Sorrisi di Neve.
Il grigio della zona
del Giacimento si schiariva ogni giorno di più, grazie alla coltre di neve che
aveva preso ad attecchire sul terreno. Anche la parte più ricca del Distretto
12 stava incominciando a nascondersi sotto quello spesso strato bianco: il
Villaggio dei Vincitori era ancora più silenzioso del solito, perché la neve
rendeva ovattato il passo dei pochi abitanti. All’interno di casa Abernathy,
tuttavia, la quiete non sembrava destinata a resistere ancora per molto: venne
spezzata dal rumore di qualcosa che grattava il legno del pavimento, in cucina.
La responsabile di tutto quel trascinare era una bambina dall’aria guardinga e
le labbra sporche di latte. Posy Hawthorne mise la
sua bambola preferita sotto il braccio e spinse una sedia contro la finestra,
facendo ben attenzione che il signore addormentato sul tavolo non si
svegliasse. Ci salì poi sopra, per ammirare incantata i fiocchi che scivolavano
lenti verso terra. Le era sempre piaciuta molto la neve: era una specie di
giocattolo, per lei, uno dei pochi che aveva assieme a Lilo
e ai vecchi soldatini dei suoi fratelli. Per questo attendeva ogni anno con
pazienza l’arrivo dell’inverno: la neve l’aveva reso la sua stagione preferita.
Le piaceva osservarla scendere, sdraiarvici dentro per fare l’angelo e tirare
fuori la lingua per assaggiarla, prima che le si sciogliesse in bocca. Non
vedeva l’ora di uscire fuori e gettarsi a peso morto sul manto bianco, ma per
farlo doveva aspettare che arrivasse suo fratello Vick: nel frattempo Hazelle le aveva chiesto di giocare in silenzio e di non disturbare
il signor Abernathy.
Posy balzò a terra e
rimise la sedia al suo posto. Si strinse la bambola al petto e scoccò
un’occhiata guardinga a Haymitch. Lo sentì grugnire e lo osservò ciondolare con
il capo sul tavolo, la mano destra stretta convulsamente a una bottiglia. Ci
aveva provato a non gironzolargli attorno, ma c’erano troppe cose di quel buffo
signore che la incuriosivano, spingendola a porsi tante domande. Anzitutto,
Haymitch dormiva sul tavolo. Nei suoi quasi cinque anni di età, Posy aveva conosciuto
sempre e solo persone che dormivano in un letto o, al massimo, sul pavimento,
se erano proprio così povere da non possedere nemmeno un materasso. Un’altra
cosa strana di quel signore era il fatto che bevesse sempre. Posy si era
chiesta molte volte se fosse malato, poiché non lo vedeva lavorare come
facevano tutti gli uomini del Giacimento. Quel liquido che beveva, si era detta
più volte, probabilmente era la sua medicina. Infine, la cosa più bizzarra di
tutte – a detta di Posy – del signor Abernathy, era il suo odore strano, non
forte quanto il fetore di Sae la Zozza, ma di certo
non gradevole per una bambina come lei.
Stava proprio
incominciando a domandarsi quale fosse la causa di quella strana puzza, quando
Haymitch sollevò il capo di scatto, lasciando andare la bottiglia. Posy
sobbalzò, stringendosi più forte al petto la bambola.
L’uomo aprì gli occhi,
aggrottando le sopracciglia in una smorfia strana: a Posy ricordò un po’
l’espressione di Rory quando Gale lo svegliava
all’improvviso, facendogli il solletico sotto i piedi per far divertire lei e
Vick. Le venne da ridere, ma si trattenne quando notò che l’uomo era tornato a
stringere la bottiglia. Storse la bocca in una smorfia impensierita e chinò
appena il capo verso destra, rivolgendogli un’occhiata incuriosita.
“Per caso sei malato?” mormorò,
abbracciando Lilo con espressione un po’ intimidita.
Haymitch le rifilò un’occhiata di traverso, passandosi il dorso della mano
sulle labbra.
