Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
La storia è scritta senza scopo di lucro.
Alla mia Coulson,
la migliore Phil dell’Universo Mondo ~
We’ve
Got Our Aim
-
But We Might Miss –
«E’ difficile, vero?»
Domanda sbagliata,
Audrey.
Forse ha tempo per ritrattare, per ingoiare tutto,
riavvolgere il nastro e tentare di nuovo: il giovane dinanzi a lei la squadra
ad occhi socchiusi, gelidi, e in un istante capisce che, no, non ha un altro
tentativo, non può riavvolgere il nastro e l’unica cosa che le sarà permesso di
ingoiare sarà il caffè appena ordinato -Sempre che non voglia ritrattare per un
infuso o qualcosa del genere.
Ha sbagliato a prendere il caffè, ha sbagliato a sedersi
a quel tavolo, ha sbagliato ad aprirgli la porta, ha sbagliato a farsi
trarre in inganno da un sogno. Ha sbagliato a fare jogging di sera, nel parco.
Ha sbagliato tutto quel giorno, a dire il vero, ha sbagliato persino ad alzarsi
la mattina.
Se le risultasse del tutto impossibile, se solo il
pensiero non le facesse mancare l’aria e non le togliesse di netto il respiro,
Audrey azzarderebbe persino l’ipotesi di aver sbagliato a farsi coinvolgere
dall’Agente Philip Coulson anni addietro -Ma, Dio, la sua entrata in scena era stata così perfetta, la sua voce era stata così perfetta, tutto il
suo intero essere era stato perfetto
al punto che ne era rimasta irretita, affascinata prima ancora di aver
formulato il presentimento che, forse, una relazione con lui avrebbe portato più
lacrime che risate. Tuttavia, una sola di quelle risate, avrebbe pianto fino allo
spegnersi ultimo dei tempi.
«La parte in cui salto da un capo all’altro del mondo
senza trovarlo è abbastanza fastidiosa, sì.»
Audrey si trova a proprio modo a sussultare: non si
aspettava una risposta del genere, non si aspettava una risposta e basta, quindi la perplessità è lecita
e più che mai giustificata.
Quando l’altro si è presentato alla porta del Teatro,
gli Agenti S.H.I.E.L.D. erano appena spariti e della voce di Coulson non rimasto
era più di un mormorio sulla fronte, lì dove ha creduto di avvertire le sue
labbra posarsi in un gesto di commiato, perdono, promessa e speranza –Tutto
insieme, tutto quanto, un girandola, una ghironda di emozioni contrastanti, di
volere e dovere di cui solo e soltanto Phil poteva essere il proprietario e l’artefice.
Ritto sotto luce bianca dei lampioni, le iridi grigie,
le pupille sottili, l’altro ha aspettato che lei compisse qualche timido passo
sull’asfalto prima di inclinare la testa in un tacito ordine a seguirlo. Per
propria fortuna, a seconda dei punti di vista, è in grado di riconoscere un collega
di Phil se ne vede uno e la figura di lui, la fronte appena abbassata per
squadrarla di sottecchi, il cordone scarlatto della bocca contratto per il
danno e la beffa, le palpebre affossate nelle orbite stanche, cerchiate di
nero, la postura e la rigidità della schiena…Audrey non avrebbe accettato il
suo perentorio invito, non l’avesse riconosciuto per chi era davvero e avesse
tratto la sua immagine da un dejà-vu via via sempre più nitido nella memoria.
«Mh.»
Non che Audrey sappia come continuare la conversazione,
in realtà.
Di nuovo, non si aspettava di doverne intavolare una o
di esserne coinvolta anche solo per un dialogo di frecciatine e non-detti a
mezza bocca. Audrey sa di non essergli simpatica, così come non gli vanno
sicuramente a genio gli scatti di donna di cui coglie il profilo dal dossier
scartabellato con furia. Corruga appena la fronte nel vedere passare veloce una
fotografia di Camilla: la identifica subito e non è gelosa.
I racconti di Phil su di lei e sul Perù erano la fine
del mondo, assurdi in modo che non avrebbe mai pensato e ogni tanto, quando ci
ripensa -Perché ripensa a lui, alla
sua voce, alle sue dita, al suo cuore che batte violento contro il petto, e
Audrey scuote la testa, cancella il ricordo, si focalizza di nuovo su Camilla-
e sì, ecco, quando ci ripensa le viene spontaneo chiedersi quanto ci sia di
vero e quanto di inventato per il solo gusto di farla ridere.
«Sapevo sarebbe tornato a Portland prima o poi.» è il
commento atono dell’altro e Audrey deglutisce, si succhia appena le labbra, si
morde la bocca «La cosa ha cominciato a puzzare quando May è tornata operativa,
per non parlare di Camilla e del suo exploit…»
«Lo sapevi per Marcus Daniels» Audrey solleva gli occhi
su di lui e questa volta regge il suo sguardo, la sua accusa, il tradimento e
la colpa che gli sfrigolano nelle iridi metalliche e nel contrarsi secco delle
nocche «O per me?»
Domanda sbagliata,
Audrey,
ma subito zittisce la vocina molesta con un Sh!
calibrato in anni e anni di esibizioni, quando le bastava un’occhiata e
quel soffio tra i denti e tra le guance incavate, le sopracciglia a disegnare
un arco preciso e lineare sulla fronte, perché ogni disturbatore della quiete
s’ammutolisse all’istante. Phil non le ha mai nascosto quanto trovasse
terrificante quell’espressione in particolare e lei, per canzonarlo e prenderlo
in giro, gli baciava il sorriso irridente e raccoglieva a punta di dita il divertimento
che lento gli scioglieva i tratti professionali del volto.
