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Autore: _Mimmi_    26/04/2014    2 recensioni
Questa è una OS che vuole far valere i diritti dei gay senza essere troppo diretta e rivoluzionaria... segue un filo sottile e impercettibile. Più che con la testa, voglio che ragioniate con il cuore.
"«Buongiorno, Fede! Oggi c'è un gran bel sole nel cielo. Il cielo è così celeste che sembra colorato con un di quei pastelli Caran d'Anche e il sole è di un giallo acceso e intenso... lo senti il calore sulla tua pelle? Lo senti quel calore entrarti dentro e riscaldarti le membra senza essere eccessivamente fastidioso? Lo senti come ti penetra delicato, soave? Lo senti come ti accarezza dolcemente la pelle come farebbe Lorenzo? A me a volte capita che mi ricordi il tocco di Andrea... e lo senti questo profumo che piano piano riempie la camera? Sai, è Giugno e c'è aria di pulito, di fiori, di erba bagnata, di allegria, di sorrisi gentili e di sorrisi felici, di dolcezza, di gelato, dei primi bagni al mare, di sabbia bagnata, di acqua marina... mi piace molto di più Giugno che Luglio, l'aria estiva che si inspira a Giugno è la migliore in assoluto!»"
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ho sempre odiato gli ospedali. Sono così bianchi, impersonali, statici, freddi.
Odio l'odore di disinfettante misto a quello della paura, del dolore... della morte.
Al loro interno l'aria è pesante, è come se tutte le anime morte là dentro ti abbraccino e ti soffino addosso facendoti rabbrividire.
Resistere per un lungo tempo all'interno è difficile, perché è difficile respirare così a lungo l'odore della morte. È un odore che ti entra, sotto pelle, dentro alle vene, si aggrappa alle viscere e ti corrode piano piano, come farebbe la ruggine con il ferro. È un lavoro che ha bisogno del suo tempo.
Se resisti a lungo in un ospedale è solo perché il motivo che ti ci trattiene è più forte della morte, è più forte del lasciarsi corrodere da questa. È una forza che ti attrae, ti trattiene, ma non ti senti obbligato da grosse catene di ferro a rimanere, è una forza più sottile, più dolce, più armoniosa... è la forza dell'amore e la forza dell'amore è più forte dell'odore della morte.
È per questo che il ragazzo accanto a me mi stupisce giorno dopo giorno.
Non so quanti anni abbia, né conosco il suo nome... non so chi ci sia nella stanza 18, ma vale la sua intera vita, è la sua intera vita.
È un mese che vive all'interno di questo corridoio, sempre sulla stessa sedia, senza neanche poter entrare in quella stupida stanza dalla porta bianca. Ci provava all'inizio, combatteva ai rifiuti dei medici, gli era stato vietato di visitare il paziente dai genitori di questo, ma continuava comunque a provarci, poi si è arreso, si è arreso difronte a quell'ingiustizia.
L'ho visto sciuparsi ogni giorno di più; dimagrire per l'assenza di fame; andarsene solo quando la sua puzza superava quella della morte, ma tornare massimo due ore dopo. Ho visto le sue occhiaie diventare sempre più violacee e le sue pupille diventare ogni giorno più spente, velate... velate dallo spirito della morte.
Quegli occhi neri sono opachi, tristi, stanno perdendo tutta la speranza di cui erano colmi il primo giorno in cui lo vidi arrivare.
Tutto quello che questo ragazzo era, prima che l'inquilino della 18 finisse qui, è svanito: l'odore della morte lo ha corroso ed ha lasciato solamente un corpo vuoto.
E vedendo il suo tormento, il suo impedimento nel poter fare qualcosa, mi sento in colpa a poter visitare mia nonna, in coma. Sia lei che l'inquilino della 18 sono in prognosi riservata.
Io sono sua nipote e, in quanto tale, da famigliare, mi è permesso vederla, mi è permesso toccarla, mi è permesso parlarle, leggerle il suo libro preferito, o magari farle ascoltare le dolci note di Ludovico Einaudi... lei lo ama tanto.
Il ragazzo, invece, non può fare nulla di tutto questo, non può neanche chiedere ai medici cosa abbia di preciso, non può sapere nulla se non che le sue condizioni sono stabili.
A dire la verità nessuno ha fatto tutto ciò che faccio a mia nonna all'inquilino della stanza 18.
Non ho visto nessun altro, se non medici e infermieri, entrare in quella stanza.
Nessuno, oltre il ragazzo, è andato a trovare quella povera persona.
Lo guardo e deduco che oggi è il terzo giorno che non va a casa: ha ancora i vestiti che indossava lunedì.
Mi rigiro tra le mani la vaschetta di plastica trasparente in cui Andrea, il mio ragazzo, mi ha messo una fetta di Sacher fatta da lui. Da quando mia nonna sta qua dentro mi riempie di dolci di ogni genere perché, a detta sua, non c'è modo migliore di sfogare il dolore se non nel cibo.
Mia nonna è tutto ciò che è rimasto della mia famiglia: sono sempre stata figlia unica e ho sempre amato tutte le attenzioni che i miei genitori mi riservavano essendo l'unica. Però, venti anni fa, sono morti per un incidente stradale...ed io avevo solo dieci anni. Fu dura riprendersi, ma da allora nonna Marina è stata la mia intera famiglia.
Sto con Andrea da otto anni e siamo andati a convivere tre anni fa, mi è dispiaciuto lasciare mia nonna, ma non potevo certo rimanere con lei per tutta la vita, a quello ci pensa la zia Silvia, l'altra figlia della nonna.
Andrea sa quanto io ami mia nonna e quindi non mi fa pesare il fatto che io stia praticamente tutti i giorni in questo corridoio d'ospedale, al contrario, mi sostiene e la viene a trovare anche lui, lavoro permettendo.
Io mi sono dovuta prendere due mesi di ferie, parlando col capo di ciò che è successo perché fosse possibile averle e spero che mia nonna si sveglierà. Ma lei è forte, lo farà!
Afferro il thermos con il caffè... col cavolo che mi bevo la schifezza di queste macchinette. Prendo da una di queste due bicchieri e ci verso del caffè ancora caldo.
Dopo aver cercato qualche minuto, trovo nella borsa la forchetta di plastica e, insieme alla fetta di torta e ad un bicchiere, la porgo al ragazzo dopo essermi seduta accanto alla sua sedia di plastica rossa.
«Sono sicura che non vorrebbe vederti così sciupato al suo risveglio.» gli dico, mentre si volta confuso verso di me. Quando realizza ciò che sto facendo, punta i suoi occhi vuoti e pieni al tempo stesso nei miei e sento le vene tremare. Accenna un sorriso, effimero, quasi impercettibile, e prende il piatto con una mano e con l'altra prende il bicchiere.
«È amaro?»
«Sì, lo preferisco forte, soprattutto ultimamente.»
«Grazie...» beve un sorso e lo appoggia al tavolino basso in plastica. Addenta voracemente il pezzo di torta tagliato con la forchetta. «È davvero buona!»
«Lo so, l'ha fatta il mio ragazzo... sai... fa il pasticcere. Non so ancora come io faccia ad essere ancora così magra...!» ridacchio per stemperare la tensione, divenuta quasi palpabile, per allontanare quelle anime che sembrano volerci soffocare con i loro corpi impalpabili. E il suo sorriso, sempre lieve ed appena accennato, mi basta e mi avanza.
«In effetti io, al posto tuo, starei già rotolando su e giù per il corridoio!»
Mangia in silenzio mentre io bevo il caffè, ma non è un silenzio pesante, è un silenzio da “Addio, anime!”.

