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Autore: Fannie Fiffi    26/04/2014    1 recensioni
« Sherlock abbassa lo sguardo e vede i polsi e le caviglie stretti da corde evidentemente comprate da poco; percepisce la loro durezza e ruvidità, pesanti abbastanza da non sciogliersi e aguzze a sufficienza per bloccargli la circolazione sanguigna di polsi e caviglie. »
Dark!Molly Hooper
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jim Moriarty, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Hardest Of Hearts
 
 
C’è amore nel tuo cuore
ma non riesci a farlo uscire
rimane bloccato nella tua testa

La più dolce delle parole
ha il sapore più amaro

Caro, oh, ti ho amato dall’inizio
ma questa non è una scusa per la condizione in cui sono

C’è amore nei nostri corpi
e ci tiene uniti
e ci spinge lontani
quando ci stringiamo

Non ci importa se fa male
quando ci stringiamo troppo forte
Florence + The Machine, Hardest of Hearts.

 
 
 
 
 

 
La figura incappucciata è seduta dall'altro della stanza, in posizione esattamente parallela alla sua.
 Dalla connotazione fisica deve trattarsi di una donna sui cinquantaquattro chilogrammi, alta fra il metro e cinquantasette e il sessanta; questo è tutto quello che riesce a dedurre, dato che i capelli devono essere raccolti dietro la testa e coperti, insieme al volto, dal cappuccio.
Tiene pacatamente le mani sulle ginocchia e la testa inclinata, sfruttando il fatto di trovarsi fuori dalla portata d'illuminazione dell'unica lampadina presente nella stanza.
Ovviamente è puntata su di lui, il protagonista dello spettacolo, è a lui che spettano i riflettori.
Vorrebbe osservarla meglio, ma la il colpo con cui l'hanno messo fuori gioco gli provoca un certo offuscamento. Dal pulsare della sua tempia e dalle goccioline di sangue che sente scorrere lungo il viso deve essersi trattato di un oggetto contundente pesante, probabilmente fra i tre e i quattro chilogrammi, ma al contempo facile da sollevare e scagliare e altrettanto maneggevole.
Sherlock abbassa lo sguardo e vede i polsi e le caviglie stretti da corde evidentemente comprate da poco; percepisce la loro durezza e ruvidità, pesanti abbastanza da non sciogliersi e aguzze a sufficienza per bloccargli la circolazione sanguigna di polsi e caviglie.
Dopo aver capito – non che ci sperasse molto – di non potersi liberare, passa a guardarsi un po' attorno e a ispezionare il luogo in cui si trova: è una stanza regolare, circa quarantacinque, no, quarantasei metri quadrati, le pareti in origine dovevano essere grigie, ora sono rovinate e attanagliate dalla muffa e dall'umidità, le quali si spandono a macchia dagli angoli del soffitto.
Con lo sguardo torna a scrutare quella che probabilmente è la sua sorvegliante e lei sembra fissarlo di rimando, anche se questa è solo una sensazione.
Un'altra cosa che il consulente investigativo percepisce è un profondo senso di impotenza; vorrebbe esaminare il suo volto, fissarsi sulle pieghe agli angoli della bocca o sotto gli occhi, strappare a quella sagoma tutta la sua vita e sminuzzargliela sotto gli occhi, pezzo per pezzo, renderla insulsa e ridicola capendo con un solo sguardo tutti i suoi punti deboli, ma tutto quello che riceve di rimando è il vuoto.
E poi il vuoto lo squadra a sua volta e sembra sorridere.
 
