Flesh Wounds
vi prego di recensire perché se c'è qualcosa che non va vorrei provare a correggerlo! Ok adesso vi lascio leggere in pace, sperando non sia troppo obbrobriosa :D
Il vento sibilava forte in quella
terra desolata, e il
suo tocco pungente ti sferzava il viso. Le tue gote erano impallidite e
in bocca sentivi
ancora un sapore ferroso e amaro. Sangue. Tuo, dei tuoi compagni
caduti, dei
tuoi nemici. Sangue secco sull’ armatura, sul fodero della
spada, tra i capelli.
Sangue caldo che colava dalle ferite ancora aperte, dalle labbra
spaccate dal
gelo.
Tre giorni erano passati dallo
scontro, due da quando
avevi cominciato a vagare per il campo di battaglia, arrancando fra i
cadaveri
ammassati, cercando un segno di vita.
Il freddo non passava, le nubi si
ostinavano a coprire
il cielo, velando quelle lande di un’oscurità tale
da rendere difficile
distinguere il giorno dalla notte e gettando sui corpi stesi in terra
lugubri
ombre.
Avevi perso la speranza, ma proprio
quando stavi per arrenderti all'idea che non ci fossero più
superstiti, udisti un flebile rumore. Ti fermasti e con i sensi
all’erta ti sforzasti di percepirlo ancora; era poco
più di un gemito, ma stavolta eri certa che non fosse il
suono del vento fra le rocce né
il verso di un rapace avido di carcasse.
Era un alito
di vita.
Corresti a perdifiato, il cuore ti
martellava forte
nel petto, i polmoni ti andavano in fiamme ogni volta che inspiravi
quell’aria
di ghiaccio, e ogni singolo muscolo dolorante, ogni parte lacerata
della tua
pelle ti implorava di fermarti. Ma tu non sentivi, continuavi a
correre.
Quando ti fermasti, il dolore
esplose e ti accasciasti
sulla neve esalando un grido atroce.
Le mani ti tremavano mentre
stringevi manciate di
terra e neve tinta di rosso, e ti parve di vedere scintille
nel buio
delle palpebre serrate. A fatica ti mettesti in ginocchio e finalmente
trovasti
il coraggio di guardare: sotto un mucchio di nevischio e corpi esanimi,
una
mano si muoveva e due occhi atterriti ti fissavano in una silenziosa
richiesta
di aiuto. Strisciando sui gomiti riuscisti a raggiungerlo e un barlume
di fiducia
tornò timidamente ad emergere.
Il giovane uomo si
aggrappò alla tua mano e con le
poche forze rimaste lo tirasti fuori da quella matassa di fango e
cadaveri
martoriati.
Fitte lancinanti percorrevano il
tuo corpo, ma per un
attimo lo scempio intorno a te aveva cessato di esistere. La tua
contentezza,
per quanto fragile fosse, superava il dolore e ti sarebbe persino
sfuggita una
risata se solo non fossi stata così stremata.
La realtà
però reclamava la tua
attenzione. Cercasti di ignorarla, ma poi sentisti un rantolo provenire
dalle
labbra del tuo amico ferito. Un rivolo scarlatto gli scese lungo un
angolo
della bocca. Ti guardò, consapevole e terrorizzato.
Le parole ti erano rimaste
incastrate in gola, le
lacrime aspettavano solo un battito di ciglia per cadere, ma
resistesti. Lo facesti stendere, mentre la pozza scura si
allargava sulla sua cotta di maglia riempiendo
l’aria già satura del pungente odore metallico e
sporcando le tue mani, strette
alle sue in un disperato tentativo di strapparlo alla morte.
Ti sussurrò qualcosa,
mentre già sentiva le palpebre diventare più
pesanti. Fece uno sforzo immane per parlare e tu non potesti fare a
meno di singhiozzare.
Prendesti
un
profondo respiro e annuisti, stringendo più forte la sua
mano. Si limitò a
sorridere e preso dall' improvviso senso di stanchezza, chiuse gli
occhi. Allora
per la seconda volta urlasti. Ma stavolta, non era un male dovuto agli
squarci
sanguinanti sul tuo corpo. Qquelle erano solo ferite della carne. La
tua agonia
proveniva da una piaga ben più profonda: la consapevolezza
di aver perso tutto.
La guerra, i compagni di battaglia, il tuo ultimo amico, la speranza di
poter
tornare a casa.
Non ricordi quanto tempo
passò da quel momento, sai
solo che ti era sembrata un’eternità e che dopo
aver seppellito i suoi resti ti
addormentasti sul cumulo di terra smossa. Dopodiche cominciasti ad
allontanarti dal luogo degli
scontri e senza
guardarti indietro partisti alla volta del nulla.
Continuasti a vagabondare in quel luogo solitario, le membra esauste, in cerca di un riparo dalla tormenta. Ti voltasti a sinistra e notasti una rientranza. Muovesti qualche rigido passo in quella direzione. Ti rannicchiasti contro il fondo della piccola caverna, cercando di ripararti dal freddo come meglio potevi, ben cosciente che sarebbe stato comunque inutile.
Non c’è un
anima viva in quel luogo
abbandonato dagli dei, nessuno verrà a salvarti
Chiudi gli occhi. Cerchi di
ricordare la tua terra,
così
diversa dalle aspre cime su cui la tua ultima battaglia è
giunta al termine;
circondata
dalle curve morbide delle colline, con le foreste e i laghi argentati.
Ti sembra quasi di sentire le risate dei tuoi fratelli e l'odore delle
more selvatiche. Tutto è così vivido...
“Le Dísir mi invitano a casa*”pensi,
ma
non c’è tristezza in quelle parole. Senti ogni
fibra del tuo corpo distendersi,
e finalmente ti lasci andare.
*"Le Dísir mi invitano a
casa": il
nome Dísir indica solitamente le Norne o le Valkyrie
che venivano invocate dai guerrieri nordici nel momento della
morte