 

È passata una settimana e, ogni giorno, porto una fetta di torta in più per Lorenzo, è così che si chiama.
Ne ho parlato con Andrea e lui è d'accordo con me. Non è geloso, si fida di me e sa che per me esiste solo lui. Nonostante la bellezza, sciupata, di Lorenzo, si fida di me ed è anche per questo che lo amo.
Come ormai di consuetudine, porgo il bicchiere di caffè e la fetta di torta, oggi quella Paradiso con uno strato di crema Chantilly, a Lorenzo.
«Grazie, Elena.» mangia in silenzio, come sempre. «Come sta tua nonna?»
«Stabile, come sempre...»
«Ha tanti tubi attaccati addosso?»
«No, solo la flebo e quello che l'aiuta a respirare...»
«E l'accarezzi spesso?»
«Molto, voglio che senta sempre il mio tocco. Non so se chi sta in come può ascoltare, sentire ciò che le accade intorno, ma se così fosse, voglio che lei mi senta in qualsiasi momento.»
Vedo una lacrima rigargli la guancia ispida di barba scura come i capelli. Più che un ventottenne, appare come un trentanovenne: il dolore l'ha invecchiato.
«Ehi, mi dispiace, sono una sciocca, non avrei dovuto dirlo!»
«Non lo dire neanche per scherzo... è solo che... è quello che vorrei poter fare anche io con Federico...»
«È... è un tuo amico?»
«No... è l'amore della mia vita.»
«È... il tuo... ragazzo?» domando incerta. Questa non me l'aspettavo di sicuro.
«Sì, è un uomo e stiamo insieme da molti anni.» Mi manca il respiro e lo guardo incredula. «Non mi guardare così anche tu, credevo fossi diversa, credevo che non avresti reagito così!»
«Non ti sto guardando disgustata, Lorenzo...», gli stringo la mano. «Sto solo cercando di comprendere la grandezza del tuo dolore...»
«Non credo di poterlo descrivere...»
«Vuoi parlarmi di lui?» sorride e nei suoi occhi posso cogliere l'amore per Federico.
«Per me Federico è un po' come per te Andrea. È lui che cucina per entrambi, io sono in grado di bruciare anche la pasta!», ride e la sua risata è davvero armoniosa, forse anche più della voce bassa e roca. «Ha un cuore così grande... è così gentile, anche con chi non se lo merita... però non è debole, è lui che ha sempre sorretto entrambi, è lui che ha dato la forza a entrambi di continuare. Il debole della coppia sono io e se lui non ce la farà io...», singhiozza e il mio cuore si spezza definitivamente. «Io ho solo lui...» lo abbraccio e lascio che il suo dolore bagni il mio maglioncino. Lo abbraccio più forte che posso, inglobandolo, donandogli il sostegno di cui ha bisogno.
È fragile Lorenzo.
È solo.
Era solo.
Ora non lo è più.
«Sh... ce la farà, vedrai, lo hai detto tu, no? Federico è forte... parlami di come vi siete conosciuti, che ne dici?» dopo averlo fatto staccare da me, gli porgo un fazzoletto. Si asciuga le lacrime e dopo aver preso un profondo respiro comincia.
«Devi sapere che ho scoperto della mia omosessualità all'età di quindici anni. Non lo dissi a nessuno perché insomma... ero gay, ed ero un liceale... mi avrebbero rovinato. A quell'epoca avevo un migliore amico, gli volevo davvero tanto bene, finché a sedici anni passati non mi accorsi di amarlo e feci la tremenda cazzata di dirglielo. Non mi sarei mai aspettato che mi pugnalasse alle spalle e lo dicesse a tutti. Mai.» gli stringo la mano con forza, dandogli coraggio. «Da quel giorno a scuola iniziarono le prese in giro, i pestaggi... alcuni mi evitavano come se... come se avessi avuto la peste! Come se essere gay fosse una malattia che si potesse attaccare. Quelle poche persone che provarono a restarmi amici diventarono vittime a loro volta. All'inizio ce l'avevo con loro perché mi avevano voltato le spalle, ma con gli anni ho imparato a perdonarli: quella era la mia battaglia, non potevano diventare vittime di una mia battaglia.»
«Erano piccoli e avevano paura, non volevano abbandonarti per ciò che avevano scoperto su di te, ti accettavano per quello che eri nonostante tutto...»
«Già... ora lo so, ora. Quando la voce giunse ai miei genitori...», ride senza divertimento e i suoi occhi sono più espressivi che mai, tanto che fatico a reggere il suo sguardo. Il dolore è palpabile, è un dolore che se l'è divorato completamente dentro lasciandolo svuotato. Si vede. «Sai... mio padre... è uno di quelli all'antica... ha provato in tutti i modi a “esorcizzare questo male” dalla mia mente... dal mio corpo... incominciando dallo psichiatra e finendo con le percosse...» trattengo a stento le lacrime, lotto contro l'impulso di lasciare libero il mio pianto, perché non posso rendere a Lorenzo tutto più difficile... eppure pensare a un padre che arriva a tanto solo per i gusti sessuali del figlio... invece di stargli vicino. Il mio cuore sente una pressione forte, come se qualcuno lo stesse stringendo, lo stomaco si contorce... e sospiro per non piangere.
«E tua... tua madre?»
«Lei è sempre stata succube. Piangeva in silenzio, ma non ha mai detto a mio padre di smetterla, di non picchiarmi più fino a farmi svenire o di non insultarmi più... anche quando mio padre mi ha cacciato di casa, lei non ha mosso un dito. Piangeva, piangeva chiedendomi scusa con gli occhi per la sua debolezza... ma è rimasta ferma a guardare la mia schiena curva andarsene.»
«Non li hai più sentiti?»
«No... e non voglio. Mi hanno abbandonato quando più avevo bisogno di loro. Invece di aiutarmi e starmi vicino, cercare di capirmi, si sono comportati come i liceali di cui tanto avevo paura.»