 

Quando la figura si alza, tredici minuti e quarantuno secondi dopo, Sherlock ha l'opportunità di guardarla un po' meglio e di aggiustare nel dettaglio le stime che aveva fatto delle sue misure.
La donna si premura di non entrare nel raggio visivo illuminato dalla luce, perciò lui non ha ancora la possibilità di vedere il suo volto.
Continua a camminare e il rumore dei suoi passi è l'unico suono udibile in quella stanza, poi si dirige verso il muro ad ovest e ci si appoggia con la spalla destra, rimanendo comunque composta.
Il moro può notare un certo equilibrio: i piedi saldi, le gambe rigide, il petto in fuori e la schiena dritta; deve necessariamente trattarsi di qualcuno con una preparazione militare di base e con conoscenze delle tecniche orientali di retroguardia, oltre che di una persona sicura di sé e costantemente sulla difensiva.
« Dov'è Moriarty? » Si limita a chiedere con il tono più impassibile che riesca ad assumere, ponendosi in una chiara posizione di ostilità ma senza ostentare paura o timore per la situazione in cui si trova.
La sagoma non risponde, bensì si stacca dalla parete e con andatura irrigidita e decisa si avvicina lentamente a lui. Alla luce.
Un solo passo e potrà vedere il suo volto, ancora per poco circondato dall'oscurità. La scruta ancora, osservando la felpa blu scuro, i pantaloni a sigaretta neri e gli anfibi ben stretti; è anonima, eppure deve essere molto scaltra. In fondo nessuno dei malviventi di Londra può dire di esser mai riuscito a prendere in ostaggio Sherlock Holmes.
 Per un attimo il moro pensa a John, immagina che si sia già accorto che qualcosa non va, ma la sua concentrazione viene irrimediabilmente attratta alla figura davanti a lui; il suo Mind Palace gira così veloce da dargli la nausea, ma l'adrenalina e l'eccitazione gli scorrono con prepotenza sotto la pelle.
Finalmente gli accade qualcosa degno della sua attenzione.
Non riesce a staccare gli occhi dal volto ormai in penombra della donna, può distinguere solo l'accenno della forma del naso e delle labbra mentre è ancora in attesa di una risposta; tutto il suo corpo, però, sembra fremere dall'impazienza e tendersi verso quella sagoma.
Quando però lei si porta entrambe le mani ai lati del cappuccio e lo abbassa, rivelandosi, Sherlock prova per la prima volta in vita sua qualcosa di terrificante: la guarda negli occhi e la terra sotto di lui crolla, il mondo che lo circonda sembra mulinare ancor più vorticosamente e la forza di gravità sembra schiacciarlo e disintegrarlo.
 

« Ciao, quindi tu sei Sherlock Holmes! Molly mi ha raccontato tutto di te. »
 

No, non può essere possibile.
 

« Jim lavora al piano di sopra, ecco come ci siamo conosciuti. »
 

