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Autore: KleineJAlien    24/04/2014    2 recensioni
Non era nata così.
Quel suo problema, quello che in molti definivano invalidità, e che a tutti gli effetti era, era arrivato come un fulmine a ciel sereno all’età di dieci anni in seguito ad un incidente automobilistico avvenuto con i suoi genitori.
Mentre loro ne erano usciti pressoché illesi, qualche frattura, lividi doloranti e una lenta riabilitazione, per Bea ormai ventunenne, nessuna riabilitazione fu possibile.
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Qualcosa di positivo, una ventata di aria fresca nella sua vita però, verso la maggiore età, la trovò. Trovò una persona.
...
- Piacere di averti conosciuto Louis. -
- Piacere mio Bea. -
...
E quella promessa la mantenne. Quella promessa fu l’inizio del loro viaggio.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Shiro,
anche se è strano dedicare
qualcosa ad un cane..
Mi manchi.
 
 
Non era nata così.
Quel suo problema, quello che in molti definivano invalidità, e che a tutti gli effetti era, era arrivato come un fulmine a ciel sereno all’età di dieci anni in seguito ad un incidente automobilistico avvenuto con i suoi genitori.
Mentre loro ne erano usciti pressoché illesi, qualche frattura, lividi doloranti e una lenta riabilitazione, per Bea ormai ventunenne, nessuna riabilitazione fu possibile.
Da quell’incidente, al suo risveglio, perse la vista.
Inizialmente vari dottori sostennero sicuri che la sua cecità potesse essere un trauma momentaneo, ma così non fu.
Bea fu privata da un giorno all’altro di ammirare la sua figura slanciata allo specchio, i suoi lunghi capelli mori di cui tanto amava prendersi cura, ed anche ogni minimo difetto che era abituata a sopportare.
I suoi occhi persero il proprio colore castano e divennero chiari, ma non un chiaro come il celeste e il verde, un cupissimo e tristissimo grigio, che era andato a ricoprire persino la pupilla.
Per questo portava sempre un paio di occhiali neri sul naso, anche se questo non faceva altro che renderla più appariscente davanti al resto della gente, odiava pensare di aver perso il colore di quelli che venivano definiti lo specchio dell’anima.
 
La vita di Bea da quel giorno cambiò notevolmente.
Dovette imparare ad apprendere in un modo nuovo, ad orientarsi anche in un modo nuovo e persino a camminare diversamente.
È difficile capire cosa, una persona come lei, è costretta a vivere ogni giorno, ogni singolo secondo della propria vita.
Immaginate di camminare guardando dritti di fronte a voi con la sensazione di un terribile torcicollo che vi impedisce di girarvi per sapere cosa vi accade intorno.
L’unico modo per stare attenti a ciò che vi circonda è sentire attentamente ogni minimo rumore, come ad esempio quello dei passi.
Da quello puoi capire la vicinanza, la velocità ed in certi casi anche la sua meta.
Annusando l’aria potreste anche essere fortunati e capire se si tratta di un uomo o una donna.
Questo è il non vedere, non avere alcuna percezione visiva ma utilizzare gli altri sensi per decodificare la realtà.
E c’era un senso che Bea sapeva usare bene, o meglio preferiva coinvolgere più di altri.
Lei aveva una cosa che le  veniva davvero bene. Questa cosa era inventare nella sua testa delle storie, storie che magari messe per iscritto avrebbero anche potuto coinvolgere centinaia e centinaia di persone, fino a diventare famose, vista la sua straordinaria capacità e fantasia.
E ad aiutarla, a permetterle di sentirsi libera era la musica.
Passava spesso delle ore in casa con le sue cuffie ad alto volume nelle orecchie, contro ogni lamentela della madre.
Non le importava se anche il suo udito avesse potuto riscontrare gravi problemi, quella era una cosa che in quel momento la faceva stare bene.
Ogni genere la prendeva in un modo diverso, alcuni più di altri, certe voci maggiormente rispetto a tante ancora, ma alla fine era quella la sua ancora di salvezza.
Qualcosa di positivo, una ventata di aria fresca nella sua vita però, verso la maggiore età, la trovò. Trovò una persona.
 