Lo guardo e gli accarezzo la guancia senza trovare il coraggio di provare a capire cosa sia stato costretto a sopportare e cosa debba sopportare tutt'ora solo per il suo orientamento sessuale.
«Vai avanti...»
«Me ne sono andato da quel paesino del cazzo dove tutti mi guardavano male, o con pena, con soli 200€ che mia madre si era premurata di farmi trovare nella tasca dei jeans... grandissimo aiuto, insomma! 200€ per un diciottenne allo sbaraglio! Ho dovuto dormire in un ostello così squallido che non riuscivo nemmeno a chiudere gli occhi, nonostante il sonno mi avvolgesse fra le sue dolci braccia. Dopo qualche giorno decisi di entrare in un bar, deciso a spendere anche 20€ a costo di bere e dimenticare per un po' tutti i miei problemi. Non so cosa mi portò lì, era pure lontano dall'ostello, ma tra tanti bar fu quello ad attirarmi, sentii come una forza elettrica trascinarmi al suo interno. Entrai e rimasi folgorato.» ride leggermente, con gli occhi pieni di amore. «Fu la prima volta che lo vidi: bello... sorridente... era così sexy dietro a quel bancone... fui contento di aver scelto proprio quel bar! Mi sedetti sullo sgabello di legno difronte al bancone. Fu allora che i suoi occhi verdi come il prato appena tagliato si legarono ai miei, che i suoi ricci neri si mossero assieme alla testa... mi sorrise e non avevo mai visto nulla di più bello, Elena... ti giuro. Mai.» sorrido difronte al luccichio dei suoi occhi sognanti. «La sua voce era vellutata e soffice... non so spiegarti, ma mi sentivo cullato e abbracciato quando parlava. In realtà mi ci sento ancora adesso. Comunque... iniziai a ordinare shot di liquori pesanti, così mi chiese se avevo diciotto anni per berli e risposi di sì, li avevo compiuti, proprio il giorno prima. Per la prima volta passai il mio compleanno da solo... in una squallida topaia. E glielo dissi... al quarto shot non avevo più problemi a mantenere la mia dignità... i miei compagni di scuola me ne avevano completamente spogliato...» sospira profondamente e riprende il discorso. «Dopo il settimo shot, mi sentivo davvero troppo ubriaco per continuare: biascicavo, mi veniva da vomitare e la testa mi girava, ma non mi interessava, volevo arrivare a perdere coscienza.» nega con il capo ripensando a quel momento di tremendo sconforto. «Ero davvero disperato, volevo solo dimenticare, non chiedevo altro: dimenticare i soprusi, dove io vivessi, chi io fossi, cosa io fossi. A causa loro ero arrivato a credere di essere davvero uno sbaglio della natura... fatto sta che lui me lo impedì. Ricordo che gli dissi della topaia, ma non del motivo per cui i miei genitori mi cacciarono. Gli dissi anche che mi erano rimasti solo 100€ e che non sapevo come fare, poi il vuoto. Lui mi salvò e non solo fisicamente, salvò la mia anima. Quella notte mi obbligò a rimanere fino alla fine del suo turno per riportarmi alla topaia, per stare tranquillo che ci arrivassi sano e salvo. E così fu... io neanche me ne resi conto, ma so solo che mi risvegliai la mattina dopo in una camera che non aveva nulla a che fare con la mia topaia. Stavo a cocci: era la mia prima sbronza e non credevo che il risveglio potesse essere così terribile!»
«Ti aveva portato a casa sua?!» ridendo annuisce e io lo guardo meravigliata e incapace di attendere per il continuo. «Continua, continua!»
«Andai verso la cucina, dove trovai una tazzina di caffè, una tachipirina e una fetta di crostata -sorrise al ricordo. Gli chiesi spiegazioni e lui mi disse che non avrei più dormito in quel tugurio, che lui aveva una stanza in più. Io non sapevo se fidarmi o meno, ma alla fine ho pensato che mi ero fidato per anni di persone che mi hanno tradito, quindi perché non fidarsi di un ragazzo che si era preso cura di me nonostante fossi un estraneo?! Perciò mi fidai e gliene fui veramente grato. Mi ospitò da lui e mi trovò lavoro nel bar dove lavorava, come cameriere però: non ero in grado di fare i suoi stessi numeri con le bottiglie!» ride e vedo la serenità nei suoi occhi al ricordo dei momenti passati con l'amore della sua vita.
«E poi? E poi? E poi?» mi sembra di essere tornata bambina e di chiedere ai miei genitori la storia di come si conobbero.
«I mesi passarono e la mia attrazione per lui aumentava di giorno in giorno; ha 5 anni più di me, ma non mi è mai importato, nemmeno quando avevamo 18 anni io e 23 lui. Anche lui aveva litigato con i genitori, ma non mi disse perché; la casa gliela aveva comprata la nonna materna: l'unica parente che ancora lo amava. Era un'amore di donna, Elena, ma purtroppo è venuta a mancare due anni fa. È l'unica che ci abbia sempre sostenuto nella nostra battaglia. Comunque sia... hai idea di cosa voglia dire vedere il coinquilino di cui ti stai innamorando girare per casa a torso nudo e non poter fare nulla? Non poterlo toccare... è una tortura, Elena, una vera e propria tortura!»
«Immagino, ma continua, dai!» ride del mio comportamento impaziente.
«Mi chiedevo per quale motivo un ragazzo bello come lui non fosse circondato da valanghe di ragazze, ma immaginavo fosse per non creare disagi a casa, nel senso non portare delle scappatele e spiattellarmele in faccia... eppure passavamo il 90% di una giornata insieme e non ho mai visto una ragazza assieme a lui con cui ci fosse un'intimità, sai... sessuale. Dopo sei mesi passati in quella casa, vidi che il nostro rapporto era diventato sempre più forte: era così protettivo nei miei confronti, così gentile e dolce... ma pensavo fosse più un affetto fraterno. Non avrei mai immaginato la realtà.»