No, no, no, no, no. Ti prego, fa che non sia vero.
Chiunque tu sia, chiunque tu finga di essere, fa che non sia vero.
Eppure gli indizi sono tutti lì.
Quel volto lo fissa ostile come lui non l'avrebbe mai creduto capace, lei è lì, reale, e fingere per la prima volta che la sua mente deduttiva si sbagli non lo porterà da nessuna parte. Perché lo sbaglio è già stato commesso ed è il più grande di tutta la sua esistenza.
« Molly? » È un sussurro avvilito, sconfitto, biascicato abbassando gli occhi e curvando le spalle.
 Lei si scioglie i boccoli tenuti legati in una coda disordinata e si limita a guardarlo, l'espressione dura e gli occhi infuocati.
Poi sorride.
Sorride e del sorriso docile, timido e speranzoso che lui conosceva non rimane più niente. Non c'è mai stato niente.
La Molly che si trova davanti sembra un alter ego della donna che pensava di conoscere: i capelli ribelli, il trucco nero e pesante attorno gli occhi, l'abbigliamento freddo, monocromatico, ferreo e, cosa peggiore fra tutte, lo sguardo fiero, determinato, al tempo stesso glaciale e ardente.
Sherlock vorrebbe davvero sbagliarsi, vorrebbe davvero trovare una spiegazione a tutto quello, anche quando la verità ormai è cristallina e inviolabile, ma come può elaborare una qualsiasi teoria quando non riesce nemmeno a guardarla in faccia?
Continua semplicemente a tenere il volto chinato, serra le palpebre più forte che può, vaga e scava nel suo Mind Palace e ripercorre tutti i momenti trascorsi con lei, tutti i casi risolti, le autopsie, Scotland Yard, Lestrade, le sue pupille dilatate, i suoi respiri accelerati, il balbettio, e poi diamine la sua casa, le cene, Mr Hudson, John che l'ha sempre difesa, Mycroft che quasi (quasi) la stima. La stimava.
Tutto è stato una bugia, una menzogna, e Sherlock non sa se sentirsi peggio perché quella che pensava fosse una delle persone migliori che conosce è la sua peggior nemica o perché è stato così cieco e schifosamente stupido da non capirlo.
« Dio, no... »
« Non c'è nessun Dio per te, Sherlock. »
Anche solo sentirla parlare in quel modo lo fa tremare; lui non è così, lui è forte, ma non può trattenere il disgusto della sorpresa. Per la prima volta in tutta la sua esistenza è seriamente sconvolto e... Il dolore, il dolore in quel momento sembra travolgerlo. Non riesce a crederci.
Ogni singola cellula del suo organismo sembra gridargli che quello semplicemente non può essere possibile, che non è vero, che deve, deve esserci una spiegazione.
Come può non aver realizzato? Come può essere stato così inconsapevole?
Dannazione, è l' unico consulente investigativo al mondo, e come fa l'unico consulente investigativo al mondo a non accorgersi che chi lo vuole vedere annientato è anche la stessa donna che lui sentiva di dover proteggere a qualsiasi costo? Se al suo posto ci fosse un'altra persona, ora il dolore, la sensazione di tradimento, l'assurdità della situazione la distruggerebbero; ma lui è Sherlock Holmes, ed è vero che ha ceduto a quel sorriso speranzoso e ha ricambiato, è vero che ha confessato di aver bisogno di lei, è vero che è l'unica di cui si è sempre fidato, ma lui rimane comunque Sherlock Holmes, perciò scuote la testa e la guarda negli occhi.
Si limita ad alzare il viso e guardarla: prova a dedurla, ma è come se il suo dono non potesse niente, come se fra loro due ci fosse un muro invisibile ma impenetrabile e inaccessibile.
 Come se fossero due sconosciuti.
« Perché? » Aggrotta le sopracciglia e sente il sudore gocciolare giù dal collo e inumidirgli il colletto della camicia. Vorrebbe mantenere un tono di voce fermo, ma il tremolio non riesce ad arrestarsi.
Vorrebbe davvero essere l'uomo che è sempre stato, ma una delle poche certezze e punti fissi della sua vita si è appena sgretolato davanti ai suoi impotenti occhi e non può essere se stesso e basta.