Fu un incontro un po’ particolare, o meglio uno scontro.
Bea era andata nel negozietto musicale vicino casa per aggiornarsi sui nuovi album in uscita, e il titolare ormai suo amico, le aveva fatto trovare come sempre il lettore cd e delle cuffie pronti in un angolo del locale, con affianco i nuovi arrivi.
Stava proprio ascoltando la musica in un angolo del locale quando una forte botta sul fianco la fece cadere rovinosamente a terra.
La musica, in quel momento strappata via con forza dalle sue orecchie, l’aveva isolata fino a non permetterle di sentire se in quel luogo fosse sola o meno.
Il suolo freddo e il forte dolore al fianco sul quale cadde però, la risvegliò portandola alla realtà.
- Scusa non guardavo dove mettevo i piedi. Ti sei fatta molto male? - chiese una voce maschile acuta, probabilmente appartenente al colpevole della sua caduta.
- Dov’è il mio bastone? - chiese disorientata Bea tirandosi su a sedere.
- Il che? - chiese nuovamente lo sconosciuto confuso.
- Il mio bastone. - ripeté ancora lei tastando il pavimento intorno. Era frastornata e infastidita.
- Oh . - si schiaffeggiò la fronte l’altro, Bea lo sentì chiaro - Lascia che ti aiuti. -
- Non ce n’è bisogno, ci riesco da sola, voglio solo il mio bastone. - rispose scontrosamente la ragazza scuotendo la testa.
Odiava quando le persone tentavano di aiutarla in cose che lei riusciva a fare benissimo anche da sola.
Purtroppo per lei però, il ragazzo che aveva di fronte ignorò come se nulla fosse quello che lei disse e molto facilmente la sollevò prendendola per i fianchi.
- Tieni. - disse poi prendendole una mano e passandole quello che al tatto riconobbe essere quello che cercava - Non sai quanto sono mortificato, sono davvero troppo sbadato, non volevo.. -
- Non fa niente grazie. - sussurrò Bea sistemandosi i vestiti e cercando la sua tracolla.
- C’è qualcosa che posso fare per scusarmi come si deve?- chiese l’estraneo con un tono della voce realmente dispiaciuto.
La ragazza dall’altra parte si congelò sul posto. Aprì appena le labbra un paio di volte ma non lasciò che nessun suono uscisse da esse.
 - Hey ci sei? - si preoccupò il ragazzo. Che diamine aveva combinato?
- Parla ancora. - sussurrò dopo un tempo che parve infinito la ragazza, avvicinandosi appena a lui e prendendo un respiro profondo.
- Devo parlare? Che cosa dico? - si grattò la testa il ragazzo - Ehm.. Io sono Louis e.. -
- Lo sapevo! Avevo già sentito la tua voce! - esclamò sorridendo Bea - Tomlinson dei One Direction. - aggiunse.
- Ho per caso travolto una fan? - chiese il moro ridendo appena.
- Esatto. Amo le vostre canzoni, quello che dicono e anche molto la tua voce- ammise tutto d’un fiato lei arrossendo.
Louis tardò a rispondere. Era sempre strano e imbarazzante ricevere complimenti così direttamente - Ehm… Grazie. -
- Posso fare una cosa? Io non ho la più pallida idea di come tu sia, anzi hanno provato a descriverti ma preferisco capirlo da me. -
Louis sorrise, prese delicatamente le mani della ragazza e le poggiò sul suo viso - Posso sapere il tuo nome? - chiese intanto.
- Bea. -
- Bea diminutivo di? - chiese il cantante.
- Bea e basta. - alzò le spalle lasciando scorrere i polpastrelli lungo il viso e il collo del ragazzo.
Partì dai capelli che sapeva essere castano scuro ma non così lunghi come in realtà li aveva.
E morbidi, nonostante un po’ di gelatina a tenerli alti e tirati all'indietro, erano morbidi.
Poi scese giù per la fronte spigolosa incontrando le sottili sopraciglia e la forma degli occhi che immaginava proprio come il cielo nelle giornate serene e sgombre di nuvole.
Il naso piccolo e leggermente all'insù anticipava una leggera barbetta che contornava l'intera mascella del ragazzo, dal mento tondo, alle labbra sottili che Bea si ritrovò a sfiorare con un pà di imbarazzo mentre il moro sorrideva.
Infine, Louis aveva un buon profumo. Casa e biscotti.
- Piacere di averti conosciuto Louis. -
- Piacere mio Bea. -
 
Louis si era sentito talmente tanto in colpa per il piccolo incidente, ed era anche rimasto così colpito da Bea, che aveva voluto rivederla.
Se me lo permetti sarò i tuoi occhi” furono le parole che Louis pronunciò a qualche settimana dal loro primo incontro, quel giorno in un bar poco affollato del centro.
E quella promessa la mantenne. Quella promessa fu l’inizio del loro viaggio.
 