Io e Federico siamo seduti sul divano beige in sala a guardare un film demenziale entrambi con una birra in mano e lui, nell'altra, una sigaretta.
Non mi è mai piaciuto il fumo della sigaretta, l'ho sempre ricollegato a mio padre e alle sue dannate sigarette che, talvolta, mi spegneva addosso... eppure, da quando ho visto Federico fumare una sigaretta... è stato come se gli anni passati con quello che, tecnicamente parlando, sarebbe mio padre, non fossero mai esistiti. Il fatto è che vederlo fare a lui sembra una cosa così naturale... come la stringe tra le dita... come se la porta alle labbra... come avvolge il filtro con quei due petali di rosa... come li posiziona poi per espirare il fumo...
Da quando ho visto Federico fumare, ora la sigaretta, per me, ha tutto un altro gusto.
Si gira a guardarmi con quello sguardo che ancora non sono riuscito a decifrare, ma che a breve scoprirò, e io gli sorrido.
«Sono contento di averti conosciuto, Lorenzo...»
«Anche io...» mi blocco un attimo perché osservo come le sue dita abbraccino il collo della bottiglia e come se lo porti alle labbra, avvolgendo dolcemente l'anello e poi deglutire quel liquido giallastro. Che cosa stavo dicendo? Ah sì... «Io ti devo tutto, Federico, davvero. Non potrò mai ringraziarti abbastanza. Non so proprio come dimostrarti tutta la mia gratitudine!»
«Amami.»
«Cosa?» domando scioccato.
«Amami, Lorenzo.»
«Io...»
«Ho paura che rovinerò tutto parlandoti, ma non posso più resistere. Il motivo per cui i miei genitori mi hanno cacciato di casa è che sono omosessuale. Capisco che tu ora vorrai scappare da questa casa, ma ti prego, prima fammi finire, fammi spiegare. Da quando sei entrato nel bar quella notte ho capito che il mio compito doveva essere quello di proteggerti, di farti sorridere, di far tornare una luce nei tuoi occhi... esserne il motivo.» prende un respiro profondo e ricomincia. «Giorno dopo giorno mi sono innamorato del tuo corpo, delle tue labbra, del tuo sorriso, dei tuoi occhi; mi sono innamorato della tua riservatezza, della tua docilità, della tua generosità, della tua dolcezza inespressa. Lorenzo... scusami per quello che sto per dire, ma... io ti amo.»
Può un cuore smettere di battere per la felicità?
«Tu cosa?»
«Ti amo, Lorenzo.»
«Dio, oh, Dio, grazie!» farfuglio e mi getto sulle sue labbra. Le birre finiscono a terra, ma a nessuno dei due interessa.
È il mio primo bacio ed è bellissimo.
Le sue labbra sono morbide e calde, ma mai quanto la sua lingua che lotta con la mia, avvolgendola prima e accarezzandola dopo.
Tenendomi il volto si stacca delicatamente da me.
«Come devo interpretare questo bacio?»
«Interpretalo come un “ti amo anche io”.» i suoi occhi verdi si sciolgono e torna a baciarmi. E lo sento l'amore che prova, lo sento entrarmi dentro, come se lo stessi respirando dalla sua bocca; lo sento scottare sulle labbra, sulla punta della lingua... lo sento mentre mi fa tornare a vivere.

