Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: cassiana    18/07/2008    4 recensioni
“Aveva atteso tanto, aveva aspettato che la luna fosse una falce sottile e che la pioggia dilavasse il paesaggio delle verdi colline del Devon. Di soppiatto era uscita dalla casa di mattoni rossi dove viveva. […] Più avanti, riusciva ad intravedere tra il folto un chiarore sommesso. Rallentò l’andatura strizzando gli occhi. Le sembrava di scorgere un cerchio luminoso. Il cuore cominciò a batterle forte. Finalmente le avrebbe viste, le fate.” [Questa storia è arrivata terza al contest Pulizie di Primavera - Original Version]
Genere: Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il Richiamo

Questa storia è arrivata terza al contest Pulizie di Primavera- Original Version indetto da Pretty_Fairy su EFP Forum


Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene,
sono una mia creazione e appartengono solo a me.








It’s only forever
Not long at all

(David Bowe – Underground)

La ragazza chiuse di scatto il libro con un’espressione soddisfatta sul viso paffuto. Sedeva a gambe incrociate sul letto. Accarezzò la copertina verde del libricino. Dalla finestra il bagliore di un lampo. Emma sbuffò: era tutto il giorno che il cielo era grigio e pesante e tirava un vento fastidioso. Le nuvole gravavano sull’altopiano creando un senso di oppressione. Presto si sarebbe scatenata una tempesta. C’era odore di ozono nell’aria e un lieve sentore di salsedine.  Il pensiero causò un altro moto d’insofferenza ad Emma. Sarebbe stata una serata perfetta, aveva controllato sul calendario in cucina: ci sarebbe stato plenilunio, quella notte. Se solo si decidesse a piovere!
Quasi in risposta alle sue preghiere un tuono rimbombò contro i vetri . Emma corse alla finestra, un lampo illuminò la brughiera increspata come un rosso mare rabbioso. Le nuvole lasciarono andare il proprio carico d’acqua. Grosse gocce rigarono i vetri e picchiettarono sul tetto. Emma tornò al letto soddisfatta, aggiustò la trapunta bianca stropicciata e riprese in mano il libricino. Adesso che era cominciato a piovere sperava solo che non continuasse fino a notte. Forse aveva ragione la mamma: non sapeva accontentarsi. Glielo diceva sempre. Emma sollevò le spalle con noncuranza.
Gironzolò per la camera toccando sovrappensiero i propri ninnoli. Si sentiva inquieta. Si sedette davanti allo specchio e si guardò. Aveva grandi occhi troppo vicini del colore del muschio ombreggiati da lunghe ciglia, il piccolo naso carnoso punteggiato di efelidi. Girò leggermente il viso per osservarsi compiaciuta il neo sotto il lobo dell’orecchio destro. Aveva diciannove anni e la madre aveva già cominciato a presentarle dei possibili futuri mariti. La cosa non la interessava minimamente. Prese a spazzolarsi rabbiosamente i riccioli castani. Lei voleva studiare e non quelle materie leziose come il canto o il pianoforte. Lei era orientata sul folklore e i miti. Era sicura che sotto le leggende e le favole ci fosse un barlume di veridicità. Guardò la sua raccolta di libri, c’erano tutti: Perrault, Andersen, i fratelli Grimm. Nonostante quasi tutti le dicessero con tono di superiorità che erano solo favole per bambini, Emma era fermamente convinta nell’esistenza delle fate. E ora ne aveva la prova.
Si alzò di scatto e prese di nuovo in mano il libro verde. Sulla copertina vi era disegnata una ragazza accanto ad una fata. Il titolo recitava “Dell’esistenza delle fate: dal mito alla realtà” di Sir Coman Deyle. Perfino uno studioso della sua fama, un positivista, uno che aveva fondato la sua reputazione sulle avventure di un investigatore decisamente razionalista, si era convinto a scrivere un intero libro sull’esistenza delle fate. Era uscito da poco più di due anni e narrava la vicenda di due ragazze di Bradford che avevano fotografato le fate. Emma aprì il libro e i fogli si allargarono da soli sulla pagina tante volte osservata. Guardò la foto, in bianco e nero, e un po’ sgranata perché il libro era un’edizione economica. La ragazza sedeva a terra e una piccola fata era seduta vicino al suo piede. Il vestitino che portava era chiaro e sembrava avere un viso molto dolce. Emma fece tintinnare i campanellini del suo braccialetto. La pioggia continuava a scrosciare.
 
