paio di occhiate di sottecchi con l’aria di chi la sa lunga, prima di allungarsi verso di lui per sussurrargli qualcosa all’orecchio.

 “Tu sei il suo angelo custode” mormorò infine, posandosi le mani a cono attorno la bocca per essere sicura che nessun altro sentisse.

Gale analizzò con sconcerto l’espressione furbetta che era tornata a fare capolino nel volto di Haley. Si mise a ridere, suscitando l’irritazione della ragazzina.

“Ma sì!” ribatté Haley, alzandosi in piedi; incominciò a camminare avanti e indietro di fronte a lui. “Sei bello e sai volare, perché fai il pilota[ii] e aiuti sempre la mamma, anche quando lei non lo sa: proprio come fanno gli angeli! Sai, loro sono invisibili e noi a volte non sappiamo che ci sono, però ci proteggono sempre, anche quando non li vediamo. Anche quando non vogliamo!”

“Questa è un’altra cosa che ti ha raccontato June Hawthorne[iii]?” chiese Gale, ripensando all’elaborata teoria sulle anime gemelle che la ragazzina gli aveva descritto qualche settimana prima. Quell’osservazione sembrò alimentare l’irritazione di Haley, che alzò gli occhi al cielo.

“Non ridere, sto dicendo una cosa vera!” si impuntò, “È così e basta! Non sei come un principe azzurro, perché quelli hanno i capelli biondi e pure un cavallo. E non sei nemmeno l’anima gemella della mamma, perché lei ama papà e il papà ama la mamma. Sei il suo angelo custode!” ribadì con serietà, tornando a sedersi a gambe incrociate di fianco a lui. Si mise a braccia conserte e gli rivolse un’occhiata ammonitrice, come se lo stesse invitando a non contraddirla. Gale si limitò a scuotere il capo, un accenno di sorriso divertito ancora a piegargli le labbra. L’ostinazione che regnava nel volto della bambina la rendeva incredibilmente simile a Katniss, accentuando le somiglianze già evidenti a un primo sguardo. Il silenzio insolito che li attorniò tutto a un tratto rinforzò quell’impressione; Haley in quello non era mai stata come la madre. Lei i vuoti di parole li aveva sempre riempiti tutti, eppure in quel momento sembrava decisa a non cedere, mentre attendeva che lui confermasse la sua teoria.

“Gli angeli custodi sono buoni, Haley” rispose infine lui. La bambina aggrottò le sopracciglia, rivolgendogli un’occhiata confusa.

“Beh, tu sei buonissimo!” osservò, dando una scrollata di spalle. Gale si sforzò di sorridere, ma il suo sguardo spento tradì l’increspatura delle labbra. Scosse il capo, sforzandosi di trattenere l’espressione distesa di poco prima. Non ci riuscì; la naturalezza con cui aveva ormai imparato ad accogliere le osservazioni buffe della bambina stava gradualmente sfumando, di fronte a quella candida ammirazione. La sua indulgenza era uno schiaffo in pieno volto, perché sapeva di non potersela permettere, ma c’erano cose che non si potevano spiegare a una ragazzina di sette anni. Stralci di passato che lo tenevano spesso sveglio la notte, spingendolo a rivivere in sequenza ogni scelta di cui si era pentito, marchiandolo a fuoco di sbagli.

“Ho fatto delle cose di cui non vado fiero” ammise infine in tono di voce atono. “Cose brutte, difficili da capire per una bambina.”

Haley storse la bocca in una smorfia impensierita, prima di appoggiare il mento ai palmi delle mani. Il silenzio tornò a caricare di disagio il petto di Gale, mentre gli occhi chiari della ragazzina lo scrutavano con attenzione, come se lo stessero sondando. Riconobbe ancora Katniss in quell’espressione indagatrice e il senso di colpa minacciò di graffiare via la serenità che quel pomeriggio nei boschi aveva incominciato ad intagliargli dentro.

“Lo sai...” esclamò tutto a un tratto Haley, interrompendo il silenzio, “Mio papà dice sempre che a tutti capita di fare delle cose brutte, ogni tanto. E che a volte si deve fare qualcosa di cattivo per fare qualcosa di buono” spiegò con aria seria, prima di dare una scrollata di spalle. “È stato così anche per te?” chiese infine con un’insolita sfumatura di dolcezza. Si alzò in ginocchio per avere gli occhi all’altezza di quelli di Gale. “Hai fatto delle cose brutte perché volevi fare del bene?”