«Oh mio Dio...» lo guardo con occhi sognanti, felici e stupiti. Immagino cosa debba aver significato quel ti amo per lui.
«Che fai, piangi?» ride e mi accorgo che per la commozione mi sono lasciata un po' andare. Asciugo il viso dalle lacrime chiedo scusa per la mia emotività. «Non ti scusare, ho pianto anche io quando ho realizzato ciò che era accaduto.»
«Ci credo! E poi? Sono passati dieci anni, cosa è successo?»
«La nostra relazione è diventata sempre più solida e il nostro amore sempre più forte. Non nascondo che sia stata dura a causa dei soprusi, del razzismo nei confronti dei froci, degli insulti... c'è stato un momento in cui reggere era diventato troppo duro, in cui mi era impossibile anche tenere per mano l'uomo che mi aveva salvato... ma lui ha resistito per entrambi, è stato forte per entrambi. Si è preso cura di me, mi ha aiutato a crescere, sua nonna, pace all'anima sua!, mi permise anche di finire gli studi e di incominciarne degli altri: è grazie a lei se ora posso insegnare arte ai ragazzi, fargliela amare e fargliela percepire come una via di fuga dalla realtà, dai problemi, dal dolore. È stata l'unica a sostenerlo sempre, a sostenerci dal primo giorno in cui Federico le disse di me. Mi ha sempre trattato come se fossi anche io suo nipote e se io, due anni fa, ho perso una persona molto cara a cui volevo bene, lui ha perso la sua intera famiglia. È stata dura farlo riprendere, impedirgli di affondare, ma con amore e dedizione sono stato lì, accanto a lui, a sorreggerlo, a zittire il mio di dolore, per far dare libero sfogo al suo. Il nostro sogno è sempre stato di sposarci, di essere la vita l'uno dell'altro anche per il resto del mondo. E... e se solo avessimo potuto, a quest'ora io sarei in quella maledetta camera insieme a lui, invece che qua fuori!»
«Ma... non lo potresti visitare come amico?»
«Federico è in coma perché ha avuto un incidente con la moto. Quando lo hanno portato qua la prima cosa che hanno fatto è stato chiamare i genitori e... -rise senza divertimento- lo sai cosa hanno fatto? Hanno detto ai medici di non farmi entrare! Non sono mai venuti a vedere il proprio figlio attaccato a dei cazzo di tubi e io, l'unico che lo ama davvero, l'uomo che darebbe la vita per lui, non posso nemmeno stargli vicino! Non posso tenergli la mano, non posso parlargli! Li odio, Elena! Se solo noi fossimo sposati i loro stupidi divieti egoistici sarebbero valsi meno di zero! E io non sarei stato costretto a stare qua fuori, in questo cazzo di corridoio, impotente, senza sapere neppure cosa lui abbia!»
Lo abbraccio mentre singhiozza disperato, piango silenziosamente assieme a lui, senza emettere alcun suono, lasciando quel momento tutto per lui.
«Si sveglierà, Lorenzo, si sveglierà e chiederà di te e allora i genitori di Federico non potranno più fare nulla! Non potranno più vietarti di vederlo e di stargli accanto!»
«E se non si sveglierà, Elena? Se non si sveglierà? Morirà da solo! E io senza di lui non sono niente! Non ho niente!» mi stringe e trattengo a stento i singhiozzi. Tiro su con il naso e prendo un respiro profondo.
«Lo hai detto te, Lorenzo: Federico è forte, ce la farà, si sveglierà. Ne sono sicura!»
«Si sveglierà e non mi troverà, crederà che l'ho abbandonato anche io.»
«Anche fosse, verrò io e gli dirò tutto. E allora ti sarà permesso entrare. Lo vedrai, Lorenzo, e il vostro amore potrà continuare a lottare contro tutti.»
«Da quanto state insieme tu ed Andrea?»
«Otto anni.»
«Promettimi una cosa, Elena, ti prego.» mi stacca dal suo corpo e non gli ho mai visto uno sguardo così serio in tutto questo tempo, uno sguardo così determinato. Mi tiene per le braccia, mentre i suoi occhi si incatenano ai miei, senza volerli lasciare.
«Dimmi, Lorenzo.»
«Promettimi che se Andrea ti chiederà di sposarlo, tu accetterai!»
«Lorenzo...» lo guardo confusa.
«Elena, tu lo devi sposare, tu lo puoi sposare, ti è permesso. Non devono esistere problemi stupidi come il fatto che magari non avete un lavoro stabile, o che avete paura del futuro, che siete ancora troppo giovani. Voi vi amate, non dovete tergiversare, rimandare, non c'è bisogno! Voi dovete poter coronare il vostro amore. Magari, più in là, anche diventando genitori ed è qui che nasce la seconda promessa: vi prego di essere quei genitori che noi non abbiamo potuto avere, qualunque cosa accada, chiunque i vostri figli siano, in qualunque modo lo siano. Promettimi di amarli e appoggiarli sempre!»
«Te lo prometto, Lorenzo, te lo prometto...» piangendo lo abbraccio. Lo stringo al mio corpo impedendogli di rompersi in mille pezzi, di naufragare nel mare del suo dolore.
Vedo entrare dalla porta del corridoio Andrea. Ci guarda confuso, mi guarda preoccupato a causa delle lacrime, ma capisce e aspetta sulla sedia all'entrata. Gli mimo un grazie e lui mi manda un bacio.
«Non sei più solo, Lorenzo. Te lo prometto.» singhiozza più forte e lo sento il suo dolore perforarmi le membra, scuotermi dentro, mettermi sottosopra e rivoltarmi tutto lo stomaco.
I miei di dolori mi appaiono ora così sciocchi in confronto: i miei genitori non hanno deciso di andarsene, non mi hanno voluta abbandonare, non mi hanno lasciata sola in balia di me stessa volutamente.
Mi stacco e, dopo essermi alzata, mi asciugo le lacrime.
«Che ore sono?»
«Le cinque... perché?» mi guarda confuso e io gli sorrido.
«Devo andare a conoscere una persona speciale, sai... ho ancora un'ora di tempo!» gli sorrido e mi guarda stupito, continuando a piangere.
«Grazie, Elena, grazie!» gli bacio la fronte e, con un respiro profondo entro nella stanza numero 18.
In questa asettica stanza bianca, identica a quella di mia nonna, non c'è solamente la pesantezza dell'odore della morte... c'è anche odore di tristezza, di desolazione, di solitudine, di lotte vinte e di lotte perse; c'è l'odore di una speranza che la morte sta corrodendo fino al midollo.
Prendo l'unica sedia di ferro, sterile pure quella, presente nella stanza e l'avvicino al letto.
Lorenzo ha ragione, Federico è davvero molto bello. Nonostante i tubi, le fasciature, le ferite e i lividi violacei, la bellezza di Federico rimane incontaminata, come un fiore costretto nel cemento: è circondato dal grigio, dall'artificiale, sfidato dalle intemperie, dalle bufere... eppure lui rimane lì, fermo, un tocco bellezza, di colore in mezzo a tutto il grigio di città.
La testa è fasciata, come la mano; la gamba e il braccio, entrambi della parte destra -probabilmente perché è il lato su cui è caduto-, sono ingessati.
Noto che le infermiere gli hanno rasato da poco la barba, la ricrescita è appena visibile.
Mi siedo, gli accarezzo la guancia, in modo così delicato che se lui potesse sentire gli sembrerebbe il tocco di un petalo, e gli prendo la mano fasciata, la stringo leggermente, non vorrei fargli male.
«Ciao, Federico, tu non conosci me, ma io conosco te. Lorenzo è stato fino ad ora a raccontarmi di te e della vostra storia. Tu sei un uomo forte e, per quanto lui affermi il contrario, anche Lorenzo lo è, molto più di quanto lui creda. Sai... i tuoi genitori lo hanno privato dell'opportunità di farti visita, perciò ho deciso che d'ora in poi io farò ciò che a lui non è permesso. Tanto per cominciare Lorenzo ti direbbe che ti ama e, credimi, non ho mai visto un ragazzo essere così tanto in balia del soffio dolce e passionale dell'amore.» stringo, anche se di poco la sua mano in entrambe le mie. «Se potesse si prenderebbe lui cura di te, in modo molto più dolce e devoto di quanto non lo facciano le infermiere. Domani ti taglio le unghie, dai!» rido da sola per poi sospirare. «Ho già fatto una promessa molto grande all'uomo della tua vita, ma ora ne voglio fare un'altra a te: ti prometto che mi prenderò cura io di Lorenzo, finché tu non ti sveglierai.» Mi alzo e gli lascio un bacio sulla fronte. «Devi svegliarti, Federico. Devi.» sussurro sulla sua pelle calda.

