Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    26/04/2014    4 recensioni
«Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.» — Dal Capitolo IV
Sono passati alcuni mesi dalla fine delle scuole superiori, e ogni membro dell'ex Generazione dei Miracoli ha ormai intrapreso una strada diversa.
Kuroko è rimasto solo, non fa altro che pensare ai chilometri di distanza fra lui e Kagami, tornato negli Stati Uniti.
Tuttavia, incontrato uno dei suoi vecchi compagni di squadra della Teiko, Kuroko comincia una crociata per poter ripristinare la vecchia Gerazione dei Miracoli, con l'aggiunta di nuovi membri, scoprendo, attraverso un lungo e tortuoso percorso, realtà diverse e impensabili.
«La Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.» — Dal Capitolo VII
[Coppie: KagaKuro; AoKise; MuraHimu; MidoTaka; NijiAka; MomoRiko; forse se ne aggiungeranno altre nel corso della fanfiction.
Accenni: AkaKuro; KiseKuro; MiyaTaka; KiMomo; KuroMomo; KagaHimu.
Il rating potrebbe salire.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hall of Fame'
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Capitolo IX





Non esiste salvezza per un'ombra insignificante che desidera diventare la luce di qualcuno.

Tetsuya stava fissando il cellulare da qualche minuto: se lo rigirava fra le mani senza mai frenare quel movimento ormai meccanico, dovuto più che altro al fatto che quell'inerzia avesse insonnolito e incantato i suoi sensi.
Non sopportava l'idea di un altro rifiuto, e questa volta non stava pensando a Kagami, ma a Murasakibara, Midorima e Aomine. Era arrivata l'ora che anche lui, come Kise e Momoi, cominciasse a insistere, cercasse di convincere almeno uno dei tre a dire di sì.
Tetsuya era abbastanza ragionevole e non troppo pretenzioso: quel giorno gli sarebbe bastato un solo sì, andava bene anche se gli altri due avrebbero continuato a rifiutare la sua proposta per ancora qualche settimana. Non fu altrettanto ragionevole, però, sulla modalità da adottare per ottenere una risposta positiva.
Il dito scorse la rubrica e si fermò alla lettera M, indugiò per qualche istante, prima salendo verso il cognome di Shintarou, poi scendendo verso quello di Atsushi; doveva sceglierne uno fra i tre, e per lui il più intrattabile, e quindi il meno consigliabile, era sicuramente Aomine, ma la verità sul perché ci mettesse così tanto a scegliere fra Midorima e Murasakibara era semplice: aveva già deciso.
Tetsuya sfiorò lo schermo del cellulare col il polpastrello dell'indice e la rubrica scorse rapida sotto i suoi occhi, fermandosi ai primi contatti.
Quello che stava per fare era anche più stupido del: "Ti saluta mia nonna." - no, non se lo sarebbe mai dimenticato -, e se ne rendeva perfettamente conto.
Tetsuya rimase immobile, seduto in fondo al letto; diede un'occhiata all'ora e contemplò la possibilità di trovarlo a casa, sveglio e disposto ad assecondarlo: mancavano pochi minuti alle quindici, per cui selezionare quel contatto e poter parlare con il proprietario del numero era più che fattibile.
Senza indugiare oltre, Tetsuya selezionò il contatto e adagiò il cellulare all'orecchio destro, rimanendo in attesa per un po'.
La risposta che ricevette non fu né un odierno: "Chi è?" di chi si dimentica di dare un'occhiata allo screensaver prima di rispondere, né un saluto, ma un mugolio di rabbiosa protesta.
«Aomine-kun.» lo chiamò per accertarsi che si trattasse davvero di lui e non di un qualche animale selvatico che aveva misteriosamente preso possesso del suo cellulare.
«Che vuoi?» Aomine, però, non aveva dimenticato di dare un'occhiata allo screensaver prima di rispondere: sapeva benissimo che si trattava di Tetsuya, sapeva benissimo cosa voleva.
Tetsuya si alzò dal letto e sembrò mettersi sull'attenti, quasi si stesse preparando ad una battaglia verbale, e forse era così, forse ci sarebbe stata una guerra.
«Vediamoci al campetto.» Tetsuya era sicuro di poterla vincere, quella guerra, tanto che si era appena chinato al fianco del letto e aveva afferrato la palla da basket sotto di esso, apprestandosi, infine, a lasciare camera sua.
«Cosa?» nonostante immaginasse i motivi che avevano spinto Tetsuya a telefonargli, Aomine non si sarebbe mai aspettato una proposta simile.
«E perché dovrei?»
«Tu vieni al campetto.» non volle suonare come un ordine, ma più come un invito persuasivo, come se gli stesse chiedendo di fidarsi di lui.
Tetsuya era un esperto nell'analisi dei comportamenti umani, e di conseguenza, la maggior parte delle volte, sapeva come comportarsi per ottenere qualcosa, anche se era una tattica che considerava piuttosto meschina e non amava farne uso.
«Ti devo parlare.»
«So già di cosa vuoi parlarmi, e conosci già la risposta.» Aomine fu lapidario, o per lo meno ci provò.