Le labbra dell’uomo tornarono a incresparsi lievemente, azzardando un debole sorriso. Haley stava parlando con un’accortezza fuori luogo per una ragazzina esuberante come lei.

“Pensavo di sì” ammise infine, mettendosi a braccia conserte. “Ma mi sbagliavo.”

“Anche agli angeli custodi succede, sai?” rispose la bambina, posandogli solidale una mano sulla spalla. “Di sbagliare. L’importante è che poi si chiede scusa. Tu l’hai fatto?”

Gale abbozzò un sorrisetto amaro.

“Chiedere scusa per certe cose non basta, Halley” rispose. Scoccò un’occhiata oltre gli alberi, nella direzione da cui era spuntata la ragazzina poco prima, ma non vide nessuno intento a raggiungerli: Katniss doveva essere in ritardo.

“A me basterebbe” ammise in quel momento Haley, portandosi una mano sul cuore e sollevando l’altra. “Giuro!”

L’espressione di Gale si addolcì.

 “Questo perché tu sei una principessa” le ricordò, facendole una carezza sui capelli. Un sorriso luminoso fece capolino sul viso della bambina che arrossì, nascondendo il volto dietro le ginocchia.

“Gale?”

“Che cosa c’è, Halley?”

La ragazzina scosse il capo e tornò a ripararsi dietro le ginocchia, sorridendo timidamente.

 “Niente!” dichiarò, abbracciandosi le gambe con maggior vigore. Gale le rivolse un’occhiata incuriosita, ma non indagò oltre: Haley i silenzi li riempiva sempre tutti, ma ogni tanto sembrava avere dei segreti anche lei.

“Non mi hai ancora detto come mai non sei rimasta a giocare con Joel e il resto della combriccola” osservò infine, alludendo ai suoi nipoti. Quel pomeriggio avevano deciso di riunirsi al Prato assieme a un paio di ragazzini della zona e in occasioni simili nessun bambino rincasava mai prima di essere stato chiamato dai genitori almeno cinque o sei volte.

Haley fece spallucce ed emerse da dietro le ginocchia.

“Volevo starmene da sola” rispose infine, riprendendo a strappare fili d’erba in generose quantità. Il tono piatto e l’espressione d’un tratto imbronciata della ragazzina insospettirono Gale.

“Non è che hai litigato con Joel?” chiese. Haley diede una seconda scrollata di spalle e continuò a giocare con i ciuffi d’erba che aveva raccolto. Rimase in silenzio per quasi un minuto, mettendosi d’impegno ad intrecciarli per farsi un braccialetto.

“Gale?” chiamò infine, buttando i fili a terra e voltandosi verso di lui.

“Sì?”

“Hai un figlio stupido!”

Gale scoppiò a ridere.

“Allora è vero che avete discusso.”

Haley alzò gli occhi al cielo.

“No, però è stupido!” ribadì, alzandosi in piedi e calciando il mucchietto di ciuffi d’erba che si era accatastato vicino ai suoi piedi. “Hai un figlio stupido e antipatico, Gale!”

“Questo l’ho capito” rispose l’uomo, non riuscendo a mascherare un sorrisetto divertito. “Mi spieghi che cosa è successo?”

La bambina sbuffò. Incominciò a girare in tondo attorno allo sperone di roccia, alternando di tanto in tanto i passi a qualche saltello.

“È che Joel ha portato la chitarra al Prato” rivelò infine, senza smettere di camminare. “Lui suona sempre per le altre bambine, quando glielo chiedono. E a me questa cosa non piace tanto. Io vorrei che la suonasse solo per me, perché sono io la sua migliore amica” spiegò, fermandosi per riprendere fiato. Si lasciò cadere nell’erba di e distese nuovamente le braccia, come aveva fatto al momento del suo arrivo.

“E a Joel questo l’hai detto?” le domandò Gale.

 Haley balzò a sedere di scatto.

“Ma che dici? Certo che no!” esclamò, scuotendo il capo.

Ancora una volta, Gale si sforzò di trattenere un sorrisetto.

“Se non glielo dici, come fa a sapere quello che pensi tu?” chiese, mentre la bambina tornava ad appoggiare la schiena alla roccia. Haley sbuffò esasperata e si mise a braccia conserte.

