Questa storia è arrivata terza al contest Pulizie di Primavera- Original Version indetto da Pretty_Fairy su EFP Forum
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene,
sono una mia creazione e appartengono solo a me.
It’s
only forever
Not long at all
(David Bowe – Underground)
Not long at all
(David Bowe – Underground)
La ragazza chiuse di scatto il libro con
un’espressione
soddisfatta sul viso paffuto. Sedeva a gambe incrociate sul letto.
Accarezzò la copertina verde del libricino. Dalla finestra
il bagliore di un lampo. Emma sbuffò: era tutto il giorno
che il cielo era grigio e pesante e tirava un vento fastidioso. Le
nuvole gravavano sull’altopiano creando un senso di
oppressione. Presto si sarebbe scatenata una tempesta. C’era
odore di ozono nell’aria e un lieve sentore di
salsedine. Il pensiero causò un altro moto
d’insofferenza ad Emma. Sarebbe stata una serata perfetta,
aveva controllato sul calendario in cucina: ci sarebbe stato
plenilunio, quella notte. Se solo si decidesse a piovere!
Quasi in risposta alle sue preghiere un tuono rimbombò contro i vetri . Emma corse alla finestra, un lampo illuminò la brughiera increspata come un rosso mare rabbioso. Le nuvole lasciarono andare il proprio carico d’acqua. Grosse gocce rigarono i vetri e picchiettarono sul tetto. Emma tornò al letto soddisfatta, aggiustò la trapunta bianca stropicciata e riprese in mano il libricino. Adesso che era cominciato a piovere sperava solo che non continuasse fino a notte. Forse aveva ragione la mamma: non sapeva accontentarsi. Glielo diceva sempre. Emma sollevò le spalle con noncuranza.
Quasi in risposta alle sue preghiere un tuono rimbombò contro i vetri . Emma corse alla finestra, un lampo illuminò la brughiera increspata come un rosso mare rabbioso. Le nuvole lasciarono andare il proprio carico d’acqua. Grosse gocce rigarono i vetri e picchiettarono sul tetto. Emma tornò al letto soddisfatta, aggiustò la trapunta bianca stropicciata e riprese in mano il libricino. Adesso che era cominciato a piovere sperava solo che non continuasse fino a notte. Forse aveva ragione la mamma: non sapeva accontentarsi. Glielo diceva sempre. Emma sollevò le spalle con noncuranza.
Gironzolò per
la camera toccando sovrappensiero i propri ninnoli. Si sentiva
inquieta. Si sedette davanti allo specchio e si guardò.
Aveva grandi occhi troppo vicini del colore del muschio ombreggiati da
lunghe ciglia, il piccolo naso carnoso punteggiato di efelidi.
Girò leggermente il viso per osservarsi compiaciuta il neo
sotto il lobo dell’orecchio destro. Aveva diciannove anni e
la madre aveva già cominciato a presentarle dei possibili
futuri mariti. La cosa non la interessava minimamente. Prese a
spazzolarsi rabbiosamente i riccioli castani. Lei voleva studiare e non
quelle materie leziose come il canto o il pianoforte. Lei era orientata
sul folklore e i miti. Era sicura che sotto le leggende e le favole ci
fosse un barlume di veridicità. Guardò la sua
raccolta di libri, c’erano tutti: Perrault, Andersen, i
fratelli Grimm. Nonostante quasi tutti le dicessero con tono di
superiorità che erano solo favole per bambini, Emma era
fermamente convinta nell’esistenza delle fate. E ora ne aveva
la prova.
Si alzò di scatto e prese di nuovo in mano il
libro verde. Sulla copertina vi era disegnata una ragazza accanto ad
una fata. Il titolo recitava “Dell’esistenza delle
fate: dal mito alla realtà” di Sir Coman Deyle.
Perfino uno studioso della sua fama, un positivista, uno che aveva
fondato la sua reputazione sulle avventure di un investigatore
decisamente razionalista, si era convinto a scrivere un intero libro
sull’esistenza delle fate. Era uscito da poco più
di due anni e narrava la vicenda di due ragazze di Bradford che avevano
fotografato le fate. Emma aprì il libro e i fogli si
allargarono da soli sulla pagina tante volte osservata.