Ora Sherlock è solo un uomo ordinario, non può essere di meglio. Non ci riesce.
« Non è questa la domanda giusta. »
 E quella è davvero la sua voce, è davvero la sua bocca a rilasciare quelle parole, ma della Molly che conosce lui non c'è proprio niente.
« Perché? » Urla.
 Comincia a dimenarsi, a sfregare polsi e caviglie contro le corde, a spingere il busto contro lo schienale freddo e duro di quella sedia che sembra essere il suo personale patibolo.
Deve trovare una soluzione logica a tutto quello e deve farlo ora. La sua mente viaggia a velocità spaziale per cercare nei suoi ricordi e nelle sue memorie qualcosa che possa spiegare perché ora si trova lì, legato a una dannata sedia e trattenuto dalla donna che l'ha affiancato per giorni, mesi e anni in completa devozione e dolcezza.
 O almeno questo è quello che credeva.
« Moriarty... »
« Moriarty è mio. » La patologa parla con quel tono che non sembra proprio il suo, che stona con i suoi occhi – seppur truccati di nero, sono sempre i suoi grandi occhi – così profondi.
« Chi sei? » sussurra Sherlock.
Lei per un attimo rimane ferma, ancora in piedi davanti a lui senza nemmeno muovere un muscolo, poi si avvicina e si piega per arrivare con il volto all’altezza del suo.
« Io sono Molly, sono Moriarty, sono il peggiore dei tuoi incubi. Io sono te, incarno quello che hai paura di essere e quello che non puoi fare a meno di invidiare. »
«  Chi te lo dice? »
« Tutto ciò che provavi per lui lo provi per me. Non hai ancora capito? Moriarty è mio », ripete nuovamente, « io l’ho reso ciò che è. Lui è stato i miei occhi e le mie orecchie, e io lo sono stata per lui. Tutto ciò che ti ha sempre detto, ogni sua parola, erano le mie. Ero sempre io. »
Detto questo gli sfiora un ricciolo con la punta dei polpastrelli e si siede sulla sua gamba destra. Sherlock scatta indietro, per quanto essere legato a una sedia possa permettergli il movimento, ma non può fare nulla per respingerla. Molly lo osserva per un attimo, osserva la sua espressione disgustata, poi si accosta al suo volto e per un attimo il moro pensa stupidamente che voglia baciarlo, ma lei porta le labbra vicino al suo orecchio.
«  Ti brucerò il cuore. » Subito dopo si alza con un gesto secco da lui e gli dà le spalle, cominciando a passeggiare per la stanza.
Sai, Sherlock », il suo tono è freddo, come se pochi secondi prima non fossero mai avvenuti, « all'inizio pensavo che sarebbe stato piuttosto difficile ingannarti. Insomma, la storia del consulente investigativo, l'arte della deduzione e tutte le intuizioni che ti piace tanto ostentare. Mi ero quasi preoccupata di non riuscire nell'intento, perché per cambiare totalmente ciò che ero c'era voluto moltissimo tempo.
 Servivano mesi di preparazione per modificare la postura, il tono di voce, il colore di capelli e il mio intero guardaroba; dovevo creare una persona totalmente nuova, una persona che non avresti mai ritenuto una minaccia e che avresti lasciato avvicinarsi e insinuarsi dentro di te senza il minimo sospetto. In poche parole, dovevo diventare il mio esatto opposto: la tua Molly Hooper.
Tutto quello che mi rimaneva da fare era essere assunta al Bart's e incontrarti casualmente. Con il passare del tempo hai imparato a conoscermi – a conoscere quella che io volevo farti conoscere – e a darmi per scontata, perché in fondo ero solo la povera piccola patologa innamorata di te senza speranze e senza possibilità di ricompensa. Quella parte, devo ammetterlo, non è stata poi così ardua: sei meraviglioso, Sherlock.