«Ci vediamo fra mezz'ora, Aomine-kun.» Tetsuya rimase volutamente impassibile e, avviandosi verso l'uscita di casa, si scostò il cellulare dall'orecchio e fu pronto a interrompere la chiamata, ma prima di farlo davvero si assicurò che un vago ronzio echeggiasse a poca distanza dal suo viso: Aomine stava protestando, gli stava dicendo che lui non aveva detto di sì, che non sarebbe venuto.
Tetsuya chiuse la chiamata, si infilò la giacca e uscì velocemente, dimenticandosi perfino di salutare.
Incamminandosi verso il campetto con la palla da basket stretta sotto braccio, Tetsuya lasciò che le labbra si increspassero in un sorriso impercettibile: forse Aomine non avrebbe accettato, ma lo avrebbe incontrato come richiesto, e questo solo perché Kuroko aveva ignorato le sue proteste, gli aveva chiuso il telefono in faccia per comunicargli che dava per scontato il fatto che avrebbe rispettato l'appuntamento.
Aomine sarebbe venuto semplicemente per ribadirgli ancora una volta la sua riluttanza nei confronti di quel progetto, semplicemente perché era troppo orgoglioso perché qualcuno potesse permettersi di chiudergli il telefono in faccia mentre parlava.
Tetsuya attese più di mezz'ora, e quando il tempo passato al centro del campetto sfiorò i sessanta minuti, il suo continuo ripetersi che non doveva darsi per vinto gli si presentò come una convinzione stupida e priva di senso, l'idea che Aomine lo raggiungesse cominciò a prendere la forma di un'utopia.
Che avesse sbagliato? No, Aomine sarebbe venuto: stava semplicemente esitando, ma si sarebbe ricordato di lui, che Tetsuya era andato al campetto e che lo stava aspettando da più tempo di quanto ne fosse stato stimato.
Tetsuya aveva fiducia in Daiki, sapeva benissimo che non era una persona cattiva e che il senso di colpa per averlo lasciato ad aspettare nel campetto per almeno un'ora lo avrebbe condotto da lui prima di qualunque altro sentimento.
«Ho già detto di no sia a te, sia a Kise, sia a Satsuki.» ancor prima che potesse rendersene conto, Aomine si era piazzato alle sue spalle e, scandendo i nomi di Kise e Momoi come se stesse sentenziando una condanna, si era lanciato immediatamente all'attacco, riprendendo la protesta che Tetsuya aveva troncato interrompendo la chiamata.
Tetsuya accennò un altro sorriso, rimanendo ancora per qualche attimo a fissare il canestro davanti a sé: come previsto Aomine era arrivato, e ancor prima di lui le sue proteste sdegnose.
Tetsuya si voltò verso di lui senza che quel sorriso abbandonasse le sue labbra, tenendo la palla da basket stretta al petto con entrambe le mani.
Daiki ebbe un rapido e quasi impercettibile sussulto, e ancora una volta schiuse le labbra pronto a sputare fuori tutto ciò che gli passava per la testa: perché stava sorridendo? Cosa aveva da sorridere? E soprattutto cosa ci faceva con quella palla da basket?
Le domande a cui Aomine non aveva ancora dato voce si tramutarono all'improvviso in un'agghiacciante presa di coscienza.
Stentava a crederci, ma sembrava proprio che Tetsuya avesse in mente di fare quello.
«Aomine-kun, facciamo una partita uno contro uno.»
«Pft-» Aomine sfiatò vagamente divertito, incrinando le labbra in un sorriso di sufficienza «Tetsu, sei impazzito?»
«Chi fa prima cinque punti: se vinci tu ti lasceremo in pace per sempre, ma se vinco io ...»
Il sorriso divertito di Aomine scomparve immediatamente, lasciando il posto ad una maschera corrucciata e incredula: davvero pensava di poter vincere? No, probabilmente era solo apparenza, probabilmente pensava di intimidirlo con la sua bizzarra determinazione o qualcosa di simile. Non che gli importasse.
«Se vinco io, allora aderirai al nostro progetto.» ma come poteva vincere? Se il Seirin aveva vinto contro il Touou, il merito era solo di Kagami, non suo; in più, da quando Taiga aveva lasciato il Giappone, Tetsuya non aveva più giocato a basket - solo negli ultimi tempi aveva ripreso con i tiri, ed era un vero disastro -
Aomine lasciò scivolare il capo leggermente all'indietro, sospirando spazientito.
«Se sei proprio sicuro, giochiamo.» nonostante nutrisse una grande ammirazione nei suoi confronti, Aomine sapeva che Tetsuya non avrebbe mai potuto vincere contro di lui, anzi non sarebbe neppure riuscito a dargli del filo da torcere, e quindi era visibilmente scocciato dal fatto che, dopo così tanto tempo passato senza neppure sfiorare la palla a spicchi, non potesse scontrarsi con un valido avversario.
Tetsuya non disse altro, accarezzò il cuoio duro e ruvido e lasciò che la palla a spicchi venisse attratta dalla gravità, che la respingesse, rimbalzando in alto per toccare un'altra volta il palmo della sua mano e che, di nuovo, precipitasse ai suoi piedi, cominciando a compiere i primi movimenti riconducibili al circolo vizioso del palleggio.