“Se lo deve capire da solo, no? Visto che le maestre dicono tutte che è tanto intelligente!” ribatté spiccia, strappando all’uomo una risata.

“Noi Hawthorne, ogni tanto, siamo un po’ lenti a capire le cose.” ammise infine Gale, passandosi una mano sul collo indolenzito. “Dovrai avere un po’ di pazienza, con Joel.”

Haley arricciò il naso con espressione pensierosa, prima di stringersi nelle spalle.

“Vorrei che mi proteggesse come tu proteggi la mamma” rivelò infine, tornando a nascondersi dietro le ginocchia. “I migliori amici fanno così, no?”

Gale rimase in silenzio per qualche istante, prima di trovare le parole adatte per risponderle.

“Lo farà” dichiarò infine, parlandole con dolcezza. “Finché gliene darai la possibilità lui ti proteggerà sempre. Joel ti vuole molto bene, sai?” rivelò, sorridendo del guizzo di luminosità che fece capolino nello sguardo della bambina. “Ma è un po’ chiuso e fa fatica a parlare di quello che prova. Gli riesce più facile preoccuparsi per gli altri, che non per se stesso.”

Haley aggrottò impensierita le sopracciglia, riflettendo sulle sue parole.
“Non va mica tanto bene, così, vero papà di Joel?” osservò infine, scuotendo il capo. “Se uno non dice mai le cose, poi come si fa?”

Gale sospirò e rilasciò il capo all’indietro, tornando ad aderire con la schiena contro la roccia.
“Si fa che tutte le cose non dette verranno fuori sempre troppo tardi” rispose infine, distogliendo lo sguardo per immergerlo nella vegetazione di fronte a sé. La sua espressione si fece d’un tratto distante, come se stesse rimuginando su un ricordo che non rispolverava da tempo. “E si rischia di rovinare tutto.”

L’espressione della bambina si fece nuovamente impensierita, contagiata dall’aria assente del suo interlocutore.

“Meno male che ci sei tu che pensi a lui, allora!” dichiarò infine, prima di riesumare il solito sorriso furbetto. “Certo che sei proprio bravo come angelo custode!” esclamò, agitando la mano per mimare un segno compiaciuto. Gale scosse il capo, tornando a spostare la propria attenzione verso la bambina.

“Non sono per niente un angelo, Hales” le ricordò, arrendendosi a un accenno di sorriso.

 “Dai, un po’ sì” ribatté la ragazzina, accentuando l’espressione malandrina nel suo volto. Aveva in sé la tenacia e la determinazione di Katniss, ma in momenti come quelli a Gale veniva spontaneo credere che avesse preso soprattutto dal padre. Era per via del suo ottimismo e per quella capacità innata che aveva di riuscire a vedere del buono in tutti. Perfino in chi, come lui, degli angeli aveva ben poco.

“Dovresti andare a casa, adesso” osservò infine l’uomo, accarezzando i capelli della bambina. “Se tua mamma ti trova qui quando arriva e scopre che le hai disobbedito ci fa a pezzetti tutti e due!”

Haley scoppiò a ridere.

“Ma che dici, tu c’hai i muscoli, non può farti a pezzetti!” ribatté, scuotendo il capo con vigore. “Lei è una femmina e tu sei forzuto, puoi proteggere anche me se la mamma si arrabbia!”

“Guarda che le donne possono essere pericolose e forzute quanto gli uomini” le fece notare Gale. “Specialmente alcune.”

“Come Johanna?” chiese la bambina, decidendosi finalmente ad alzarsi in piedi.

L’uomo si mise a ridere.

“Johanna sa essere molto pericolosa quando la si fa arrabbiare.”

“Secondo me ti mena!” azzardò la bambina, rivolgendogli l’ennesima occhiata malandrina. Gale la squadrò con espressione incredula.

 “Ma no che non lo fa!” ribatté, punzecchiandole giocosamente il fianco con un dito. Haley si ritrasse dall’attacco di solletico, mettendosi a ridere. “Ho i muscoli, no? Non mi può picchiare nessuno.”

“Giusto. E poi gli angeli non si menano” osservò seria la ragazzina, mettendosi a braccia conserte. “Da grande sarò forzuta anch’io, vero papà di Joel?”

“Tu sarai la più forzuta di tutti” confermò l’uomo con un sorriso. “Ma promettimi che non picchierai Joel, le volte in cui ti farà arrabbiare.”