 

È passata quasi una settimana e sto in camera di Federico, prima di andare a trovare mia nonna, ormai la routine è questa. Ho mandato Lorenzo a casa per cambiarsi e farsi una bella doccia, ora molto più tranquillo rispetto a prima, perché ci sono io con lui.
Infilo una cuffietta a Federico ed una a me dell'iPod di Lorenzo e premo play.
Your Song di Elthon Jhon.
Lorenzo ha detto che era la loro canzone. Non potevo che mettere questa.
«Sai? A me piace pensare che voi, in coma, possiate sentirci, che possiate sentire le nostre voci parlarvi, le nostre mani toccarvi. Per questo faccio avanti e dietro da te a mia nonna: non voglio farti sentire solo e circondato dal vuoto, non più, perché non lo sei.»
Continuo a parlargli mentre gli faccio ascoltare canzoni che per loro (secondo quanto detto da Lorenzo) significano qualcosa, finché non si fanno le cinque.
«Ora vado da mia nonna, Fede, a domani.» Come sempre gli lascio un bacio sulla fronte ed esco dalla sua stanza asettica.
«Ciao, amore.» mi lascio coccolare un po' dal suo amore, dalle sue labbra, dalle sue braccia. «Come stai?»
«Oggi meglio, non lo so, ma sento che c'è qualcosa di diverso oggi.» bacio le sue labbra calde, morbide, dolci... «Cioccolata?» annuisce sorridendo e mi bacia di nuovo.
«Vai da tua nonna, io aspetto Lorenzo.»
Sorrido ed entro nella camera 19, quella di mia nonna, contenta che il mio ragazzo abbia stretto amicizia con Lorenzo.
Oggi non sento l'odore della morte corrodermi dentro, stranamente. Non dico che non ci sia, ma non è forte come al solito, non è perforante... è sopportabile. L'odore della speranza, oggi, è molto più potente, è dolce: sa di fiori primaverili, di frutta fresca, di panni puliti, di salsedine...
Questa volta l'iPod che tiro fuori dalla borsa è il mio; faccio lo stesso gesto di prima, ma con mia nonna.
Le Onde di Ludovico Einaudi.
Le stringo la mano rugosa e calda, appoggiandomi con la testa sull'intreccio delle mani.

«Elena...» un suono basso e roco mi fa aprire gli occhi e quasi credo di star ancora sognando.
«Nonna? Nonna... nonna!» per la felicità l'abbraccio in modo forte, anche troppo, piangendo.
«Ehi... mi fai male, tesoro.» ride senza fiato ed io mi stacco veloce.
«Scusa! Oddio! Sei sveglia! Cioè... sei sveglia! Non ci posso credere! Hai sete?» annuisce e io le verso un po' di acqua in un bicchiere di plastica. Mentre beve piano dal bicchiere che tengo fra le mie mani, guardo i suoi occhi così simili ai miei. Sono del colore del mare in tempesta: blu scuro, ma con spruzzi più chiari causati dalle onde spumeggianti che ribelli si infrangono con forza sulla cresta dell'acqua.
Sono stati chiusi per troppo tempo e rivederli aperti mi fa ricominciare a piangere.
«Vado a dire al medico che ti sei svegliata!»
Esco velocemente e abbraccio Andrea, intento a parlare con Lorenzo.
«Amore, che succede?»
«È sveglia! È sveglia! È sveglia! È sveglia!»
«Vado a chiamare il dottore.» sorrido a Lorenzo ringraziandolo con gli occhi.
Sorrido felice, mentre, seduta sulle gambe di Andrea, aspetto che il dottore finisca la visita assieme ai suoi colleghi e alle infermiere.
«Sono contento, Elena, te lo avevo che si sarebbe svegliata.» mi alzo e abbraccio Lorenzo.
«Vedrai... si sveglierà anche lui.»
«Lo spero... lo spero...»
Il dottore esce e mi sorride in modo confortevole.
«Allora?»
«Sta bene. Vediamo come affronta la settimana: se tutto va bene può tornare a casa.»
«Grazie, grazie, grazie, grazie!» lo abbraccio piangendo per la felicità e lui ricambia con uno di quei sorrisi che sono un incrocio tra il sorriso e una risata.
«Ora vai da tua nonna.»
Chiedo ad Andrea di avvisare la zia, ma lo vedo già col telefono in mano. Lo amo, lo amo ogni singola cellula del mio corpo!
Rientro in camera e subito abbraccio il corpo caldo della mia intera famiglia.
«Non farmi mai più certi scherzi, intesi?»
«Non sai stare al gioco, pulce.» rido e piango e l'abbraccio e vivo.

