Anime & Manga > Inazuma Eleven
Ricorda la storia  |      
Autore: hirondelle_    23/04/2014    1 recensioni
Marco era il padrone di Canal Grande.
Non era stata una cosa decisa sul momento: i padroni erano sempre stati disprezzati dai sudditi invisibili, e però uno che gestisse tutta quella roba doveva esserci. Altrimenti le gondole si sarebbero fermate tutte, i gabbiani si sarebbero posati sulle loro anime, disgregandole tra morsi e graffi, e il cielo non avrebbe più brillato dal sottosuolo del loro rifugio. Non ci sarebbe stata più luce, e la luce era fondamentale in un mondo fatto di ricordi.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gianluca Zanardi, Marco Maseratti
Note: AU, Nonsense, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il cielo sotto Venezia
… perché ti tiene su soltanto un filo, sai…
 
Marco saltò nella prima gondola che scorse appena arrivato in una delle numerose piazzette che si affacciavano sul canale. Si guardò attorno, l'aria sapeva ancora di salsedine: era rimasta invischiata nell'antichità nascosta del legno, quello dei moli e dei piccoli chioschi affacciati nel vuoto, abbandonati.
Non c'era gondoliere alcuno, ma il ragazzo ci sapeva fare: prese uno dei remi e prese ad affondarlo nell'aria porosa della sera inoltrata, lasciando dietro di sé una naturale scia di stelle. Era parecchio dura da gestire, inutilizzata da tempo e coperta da fini ragnatele di bestiole laboriose, però la gondola si mosse comunque e presto iniziò ad acquistare maggiore velocità.
Marco era il padrone di Canal Grande.
Non era stata una cosa decisa sul momento: i padroni erano sempre stati disprezzati dai sudditi invisibili, e però uno che gestisse tutta quella roba doveva esserci. Altrimenti le gondole si sarebbero fermate tutte, i gabbiani si sarebbero posati sulle loro anime, disgregandole tra morsi e graffi, e il cielo non avrebbe più brillato dal sottosuolo del loro rifugio. Non ci sarebbe stata più luce, e la luce era fondamentale in un mondo fatto di ricordi.
Marco si stese, dopo aver osservato con occhi di bambino il suo vasto e prezioso regno. Guardò in alto: buio. Un buio accecante che sembrava voler restare per sempre, sospeso come la morte, come la vita. A Marco piaceva quel buio: sentiva ogni sera di essere più vicino a toccarlo, a sfiorarlo con le dita. Come ogni notte, tornò ad allungare la mano verso l'infinito: le sue dita si sporcarono d'inchiostro. Il ragazzo si limitò a ritirarla e a pulirsi sulla maglietta lacera -quella gialla con il Pikachu sbiadito- sorridendo.
Svoltò verso  Canale di Cannaregio, colto da un'ispirazione improvvisa. Non era più nel suo territorio, ma poco gli importava: non c'erano guerre, non più da tempo immemore. Quasi non si riusciva più a concepirla, la guerra. Una leggenda, pare, sussurrata dai muri più anziani e perso nelle profondità delle stelle.  Eppure lì si parlava una lingua diversa, che aveva imparato a comprendere da poco: primavera.
Sostò accanto a un palazzotto dall'aria dimessa e abbandonata, lasciando la gondola nel cullare silenzioso delle nuvole. Scese e si guardò attorno, sconcertato e incuriosito assieme, riuscendo a ricordare i particolari del luogo anche ad occhi chiusi. E li chiuse davvero, gli occhi, avanzando lentamente e trascinandosi sul lastricato imprimendo orme di luce: se fosse caduto, il cielo lo avrebbe protetto. E, magari, trasformato in una stella.
- Ti ho già detto molte volte di non venire qui.
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. Interrompeva il silenzio cui era stato abituato, ma con gelida dolcezza: si fermava nell'aria, ne diventava parte.
- Non siamo più bambini.
Non riusciva mai a vederlo bene, eppure ne conosceva i lineamenti come un fratello più piccolo con un idolo da seguire. Marco si mosse verso Gianluca e gli sorrise con dolcezza infantile, spiegando le labbra rosee. Non parlava spesso, con lui, se non con l'anima. "Avevo nostalgia".
- Vieni. Parliamo per strada. - comprese il più grande. Lo precedette, silenzioso, proseguendo per quello che doveva essere stato meta di numerosi turisti. Ora era del tutto deserto, ma impregnante di oscura inquietudine: le bancarelle, i negozi, le botteghe, tutto sembrava essere stato abbandonato in fretta e furia, come se attendessero ancora che il proprietario giungesse a riaprirle.  Il buio accecava, e Marco iniziò a sentirsi irrequieto: non c'era la minima luce, nessun segno di riferimento, solo la sua ombra che sgusciava tra le strette calli di Venezia: Gianluca vedeva dove lui non riusciva ad arrivare.
Marco si portò le mani al cuore e ne scaturì una flebile luce, abbastanza per illuminare la schiena nuda del ragazzo di fronte a lui e le pareti delle mura scolpite nel tempo. Caracollò dietro Gianluca senza temere di inciampare sui calcinacci e sul lastricato malmesso. "Gianlù?"
- Dimmi.
Gianluca lo ascoltava sempre, eppure non parlava mai. Forse perché non ne era in grado, dare risposte s'intende, forse non lo era più.