Haley ci pensò un po’ su, esibendo una smorfia poco convinta.

“Non posso promettertelo, certe volte è proprio stupido!” concluse infine, prima di venire distratta da uno scricchiolio di foglie dietro di sé. Si voltò per esaminare la zona e Gale allungò il collo per fare altrettanto, ma non c’era nessuno oltre a loro due. “Adesso vado a casa!” dichiarò infine la bambina, tornando a voltarsi verso di lui. “Mi sa che la mamma sta per arrivare.”

Si sistemò le trecce tirandole per le estremità e si allontanò correndo in direzione della porzione di bosco che avrebbe portato alla panetteria. Meno di un minuto più tardi era già tornata indietro.

“Gale?” mormorò con esitazione, spuntando da dietro un albero. Gale era ancora lì, nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciato poco prima. Non si era sorpreso nel vederla spuntare nuovamente vicino alla roccia: sapeva che quando se ne andava senza salutare aveva in programma di rispuntare poco dopo con almeno qualche domanda di riserva.

“Che cosa c’è, principessa?”

Haley sorrise, nel sentirsi chiamare così. Le guance le si tinsero di rosso e gli occhi tornarono a brillarle, accentuando la vivacità del suo sguardo. Quel soprannome speciale e un sorriso erano sufficienti per renderla felice. Sarebbe stato bello, si trovò a riflettere Gale, se fosse bastato un principessa per strappare un sorriso anche a sua madre; ma non era così. Con Katniss non era mai stato così.

“Sei un po’ anche il mio angelo custode?” chiese infine la bambina, abbracciando l’albero dietro il quale era nascosta.

Gale le sorrise, passandosi con imbarazzo una mano dietro la nuca. Per un attimo i suoi pensieri si spostarono verso il figlio e gli scambi di battute che lui e Haley avevano avuto poco prima. Gli venne spontaneo sentirsi ancora una volta a disagio al pensiero di quanta differenza ci fosse fra gli atteggiamenti maturi e controllati di Joel e l’esuberanza di Haley, tipica dei ragazzini della loro età. Fu in quel frangente che si accorse di quanto avessero bisogno di essere protetti entrambi, nonostante la loro infanzia stesse procedendo spensierata, al contrario di quella che avevano avuto i suoi fratelli. Andavano difesi dagli sbagli e dalle incertezze che risiedevano ancora nei sogni agitati dei loro genitori.

“Un po’ sì” la accontentò infine, ripetendo le parole con cui le aveva risposto la ragazzina poco prima. Per anni aveva temuto ogni responsabilità che prevedesse il doversi prendere cura di qualcuno, ma c’era qualcosa in quella bambina che continuava a spingerlo verso il se stesso di una volta: il ragazzo che credeva che proteggere le persone fosse la sua unica qualità[iv]. Quel ragazzo si sbagliava, Gale l’aveva imparato a sue spese. Eppure, osservando il rinnovato luccichio nello sguardo di Haley e il suo sorriso allegro, avvertì l’incombenza di una responsabilità nuova, proprio come il giorno in cui aveva sorpreso una ragazzina con la treccia accucciata vicino alle sue trappole. E seppe che avrebbe fatto del suo meglio per proteggere anche lei: la cometa del Distretto 12[v]. Quella ragazzina che ricordava tanto la madre, ma che al tempo stesso non le somigliava per niente.

 “Allora posso andare!” dichiarò in quel momento Haley, sgusciando fuori da dietro l’albero. Saltellò fino a raggiungerlo e gli bussò sulla spalla, prima di schioccargli un bacio sulla guancia.

“Ciao, papà di Joel!” lo salutò, percorrendo poi a ritroso lo sprazzo d’erba. Meno di cinque minuti più tardi un rumore di passi spinse Gale a sorridere e a chiedersi cosa, questa volta, avesse spinto la ragazzina a tornare indietro. Fece per chiederglielo, voltandosi verso sinistra.

La figura che emerse da dietro gli alberi aveva gli stessi capelli scuri di Haley e l’espressione vigile, guardinga, che aveva assunto la bambina in più occasioni quel pomeriggio. Fu qualcos’altro, tuttavia, a catturare l’attenzione di Gale: un terzo dettaglio in comune con la ragazzina che gli aveva fatto visita poco prima. Era un sorriso appena pronunciato, come quelli che arricciavano le labbra di Haley nei momenti in cui la bambina nascondeva intimidita il volto dietro le ginocchia: ed era rivolto a lui. Sorrise a sua volta, mentre la persona appena arrivata prendeva posto al suo fianco, occupando la parte dello sperone su cui fino a poco prima era stata appoggiata la figlia.

