-Piacere, Tezuka Kunimitsu, e sono emo.-
storia dalla dubbia classifcazione derivata da un test reperito su
internet. mi sono davvero divertita a scriverla, spero che voi vi
divertiate altrettando a leggerla.
Genere: Comico, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tezuka Kunimitsu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Come diceva sempre Inui, i dati non sbagliano mai. Quel test
l’aveva ripetuto almeno sei volte e aveva sempre dato lo
stesso responso nefasto. Nulla poteva cambiare la realtà. I
pugni di Tezuka si abbatterono sul ripiano della scrivania nella sua
stanza, accanto al computer con il quale, connesso a internet, aveva
dato il via al suo tormento interiore. E ora, ora che la
realtà gli si era rivelata così chiara e
lampante, ora cosa sarebbe cambiato in lui? Non poteva più
fingere.
Tezuka Kunimitsu, capitano del leggendario Seigaku, aprì gli
occhi e si guardò allo specchio.
“Sono emo…”
Le parole bruciarono nella sua testa, non sopportava nemmeno di pensare
una cosa simile. Sono un emo…la dura realtà della
vita, quel test non sbagliava. Piacere, Tezuka Kunimitsu, e sono emo.
Afferrò il telefono cellulare con mossa felina e premette il
tasto di scelta rapida per le chiamate di emergenza. Libero.
“Pronto, qui parla Fuji! – rispose la voce
squillante del suo amico”
“Fuji, sono io…- parlò lui con una voce
da oltretomba”
“Tezuka…? Che ti succede, sei più nero
del solito!”
“Non dire quella parola…”
“Quale parola?”
“Non dire nero…”
“……sono da te tra cinque
minuti…”
Gli spense il telefono in faccia, non aveva coraggio di dirgli di no,
aveva davvero bisogno di una presenza confortante, anche se era quella
di un maniaco che per caso era pure il suo ragazzo. Si
lasciò cadere in ginocchio per terra e scagliò il
telefono lontano da sé, disgustato. Nero. Sei più
nero del solito. Lui non era nero! Lui era solo serio! Con la coda
dell’occhio vide il suo armadio aperto. Altrochè
se era nero! I suoi vestiti erano tutti uguali, tutti della stessa
tonalità scura e anonima. Si alzò e
buttò fuori tutto. Lui non era emo. Doveva cambiare
guardaroba.
Lo specchio gli rimandò l’immagine di un ragazzo
con un ciuffo assurdamente lungo a coprire gli occhi già
nascosti dagli occhiali. Quel ciuffo doveva sparire. Afferrò
un paio di forbici e si diede una spuntatina, quel tanto per poterlo
spostare dal volto e mandare indietro con tutti gli altri. Sembrava
già un altro.
Attraverso lo specchio notò la sua collezione di manga e
anime, la collezione che Fuji l’aveva convinto a fare.
L’aveva iniziata per far piacere all’amico ma ora
lui stesso era stato rapito da quel vortice di dipendenza creato dai
fumetti. Secondo il test era un segno distintivo degli emo. Li
afferrò tutti riempiendosi le braccia di tutto quel ben di
Dio e li ficcò sotto il letto.
Terzo passo, l’espressione. Sul test l’emo
è uno che non sorride mai perché non ha motivo di
sorridere. Con l’atteggiamento da combattente, quasi stesse
per disputare uno scontro all’ultimo sangue con Atobe, si
fissò allo specchio: gambe leggermente divaricate per
mantenere l’equilibrio ad ogni costo, mani sui fianchi in
posizione da duro, sguardo fiero e deciso…gli angoli della
bocca si sollevarono miracolosamente verso l’alto. Si, era
uno sforzo immane, ma ce la poteva fare! Era Tezuka Kunimitsu, capitano
del Seigaku, promessa del tennis, e non era un emo!
“Kuni? C’è un tuo amico, lo faccio
salire!”
Fuji spalancò la porta della camera e si trovò
davanti un estraneo. Sobbalzò indietreggiando quando
l’estraneo si avvicinò a lui.
“Tu chi sei?!”
“Fuji…sono io…”
“No, tu non sei Tezuka…! Ridammi il mio
Tezuka!!”