La maglia di corde bianche vibrava ancora, fissata alla solida struttura circolare del canestro; la palla a spicchi era caduta a terra e la potenza del suo rimbalzo era diminuita a poco a poco, finché le mani di Daiki non l'avevano afferrata saldamente e risollevata.
«A quanto pare hai perso la tua occasione, Tetsu.» e se da una parte Daiki poteva ritenersi sollevato della faccenda, si ritrovasse finalmente libero dalle assurde pretese di Kuroko, Kise e Momoi, dall'altra non era affatto soddisfatto, perché non era stata una sfida alla pari, non sarebbe mai potuta esserlo: Tetsuya non aveva segnato neppure un punto e lui, a realizzarne cinque, ci aveva messo giusto una manciata di minuti.
Tetsuya non diceva nulla, coraggiosamente teneva la testa alta e lo osservava negli occhi, forse in attesa che gli restituisse il pallone.
D'un tratto, però, un bagliore negli occhi di Tetsuya smosse un fremito confuso sul volto di Daiki: aveva assunto di nuovo quello sguardo determinato, e non stava più guardando lui, ma alle sue spalle; aveva perfino sorriso.
Aomine non disse altro e si voltò immediatamente, rimanendo sull'attenti quando si rese conto che Tetsuya aveva rivolto per davvero quello sguardo determinato e quel sorriso speranzoso a qualcuno che si trovava alle sue spalle.
«Ciao, Aominecchi~» Kise aveva un sorrisetto sfrontato che gli increspava le labbra, e questo non fece altro che indispettire Aomine.
«Cos'è? Vi siete messi d'accordo?» Daiki brontolò, notando che al margine del campetto si stagliava anche la figura minuta di Satsuki.
«A dire il vero è solo un caso.» Kise ricambiò il sorriso di Kuroko e tornò a rivolgere la propria attenzione ad Aomine, di nuovo con quel sorrisetto sfrontato ad increspargli le labbra «perché non giochi contro di me, Aominecchi? Chi arriva prima a dieci.»
Nonostante Tetsuya avesse appena perso e ciò lasciasse prescindere che avrebbero smesso di tormentarlo con il progetto di ripristino della Generazione dei Miracoli, Ryouta gli stava di fronte con quel sorrisetto insolente, gli serviva una sfida - che sicuramente sarebbe stata più intensa e godibile di quella avuta con Kuroko - su un piatto d'argento.
Aomine dovette ammettere a se stesso che quella sfida era fin troppo invitante, e senza che neppure se ne fosse reso conto si era ritrovato con le labbra increspate in un ghigno saccente.
Kise non stava imponendo alcuna condizione.
Se fossero state imposte le stesse condizioni di Tetsuya, le cose sarebbe state sicuramente più interessanti, il loro gioco sarebbe stato ancor più combattivo e intenso.
«Se vincerà Kise-kun, allora accetterai di far parte del progetto.» Tetsuya precedette Daiki ancor prima che potesse dire qualcosa, e forse, per il suo orgoglio, fu meglio così.
«Va bene, Aomine-kun?»
Aomine rimase in silenzio, immobile, poi lasciò che la palla compisse una breve parabola fra lui e Kise, che la afferrò immediatamente.
«E va bene, giochiamo.»
Il sorriso sfrontato di Kise si ampliò e si tramutò in una dimostrazione di speranzosa allegria, esattamente come quello di Tetsuya, che, rivolgendo un'ultima occhiata complice a Ryouta, si allontanò e raggiunse Momoi.
«Aominecchi?»
«Mhn?»
Aomine si voltò di tre quarti e poi dovette farlo del tutto quando Kise, lanciando la palla a spicchi verso di lui, gliela restituì.
«Non ho bisogno di partire avvantaggiato.» le labbra di Ryouta si erano di nuovo increspate in un quel sorrisetto insolente di chi pregustava la vittoria; gli occhi erano assottigliati, quasi avesse voluto apparire più minaccioso: era più sicuro di sé e agguerrito del solito.
Aomine e Kise presero posizione a qualche metro dal rispettivo canestro e si guardarono negli occhi ancora per qualche istante, finché il primo non sentenziò l'inizio dello scontro cominciando il rito del palleggio.
Aomine non giocava da un bel po' e quei pochi minuti che avevano suggellato il suo scontro con Tetsuya non erano riusciti a scaldarlo minimamente, ma la velocità con cui si avvicinò al canestro avversario fu tale che Kise rimase spiazzato e fece fatica a seguire i suoi movimenti.
Era un layup, un canestro in corsa che prevedeva due appoggi di piede e un salto in prossimità del canestro. Era un tiro per il quale si richiedeva soprattutto la velocità, dote che ad Aomine non mancava e che gli aveva permesso di scavalcare immediatamente la difesa intimidatoria di Kise.
Ryouta l'aveva inseguito ed era quasi riuscito a raggiungerlo, ma si rese conto che cercare di difendere in quel momento non sarebbe servito a nulla: Aomine era già saltato in alto, con la mano sinistra lievemente sollevata in difesa del pallone, che dopo qualche istante aveva sfiorato il tabellone con un tonfo sordo ed era scivolato elegantemente nel canestro.
Kise non se ne preoccupò più di tanto, piuttosto interpretò quel rapidissimo layup come un'ufficiale dichiarazione di guerra: riuscì a rubare palla e riprodusse il movimento di Aomine, ottenendo un risultato tale e quale che lo portò a pareggiare immediatamente i conti.
Le abilità mimiche di Kise erano migliorate ancora, esattamente come l'incredibile velocità di Aomine: in quel momento, per Ryouta che ormai aveva imparato a riprodurre alcune tecniche e movimenti in modo identico all'originale, se non con più potenza, si trattava di uno scontro alla pari per il quale non servivano parole, ma solo una fugace occhiata di ammirazione e un altro sorrisetto insolente, vagamente divertito.
Per almeno cinque minuti, Aomine e Kise riuscirono a tenersi testa, ad attaccarsi con schiacciate, tiri in sospensione e moltissime stoppate per tenere a bada il punteggio.
Dopo essersi liberato di Aomine con uno scatto repentino, Kise imitò una delle triple di Midorima e andò a segnò: erano pari, cinque a cinque.
Aomine stava iniziando ad innervosirsi: Kise gli era alle calcagna e non riusciva a toglierselo di dosso, e non che gli dispiacesse uno scontro del genere, ma voleva mettere un po' di distanza fra loro, per essere sicuro di vincere e poter rifiutare una volta per tutte le proposte di quei tre.
La finta di Kise non andò a buon fine, così Aomine si impadronì della palla a spicchi e si avvicinò al canestro, ma l'altro riuscì ad essergli accanto con uno scatto e gli balzò davanti, costringendolo a dribblare e poi ad attuare una finta per penetrare la difesa. Ryouta, tuttavia, fu veloce e realizzò una stoppata, mandando in fumo quello che sarebbe potuto essere il suo sesto canestro.