"Perché le calli non hanno le stelle? Non si vede niente, tu vedi qualcosa?" s'interruppe, un po' mortificato. "Beh, tu ci sei nato qui. Sai tutto senza vedere".
Gianlù, come sempre, non disse nulla. Lo vedeva camminare, poco più avanti, irraggiungibile. Se avesse potuto toccarlo, lo avrebbe ferito a morte. Marco pensava ogni tanto che quel freddo contatto fosse abbastanza ingiusto, considerando che erano gli unici rimasti.
Sopravvissuti, o forse dispersi.
Passarono davanti a un negozio di maschere: queste lo fissavano, fluttuando ancora imprigionate nella vetrina, come se lo implorassero di prenderle. Un'altra lingua, un'altra storia dietro. Marco si ricordava ancora di quando, da piccolo, ci aveva giocato senza riguardi: alcune le aveva rotte, ignaro di spezzare il loro spirito. E Gianluca le aveva riparate, tutte: come un mago le aveva riportate in vita, solo per lui, solo per vederlo sorridere.
Gianluca gli aveva insegnato a leggere, anche. Piano, con la dolcezza dei fratelli maggiori. Litigando, un po', e magari controvoglia, aveva aperto tutti quei libri rimasti a prendere polvere sopra le mensole e li aveva letti, tutti o quasi: Marco aveva amato quelle storie, racconti arcani e profondi immersi nel cielo di Venezia. Perché anche i libri avevano un'anima, tuttavia non si manifestava semplicemente prendendoli in mano: bisognava aprirli, e perdercisi dentro, in quei labirinti di parole che in un primo momento gli erano stati proibiti.
"Dove mi stai portando, Gianlù?" chiese flebile. Nessuna risposta, ovviamente. E però Gianluca si fermò dopo poco, giunto in una piazzetta distante dal cielo.
- Voglio che tu rimanga qui per un po'. L'aria è pesante in questi giorni. - gli mormorò voltandosi, ma rimanendo nell'ombra. - Vuoi un gelato?
Marco annuì, mordendosi il labbro. Gianluca faceva le cose senza un perché.
Lo attese appoggiandosi al piccolo pozzetto al centro della piazza. Ne rimase rinfrancato, perché dal fondo giungeva un po' di luce: essa fluttuava nell'aria disperdendosi in mille fiocchi di vita.
Fece dondolare pigramente le gambe, canticchiando una canzoncina che gli sembrava di aver ascoltato da piccolo, ma che non ricordava con precisione. Forse gliel'aveva cantata Gianluca. Attribuiva tutto a lui, quando non sapeva spiegarsi certe situazioni, probabilmente perché le cose continuava a dimenticarsele man mano che accadevano. Era parecchio frustrante, sotto certi punti di vista.
Quando tornò con il gelato,  Gianluca lo trovò ancora immerso nei suoi pensieri. - Questi sono gli ultimi.
"Davvero?" mormorò Marco guardandolo con stupore. "Gli ultimi in tutta Venezia?"
- Sì, sono finiti. - gli rispose il ragazzo, e si sedette accanto a lui. Nonostante la vicinanza, Marco non riuscì a vedergli il viso.
Il ragazzino decise che se le cose stavano così, avrebbe fatto durare quel gelato molto di più… un po' per temporeggiare ancora sulla mano di Gianluca, fredda e pallida, stretta nella sua. Alla fine anche la dolce pausa finì, ed entrambi si ritrovarono ad affrontare una gelida malinconia. Essa si insinuò nei loro vestiti leggeri, facendoli rabbrividire. L'aria si alzò, spazzando via pochi sacchetti di plastica abbandonati, che come sempre rotolarono inermi sul selciato polveroso.
Qualcosa stava iniziando a cambiare. Un chiarore innaturale iniziava a salire, viscerale, lungo le pareti del pozzo. Mille mani chiare si protesero per afferrarli.
Gianluca lanciò un urlo. Lo prese per mano e iniziò a trascinarlo via. Eppure Marco non sentiva il bisogno di andarsene: nonostante le stelle stessero scomparendo, una ad una, le tenebre calavano sulla dolce Venezia. Velocemente, improvvisamente.
Tutto si fece chiaro.
L'alba.
 
Quando Marco Maseratti, anni sedici, spirò in quel letto d'ospedale, sorrideva.
Era notte, le stelle brillavano per lui.
Gianluca era al suo fianco, stringendogli la mano. Per non perderlo, si disse poi.
 
 
Angolino di mademoiselle hirondelle
Questa è la ri-stesura del mio vecchio account, Flame_Fairy, intitolata "Venice with you… and five roses".
Chi se la ricorda forse noterà che è molto cambiata, sia di contenuti sia di simbolismo. L'idea iniziale tuttavia è partita proprio dall'intenzione di ricreare l'atmosfera della precedente one-shot.
La Venezia senz'acqua è nata dalla visione della videoclip di: "Piccola Stella senza cielo", di Ligabue (della quale ho riportato una frase a inizio one-shot. E' una canzone molto profonda dai molteplici significati.  Io ho voluto dare il mio punto di vista: qualcosa di romantico, ma sfuggente.
Spero vi sia piaciuta. Chiedo venia per il finale frettoloso, non sono una maga in questo genere di finali come avrete notato.
Qualora qualcuno volesse leggere la prima stesura sono disponibile a mandarla via messaggio privato.
Au revoir.
 
Fay
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inazuma Eleven / Vai alla pagina dell'autore: hirondelle_