Sospirando, Tezuka si sedette per terra in mezzo all’ammasso
di vestiti gettati alla rinfusa e spiegò al suo amante cosa
era successo. Lui non voleva essere emo. Fuji si mise a ridere.
“Tutto qui?! E questo il problema?”
“E ti pare poco! La massima aspirazione di un emo
è il suicidio!”
“…ok, adesso basta…vieni fuori con
me!”
La strada era gremita di gente, tanto che per non perdersi dovevano
tenersi per mano. Normalmente questo avrebbe dato fastidio a Tezuka,
così serio, così composto, ma cercava di non
pensarci per apparire più allegro. A dire il vero con quel
sorrisino forzato che esibiva era più inquietante che altro.
Fuji lo trascinò su di una panchina ove si misero a sedere
per osservare la folla.
“Vedi…? Guarda, il mondo è pieno di
emo!”
Tezuka guardò bene la gente che li attorniava e si rese
conto di una cosa: i suoi capelli andavano benissimo così
com’erano. C’era fin troppa gente che portava il
ciuffo davanti agli occhi, e molti di loro indossavano vestiti
sgargianti. Un punto in meno da modificare. Si passò una
mano sulla chioma e la riportò al precedente stato di tenda
per occhi e occhiali.
Il secondo punto si fissò sull’abbigliamento. Il
nero era di moda, molti lo portavano. Per non parlare di quelle divise
scolastiche così monotone, così grigie,
così…come le sue. In effetti ora che ci pensava
la maggior parte del suo armadio era perfetta per andare a scuola e
alle cerimonie pubbliche. Si risollevò un po’ il
morale e accavallò le gambe.
In quel momento passò una ragazza vestita di nero, con il
ciuffo sui capelli e lo sguardo triste. Tezuka si sentì
perduto…finché non arrivò il fidanzato
della ragazza, anche lui vestito di nero con lo stesso identico ciuffo
assurdo, che la abbracciò facendola volteggiare. Lei sorrise
felice. Era salvo. Salvo…ma lei sorrideva!
Si mise a fissare i volti della gente finché non individuo
una buona percentuale di persone che nonostante fossero in buona
compagnia, nonostante stessero facendo qualcosa di divertente, non
sorridevano. Erano intellettuali, come Inui che in quel momento stava
passando immerso in una lettura impegnativa a giudicare
dall’espressione attenta con la quale scrutava il foglio. Lui
non sorrideva. Ed era un genio del tennis. Un punto in meno da
depennare sulla lista delle cose da cambiare. Le sue labbra tornarono
alla posizione originaria di apatia.
No, non era un emo! Era solo un ragazzo con vestiti tutti uguali dalle
tinte morte, la voce bassa, lo sguardo perso, il volto inespressivo, il
ciuffo davanti agli occhi, l’atteggiamento distaccato,
maniaco per i manga. Decisamente non era emo.
“Secondo me ti sbagli!”
“No, ti dico che ho ragione!”
“Ma non è possibile!”
“Si invece! …oh, ciao Fuji, ciao Tezuka!”
Davanti a loro si fermarono tre esseri maschili non meglio
identificati. Uno di loro data la bassa statura doveva essere per forza
Echizen, nessuno era basso come lui. Così come quello al
centro era per forza Momoshiro, nessuno aveva quei capelli assurdi e
l’espressione imbambolata da idiota. Ma l’altro?
Aveva un vago ricordo. Quel ciuffo lo aveva già incontrato
prima. Qualcosa dovette trasparire dalla sua espressione
perché il terzo si chinò a fissarlo da distanza
ravvicinata, le labbra imbronciate, seccato.
“Non sai chi sono, vero? Ma insomma! Sono Akira Kamio, del
Fudomine!”
Si accese una lampadina nella testa di Tezuka. Aveva capito tutto, non
serviva stare lì seduto un secondo di più, aveva
perso fin troppo tempo per colpa di quello stupido test. Si
voltò verso Fuji che gli sorrise, probabilmente aveva
già intuito tutto dalla sua espressione.
“Sai Fuji…” disse con il suo tono
monotono Tezuka Kunimitsu, capitano del Seigaku
“…c’è di peggio al
mondo!”