Guardò la foto, in bianco e nero, e un po’
sgranata perché il libro era un’edizione
economica. La ragazza sedeva a terra e una piccola fata era seduta
vicino al suo piede. Il vestitino che portava era chiaro e sembrava
avere un viso molto dolce. Emma fece tintinnare i campanellini del suo
braccialetto. La pioggia continuava a scrosciare.
Emma correva sotto l’ombrello scuro degli alberi,
gli
stivaletti infangati incespicarono sulla mota. Non sembrava farci caso,
presa dall’urgenza del suo cammino. Si scostò i
riccioli castani dal collo sudato. Era notte fonda e una sottile
acquerugiola permeava ancora l’aria verde della foresta,
donandole un aspetto surreale. Era il tempo ideale, pensò
Emma. Aveva atteso tanto, aveva aspettato che la luna fosse una falce
sottile e che la pioggia dilavasse il paesaggio delle verdi colline del
Devon. Di soppiatto era uscita dalla casa di mattoni rossi dove viveva.
Tirò con impazienza la gonna incastrata in un groviglio di
rovi, strappandola malamente. Più avanti, riusciva ad
intravedere tra il folto un chiarore sommesso. Rallentò
l’andatura strizzando gli occhi. Le sembrava di scorgere un
cerchio luminoso. Il cuore cominciò a batterle forte.
Finalmente le avrebbe viste, le fate. E nessuno avrebbe più
potuto ridere di lei. Non si accorse della foschia che strisciava sul
terreno avviluppandole le gambe. Proseguì impaziente ed
emozionata verso il circolo luminoso. La vista era come appannata,
più si avvicinava e più la luce sembrava
sbiadire. Ma Emma non si perse d’animo e con rinnovato vigore
scostò le felci con più decisione. Poi le
sembrò di sentire un suono argenteo, di risate o di acqua
che zampillava. Non riuscì a capire neanche da che parte
venisse: permeava tutta l’aria intorno e nello stesso tempo
sembrava risuonarle nella testa. Era una melodia strana e inquietante.
Emma cercava di farsi coraggio nonostante la paura cominciasse ad
impadronirsi di lei. Mosse ancora qualche passo insicuro. Ora la luce
sembrava più vicina, ma sempre sbiadita. Non riusciva a
vedere bene, il mormorio continuava a riempirle la testa con un
richiamo e avrebbe voluto scappare via. Ma la foschia le aveva
imprigionato le caviglie e stracci bianchi e luminosi le danzavano
davanti agli occhi. E si sentì sperduta, desiderò
non essere mai venuta lì. Sobbalzò quando
sentì mani accarezzarle i capelli e sussurri e qualcosa che
la stava afferrando e tirando e un urlo uscii dalla sua gola mentre
enormi occhi scrutarono malevoli nella sua anima. Qualcosa interruppe
la malia ed Emma svenne.
Un fremito di ciglia, un respiro profondo. Qualcuno
poggiò
sulle labbra della ragazza una tazza ricolma di liquido. Era molto
dolce e caldo. Emma sbarrò gli occhi.
“Ecco su, cocca, bevi!”
La donna la guardava con un occhio socchiuso e le mani sui fianchi. Emma la riconobbe: era solo la vecchia Betsy. Viveva appartata sul limitare del bosco, portava uova ed erbe fresche direttamente alla cuoca di casa. Era bisbetica e spesso aggressiva ed Emma ne era sempre stata intimorita.
La donna la guardava con un occhio socchiuso e le mani sui fianchi. Emma la riconobbe: era solo la vecchia Betsy. Viveva appartata sul limitare del bosco, portava uova ed erbe fresche direttamente alla cuoca di casa. Era bisbetica e spesso aggressiva ed Emma ne era sempre stata intimorita.
“Il gatto ti ha mangiata la lingua?”
“Io…” mormorò
confusa Emma.
Poi ricordò e il suo viso si contorse in una
smorfia.
“Sei tu che mi hai portato via da loro!”
La vecchia fece spallucce.
La vecchia fece spallucce.
“Non sono io quella che urlava per tutto il
bosco”
Emma si sollevò di scatto, dimentica del terrore provato poche ore prima.