“E tu chi saresti?”
borbottò infine, appoggiando la schiena alla sedia. Posy si nascose dietro la
bambola, sbirciando con espressione offesa in direzione di Haymitch.
“Posy Hawthorne!” esclamò: la indispettiva il fatto che il signor
Abernathy non ricordasse il suo nome. Lei, il suo, lo conosceva benissimo.
Haymitch la osservò
corrucciato per qualche istante, prima di annuire.
“Ah, già… L’affarina” ricordò, facendo
scorrere una mano lungo il collo della bottiglia. “Tua madre dov’è?”
Posy si strinse nelle
spalle e incominciò a pettinare i capelli della sua bambola.
“Lavora e non la
dobbiamo disturbare” rispose seria, osservandolo con attenzione. Haymitch
sostenne il suo sguardo per qualche istante, aggrottando le sopracciglia.
“Beh, che hai da
guardare?” sbottò infine. “Non hai mai visto un uomo con una bottiglia?”
“Hai la febbre?” lo
interrogò Posy, assumendo tutto a un tratto un’espressione dispiaciuta.
Haymitch si accigliò.
“Perché diavolo dovrei
essere ammalato, affarina?”
“Perché non vai al
lavoro! I grandi vanno a lavorare nelle miniere tutti i giorni, ma tu no. Stai
sempre qui seduto e dormi. E quando ti svegli bevi. Quella lì è la tua
medicina, vero?” chiese, indicando la bottiglia. Haymitch la squadrò per un
po’, prima di annuire.
“Qualcosa di simile,
sì”.
“Ed è buona? Che cosa
cura?” si informò la bambina, aggrottando le sopracciglia incuriosita.
“I brutti pensieri”
rispose spiccio l’uomo, svitandone il tappo. Il volto di Posy si illuminò.
“Come le bolle di
sapone!”
Haymitch inarcò un
sopracciglio.
“Eh?”
“A volte, quando la
mamma lava i vestiti, io e Vick usiamo l’acqua e il sapone per fare le bolle. Ci
soffiamo dentro le cose brutte: così!” spiegò, formando una piccola “O” con la
bocca e fingendo di soffiare. “Se le pensi tanto forte e poi le soffi nella
bolla, quelle vanno via!”
“Capisco” rispose
Haymitch. Portò la bottiglia alle labbra e bevve un sorso. Lo sguardo di Posy
rimase fisso su di lui durante l’intera operazione, come se lo stesse
studiando. Improvvisamente la bambina sorrise, appoggiandogli la bambola su un
ginocchio.
“Lei è Lilo!” esclamò allegramente a quel punto, muovendole le
braccia. “È molto simpatica ed è anche bella. Ha i capelli rosa” enfatizzò,
accarezzando orgogliosa il capo della bambola.
Un ghigno divertito
corse a increspare le labbra di Haymitch.
“Sarà mica la figlia di
Effie Trinket?” buttò lì,
sotto lo sguardo interrogativo della bambina. Posy, non riuscendo a comprendere
la battuta, si accigliò e mise il broncio.
“No, è mia!” esclamò,
sollevandola per stringersela nuovamente al petto. “L’ha fatta la mia mamma!”
“Non te la rubo mica,
dolcezza” rispose l’uomo, tornando poi a concentrarsi sulla bottiglia.
Posy gli rivolse
un’occhiata diffidente, continuando ad abbracciare la bambola.
“Sei un po’ strano”
osservò infine, arricciando il naso, prima di aggiungere: “Puzzi anche un po’
strano.”
Haymitch tornò a
spostare la sua attenzione verso la bambina.
“Non puzzi come Sae la Zozza, però” si trovò in dovere di specificare Posy,
affrettandosi a scuotere il capo. “Non sai così di cattivo. Forse è la tua
medicina che puzza” aggiunse con tatto, perché non voleva proprio farlo
arrabbiare.
L’uomo aggrottò le
sopracciglia, squadrandola con aria inespressiva.