«Oggi il segno dei Gemelli è in prima posizione, e quello della Vergine in seconda.»
Momoi e Kuroko si voltarono di scatto, distogliendo la loro attenzione dalla battaglia che imperversava oltre la griglia metallica; Midorima, dal canto suo, non osò distogliere i propri occhi da Aomine e Kise e inforcò gli occhiali con un gesto rapido.
«Sarà un confronto spietato.»
Tetsuya fu il primo che, con le labbra increspate in un lieve sorriso, tornò a rivolgere la propria attenzione ad Aomine e Kise, mentre Momoi rimase a fissare Midorima ancora per qualche attimo, con un bagliore di gratitudine negli occhi: quel ragazzo si dimostrava restio ad ogni cosa, ma in verità erano davvero poche quelle per cui nutriva davvero un sentimento recalcitrante, e il basket andava escluso a priori; Shintarou non era certo un giocatore incallito, ma amava quello sport e, come tutti loro, avrebbe continuato a farlo.


Aomine iniziava davvero a sentirsi alle strette dopo che Kise, realizzando magistralmente la Meteor Jam di Kagami, aveva segnato il suo nono punto; sembrava intenzionato a realizzare il decimo e chiudere la battaglia, ma Daiki era riuscito a infondere ancor più forza nelle gambe e con la velocità della luce aveva strappato via dalle mani di Kise la palla a spicchi, realizzando un tiro in sospensione senza incontrare particolare resistenza da parte dell'altro: che iniziasse ad essere stanco? Probabilmente non riusciva più a reggere il ritmo, di sicuro imitare tutte quelle tecniche lo aveva messo alle strette. E poi non bisognava dimenticare il particolare della gamba, ma dando una rapida occhiata alla sua postura e alla sua espressione, Aomine fu sicuro che Kise stesse bene, benissimo: lo scontro non era ancora finito e il suo avversario non andava sottovalutato.
Era giù successo in prima superiore: gli aveva tenuto testa per tutto il tempo e solo alla fine era crollato, la Kaijou aveva perso per un solo punto.
Aomine era sicuro che la cosa si sarebbe ripetuta, che Kise avrebbe perso per un solo punto, anche se a differenza della prima superiore sembrava essere nel pieno delle forze ed era paurosamente migliorato.
Daiki decise di sbaragliare ancora una volta la difesa di Ryouta con la velocità, ma non appena gli transitò accanto si rese conto che qualcosa non andava, che intorno a loro si era creata una pressione difficile da sostenere, sia mentalmente che fisicamente. Almeno per lui.
Aomine sgranò gli occhi, sentì il pallone scivolare via dal palmo della sua mano, lontano, come mai era successo prima.
L'occhio sinistro di Kise era cambiato: la pupilla leggermente assottigliata in verticale, l'iride di un giallo più chiaro.
Aomine sentì la pressione diffondersi improvvisamente nel suo corpo, come se gli avessero ficcato un ago nel petto e iniettato veleno letale, e non appena la mano di Kise si posò sulla sua spalla capì di non poter reggere quella forza e si ritrovò a terra.
Forse servirsi dell'Occhio dell'Imperatore non era una tecnica del tutto corretta, ma Kise stava semplicemente sfruttando la propria abilità, il proprio talento, che era ormai fiorito e pareva incontenibile.
Ryouta palleggiò un paio di volte, poi tornò a guardarlo con quel sorrisetto sfrontato e senza scostare gli occhi dai suoi carezzò la palla a spicchi con i polpastrelli, infondendogli la giusta rotazione e lasciando che compisse una piccola parabola in aria, entrando nel canestro senza alcuna sbavatura.


«Mhn, come pensavo: Oha Asa non sbaglia mai.» commentò Midorima, vagamente soddisfatto che fosse stato il segno dei Gemelli a trionfare, e non perché gli importasse di Kise: era importante che vincesse lui semplicemente perché quel giorno era in prima posizione nell'oroscopo della sua astrologa preferita, ecco tutto.
Momoi esultò con una risata, stendendo le braccia al cielo in un sussulto di gioia incredula; Tetsuya ampliò il suo sorriso non appena incontrò gli occhi di Kise oltre la griglia metallica.
A Ryouta ci volle un po' per riprendere fiato, ma non sentiva la fatica, non sentiva dolore alla gamba: solo un'immensa gioia per essere finalmente riuscito a battere la persona che più ammirava al mondo, il suo avversario per eccellenza.
Quando notò che al margine del campetto c'era anche Midorima, non capì più nulla.
«Midorimacchi! Allora ti sei deciso!» era tornato il Kise di sempre, allegro e rumoroso, completamente diverso da quello sfrontato e agguerrito che fino a poco prima aveva affrontato Aomine.
Kise corse velocemente al margine del campetto, raggiungendo gli altri tre e rivolgendo un sorriso allegro a Midorima, che si era subito voltato dall'altra parte sbuffando infastidito.
«Non è così.» ma era risaputo che quando Shintarou negava qualcosa con troppa enfasi intendeva sempre il contrario.
Midorima aveva deciso di unirsi a loro semplicemente perché sentiva di avere bisogno di una distrazione, di avere bisogno di un appiglio che non fosse lo studio; soprattutto, senza il basket, si era reso conto che iniziava a sentirsi soffocare.
Complice di quella sua decisione era stato innanzi tutto Takao, che sembrava essersi proclamato come suo terapeuta personale e aveva sostenuto più volte che frequentare i suoi vecchi amici - amici? - e giocare a basket gli avrebbe fatto bene; poi ci si erano messi anche Imayoshi e Hanamiya, che dovevano essere venuti a conoscenza della cosa proprio attraverso Kazunari, e avevano iniziato a punzecchiarlo fastidiosamente.
Comunque, se si trovava lì, era solo merito della sorte - e di Oha Asa -: il segno del Cancro era terzo, quel giorno, e l'oroscopo lo intimava chiaramente a prendere una decisione per la quale aveva già rimandato più volte, lo invitava ad optare per una risposta positiva, perché il "sì", a lungo andare, avrebbe portato qualcosa di buono nella sua vita; il fatto, poi, che il suo segno condividesse il podio assieme a quello di Kise e di Aomine, si poteva interpretare solo come un segno del destino.
Kise stava per proporre, come ogni volta che lo incontrava, di tornare a casa insieme, ma le parole sembrarono morirgli sulle labbra non appena si ricordò di Aomine.
Nello stesso momento in cui Ryouta rivolse il proprio sguardo all'interno del campetto, anche gli altri tre fecero lo stesso.
Kise si congedò dai tre in silenzio e tornò nel campetto, raggiungendo Aomine a piccoli passi.
«Aominecchi?» Ryouta stesso non sapeva cosa dire, e quello fu solo un tentativo di attirare la sua attenzione.
«Lo so.» a Daiki, in un certo senso, andava bene così: avrebbe aderito al progetto solo per aver perso una scommessa e non di sua spontanea volontà, o almeno era così che, effettivamente, si presentava la situazione.
Voltandosi verso Kise, sentì il bisogno di scappare dal suo sguardo, non tanto perché fosse infastidito dall'aver appena perso contro di lui, ma piuttosto perché aveva paura che gli facesse lo stesso effetto di qualche giorno prima. Già era stato difficile giocare così stretti e pressati l'uno contro l'altro.
«Ah? Pare che il vostro progetto, alla fine, stia avendo successo.» cercò di concentrarsi su qualcos'altro e osservando Midorima non poté fare altro che dare voce al proprio disappunto: se si univano anche gli altri era finito, se invece avessero continuato a rifiutare, allora, tutto sarebbe andato in malora e lui non avrebbe più subito le pressioni di Ryouta, Satsuki e Tetsuya.
«A quanto pare sì, manca solo Murasakibaracchi! E poi potremo pensare ad Akashicchi!»
Aomine pensò che Kise avesse grinta da vendere, sembrava averla accumulata negli anni e la determinazione non faceva altro che renderlo ancor più bello ai suoi occhi: esitò solo per qualche attimo sulle labbra sorridenti di Ryouta, poi sembrò emettere un grugnito e gli passò accanto dandogli una piccola spallata.
«Andiamo.»