Emma correva sotto l’ombrello scuro degli alberi, gli stivaletti infangati incespicarono sulla mota. Non sembrava farci caso, presa dall’urgenza del suo cammino. Si scostò i riccioli castani dal collo sudato. Era notte fonda e una sottile acquerugiola permeava ancora l’aria verde della foresta, donandole un aspetto surreale. Era il tempo ideale, pensò Emma. Aveva atteso tanto, aveva aspettato che la luna fosse una falce sottile e che la pioggia dilavasse il paesaggio delle verdi colline del Devon. Di soppiatto era uscita dalla casa di mattoni rossi dove viveva. Tirò con impazienza la gonna incastrata in un groviglio di rovi, strappandola malamente. Più avanti, riusciva ad intravedere tra il folto un chiarore sommesso. Rallentò l’andatura strizzando gli occhi. Le sembrava di scorgere un cerchio luminoso. Il cuore cominciò a batterle forte. Finalmente le avrebbe viste, le fate. E nessuno avrebbe più potuto ridere di lei. Non si accorse della foschia che strisciava sul terreno avviluppandole le gambe. Proseguì impaziente ed emozionata verso il circolo luminoso. La vista era come appannata, più si avvicinava e più la luce sembrava sbiadire. Ma Emma non si perse d’animo e con rinnovato vigore scostò le felci con più decisione. Poi le sembrò di sentire un suono argenteo, di risate o di acqua che zampillava. Non riuscì a capire neanche da che parte venisse: permeava tutta l’aria intorno e nello stesso tempo sembrava risuonarle nella testa. Era una melodia strana e inquietante. Emma cercava di farsi coraggio nonostante la paura cominciasse ad impadronirsi di lei. Mosse ancora qualche passo insicuro. Ora la luce sembrava più vicina, ma sempre sbiadita. Non riusciva a vedere bene, il mormorio continuava a riempirle la testa con un richiamo e avrebbe voluto scappare via. Ma la foschia le aveva imprigionato le caviglie e stracci bianchi e luminosi le danzavano davanti agli occhi. E si sentì sperduta, desiderò non essere mai venuta lì. Sobbalzò quando sentì mani accarezzarle i capelli e sussurri e qualcosa che la stava afferrando e tirando e un urlo uscii dalla sua gola mentre enormi occhi scrutarono malevoli nella sua anima. Qualcosa interruppe la malia ed Emma svenne.

Un fremito di ciglia, un respiro profondo. Qualcuno poggiò sulle labbra della ragazza una tazza ricolma di liquido. Era molto dolce e caldo. Emma sbarrò gli occhi.
“Ecco su, cocca, bevi!”
La donna la guardava con un occhio socchiuso e le mani sui fianchi. Emma la riconobbe: era solo la vecchia Betsy. Viveva appartata sul limitare del bosco, portava uova ed erbe fresche direttamente alla cuoca di casa. Era bisbetica e spesso aggressiva ed Emma ne era sempre stata intimorita.
“Il gatto ti ha mangiata la lingua?”
“Io…” mormorò confusa Emma. Poi ricordò  e il suo viso si contorse in una smorfia.
“Sei tu che mi hai portato via da loro!”
La vecchia fece spallucce.
“Non sono io quella che urlava per tutto il bosco”
Emma si sollevò di scatto, dimentica del terrore provato poche ore prima.
“Erano loro, vero? Erano le fate! E tu mi hai portato via!”
Betsy tirò rumorosamente su col naso.
“Sciocca ragazza”
“Allora è vero!”
Emma piangeva di rabbia e frustrazione. Non riusciva a credere che il suo sogno stesse per avverarsi e fosse stato infranto da quella vecchia impicciona. Betsy strinse gli occhi. Il suo viso si fece cattivo.
“Credi che le fate siano buone? No, Loro sono malvagie” sussurrò. Emma fu percorsa da un brivido.
“Se ti mordono…”
Emma scoppiò a ridere.
“Le fate non mordono!”
“Credi? Allora sei fortunata, vuol dire che non conoscerai mai l’angoscia e l’ urgenza che notte dopo notte ti spingono verso il loro richiamo. E ti prenderanno l’anima incatenandoti per sempre alla loro magia.”
Betsy aveva abbassato la voce ad un sussurro. Emma pensò che volesse solo spaventarla, era tutta un’invenzione di una vecchia mente imbevuta di superstizione.
“Ti confondi. Stiamo parlando di fate, per l’amor del cielo! Non conosci le storie che parlano di fate?” rispose Emma spavaldamente. Ma qualcosa nell’espressione della vecchia la metteva a disagio. Sembrava che sapesse di cosa stesse parlando, negli occhi semichiusi e affogati nelle rughe si poteva leggere una saggezza antica, molto più vecchia della donna stessa.
“Sai cosa vuol dire per sempre? – continuò Betsy ignorando l’interruzione – Esse ti chiameranno e ti cercheranno nel cuore della notte e tu non riuscirai più a fare a meno della loro magia. Mai più.”
Emma rabbrividì ancora.
“Devo andare” mormorò. Finì  in un sorso il suo the e corse via. Quella volta era andata così pensò, ma ci sarebbe stata un’altra notte di luna piena e allora…

Betsy l’osservò andare via dalla finestra. Scosse la testa. Sciocca ragazza, pensò. Poi sospirò. Non più sciocca di una ragazzina che tanti anni prima era stata attirata dalla stessa malia. Era penetrata nella foresta col coraggio e l’incoscienza tipici della giovane età, con la testa piena di fole e vento. Ma non era stata fortunata come quella stupida ragazzetta, nessuno era venuta a salvarla, a portarla via e metterla in guardia. Loro l’avevano presa e le avevano avvelenato il sangue. E per tutto il resto della sua vita Betsy era rimasta incatenata a quel luogo, torturandosi notte dopo notte, struggendosi dalla smania e dal desiderio. E proprio quella notte aveva ceduto, un passo dopo l’altro, come in trance, verso il Richiamo, verso di Loro. Ma la ragazzina l’aveva salvata. Era tornata in sé appena sentito l’urlo, come una pazza era corsa verso la ragazza in deliquio. Aveva lottato contro le voci, le dolci voci mormoranti, e con le gambe di piombo e il cuore pesante era arrancata via. Ma era sempre più difficile resistere.
Betsy si accarezzò l’avambraccio, ancora una volta il sole sarebbe sorto e lei non avrebbe perso la sua anima. Si scoprì il braccio, si guardò il punto arrossato e mai guarito che bruciava e pulsava: il morso della fata.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: cassiana