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Autore: LaRagazzaDagliOcchiSpenti    24/04/2014    4 recensioni
Una ragazza ormai sola, una ragazza che ha dato tutto, ma che non ha ricevuto niente
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Alexandra, si chiamava così quella ragazza dell'ultimo sedile accanto al finestrino, e dai fianchi non sufficientemente magri da rientrare in una trentotto. Lei non era come le altre, non pensava alle feste o a cosa indossare, le bastavano un libro e le cuffiette. Non era mai stata innamorata, finché non vide quel bellissimo sorriso, e due occhi nero brillante da togliere il fiato. Michele era il suo nome, il nome del ragazzo su cui era ricaduta l'attenzione di Alexandra. I loro mondi erano completamente differenti; lei era la ragazza dai finti sorrisi e dai pochi amici, mentre lui era il più corteggiato e popolare della scuola. Ci vollero mesi prima che lei, si decidesse a farsi avanti. "Ciao", le disse lei. "Ehm, ciao", ribatté il ragazzo. Un grande sorriso si aprì sul volto di lei. "Ti ho già visto in giro, e ho pensato che tu fossi un bel ragazzo" disse con tutto il coraggio che le rimaneva. Nel frattempo un gruppo di amici del ragazzo, si avvicinava sempre di più, lo stesso gruppo che aveva perseguitato da sempre Alexandra. Michele lo sapeva, perciò si voltò contro la ragazza in modo sgarbato, con un sorriso fra il divertito e il malvagio, dicendo: "Scusami, ma ho di meglio a cui pensare, non vado dietro alle ciccione", e nel frattempo si allontanava, accerchiato dalle ragazze, che la guardarono con disprezzo. Quella frase segnò profondamente l'animo di Alexandra, che da quel giorno, decise di mettersi a dieta. Cominciò a ridurre le dosi un po per volta, ma questo non le bastava. Ogni giorno si guardava allo specchio, cercando sempre qualche difetto in più. I vestiti cominciavano a stargli larghi, ma a lei non sembrava ancora abbastanza. Cominciò a non mangiare, a raddoppiare le ore di corsa pomeridiane. L'unico sostentamento ormai, erano le mele che mangiava al mattino, poi non toccava più nulla. Gli altri notavano il suo cambiamento, i vestiti cadenti e le guance sempre più affossate. Persino Michele notava quei cambiamenti, ma faceva finta di nulla, come se non le importasse. Lei continuava a guardarlo senza farsi notare, ma quelle parole continuavano a tornargli in mente, come uno schiaffo improvviso. I kg continuavano a diminuire. Dai 70 si passava ai 67, poi ai 53, ai 47 fino ai 35. Erano passati 5 mesi, e ormai era considerata lo scheletro della scuola. Tutti la prendevano in giro ormai, e quei pochi amici che aveva, cominciarono ad allentarsi da lei. Alexandra era sola ormai, e quegli occhi pietosi puntati addosso ne erano la prova. Per i corridoi non incrociava mai lo sguardo di Michele, non da quel giorno, finché non si ritrovarono nuovamente faccia a faccia. Stavolta Michele fu più apprensivo, non guardava lei con aria di pietà, ma si sentiva in colpa per quelche aveva fatto. Voleva chiederle scusa, ma quando stava per aprire la bocca, una figura apparve dietro di lui. Michele si irrigidì, e rivolse di nuovo quello sguardo ad Alexandra, lo stesso che gli aveva rivolto mesi prima. "È stato tutto inutile", disse, "adesso sei ancora peggio di prima". Gli occhi di Alexandra si riempirono di lacrime. Cominciò a correre fra gli studenti, non le importava nulla della prossima lezione, voleva solo scappare da li. Quelle parole la ferirono ancora una volta. Arrivò casa, ma nessuno era lo ad attenderla. Corse su per le scale, si buttò nel letto e affondò la faccia sul cuscino, annegando tra le lacrime. Cominciò a chiedersi cosa ci fosse di sbagliato in lei, cosa avesse fatto per esser sola. Non reggeva più, non sopportava più l'idea di dover affrontare quell'aria pesante, e quegli sguardi cupi e pieni di pena. Prese foglio e penna, cominciò a scrivere un biglietto ai suoi. I genitori erano sempre fuori per lavoro, tanto che non si accorsero nemmeno delle condizioni della figlia. Erano in casa solo per il pranzo, e a malapena tornavano a dormire. Alexandra non si disperse nelle parole, si limitò a scrivere poche righe, per non perdere la determinazione. "Non è colpa vostra, sono io che non vado bene, io semplicemente. Vi voglio bene, anche se siete sempre lontani."Le lacrime le bagnarono il viso, forse nel ricordare l'affetto mancato, o forse nel ripensare alle parole che l'avevano portata fino a quel punto di non ritorno. Piegò accuratamente il biglietto e lo mise vicino a dove il padre era solito posare le chiavi prima di cena. Andò in bagno, ma senza chiudere la porta a chiave. L'acqua cominciò a sgorgare bollente dal rubinetto dorato della vasca, avvolgendo la stanza in una nube di vapore. Smontò il rasoio del padre, prese la lama e si fece un piccolo taglio. Questo sanguinò appena. Cominciò a farne altri, ma non partì dal polso, bensì dalla parte più vicina gomito. Scendeva sempre di più, ed ogni taglio aveva una profondità diversa. Arrivata al polso, con il braccio zuppo di sangue, fece un taglio profondo, tanto da prendere la vena. Con la testa che girava si accasciò dentro la vasca, e fece lo stesso nell'altro polso, dove il taglio era profondo il doppio del primo. Mentre la sua vita gli scorreva davanti, penso al sorriso di Michele, ai suoi occhi, alla sua camminata. Sorrise, ed in quel momento i suoi occhi si chiusero, e il suo cuore smise di battere. Il giorno dopo la notizia si era diffusa per tutta la scuola, e per tutti i notiziari italiani. I genitori erano stati i primi a vederla in quello stato. La madre si gettò verso di lei in preda al panico cercando di svegliarla, mentre il padre cercava di calmare la moglie tra le lacrime salate, ed il rimorso d'esser sempre stati lontani. A scuola ne parlavano tutti di quella ragazza un po strana, la stessa che si era tolta la vita per insoddisfacenza, per odio verso se stessa. Michele lo venne a sapere da un gruppo di amici. Scappò via piangendo, pensando a quello che aveva fatto. Ripensò alle volte in cui faceva finta di non accorgersi che lo stesse guardando, a quegli occhioni verdi e profondi, a quei capelli che contornavano il viso delicato di Alexandra, a quei fianchi non poi così tanto larghi. Si chinò a terra, fra le lacrime si rese conto di amarla, di esser stato un coglione ad aver detto quelle che cattiverie, che poi non le pensava davvero. Si asciugò le lacrime, tirò su e andò a casa. Nello scantinato vi era la pistola del padre, con l'impugnatura lucida e levigata. Se la puntò alla testa, pronunciando le sue ultime parole, "ti amo Alexandra, arrivo da te, non aver paura".
  
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