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Autore: emmevic    26/04/2014    6 recensioni
Cit/: Sottoterra faceva freddo e non c'erano compagni a cui stringersi, non c'erano Rin, Kakashi e nemmeno Minato. C'erano tenebre e nero. Sottoterra era oscurità e di luce non ce n'era mai a sufficienza, filtrava raramente e per pochi istanti, forse frutto dell'immaginazione. [...]
• Ambientata durante la permanenza di Obito nel covo sotterraneo di Madara ― introspettiva
Prima classificata all'Uchiha Contest indetto sul forum di EFP da Flyonclouds
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Obito Uchiha | Coppie: Obito/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Feel the Pain
«Rin, I will create a world where you're alive» Obito cit. (Naruto, cap. 606, pag. 6) 
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Sottoterra faceva freddo e non c'erano compagni a cui stringersi, non c'erano Rin, Kakashi e nemmeno Minato. C'erano tenebre e nero.
Sottoterra era oscurità e di luce non ce n'era mai a sufficienza, filtrava raramente e per pochi istanti, forse frutto dell'immaginazione. Difficile, in quel silenzio fatto d'ombre e di lampi fuggevoli, distinguere le ore; la fallacità della percezione umana era sempre pronta a trarre in inganno, dilatando il tempo. Quanti giorni erano trascorsi da quell'ultima missione?
Sottoterra era bagnato e le pareti gocciolavano umidità, lunghe scie di condensa sottili come capelli, una rete indistricabile. Gli ricordavano quelli castani di Rin.

Capitava, quando Obito rimaneva solo per più di qualche ora, abbandonato nel buio dalle copie e con l'unica compagnia del vecchio Uchiha, perso nel suo sonno secolare, che il silenzio risultasse insopportabile. In quei momenti la speranza cedeva, la negatività prendeva il sopravvento e lui, annebbiato nella mente, odiava. Malediceva se stesso e gli altri: la lista era lunga e le motivazioni fin troppe. Aveva molto di cui biasimarsi e per cui rimbrottare, in primo luogo l'aver piantato Rin e Kakashi in superficie ― più Rin, in realtà ― e il non essere ancora in grado di andarsene con le proprie gambe da quel bucoKakashi ne sarebbe già stato capace, sicuro. A lui riusciva tutto, anche di essere promosso jonin prima d'aver compiuto dodici anni.
Kakashi probabilmente gli avrebbe anche detto, se solo avesse saputo della sua non effettiva dipartita, di muoversi ad uscire di lì. Gli avrebbe di certo rinfacciato d'essere pure in ritardo e si sarebbero presi a pugni, allora, come sempre.
Kakashi aveva il suo sharingan e a Obito da quella volta, quando l'oscurità era più densa del solito, sembrava di vedere sprazzi di luce delinearsi nel nero. Vedeva ciò che il suo occhio ― il sinistro ― osservava, vedeva le guance rosa di Rin, il sorriso accennato di Minato-sensei, fiori bianchi di lutto. Erano visioni fugaci, ma facevano male, lo rendevano partecipe di una vita reale e lontana dalla quale era stato escluso, una quotidianità non sua.

Qualche giorno Obito non si riconosceva per nulla nel ragazzo pieno di frustrazione che stava diventando e si trovava a detestare i suoi compagni, loro che l'avevano lasciato indietro ed erano andati avanti, scordandolo ― permettendogli di trasformarsi in quello che non sarebbe dovuto essere. E li odiava, amandoli, ascoltando la propria voce rimbalzare e accusarli tra le pareti umide del buco, incolpando Rin, lei che gli aveva promesso di stare sempre dalla sua parte e che alla fine gli aveva voltato le spalle.
La sofferenza di immaginarli vivere credendolo morto era intollerabile in quei momenti. Poi le copie tornavano, anche faccia da spirale, e Obito, non più oppresso dalla solitudine, si pentiva di quanto pensato, delle parole atroci lanciate come frecce contro un bersaglio, delle considerazioni inopportune dettate dalla durezza dell'occasione.
Non si riconosceva più, Obito.

Gli sembrava di sentire la voce di Rin, allora, quando i sensi di colpa lo incupivano più del solito e la testa gli scoppiava di dolore. L'ascoltava consolarlo e si illudeva, cullato dalla voce di lei che, rincuorante, risuonava come una dolce melodia: musica per le sue orecchie. «Aspettami,» le rispondeva mangiandosi le parole, «sto arrivando, arriverò» sussurrava nel silenzio, per poi ricominciare ad allenare il suo nuovo corpo ― in principio si era rivelato straordinariamente difficile anche solo stringere il pugno, ma con l'esercizio ogni cosa diveniva più semplice.
Era solo questione di tempo, si convinceva, ancora qualche mese e sarebbe uscito di lì tutto intero. Ancora un po' e avrebbe riabbracciato Rin, ritornando ad essere l'Obito di una volta. Questo si diceva, ignorando l'inferno che sarebbe scoppiato, inconscio di quello che sarebbe successo.

Con il senno di poi avrebbe agito diversamente.





 Avvertimento › storia ambientata in quel lasso di tempo, nel quale Obito si trova nel covo sotterraneo di Madara
• Prima classificata all'Uchiha Contest indetto sul forum di EFP da Flyonclouds.
   
 
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