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Autore: Loop    17/07/2008    1 recensioni
Come a volte un viaggio porta a fare scoperte singolari, attraverso il passato e l'anima stessa, come dentro di noi può esserci molto di più di quel che sembra. Come per caso, un giorno, qualcuno potrebbe scoprire che anche nel suo giardino fioriscono rose malsane
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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capitolo I

Capitolo I

In Viaggio

Le cinque e mezza del mattino

Pigramente, una graziosa testolina scarmigliata si fece strada fra un allucinante groviglio di lenzuola azzurro cupo, mentre un braccio cercava a tastoni di spegnere l’assordante trillo di una sveglia digitale; un nuovo gentile invito proruppe dalla cucina, una voce di ragazza irritata gridava affinché il proprietario della testolina si svegliasse, finalmente: “Razza di abulico figlio dell’indolenza, lo so che sei ancora sotto le coperte! Muovi il culo o ti lascio qui!”
Con grande sforzo, finalmente il ragazzo si scrollò di dosso il mostruoso viluppo, tirandosi a sedere sul letto; rimase immobile per qualche minuto buono, tentando di mettere a fuoco la vista e, stropicciandosi gli occhi, si trascinò verso il bordo del letto, appoggiando cautamente i piedi a terra; il contatto con il pavimento freddo gli causò un brivido che gli corse su per la schiena, cosa che lo aiutò a liberarsi di quella foschia mentale che gli impediva di rendersi minimamente conto di dove fosse o di come si chiamasse.
“Hey ragazzino, muoviti che Alex si sta adirando” Ricordò Julie, appena comparsa sulla porta, ridacchiando all’idea di sua sorella adirata. “Uh? Ah…si ecco, un secondo..” tentò di rispondere fra uno sbadiglio e l’altro; si alzò lentamente, e altrettanto lentamente si diresse verso la cucina.
Alex lo attendeva già vestita e pronta, sveglia ed energica in modo inquietante, tenuto conto dell’orario; lei e July avevano già fatto colazione e ora, sul tavolo, una solitaria tazza di latte e caffè dall’aspetto poco invitante attendeva il ragazzo ormai quasi semi sveglio. Si sedette lentamente, prese la tazza calda e l’avvicinò alle labbra, e istantaneamente fu investito dal vapore profumato di caffè, un odore casalingo, piacevole, intimo: quell’odore forte gli era sempre piaciuto, anche se il sapore non lo amava molto, anzi, lo beveva quasi soltanto nel latte; addirittura ne comperava una qualità aromatizzata alla vaniglia, che aveva scovato in una piccola erboristeria nel centro, pretendendo che in casa consumassero quello perché aveva un odore rilassante. Per sfregio Alex aveva continuato a bere quello normale, e lui aveva continuato a buttarglielo.
“Muoviti” Fu l’invito secco di Alex che attraversò velocemente la cucina, passandogli accanto, con due grosse valigie nelle mani, diretta all’auto dove le avrebbe caricate; comparve anche la madre, che rivolta alla ragazza chiese con un lieve tono di rimprovero “Non vorrai che si strozzi”; Alex l’aveva giusto guardata di sfuggita, ridacchiando in modo inquietante, e aveva accennato un “ Ah! Mi hai scoperto” prima di scomparire sulla porta dell’ingresso.
Julie si era seduta di fronte al fratello, le braccia incrociate sul tavolo, e lo sguardo fisso sul ragazzo; era rimasta a guardarlo per un poco, poi aveva detto :“ Sei emozionato? Finalmente si parte”; il ragazzo aveva alzato lo sguardo dalla colazione, e aveva guardato Julie, che sorrideva allegramente, chiedendosi una volta in più che parentela potesse esserci tra lei e l’erinni che stava caricando le valigie in macchina. Mah.
“Julien santo dio vuoi muoverti!? Dovevamo partire cinque minuti fa!”
“Dio.. ecco! Dieci secondi!” si era finalmente deciso a rispondere lui, esasperato.
Aveva terminato con un sorso la tazza di latte e caffè, e di corsa era andato a raccattare una maglietta e un jeans, aveva afferrato i due borsoni con la sua roba compressa dentro e finalmente era uscito di casa.
“Metti la tua roba nel cofano e sali”
“Sissignora”
“Avete preso tutto?” la signora Celéstine era comparsa sull’uscio, e guardava affranta l’auto già in moto; “Si ma’ abbiamo preso tutto. Ti voglio bene, vedi di non preoccuparti troppo, ok?” Julie l’aveva avvolta in un abbraccio, e staccandosi da lei l’aveva baciata, sorridendo; “Mi raccomando, non litigate, state attenti e chiamate” “Certo ma’. Ci vediamo!” “Si... si, ciao ragazzi!” salutò mentre Julie saliva in auto, e Alex, per sottolineare che avevano capito, abbassò il finestrino e sorrise allegramente, sollevando il pollice in segno di saluto.
Mon dieu, speriamo non succeda niente…” pensava Celéstine mentre l’auto si allontanava dal vialetto.