«Allora partirai dopodomani, Kagami-kun?» Tetsuya ruppe il silenzio e si strinse nel cappotto color cachi, lasciando sprofondare parte del viso oltre il tessuto morbido della sciarpa scura: Kagami gli aveva detto che sarebbe ripartito per Los Angeles il ventotto ottobre.
La luna stava sprofondando oltre il fiume, frustando l'acqua con rari raggi lattiginosi che filtravano oltre le nuvole scure: a dire il vero non era corretto dire: "Dopodomani", visto che la mezzanotte era passata da almeno una ventina di minuti e quindi il calendario segnava il giorno ventisette.
Kagami era a Tokyo da poco meno di una settimana, ma sembrava essersi abituato alla routine e si era deciso ad attendere Tetsuya fuori dalla pizzeria e riaccompagnarlo a casa ogni sera - anzi notte -
A Kuroko sarebbe mancata quella piacevole abitudine che era andata creandosi in così poco tempo, Kagami che lo aspettava e lo riaccompagnava a casa: avevano ricominciato a parlare senza troppo imbarazzo e l'aiuto maggiore era venuto proprio dall'incontro avuto con Kise, Murasakibara e Himuro. Quando Kagami era venuto a conoscenza del progetto aveva iniziato a parlare a ruota libera di basket, si era incuriosito e si era immediatamente schierato dalla parte di Tetsuya, pur non essendo a conoscenza della motivazione per la quale stava cercando di riunire la Generazione dei Miracoli.
Kagami appoggiava Tetsuya nel progetto che avrebbe dovuto aiutarlo a dimenticarsi di lui: la situazione era piuttosto assurda.
Quella sera avevano parlato anche di più e nonostante Tetsuya sapesse dell'imminente partenza dell'altro, era molto più sollevato all'idea che Aomine e Midorima avessero accettato - o fossero stati costretti ad accettare, come nel caso di Daiki - di aderire al progetto.
«In verità partirò la sera del trenta.»
Tetsuya gli rivolse immediatamente il suo sguardo sorpreso, forse con un po' troppa gioia negli occhi; per lo meno la sciarpa era scivolata sotto al suo naso ma non gli aveva scoperto le labbra, che si erano increspate in un sorriso flebile ma pieno di speranza: possibile che Taiga ci stesse ripensando? Menzionare il progetto del ripristino della Generazione dei Miracoli, forse, era stata per davvero una buona idea.
Tetsuya lasciò che gli occhi rimbalzassero da quelli di Taiga all'asfalto buio, poi alle scaglie d'acqua nelle quali si rifletteva il viso argentato della luna.
«Ne sono felice, Kagami-kun.» e allora il sorriso di Tetsuya si era ampliato leggermente, ancora nascosto in quell'abbraccio tiepido che la sciarpa attorcigliata creava intorno al suo viso.
Inconsapevolmente, Kagami ricambiò il sorriso di Tetsuya, perché adesso anche lui aveva increspato le labbra in una manifestazione di felicità contenuta, tornando infine a guardare davanti a sé.
«Kuroko, devo dirti una cosa.»
Il tono flebile e cauto di Kagami attirò immediatamente l'attenzione di Tetsuya.
Kuroko non riuscì neppure ad incitarlo a continuare, piuttosto si limitò a fissarlo in silenzio, con il cuore palpitante nel petto e un fremito lungo la spina dorsale, quasi fosse stata appena attraversata da una scarica elettrica talmente leggera da provocare un dolore piacevole: quello, in un certo senso, gli pareva un momento di intimità più di tanti altri, e per una volta era Kagami che voleva dire qualcosa e al quale parevano tremare le labbra.
«Il trenta non potremo passarlo insieme.»
Il silenzio di Tetsuya si prolungò e quel fremito lungo la spina dorsale, che tanto gli aveva ricordato una lieve scarica elettrica, si tramutò in una folgorazione che quasi non gli arrestò il battito cardiaco: aveva sperato davvero che Kagami volesse parlare di qualcos'altro, che volesse parlare di loro.
«Sì, dovrai pensare ai bagagli, immagino.»
«No, è che ...»
A Kagami sembrarono morire le parole sulle labbra, e Tetsuya le guardò per bene quelle labbra che prima avevano ricambiato inconsapevolmente il suo sorriso, avevano subito un fremito.
Guardò la curvatura lineare e sottile del labbro inferiore, quella leggermente più marcata e morbida del superiore: non sapeva bene se le stesse guardando per il desiderio di esserne baciato o semplicemente perché voleva catturare qualcosa, una parola morente che gli avrebbe permesso di capire senza che Kagami desse voce ai suoi pensieri.
«Il trenta dovrò andare da Tatsuya.»
Tetsuya sentì il bisogno di fermarsi, ma non volle tradirsi e fece forza sulle proprie gambe per continuare a camminare.
Perché? Che bisogno aveva, Kagami, di stare con Himuro? Per tutti quei mesi in cui non si erano visti, quei due si erano frequentati, erano tornati alla vecchia vita, perché doveva sprecare il suo ultimo giorno con Tatsuya, con cui aveva passato tutto quel tempo, e non con lui?
Tetsuya dovette inclinare la testa leggermente all'indietro, in modo da prevenire l'eventuale fuoriuscita del fiume di lacrime che sembrava star facendo pressione dietro la retina, bruciare la cornea con un sottilissimo strato lucido.
«È il suo compleanno, quindi.»
Tetsuya non riusciva a guardarlo; poteva pensare soltanto al fatto che Kagami aveva prolungato il soggiorno a Tokyo per il compleanno di Himuro e che probabilmente, in occasione del suo, si sarebbe limitato semplicemente ad un freddo sms.
«Intendevo dire che non potremo stare da soli. Ovviamente Tatsuya ha intenzione di invitare anche te, Momoi e Kise.»
«Ringrazialo.» questa volta Tetsuya fece davvero fatica ed essere educato come al solito.
«Ringrazialo, ma non credo che potrò esserci.»
Adesso era Taiga che lo guardava, con le labbra contratte in una smorfia di rammarico e il viso leggermente inclinato, gli occhi incantati su quella fragile e piccola figura: si aspettava qualcosa del genere e non lo biasimava, solo gli dispiaceva che avrebbe passato l'ultimo giorno a Tokyo con Himuro, Murasakibara, Kise e Momoi, ma senza Kuroko.
Non voleva fargli del male, ma in quel momento gli sembrò che fosse sempre stato capace unicamente di quello: ferirlo, ferirlo continuamente, senza mai riuscire a rimediare.
Lui era l'origine delle ferite di Tetsuya, e più cercava di curarle, più alimentava il flusso di dolore che già imperversava nel corpo e nella mente dell'altro.