Ma torniamo al dunque, vuoi? Io ero solamente una figura sfocata sullo sfondo del tuo grande spettacolo, e quello era proprio ciò su cui contavo. Quando arrivò il momento, anche Jim fece la sua entrata in scena, però questo lo sai bene. Ti ci è voluto relativamente poco a smascherare il suo gioco, ma anche quello era premeditato. Ho previsto le tue mosse ancora prima che tu avessi bisogno di farle; è stato tutto estremamente semplice. E anche un po' deludente, a essere sincera.
 Se all'inizio temevo che mi avresti scoperta, a quel punto non c'era niente che non potessi fare: ti avevo in pugno, Sherlock, e ogni tua scelta non ha fatto altro che portarti qui, con me.
Anzi, non che tu abbia mai avuto veramente qualche opzione, facevi esattamente ciò che volevo farti fare. »
Ha continuato a parlare e camminare simultaneamente, gettandogli sguardi eloquenti di tanto in tanto, mentre l'incredulità di Sherlock non ha fatto altro che crescere secondo dopo secondo, parola dopo parola.
« Che c'è, ti ho lasciato senza parole? Mi fai gongolare così. »
 Si avvicina nuovamente a lui e si piega sulle ginocchia.
« Avrei solo voluto divertirmi un altro po'... »
 « E Irene? »
 « Sei così maledettamente prevedibile. È tutto quello che hai da chiedere? Irene è stata un mio regalo. Prego, fra l'altro. »
Gli fa l'occhiolino.
« Sapeva? »
« Ovvio, mio caro. Pensi che ti abbia lasciato qualche margine? Tutto ciò che hai fatto, lo hai fatto perché io tel'ho permesso. La tua vita è una bugia, Sherlock.
E vuoi sapere un’altra cosa? Sono l’unica cosa vera che hai. » Molly lo guarda dritto negli occhi e alza una mano per posarla sul suo zigomo destro, mentre lui cerca invano di allontanarsi da quel contatto. Lei si fa sempre più vicina e per un attimo, per un singolo e preciso istante, un lampo di quella che era la vecchia Molly sembra attraversarle le iridi, ma subito torna quella di ora.
«  A me invece sembri un grande falso. »
« Sono reale, amore mio, e so che mi vuoi. »
Il moro scuote la testa energicamente, ma lei continua: « Oh, sì, lo sappiamo entrambi. Mi vuoi e ora stai odiando me perché non sono quella credevi, e stai odiando te stesso perché mi vuoi comunque e anche di più. »
« Io non sento niente per te. »
« Non costringermi a provartelo… » cantilena lei facendo scorrere la mano dalla guancia al collo e poi giù verso il suo petto.
Sherlock si irrigidisce, la schiena rettissima, le ginocchia strette. Vorrebbe solo spingerla lontano da lui. Eppure.
Eppure…
« Non ho mai finto i sentimenti. » L’ennesimo sussurro all’orecchio, un bacio sulla tempia e Molly si allontana ancora una volta nell’esatto momento in cui la porta alla loro destra si apre.
« Ma guarda chi si rivede! »
Jim Moriarty entra nella stanza con uno dei suoi completi migliori e un ampio sorriso sul volto. È la nonchalance fatta persona quando, continuando a fissare Sherlock, cammina verso la patologa e le stringe possessivamente la vita.
Lei si scansa come bruciata dal contatto e dà le spalle a entrambi, tirandosi ancora più giù i polsini della felpa e cominciando a camminare per la stanza. Questo non sfugge al consulente investigativo.
« Jim. »
« Sherlock, che magnifica sorpresa. Ero impaziente di chiacchierare di nuovo con te. »
« Vorrei poter dire lo stesso. »
« Vedo che quell’insulsa ironia permane nonostante le tue… condizioni. » Moriarty non sorride più.
Il moro lo guarda dal basso con tutta l’ostilità di cui è capace e gli rivolge un ghigno pieno di astio.
« Jim, ho bisogno di più tempo. » Molly si avvicina.
« Tesoro, mi stavo appena cominciando a divertire… »
« Ho detto che mi serve più tempo. »
L’altro alza gli occhi al cielo e con un plateale gesto della mano volta le spalle al consulente investigativo, tornando da dove è venuto solo qualche minuto prima.
Sherlock sposta lo sguardo verso Molly e azzarda un commento: « Quindi sei tu al comando. »
« Mi sembra ovvio. Senza di me Moriarty non esisterebbe, io l’ho creato. »
« Ma lui si è… affezionato a te. »
