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Autore: Sebs    24/04/2014    2 recensioni
Finnick, il ragazzo più bello di tutta Panem, e Annie, una ragazza impazzita a causa degli Hunger Games.
Di loro sappiamo solo che si amavano, ma non di come tutto è iniziato, o di cosa è successo prima degli Hunger Games.
Questa è la storia di come sono conosciuti, cresciuti e innamorati contro il volere di tutti, gli amanti sventurati del Distretto 4.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair, Mags
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Finnick
Vado in piazza, dove abitano i bottegai e i genitori di Annie, che hanno una sartoria. Gran parte dei vestiti del Distretto sono fatti dalle mani esperte della madre di Ann, per non contare le numerose riparazioni ai miei, di  vestiti, fatte da Ann stessa.
Le strade sono larghe, perché molti mettono le bancarelle fuori dal negozio, ma è ancora presto, quindi non c'è ancora nessuno in giro. Stringo il regalo per Annie che tengo in tasca e mi affretto.
È una tradizione. Ai miei primi Hunger Games, due anni fa, Annie mi regalò una lunga collana con appesa una conchiglia bianca, la più splendente che io abbia mai visto. L'anno scorso, invece, un braccialetto sottilissimo per la caviglia.
Io, invece, le ho regalato degli orecchini con delle perle, le più piccole che sono riuscito a trovare. Ho dovuto imparare a levigare e lucidare le perle, per non far pensare male ai nostri compaesani, che già hanno scritto romanzi su di noi. Assurdità.
Lei aspetta seduta vicino alla finestra, scattando in piedi quando mi nota. Ha i capelli legati in una coda alta. Meglio così.
Spalanca la porta e mi viene incontro.
-Hai dormito parecchio.
-E tu no, invece-, dico, notando le ombre grigie sotto i suoi occhi.
Li abbassa, come se fosse colpevole di qualcosa. Mi avvicino a lei, e le sussurro in un orecchio:-Tua madre non mi lascerà più uscire con te, vero? Abbiamo fatto tardi, ieri sera…
Lei mi schiaccia un piede, e risponde con lo stesso tono grave:-Smettila con quel tono, Finn. Non mi incastri.
Sorrido, e andiamo in spiaggia, sull'albero da dove è piovuta Annie un po' di anni fa.
Lei è più veloce di me ad arrampicarsi. Le tornerà utile se viene pescata per l'Arena.
Quell'albero è davvero strano: è il più vecchio di tutto il Distretto, e nessuno sa come fa a crescere così vicino all'acqua salata. Magari è solo un ibrido, come le ghiandaie imitatrici. Si dà il caso, comunque, che sia alto almeno una decina di metri. E alcuni rami tendono verso il mare, dandogli una forma un po' strana e storta.
Ci nascondiamo vicino alla cima, dove nessuno può vederci, e lei tira fuori il suo regalo: un bracciale largo due dita, delle sfumature del verde.
-Non sapevo davvero cosa farti. E poi mi ritrovo tutti questi fili diversi dello stesso colore, inutilizzabili se non per riparare strappi piccoli. Quindi ho pensato di farci qualcosa di carino.
Lo osservo meglio: i nodi sono quelli delle reti da pesca, solo più piccoli, ma altrettanto resistenti.
Me lo allaccia al polso sinistro, e mi guarda impaziente.
Caccio il mio regalo dalla tasca e glielo porgo. Se lo rigira tra le dita, sorpresa.
-Finn. È davvero…
Lo prendo dalle sue mani e lo infilo tra i capelli: un piccolo pettine color madreperla con una pietra verdemare in mezzo.
-È bellissimo. Davvero. Grazie.
Arrossisce e sorride. Sembra più matura e più piccola allo stesso tempo.
-Ora puoi cantare?
Il sorriso si spegne un po', e quasi perdo la speranza.
Non so da quando è iniziata questa storia, magari il giorno dopo che l'ho trovata in acqua e l'ho tirata fuori. Da quanto mi ricordo, va avanti da così tanto tempo come la storia dell'imparare a nuotare. Si ostina a non voler mettere un piede in acqua.
-Non fa niente-, le dico. Ma quando guardo verso il mare, sento la sua voce intonare una delle mie canzoni preferite.
Una canzone che parla di andare via e vivere da stupidi e da sognatori.
Canta ad occhi chiusi, così approfitto per guardarla senza metterla in soggezione.
I capelli sono davvero lunghi, di  un castano ramato con qualche ciuffo biondo e rosso. Sembra che l'artista che la stava disegnando era indeciso sul colore da usare.
Gli occhi, grandi e un po' troppo vicini, sono verde scuro, al contrario dei miei che tendono all'azzurro.
Ha le mani congiunte quando canta. Come se stesse pregando. Come se la musica potesse essere l'unica cosa in grado di salvarla. E molte volte è così. Ci aggrappiamo alle cose semplici e belle, qui nei Distretti. Anche se il 4 è uno dei più ricchi.
Sorride, di solito, quando canta. Ma questa canzone è troppo bella. È completamente assorta.
Ci sono ragazze più belle, nel Distretto. Più alte, più eleganti, più raffinate, più audaci, più intraprendenti, più affascinanti. Ma quando la vedo cantare, dritta e composta come se stesse pregando, mi accorgo che, anche se non è la più bella secondo il giudizio comune, lei è la mia migliore amica. Quella che capisce a cosa penso solo guardandomi. Quella che quando canta quella frase, quel "non lasciare che prendano la luce dei tuoi occhi" piange, pensando che magari uno di noi è destinato a non tornare.
-Non ti è piaciuta?
Mi accorgo di tenere io gli occhi chiusi, adesso. Completamente assorto nei miei pensieri. Così li apro e la guardo.
-No, anzi. È bellissima.
 
  
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