È la domanda sbagliata, va bene, Audrey non dice di no,
però non ritratta. Vuole sentire la risposta, adesso. Vuole sentirla da lui, da
lui che fin dalla prima volta la considera un di troppo, un avversario, una seccatura scomoda, una scocciatura da
sopprimere -Forse è convinto lei l’abbia dimenticato, ma no, Audrey lo ricorda,
ricorda minuziosamente il profilo
incastonato dal palazzo di fronte, l’arco abbassato, il mento sollevato, le
palpebre socchiuse e la mandibola serrata, livida. Non aveva frecce più
incoccate, non dopo aver scagliato un’intera faretra contro Daniels, eppure lei
ha sentito distintamente il suo
sguardo conficcarsi entro le costole, dritto nel cuore. Bersaglio colpito, una
soddisfacente, seppur piccola, vittoria, un trionfo che Audrey avrebbe afferrato
nel ritrovarsi talmente immersa nel
mondo e nella compagnia di Coulson da non poterne più fare a meno.
Il suo comportamento è chiaro e ambiguo all’insieme,
pericoloso e guardingo, un’opposizione di desiderio personale e affetto leale.
Audrey lo capisce, lo capisce benissimo, giacché l’unica cosa che li divide è
la sola che li unisce, il punto di convergenza in grado di metterli entrambi su
un piano di paritaria competizione.
Phil Coulson è perno della loro esistenza, è il centro
che li attrae l’uno verso l’altra e fa sì che si scansino a vicenda, che si
confortino con la loro sola presenza e per questo si girino alla larga: se lei
ha, lui perde, ma ciò che lei ha perso è ciò che lui ottiene.
Audrey sente l’animo piegarsi commosso alla devozione dell’altro
e sa che, se i ruoli fossero invertiti, agirebbe allo stesso modo. Passo dopo
passo, speranza dopo illusione, voci di corridoio, indizi, sogni e teorie,
seguirebbe ogni pista, non tralascerebbe alcuna curva, nessuna diceria. Con
l’unico scopo di trovarlo, di stringerlo, di averlo –O anche sfiorarlo e
serrarsi nel petto, chiudersi in un abbraccio solitario, un sentimento
unilaterale che un po’ irride, un po’ consola e un po’ strazia, mantiene vivo e
uccide, compone e dilania.
«Allora non era un sogno.» si limita a dire Audrey e non
può impedirsi un sospiro, mentre la mano si appoggia alla fronte e polpastrelli
sfiorano il bacio, il sussurro ancora impresso sulla pelle.
«No.» concorda lui, chiudendo il dossier di scatto e
facendo sobbalzare la povera cameriera del Waypost
«Lo troverò.»
Audrey è sicura che lo farà, il tono convinto, disperato
nella sua traballante certezza, è un di
più non necessario ai fini della storia. Lo guarda e si aspetta dica
qualcos’altro, che spieghi, magari, o chiarisca qualcosa sul rapporto che lega
lui e Coulson.
«Sono in debito con lui.»
«Cosa ha fatto?»
E prima che l’altro parli, lei conosce già la risposta.
Perché Phil entra nell’esistenza di qualcuno in un solo modo, è il suo marchio
di fabbrica, il suo biglietto da visita. Arriva, s’aggrappa, ti sostiene, si
rende indispensabile, si fa ossigeno e sangue e lo aneli, lo aneli, lo aneli
ogni giorno di più. Non pare esistere giorno, altrimenti, che valga la pena di
vivere senza Phil Coulson al proprio fianco.
«…Mi ha salvato la vita.»
E Audrey vorrebbe quasi allungare una mano e posare le
dita sulle nocche dell’altro. Dargli un po’ di conforto, come a dirgli,
assicurargli, che di lei si può fidare: sono anime affini, se non proprio
alleati, e di certo non sono nemici. Hanno il cuore votato ad una sola persona
e quella sola persona è l’unica cosa conti in una situazione di frammenti e
pezzi difficili da ricomporre, di segreti sbandierati in pubblica piazza, di
voltafaccia e aiuti inattesi, ritorni e partenze. Due come loro, due individui
differenti dalle diverse storie, ma accumunati dalla solida, fondamentale necessità
di Phil Coulson non dovrebbero farsi la guerra: dovrebbero unire invece le
forze e agire insieme come una squadra.
Basterebbe solo allungare la mano e posare le dita sulle
nocche dell’altro, perchè sia così.
Però Audrey non lo fa. Non le riesce. Non può.
Duetto di opposti, armonia di repulsione e vicinanza,
Clint Barton vede tutto, vede ogni cosa e Audrey non può mentirgli: l’Agente continuerà
a cercare, combattere andare a caccia, scendere in picchiata e stanare la
preda, pur essendo dolorosamente consapevole che non l’avrà mai veramente, mai
totalmente e il bottino tanto ambito andrà al falconiere e non al falco.
Lui lo troverà. Non può fare altro. Non farà altro. Darà mostra di sé, l’ultimo
volo d’amore, l’apice, la discesa e come il rapace di cui si vanta di possedere
lo sguardo o avrà successo o morirà nel tentativo.
Nel momento esatto, tuttavia, in cui Clint si alza e la
lascia in compagnia di una tazza di caffè freddo e un redivivo fantasma a
bisbigliare parole senza voce all’orecchio, il cuore di Audrey perde un battito
e lei deve premere una mano contro il petto e poi alla bocca per impedire ad un
grido di sfuggirle.
Perché ciò che lei possiede, lui non lo può avere.
Ma ciò che lui otterrà,
lei l’avrà perso per sempre.
What if we ruin it all, and we love
like fools?
And all we have we lose?
I don't want you to go but I want you so
So tell me what we choose
{ Fools }