 

È passato un mese abbondante.
Nonostante mia nonna ora stia più che bene, continuo ad andare all'ospedale ogni giorno per Federico: ho promesso a Lorenzo che il ritorno di mia nonna a casa non avrebbe cambiato nulla.
All'inizio, le prime settimane, la lasciavo solo per andare da Federico giusto un'oretta, non tornavo neanche a casa la notte perché dormivo da lei. Ma ora sono tornata a casa da Andrea e passo meno tempo con la nonna, ora sono tranquilla: si è ripresa del tutto.
«Ciao, Lorenzo.»
«Elena!» ci abbracciamo per qualche secondo, poi mi porge l'iPod.
«Sei andato a casa?»
«Stamattina.» i capelli sono pettinati, la barba non cela più il suo dolce viso e profuma di muschio estivo.
«Batman, sul serio?» ridiamo della sua maglietta nera con il simbolo giallo dell'uomo pipistrello.
«A mia discolpa dico che me l'ha regalata Federico!»
Prendo l'iPod e lo accendo.
«Ci sta una nuova playlist, metti quella.»
«Va bene.»
Entro in camera e apro la finestra: è Giugno inoltrato, fa caldo, la camera puzza di chiuso... e... di morte.
Il sole illumina il corpo di Federico, fa risplendere la sua pelle.
Gli hanno levato le ingessature qualche giorno fa, mostrando così, sul braccio, diversi tatuaggi.
Le infermiere non gli hanno ancora fatto la barba e a Lorenzo piacerebbe così: né corta, né lunga.
«Buongiorno, Fede! Oggi c'è un gran bel sole nel cielo. Il cielo è così celeste che sembra colorato con un di quei pastelli Caran d'Anche e il sole è di un giallo acceso e intenso... lo senti il calore sulla tua pelle? Lo senti quel calore entrarti dentro e riscaldarti le membra senza essere eccessivamente fastidioso? Lo senti come ti penetra delicato, soave? Lo senti come ti accarezza dolcemente la pelle come farebbe Lorenzo? A me a volte capita che mi ricordi il tocco di Andrea... e lo senti questo profumo che piano piano riempie la camera? Sai, è Giugno e c'è aria di pulito, di fiori, di erba bagnata, di allegria, di sorrisi gentili e di sorrisi felici, di dolcezza, di gelato, dei primi bagni al mare, di sabbia bagnata, di acqua marina... mi piace molto di più Giugno che Luglio, l'aria estiva che si inspira a Giugno è la migliore in assoluto!» inspiro a pieni polmoni ed espiro dal naso sorridendo. «Comunque oggi voglio provare una cosa nuova, tanto per cambiare! Invece di farti sentire la canzone, te la canto, sperando che la mia voce possa entrarti più in profondità rispetto ad una registrazione.»
Scorro la playlist alla ricerca di una canzone che conosco bene e scelgo Always di Bon Jovi.
Incomincio, mantenendo sempre un tono di voce consono al luogo in cui ci troviamo; gli tengo la mano e ad occhi chiusi canto quelle parole così dolci, cercando di trasmettergli quanto più posso.
«And I will love you...-»
«Always...» il suono di quella voce roca e dolce mi fa aprire gli occhi di scatto.
«Federico! Oh mio Dio! Federico!» lo abbraccio ridendo e piangendo contemporaneamente, non vedendo l'ora di uscire dalla stanza per dirlo a Lorenzo.
«Lorenzo...»
«Sì, sì! Lorenzo è di fuori! Adesso faccio entrare il dottore, gli dici che vuoi Lorenzo, che gli è permesso entrare e farti vivere! E finalmente starete di nuovo insieme!»
«Grazie...»
«Grazie a te! Grazie, Federico, per esserti svegliato!»
Esco di corsa, parlo a voce alta in modo che anche le infermiere sentano. «È sveglio! Si è svegliato!»
Mentre medici e infermiere entrano velocemente, Lorenzo mi guarda subito scioccato e mi butto su di lui per abbracciarlo felice.
«Dimmi che non stai scherzando...»
«È sveglio, Lorenzo! Federico è sveglio e ti cerca!»
«È sveglio... è sveglio. Federico è sveglio.» mi abbraccia aggrappandosi a me, al mio corpo, alla mia anima e piange la sua felicità. Piange espellendo tutta la disperazione, l'angoscia, il senso di impotenza e quello di oppressione; espelle l'odore della morte radicatasi in lui in questi mesi.
«Lorenzo Stella?» si stacca e guarda il medico che, con due parole, cambia la vita di un giovane. «Ora può entrare.»
Tutto il mondo si ferma in quell'istante per lui e ricomincia a girare solo quando, una volta entrato, incontra nuovamente lo sguardo dell'amore della sua vita.

 

Sono passati circa due anni e sono cambiate molte cose.
Tanto per cominciare un anno fa Andrea mi ha chiesto di sposarlo e non ho avuto bisogno di pensare per più di tre secondi a che risposta dargli.
Ci siamo sposati in tarda primavera... l'odore dei fiori appena sbocciati, dell'erba tagliata, le rondini libravano nel cielo celeste; una cerimonia privata: parenti e amici più stretti. I miei testimoni furono la mia migliore amica Ilenia e Lorenzo.
Eravamo diventati molto amici con Lorenzo e Federico, tanto che Andrea ha preso Federico con sé, nella sua pasticceria, visto la sua bravura e poi... Andrea paga molto meglio rispetto al bar dove ancora lavorava.
In questi anni abbiamo lottato, io soprattutto, insieme a Lorenzo e Federico nelle loro battaglie, gli siamo stati vicini sostenendoli ed aiutandoli.
Ho scoperto da qualche settimana di essere incinta di due mesi e rido ancora al ricordo dello svenimento che la notizia ha provocato ad Andrea. Essendo incinta da soli due mesi ancora non si vede nulla, né nulla si sente... perfetto per gli effetti a sorpresa.
Quando la ginecologa mi ha detto che aspettavo un piccolo fagiolino ho pianto per la gioia. Non ho resistito molto prima di dirlo ad Andrea, giusto 5 ore, il tempo che tornasse a casa dal lavoro.
Stasera verranno a cena da noi e gli daremo la lieta nova... e non solo.
Sto preparando la gricia, mentre Andrea guarnisce con la crema Chantilly il pandispagna e dentro ci mette anche qualche goccia di cioccolata: è una delle mie tante preferite e anche di Lorenzo.