« Oh! » la patologa batte le mani con finto entusiasmo, « finalmente ci siamo! Vedo che gli effetti del colpo in testa stanno sparendo. Ho bisogno che tu sia al tuo massimo. »
« Sai che Mycroft mi starà già cercando? »
« No no no, Sherlock, davvero? Aspetti che il tuo grande fratellone venga a salvarti? Non ti troverà mai, non qui. »
« Arriva al dunque, Molly. Mi sto annoiando. »
Lei si avvicina e gli accarezza uno zigomo, ripetendo ormai per l’ennesima volta il suo gioco fatto di vicinanze e distanze, di carezze leggere e di sguardi lontani.
« Nessuno ti conosce meglio di me. Ho passato quasi dieci anni della mia vita a osservare ogni tua mossa, ogni tuo singolo dettaglio. Non c’è niente di te che per me sia un mistero. Tu mi appartieni. »
Poi compie un gesto che lo stupisce per l'ennesima volta: si siede nuovamente sulle sue gambe e appoggia la testa sulla sua spalla quasi come una bambina, è totalmente abbandonata su di lui.
« E io ti appartengo... » Le sue labbra contro il collo gli provocano dei brividi contro la propria volontà e lei se ne accorge.
« Cosa vuoi? » Domanda Sherlock guardandola con la coda dell’occhio, cercando di non far trasparire la minima inflessione nella voce.
« Voglio te. Voglio proporti un accordo: io e te, le nostre menti insieme, potremmo avere il mondo. So che lo provavi con Jim. So che per quanto cercassi di nasconderlo e respingerlo e ignorarlo eri affascinato da lui, da quello che poteva offrirti, dalle sfide che ti lanciava. Tu sei una macchina sempre in corsa, non puoi farti rallentare. »
« Perché allora non sleghi le corde e ne parliamo? »
« Fra me e te ci sono nodi che non posso ancora sciogliere. » Per un attimo Sherlock avverte un’impercettibile nota di tristezza nella sua voce salda, ma non può esserne sicuro. Non c’è più niente di cui essere sicuro.
« Ascoltami bene », comincia Molly, alzandosi dalle sue ginocchia e parandoglisi davanti, « Moriarty non mi serve più. Ho intenzione di consegnarlo a Scotland Yard. Ora. »
Per un attimo guarda l’orologio al polso e accenna un sorriso: « la mia squadra di infiltrati sta già avvisando chi di dovere. Ho solo poco più di quattro minuti per andarmene da questo posto mentre i miei cancellano qualsiasi traccia del mio passaggio. Sei l’unico a sapere chi sono realmente. »
Gli prende il viso fra le mani. « Hai quarantotto ore per decidere cosa vuoi fare veramente. Posso offrirti tutto quello che vuoi. Possiamo vivere da re e regina. Non sono quella che credevi, è vero… Sono molto di più. Se deciderai di seguirmi, ti dirò tutto.
Il bene e il male non esistono; non c’è niente di sbagliato in noi, nelle nostri menti. Io sono come te, sono l’unica al mondo in grado di capirti. Almeno questo non è cambiato, no? »
Molly conclude il discorso affrettato e frettoloso schiacciando le labbra contro quelle di Sherlock, che fino a quel momento è rimasto ad ascoltarla senza capire cosa dire o fare, travolto da tutto quello che è appena successo. Lui non ha il tempo di ricambiare – o di decidere se vuole e può ricambiare – perché la patologa subito si allontana e si avvia verso l’angolo a est della stanza, vicino alla porta. Con quella che sembra estrema leggerezza stacca un pannello dal pavimento e apre una botola.
« Arrivederci, Sherlock Holmes. » E si getta nel vuoto.
Nello stesso momento il consulente investigativo può udire il rumore di elicotteri e di pattuglie della polizia, proprio come Molly gli ha detto.
Non riesce a trattenere un sorriso.



 Note: Buon pomeriggio gente!
Eccomi con un nuovo esperimento, dato che a quanto pare l'AU sta diventando un'abitudine per me. Questa volta ho voluto immaginare un'ambientazione completamente diversa.
Se volete, potete lasciare un commento e farmi sapere che ne pensate di questa versione di Molly :D

 
 
  
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