Kagami pensò fosse la peggiore festa di compleanno di sempre, soprattutto a causa della carenza di invitati.
Era stufo di starsene inchiodato a quel tavolo con lo sguardo minaccioso di Murasakibara piantato addosso e il ronzio continuo delle parole di Himuro che era ancora convinto di poter convincere quel bambino cresciuto ad aderire al progetto di Tetsuya.
Con la scusa di dover sistemare le ultime cose nell'unico trolley che si era portato appresso, Kagami si congedò un'ora prima, pentendosi amaramente di non aver passato quell'ultimo giorno con Tetsuya.
Voleva chiamarlo, andare da lui e salutarlo, ma la sera prima, fra loro, era venuto a crearsi un tacito accordo: si sarebbero risentiti solo dopo che Kagami sarebbe tornato a Los Angeles, altrimenti Tetsuya sarebbe stato aggredito dalla tentazione di accompagnarlo all'aeroporto, sarebbe restato solo ancora una volta, con il viso bagnato di lacrime e la speranza di vederlo tornare da un momento all'altro.
«Smettila di pensarci, idiota.» Kagami sbottò contro se stesso ed estrasse il cellulare dalla tasca, tenendo premuto un tasto per qualche attimo, finché non lo vide spegnersi: doveva smetterla di pensare a Tetsuya, non doveva chiamarlo se non voleva fargli - e farsi - del male.
Kagami si raccolse il viso fra le mani e sospirò profondamente contro i palmi, massaggiandosi la fronte con la punta delle dita.
Taiga si apprestava a sprofondare in una lunga e lenta agonia, ma sembrava non se ne fosse ancora reso conto, come, d'altronde, non si era ancora capacitato dei suoi sentimenti per Tetsuya.