Arriviamo al dolce e mangiamo tutti e quattro la torta allegramente facendo apprezzamenti.
«Allora? Cosa avete da dirmi?»
«Eh?»
«Andiamo, ragazzi, tralasciando che avete fatto, cioè... Andrea ha fatto, la mia torta preferita... tu, biondina, mi nascondi qualcosa, si vede, ti conosco, cara!»
«Non c'è gusto così!»
«Ci ho preso!» esclama allegro Lorenzo. Mi punta la forchetta contro e mi minaccia. «Parla donna.»
«Vediamo... vi piacerebbe essere zii?» la forchetta gli cade e mi guarda scioccato. Per un attimo temo che abbia la stessa reazione di Andrea. Lo sguardo di Federico invece, più pacato, è stupito e felice.
«Non me lo dire.»
«Te lo dico!» si alza e, aggirato il tavolo, mi abbraccia.
«Oh mio Dio!» urla gioioso. «Sarò zio! Saremo zii, Federico!» il suo uomo sorride felice e commosso, ma la sua felicità è molto più composta.
«Congratulazioni, ragazzi.»
E si fanno abbracci, baci, carezze sulla pancia ancora piatta, battute a sfondo sessuale...
«Da quanto tempo? Da quanto lo sai? Maschio o femmina? Io sarò il padrino vero? Oh sarà una bambina bellissima, me lo sento! Con gli occhi bellissimi della mamma, i capelli scuri del papà, il nasino a patatina di ogni bambino, sarà un concentrato di tenerezza e sofficità! Oddio, muoviti a sfornarla fuori!»
«La smetti di fare la checca isterica?» ridiamo tutti e gli raccontiamo tutto, dicendo che il sesso ancora non lo sappiamo però. E poi si fa ancora più risa, gioia, serenità, allegria, commozione... e per loro ancora non è arrivato il pezzo forte.
«Ma le sorprese ancora non sono finite...»
«Cioè?»
«La mia mente non riesce a elaborare una sorpresa maggiore, Andrea.»
Mio marito si alza e va verso il mobile di legno battuto all'ingresso. Apre il primo cassetto ed estrae due fogli.
Quando si avvicina notano che sono due biglietti aerei e quando glieli porge li guardano stupiti.
«Madrid?»
«Cosa significa?»
«Sarete celibi ancora per poco. A Madrid sono permessi i matrimoni gay e questo è il nostro regalo di nozze: permettervi di coronare il vostro sogno!»
«Andrea...» continuano a guardare i biglietti aerei, li accarezzano, si stringono le mani e quando alzano lo sguardo vedo le loro lacrime. Io e Andrea ci sorridiamo: abbiamo dato loro l'opportunità di coronare il loro sogno. La loro gioia deve essere indescrivibile in questo momento. Lo so.
«Voi...»
«Vi vogliamo bene e vogliamo solo che siate felici! Faremo chiamate su chiamate, vi aiuterò ad organizzare il matrimonio che avete sempre sognato. Saremo lì con voi, abbiamo già i biglietti!»
«Avete prenotato per il 15 Giugno?» domanda commosso Federico.
«Lo hai detto tu che hai sempre desiderato sposarti in quel giorno, il giorno in cui hai conosciuto l'uomo della tua vita, no?»
«Noi vi dobbiamo tutto...»
«Non ci dovete niente. Vogliamo solo vedervi felici!»
«Ma mancano solo tre mesi! Bisogna avvertire i nostri amici, o quei pochi che sono; chiamare a Madrid e organizzare tutto quanto; scegliere i vestiti, i fiori, il cibo... sono tantissime cose e così poco tempo!»
«Rieccolo che fa la checca isterica...»
«Checca isterica tua sorella, ciccia. Queste sono cose importanti, mica cazzi!»
«Lo so, mi sono sposata prima di te, ciccio. Ti vorrei ricordare che aspetto un bambino e che è meglio non farmi innervosire.»
«Bambina.»
«Quello che è.»
«Mancano solo tre mesi! Uh Gesù, quante cose da fare!»
«Tra tre mesi, sarò di cinque mesi e sarò una balena. Ottimo. Odierò qualsiasi vestito. Fantastico. Voglio proprio vedere. Vi farò vedere i sorci verdi, mie cari uomini.»
«Eccola, quanto sei egocentrica! È il mio matrimonio, smettila di voler essere al centro dell'attenzione! Ti prendo a calci anche se sei incinta, eh.» mi minaccia divertito e lo abbraccio forte.
«Sì... sarà il tuo matrimonio finalmente. Tutto tuo.»


























I'm back!
Come ho detto nell'introduzione, questa non vuole essere una forma di protesta contro quelle persone (a mio parere egioste) che vietano le coppie di fatto... vuole essere, più che altro, una storia che faccia pensare a cosa, il loro egoismo, porta.
Io, la storia, l'ho fatta finire bene, ma non sempre finisce bene.
La coppia di fatto, fondamentalmente, non provoca nessun problema al tuo cuoricino di persona bigotta: non si devono sposare davanti a Dio, perciò perché devi tanto rompere le scatole? Sono persone che si amano e tutto quello che desiderano è stare insieme per la vita, anche per la legge, senza che sia tu a impedirglielo.
Questo è il mio pensiero, magari voi non lo condividete, ma lo trovo un fatto egoistico.
Se siete d'accordo con me oppure no, mi piacerebbe che mi lasciaste un commento, tanto per parlarne! :)
Un bacione, alla prossima,
Coast.

 

   
 
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