Un’uscita senza impegno. Semplice passeggiata tra amici. ” aveva detto Louis mentre trascinava Bea sul London Eye una sera.
Nonostante la ragazza  fosse proprio della capitale, l’unica volta che ebbe la possibilità di salire era stata quando era piccola, prima che perdesse la vista.
Il moro aveva ignorato le continue lamentele sul suo non potersi godere il paesaggio e l’aveva spinta all’interno della cabina.
Voleva, come lei stessa le aveva detto di essere in grado di fare tempo prima, che si affidasse agli altri sensi e alle sensazioni.
E così Bea aveva fatto. Sulla sua pelle poté sin da subito sentire la variazione della pressione e la forza gravitazionale richiamare il suo corpo verso terra una volta in cima.
Non potendo vedere chiese a Louis cosa vedeva lui, e il ragazzo  fu felice di descriverle le rive del Tamigi e le sue costruzioni principali, così come erano nel buio della notte.
Era quello che il moro si aspettava, che lei volesse vedere tramite i suoi di occhi.
D’altra parte Bea scoprì, anzi ebbe la conferma, di come Louis non solo fosse in grado di creare canzoni straordinarie per il suo gruppo, ma anche molto bravo con le parole e nel coinvolgerla con i suoi racconti.
Qualche settimana più tardi si spinsero fino a Berlino, una città che Bea aveva sempre voluto visitare per la sua storia e per appunto il famoso muro.
Un’uscita tra amici un po’ lontana non pensi? ” aveva fatto notare a Louis che in risposta aveva mugugnato qualcosa riguardo a dei biglietti in omaggio troncando lì il discorso.
In quella città il moro l’aveva resa partecipe di ogni particolare presente nelle cose che li circondavano.
Descrisse con minuziosità ogni singolo disegno e ogni scritta in modo che Bea potesse immaginarlo nella sua testa.
Non fu difficile con le storie pazzesche che il moro raccontava ad ogni loro passo.
Durante quel viaggio Louis fu anche in grado di convincere la ragazza a privarsi dei suoi occhialoni scuri e a convincerla, cosa che nessuno era mai riuscito a fare, di quanto i suoi occhi fossero unici e magnifici a loro modo.
A Louis piacevano davvero e Bea pendette completamente dalle sue labbra.
A Parigi non c’erano più dubbi.
Non solo erano arrivati ad ammirare la Tour Eiffel di cui Bea aveva ancora qualche ricordo sbiadito, dai campi di fronte ad essa, ma il moro aveva insistito affinché salissero.
Anche lì, abbracciandola da dietro e poggiando il mento sulla sua spalla, in un sussurro le descrisse la vista che la torre dava da quel piano.
Così oltre al forte vento freddo sulla propria pelle, Bea poté essere testimone delle varie tonalità d’arancione che il sole al tramonto proiettava sui palazzi  incastrati tra la fitta rete di strade regolari di Parigi.
Immortalò tutto come in una cartolina. Ma quello non fu l’unico ricordo legato alla città.
“ Bea ti va di provarci? Vuoi provare ad essere la mia ragazza? ” aveva chiesto Louis a Bea mentre ancora si trovavano a decine e decine di metri da terra.
“ Provare? ” la ragazza aveva riso “ Si potrei provare. “
In Italia poi il cantate aveva sostituito quei tristi occhialoni scuri della ragazza, con un paio di Ray-Ban simili ai suoi ma con una montatura molto più colorata e allegra.
In tour nello stato della pizza, Louis era arrivato a trasgredire le regole, e a farle trasgredire anche a Bea, pur di farle provare direttamente sulla sua pelle alcune caratteristiche dei siti archeologici che stavano visitando, di poter entrare in contato con la storia della città su cui entrambi camminavano.
Un’esperienza divertente che li unì ancora di più.
 
Ecco perché l’ingresso di una persona come Louis nella sua vita fu importante.
Grazie a lui poté riprendere a vedere, vedere per davvero.
   
 
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