«Sei proprio astuto, Muro-chin.»
Himuro sapeva benissimo che quel sussurro alle sue orecchie non era ammirazione, ma un dardo infuocato che Atsushi aveva appena scoccato contro di lui.
Sentì le mani grandi dell'altro posarsi sui suoi fianchi e poi carezzarli placidamente, rendendogli difficile la presa sul piatto bagnato che stava cercando di asciugare.
«Cosa intendi dire, Atsushi?» questa volta toccò a Tatsuya recitare la parte del finto tonto.
«Insisti troppo con questa storia della Generazione dei Miracoli.»
Le dita di Himuro arrancarono sul piatto finalmente asciutto: la voce di Murasakibara era troppo seria, sibilava proprio come quella di un bambino dispettoso, maligno.
Tatsuya arricciò il naso infastidito e si scansò, fuggendo dalle sue mani, e proprio come un bambino a cui viene strappato il giocattolo di mano, Atsushi gonfiò appena le guance e lo seguì con lo sguardo, quasi a volergli far capire che essere scappato da lui era a dir poco oltraggioso.
«Kise-chin ti deve aver promesso qualcosa.» pronunciò offeso Murasakibara, senza distogliere i propri occhi dall'altro che, avendo finito di lavare i piatti, sembrava alla ricerca disperata di qualcos'altro a cui dedicare la propria attenzione.
Atsushi non sembrava proprio un tipo sveglio, ma senza dubbio conosceva molto bene sia Kise che Himuro e dopo qualche giorno passato a dormirci - non tanto a ragionarci - su aveva iniziato a sospettare dell'insistenza troppo pressante di Tatsuya.
Himuro non aveva la minima intenzione di farsi mettere alle strette e Murasakibara stava cominciando a perdere la pazienza.
«Se insisto tanto è per il bene di entrambi, Atsushi.» gli avrebbe detto dell'accordo con Kise solo dopo che avrebbe acconsentito al progetto di Tetsuya, e non perché avesse paura che rifiutasse col proposito di impedirgli di giocare con gli altri, ma perché sapeva che sicuramente si sarebbe arrabbiato, avrebbe pensato che Himuro lo avesse fatto solo per il suo bene e non per quello di entrambi.
«Tanto non ha ancora accettato nessuno.»
Himuro fu sul punto di controbattere, di dire che Aomine e Midorima avevano accettato qualche giorno prima, ma ciò sarebbe stata una chiara prova di come si tenesse strettamente in contatto con Kise per avere degli aggiornamenti.
«E se accettassero?» erano davvero rare le volte in cui avvenivano discussioni simili fra loro, ma Himuro le odiava: non riusciva a mantenere la sua solita espressione imperturbabile al cospetto di Atsushi, teneva troppo a lui per imbrogliarlo completamente.
«Se accettassero giocheresti?» così poteva semplicemente fargli gli occhi dolci, cercare di indorare la pillola con dolcetti e sesso.
«Lo faresti per me, Atsushi?» quando gli adulti si mettono nelle mani dei bambini, sorridono dolcemente e dimostrano di avere completa fiducia in loro, è difficile che i bambini li tradiscano, o per lo meno ci mettono tutto il loro impegno per renderli fieri di loro.
Murasakibara tentennò di fronte al dolce sorriso di Himuro, al carico di fiducia che lo aveva completamente investito; distolse lo sguardo e sospirò sommessamente: a quanto pareva avrebbe dovuto accontentarlo, ma prima voleva capire se il sospetto che Kise gli avesse promesso qualcosa fosse realtà o pura fantasia.


«Che ore sono?» Tetsuya si decise a rompere il silenzio pesante che da almeno una decina di minuti si era creato fra loro.
«Le ventitré.» Kise aveva dato una rapida occhiata all'orologio da polso, poi era tornato ad osservare Tetsuya, che se ne stava immobile, con le dita strette alle due cordicelle dell'altalena in mezzo alla sua e a quella di Momoi.
Tetsuya non riuscì a dire altro, ma voleva ringraziarli per essere stati lì con lui, per non averlo lasciato solo in un momento simile.
Non voleva mostrarsi vulnerabile di fronte a loro, non voleva piangere di fronte a Momoi, ma non era sicuro che avrebbe resistito, perché quella sensazione di calore che circondava l'intimo nucleo creatosi fra di loro non era altro che un invito a sfogarsi, sputare fuori tutto il dolore, le lacrime.
Erano le ventitré della sua serata libera, e mentre se ne stava seduto, anzi aggrappato, a quell'altalena, qualcun'altro si apprestava a lasciare ancora una volta Tokyo. Ancora una volta gli calpestava il cuore come se fosse stato un pezzo di carne senza valore.


Kagami non aveva ancora acceso il cellulare, si era allacciato da poco la cintura e si rifiutava di guardare al di là dell'oblò, quasi avesse avuto paura di vedere Tetsuya al centro della pista di decollo pregarlo di scendere dall'aereo e tornare da lui; quasi avesse avuto paura di pentirsi improvvisamente della sua partenza e quindi provare a lasciare il velivolo, senza però riuscirci a causa del passaggio bloccato dalle hostess e dagli steward.
Anzi, in verità si stava già pentendo.
Si augurò che Kise e Momoi fossero ancora con Tetsuya, che lo stessero distraendo, che per nulla al mondo si fosse reso conto che erano le ventitré e che quindi il suo volo era sul punto di decollare.
Non sopportava l'idea che Tetsuya potesse stare di nuovo male per lui, che perdesse il proprio sorriso per colpa sua.


Ma forse non è così? Il cuore è solo un pezzo di carne senza valore e chi lo calpesta si preoccupa soltanto che le suole delle proprie scarpe non si siano sporcate di sangue.
Tetsuya avrebbe voluto chiedere a Momoi e Kise di passare tutta la notte lì, seduti in silenzio su quelle altalene: non si sentiva completamente al sicuro, ma senza dubbio quei due erano una fonte di protezione gigantesca, la migliore che potesse desiderare.
Erano le ventitré e l'aereo di Kagami stava decollando, Kagami stava partendo senza di lui, ancora una volta.
Tetsuya si era chiesto spesso perché non potesse essere lui a partire per Los Angeles con Kagami, lasciare il Giappone, ma ogni volta si rendeva conto che a Tokyo c'erano i suoi genitori, sua nonna, Nigou, Kise e Momoi.
Era una cruda verità, ma era evidente che Kagami, al contrario di Kuroko che era incatenato al Giappone, si trovava inevitabilmente avvinghiato agli Stati Uniti, e mentre Tetsuya si lasciava rapire dai ricordi della Generazione dei Miracoli, Taiga sceglieva il suo immaginario legame di sangue con Himuro.
Tetsuya si morse il labbro inferiore e lasciò scivolare indietro il capo, in uno scatto rapido, puntando gli occhi al cielo nero, punteggiato di piccole luci troppo deboli per essere ammirate appieno.