Emma si sollevò di scatto, dimentica del terrore provato poche ore prima.
“Erano loro, vero? Erano le fate! E tu mi hai
portato
via!”
Betsy tirò rumorosamente su col naso.
Betsy tirò rumorosamente su col naso.
“Sciocca ragazza”
“Allora è vero!”
Emma piangeva di rabbia e frustrazione. Non riusciva a credere che il suo sogno stesse per avverarsi e fosse stato infranto da quella vecchia impicciona. Betsy strinse gli occhi. Il suo viso si fece cattivo.
Emma piangeva di rabbia e frustrazione. Non riusciva a credere che il suo sogno stesse per avverarsi e fosse stato infranto da quella vecchia impicciona. Betsy strinse gli occhi. Il suo viso si fece cattivo.
“Credi che le fate siano buone? No, Loro sono
malvagie” sussurrò. Emma fu percorsa da un
brivido.
“Se ti mordono…”
Emma scoppiò a ridere.
Emma scoppiò a ridere.
“Le fate non mordono!”
“Credi? Allora sei fortunata, vuol dire che non
conoscerai
mai l’angoscia e l’ urgenza che notte dopo notte ti
spingono verso il loro richiamo. E ti prenderanno l’anima
incatenandoti per sempre alla loro magia.”
Betsy aveva abbassato la voce ad un sussurro. Emma pensò che volesse solo spaventarla, era tutta un’invenzione di una vecchia mente imbevuta di superstizione.
Betsy aveva abbassato la voce ad un sussurro. Emma pensò che volesse solo spaventarla, era tutta un’invenzione di una vecchia mente imbevuta di superstizione.
“Ti confondi. Stiamo parlando di fate, per
l’amor
del cielo! Non conosci le storie che parlano di fate?”
rispose Emma spavaldamente. Ma qualcosa nell’espressione
della vecchia la metteva a disagio. Sembrava che sapesse di cosa stesse
parlando, negli occhi semichiusi e affogati nelle rughe si poteva
leggere una saggezza antica, molto più vecchia della donna
stessa.
“Sai cosa vuol dire per sempre? –
continuò Betsy ignorando l’interruzione
– Esse
ti chiameranno e ti cercheranno nel cuore della notte e tu non
riuscirai più a fare a meno della loro magia. Mai
più.”
Emma rabbrividì ancora.
Emma rabbrividì ancora.
“Devo andare” mormorò.
Finì in un sorso il suo the e corse via. Quella
volta era andata così pensò, ma ci sarebbe stata
un’altra notte di luna piena e allora…
Betsy l’osservò andare via dalla
finestra. Scosse
la testa. Sciocca
ragazza, pensò. Poi sospirò. Non
più sciocca di una ragazzina che tanti anni prima era stata
attirata dalla stessa malia. Era penetrata nella foresta col coraggio e
l’incoscienza tipici della giovane età, con la
testa piena di fole e vento. Ma non era stata fortunata come quella
stupida ragazzetta, nessuno era venuta a salvarla, a portarla via e
metterla in guardia. Loro
l’avevano presa e le avevano avvelenato il sangue. E per
tutto il resto della sua vita Betsy era rimasta incatenata a quel
luogo, torturandosi notte dopo notte, struggendosi dalla smania e dal
desiderio. E proprio quella notte aveva ceduto, un passo dopo
l’altro, come in trance, verso il Richiamo, verso di Loro. Ma la
ragazzina
l’aveva salvata. Era tornata in sé appena sentito
l’urlo, come una pazza era corsa verso la ragazza in
deliquio. Aveva lottato contro le voci, le dolci voci mormoranti, e con
le gambe di piombo e il cuore pesante era arrancata via. Ma era sempre
più difficile resistere.
Betsy si accarezzò l’avambraccio, ancora una volta il sole sarebbe sorto e lei non avrebbe perso la sua anima. Si scoprì il braccio, si guardò il punto arrossato e mai guarito che bruciava e pulsava: il morso della fata.
Betsy si accarezzò l’avambraccio, ancora una volta il sole sarebbe sorto e lei non avrebbe perso la sua anima. Si scoprì il braccio, si guardò il punto arrossato e mai guarito che bruciava e pulsava: il morso della fata.