“Ehi, Catnip” la salutò Gale a quel punto; un’insolita punta di malinconia lo sorprese, appoggiandosi al suo petto.

“Ehi, Gale” rispose Katniss, cingendosi le ginocchia con le braccia: il sorriso di poco prima c’era ancora, lieve, ma facilmente individuabile, nonostante la donna avesse già distolto lo sguardo.

Quel sorriso lo spinse a pensare che in fondo Haley avesse ragione. Alle volte era necessario accettare di aver fatto del male spinti dalla convinzione di fare del bene. Valeva la pena concedersi qualche passo lontani dagli sbagli del passato, per tornare a proteggere le persone che vivevano il presente. Di errori probabilmente ce ne sarebbero stati altri e ogni sbaglio avrebbe comportato un peso, ma si potevano sorreggere, con la consapevolezza di non essere il solo ad avere le mani macchiate di colpe.

Aspirare a non commettere più sbagli era probabilmente assurdo, quasi stupido. Perché forse, Haley Mellark aveva avuto ragione anche in quello: forse, in fondo, sbagliavano anche gli angeli.

 

 

«Era stranissimo, vederlo da lontano. Così piccolo.

Nel mondo, mi faceva una tenerezza che non sapevo provare per lui nella casa.

Volevo proteggerlo dalle cose terribili che nessuno si merita.»

Molto forte, incredibilmente vicino. Jonathan Safran Foer.

 

 

 



[i] Riferimento a un passaggio di Catching Fire: "Penso a centinaia di momenti trascorsi nei boschi, ai pomeriggi pigri in cui pescavamo, al giorno che gli insegnai a nuotare, alla volta che mi torsi un ginocchio e lui mi portò di peso fino a casa.

[ii] Secondo il mio head-canon personale Gale è diventato pilota di linea, dopo aver prestato servizio per 10 anni come pilota militare al Distretto 2. Spesso porta Joel (e qualche volta anche i nipoti o Haley e suo fratello Rowan) a gironzolare a bordo di un’hovercraft.

[iii] June Hawthorne è la figlioletta di Vick, già menzionata da Haley in “Di comete, principesse e anime gemelle”.

[iv] Riferimento a una frase che Gale dice a Katniss, tratta da un passaggio di Mockingjay: “Prendermi cura della tua famiglia. Quella era la mia unica qualità”.

[v] Haley viene soprannominata da Joel “Halley” e la “Cometa del Distretto 12” nella one-shot omonima per via della cometa di Halley, che ha un significato importante per Katniss, Gale e i loro padri.

 

 

Nota dell’autrice.

Questa volta il polpettone sarà breve, perché mi vergogno già troppo al pensiero di aver scritto l’ennesima storia chilometrica >.< Dunque…. Dopo aver scritto una Everlark dovevo per forza tornare all’ovile e coccolarmi il forzutissimo “papà di Joel”, perché già ne avevo la nostalgia. Questa seconda parte, come avevo suggerito in precedenza, si sofferma soprattutto sull’amicizia fra Katniss e Gale, in parte anche perché pian piano sto cercando di “riempire i buchi” fra le varie one-shot legate al Post-Mockinjay, in maniera da poter giustificare alcune cose che accadranno in futuro. C’è anche qualche primo accenno all’intesa fra i due nanerottoli, Haley e Joel, anche se quest’ultimo per ora non sembra essere molto interessato alle attenzioni dell’amica del cuore xD La faccenda del “menare” e i lievi accenni a Johanna li ho inseriti come “preludio” per una Ganna che ho plottato e che prima o poi mi piacerebbe anche finire, ma conoscendomi ci vorrà un po’. Basta, ho detto tutto. Spero tanto che questa seconda parte non abbia deluso chi aveva già letto “Di comete, principesse e anime gemelle” – soprattutto poiché quella parte aveva molti più accenni Everlark. Colgo l’occasione per ringraziare e scusarmi con le persone che hanno recensito Come un Pittore, prometto che cercherò di rispondere ai vostri commenti il prima possibile!

Un abbraccio!
Laura

   
 
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