Julien Tournier aveva allora diciassette anni; era l’ultimogenito della famiglia Tournier, una delle tante di un piccolo paesino ordinato e abitudinario, situato nel centro sud della Francia.
Non era particolarmente alto, ma molto grazioso di viso: i lineamenti erano delicate curve appoggiate appena sulla pelle di candida seta cinese, gli occhi, grandi e fondamentali nell’elaborato ricamo della sua bellezza, erano di pallida giada screziata, con lunghi raggi di verde più scuro che partivano dalla pupilla e si perdevano nell’iride, tra i quali il colore s’intensificava, divenendo quasi – paurosamente – assenzio; il naso era elegante e dritto, non troppo piccolo o troppo grande, con una collinetta impercettibile sulla cima e con la punta spavalda rivolta in alto; le labbra, sottili e rosse, spiccavano quasi volutamente come una piccola e violenta rosa tra due smeraldi, sul viso d’avorio: quella inferiore, più carnosa della sua vicina, rimaneva talvolta dischiusa, in una posa involontariamente sensuale, accentuata, se è possibile, dal colore quasi scarlatto.
Era di costituzione decisamente sottile, tanto che da bambino pareva quasi un fuscello, e crescendo aveva conservato la delicatezza e la grazia di un ballerino dell’opera, seppure la sua figura avesse assunto una sfumatura, ai margini, quasi femminile.
Mangiava poco e amava la lettura e la musica: in un ammirevole slancio di patriottismo, era riuscito a leggere quasi tutte le opere di Dumas e Hugo; ma la sua passione rimanevano le poesie di Verlaine e dei Maudits, le meravigliose poesie intrise di fuoco e morte, tragiche e romantiche a loro modo, a volte scabrose, a volte semplicemente tristi.
Riguardo il suo secondo amore, lo aveva coltivato sin da bambino, con l’aiuto di maman e di un simpatico zio, insegnante di un conservatorio poco lontano dal paesino natale: possedeva un innegabile talento per gli strumenti a corde, suonava eccellentemente violino, violoncello e contrabbasso, e anche se non aveva un passione particolare per quest’ultimo strumento, il pianoforte. Prediligeva Debussy, con le sue melodie di vetro soffiato, i notturni di Chopin, Bach per la perfezione delle sue opere e Tchaikovsky, con le meravigliose melodie complesse e armoniose, che sapevano emozionare, sconvolgere, catturare. Si stupiva ogni volta, ad ascoltarlo, di quanti strumenti, quante armonie, quanto caos fosse riuscito a domare e armonizzare nelle sue creazioni.
Una cosa singolare nella vita di Julien erano le sue sorelle: Alexandra e Juliette. Come capita spesso fra i gemelli, pur essendo fisicamente speculari, caratterialmente erano completamente diverse; non che fossero l’una il contrario dell’altra, ma qualcosa di ancora più lontano, che in qualche modo singolare, si congiungeva immancabilmente in tutto.
A differenza del fratello minore, loro possedevano una bellezza di carattere sudista, bruna e dorata, eredità materna; entrambe avevano lunghi capelli color ebano, stretti in folti e minuti ricci, morbidi e aggraziati, e la pelle color bronzo anche in pieno inverno. Soltanto il colore degli occhi, quel verde così singolare, le accomunava al fratellino.
Alex, la primogenita in assoluto, era la leonessa della famiglia. Possedeva un carattere radicalmente dominante, un’ascendente a volte persino involontario su chi gli stava intorno, professori compresi: i voti vertiginosi erano pienamente meritati, e questo è fuori ogni dubbio, ma quel particolare tono, quel particolare sguardo che solo lei possedeva, avevano il potere di intimorire gli insegnanti; gli studi non erano l’unico campo in cui eccelleva: praticava un numero indeterminato di sport, su consiglio dei genitori, “per sfogare lo stress…” e una lieve tendenza all’aggressività che spesso la coglieva nei momenti sbagliati. E, ovviamente, coltivava la musica. Più per insistenza del fratello che per altro, aveva iniziato a prender lezioni di canto a undici anni, e aveva così scoperto un piacevole talento anche per quest’arte.
Juliette era invece una creaturina graziosa e delicata, un’anima antica, saggia e serena, mai arrabbiata; sembrava vivesse sospesa in un piacevole limbo dai colori caldi e piccoli fiori esotici dai colori rilassanti, dove ogni cosa era fatta d’aria e d’acqua, mai troppo solida da poter essere toccata con le mani. Amava vestire con tessuti naturali, ampie gonne leggere e pantaloni kaki, con casacche di colori naturali e foulard svolazzanti: nel complesso sembrava una visione d’altri tempi, una giovane bohemiénne egiziana, una ballerina delle vie.
Ad accentuare tutta l’esoticità di queste tre creature, i loro lineamenti: nessuno, nella loro città, possedeva lineamenti simili, il volto, la linea della mascella, la curva delle labbra, il taglio degli occhi allungato, quel colore, le ciglia folte che sembravano quasi poste ad una ad una da Caravaggio, per il gioco d’ombre che creava intorno agli occhi, amplificando o mimetizzando ogni espressione.
E per quanto, almeno nel fototipo, Julien non somigliasse nemmeno vagamente alle due sorelle, era impossibile non accorgersi del loro stretto legame di sangue.

  
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