Sì, era solo colpa sua.
Aveva agito da codardo, era scappato da un sentimento solo per paura di non poterlo comprendere e aveva calpestato la sensibilità di Tetsuya, aveva denudato la sua fragilità e corroso la loro amicizia; era come se una goccia di acido fosse caduta al centro della fotografia di due amici e avesse cominciato pian piano a divorare e lacerare la carta, separandoli e cancellandoli.
Scappare era più forte di lui, e Tetsuya era troppo altruista per fermarlo.
Tetsuya non si sarebbe mai sognato di chiedergli di restare, piuttosto rispettava le sue scelte e rimaneva in silenzio pur di non compromettere l'equilibrio della loro amicizia.
Taiga si chiese se non stesse piangendo. Aveva paura di sentirlo, quel pianto, o peggio di vederlo.
Voleva davvero bene a Tetsuya, voleva tornare indietro per dirglielo, ma l'aereo si era già issato in volo.


Tetsuya interruppe di nuovo il silenzio, ma questa volta così improvvisamente che sia Momoi che Kise si voltarono immediatamente verso di lui e rimasero imbambolati per qualche attimo, trovando molto faticoso rielaborare l'intera situazione.
Tetsuya aveva singhiozzato, forte, e quella manifestazione di disperazione era andata proiettandosi nel silenzio con ancor più vigore del normale, atterrendo gli altri due.
Ora Kuroko teneva il volto raccolto nelle mani e singhiozzava senza interruzione, con la schiena leggermente incurvate e le spalle frementi.
Alla fine Tetsuya non era riuscito a reggere, quel nucleo di intimo calore che si era creato fra loro tre lo aveva persuaso a vomitare tutto il dolore, e adesso singhiozzava rumorosamente, si teneva il viso fra le mani, poi si asciugava velocemente le guance e rendendosi conto che la cascata di lacrime sarebbe continuata tornava a coprirsi gli occhi.
«T-Tetsu-kun!» Momoi fu la prima che trovò il coraggio di intervenire e, scacciando indietro le lacrime che erano affiorate nei suoi occhi non appena aveva udito i singhiozzi disperati di Tetsuya, si alzò dall'altalena e lo abbracciò.
Tetsuya non avrebbe mai voluto piangere di fronte ad una ragazza, soprattutto di fronte a Momoi, ma era proprio così che stavano andando le cose e, come se non fosse bastato, era proprio lei che cercava di consolarlo con un abbraccio affettuoso.
Kise, al contrario, sentiva di non poter agire, non voleva vedere Tetsuya ridotto in quello stato e si sentiva assurdamente frustrato: Kagami non aveva capito nulla, Kagami continuava a ripetere lo stesso errore e Kuroko soffriva, piangeva davanti a lui che non avendo il suo amore non poteva fare nulla.
Se ci fosse stato lui, al posto di Kagami, se fosse stato lui ad avere l'amore di Tetsuya, allora le cose sarebbero sicuramente andate meglio.
Nonostante non sopportasse vedere Tetsuya piangere, Kise continuò a sorvegliarli, trovando la forza di alzarsi e avvicinarsi a loro solo quando notò che qualche lacrima aveva iniziato a solcare anche il viso di Momoi.
Nessuno sopportava l'idea che Tetsuya piangesse, in verità.
Doveva essere lui il più forte, quella sera, perché Tetsuya si era già arreso e Satsuki si era lasciata trascinare come una conchiglia in balia della furia del mare.
Ryouta non disse nulla, si limitò a chinarsi su di loro e a stringerli in un abbraccio saldo e protettivo, a chiuderli in quel nucleo di intimo calore nel quale la felicità di uno pareva dipendere completamente da quella dell'altro.

L'ombra non esiste, se non c'è luce.




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L'angolino invisibile dell'autrice:

Sarò sincera … questo, fino ad ora, è il capitolo che mi piace di più.
Non mi sono particolarmente divertita a scriverlo (non nel senso che non mi ha fatto piacere, ma nel senso stretto, non mi ha strappato alcuna risatina o sorriso, se non, giusto giusto, Midorima che spunta all'improvviso mettendo completamente in mostra la sua natura da tsundere).
Piccolo appunto: quando Kuroko scorre la rubrica ho parlato di lettera “M” e lettera “A”, lasciando intendere che i nomi sono scritti in caratteri latini e non in kanji (semplicemente perché non conosco le caratteristiche del kanji e non volevo rischiare di dire qualche stupidaggine).
La parte che mi ha fatto impazzire, come avrete capito, è quella dello scontro fra Aomine e Kise.
Ho imparato qualcosina sul basket, insomma. Purtroppo ci sono movimenti che non sono facili da descrivere e non ho voluto neppure descrivere ogni singolo canestro, altrimenti non avrei finito più eeee … siccome io amo Kise, ho voluto mostrare che il suo potenziale è migliorato ancora, che nonostante i problemi alla gamba (che comunque nella fanfiction va verso il miglioramento!) sia un validissimo avversario. È una vendetta personale, visto che fra Kaijou e Touou tifavo per la prima e quando hanno perso ho più o meno frignato come Kise.
Spero di essermela cavata bene, quando ho iniziato la fanfiction avevo il terrore di descrivere una partita o anche solo un tiro. ;-;
Mi scuso per le parti centrali un po' frammentate; invece quelle finali che mostrano Kuroko e Kagami sono fatte di proposito. E scrivere di Kuroko che piange come una fontana è stata una tortura, seriamente.
Diciamo che l'unica parte che non mi ha soddisfatto pienamente è quella riguardante Himuro e Murasakibara. Devo ragionare un momentino su di loro, perché adesso mi sto concentrando molto di più su Kise (ma quando mai non mi sono concentrata su Kise?), Kuroko e dal prossimo capitolo direi … Kagami.
Ah sì, il prossimo capitolo.
Il prossimo capitolo mi farà sprofondare nella vergogna, fra l'altro è da un bel po' che non scrivo certe cose. So già che molte di voi saranno contentissime~
   
 
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