“E tu sei proprio una
mocciosa petulante e impertinente” osservò infine, indicandola con il collo
della bottiglia.
“Che vuol dire impe…imper…”
“Te lo spiega tua madre
quando torna” tagliò corto l’uomo, guardandosi intorno. “Infatti credo proprio
che ti abbia chiamata. Perché non vai a controllare?”
Posy scosse il capo con
vigore.
“Non è vero, io non ho
sentito niente” rispose, prendendo posto su una delle sedie libere. Haymitch
sbuffò e distolse lo sguardo, voltandosi dalla parte opposta. Posy restò a
fissarlo in silenzio per un po’, cercando di mantenere la promessa fatta alla
madre. Sapeva di non dover disturbare il signor Abernathy, ma Vick non era
ancora arrivato e tutto quel silenzio stava incominciando ad annoiarla
terribilmente.
“Perché non giochiamo
alla famiglia con Lilo?” propose infine, appoggiando
la bambola sul tavolo. Haymitch chinò leggermente la bottiglia in avanti per
controllare il livello del contenuto. “Tu fai il papà, io la mamma e lei è la
figlia!”
L’occhiata torva che le
rivolse l’uomo riuscì a convincerla ad accantonare quell’idea.
“Posso cantare una
canzone?” chiese ancora la bambina, sorridendo entusiasta.
“No.”
“Posso toccarti la
barba?”
Da infastidita,
l’espressione dell’uomo si fece perplessa.
“Voglio vedere se
punge!” spiegò Posy, balzando giù dalla sedia per raggiungerlo.
“Tieni alla larga
quelle zampette dalla mia barba” la ammonì l’uomo, alzandosi in piedi. Si
avvicinò alla finestra attraverso la quale, poco prima, la bambina aveva
osservato la neve scendere. Pochi secondi più tardi, Posy era già di fianco a
lui. La ragazzina schiacciò il naso contro il vetro, alzandosi sulle punte dei
piedi, per riuscire ad avere una visuale migliore.
“Guarda! Hai visto?”
chiese, sollevando il capo per poter guardare Haymitch. L’uomo aggrottò le
sopracciglia.
“Visto cosa?”
“La neve!”
Haymitch roteò gli
occhi.
“La neve c’era già
dieci minuti fa, affarina.
Al contrario di tua madre… Dove diavolo sarà finita? Hazelle!”
“Sì, però è bella!”
insistette Posy, tirandolo per la manica. “A te non piace?” chiese, sollevando
il capo per incontrare il suo sguardo. Haymitch la squadrò a lungo con
espressione attenta, quasi assorta, prima di lasciare ricadere il lembo della
tenda sul vetro.
“No” rispose infine,
dando le spalle alla finestra. Posy si accigliò.
“Sai dire solo no!”
osservò, facendo ciondolare Lilo mentre agitava il
braccio.
Haymitch emise un
grugnito infastidito, ma non aggiunse altro. Posy tornò a guardare fuori,
ammirando affascinata la distesa bianca che già ricopriva l’intero viale di
fronte alla villetta. Un’idea le balenò in mente, strappandole un sorriso.
“Facciamo un pupazzo di
neve?” propose allegra, voltandosi verso di Haymitch. Ancora una volta l’uomo
la squadrò a lungo, con un’espressione che Posy non riuscì a decifrare: era
arrabbiato? Annoiato? Sembrava quasi triste. Non era sicura che la medicina per
i brutti pensieri stesse funzionando poi così bene.
“Senti, cosina…” spezzò infine il silenzio
Haymitch, tornando a rivolgersi alla bambina. “ …non so che idea tu ti sia
fatta di questo posto e di me, ma non siamo al parco giochi e io non sono il
tuo baby-sitter. Se vuoi rimanere qui in cucina devi startene ferma e in
silenzio, finché tua madre non finisce le sue faccende.”
“Ma…” cercò di
ribattere Posy, lasciando dondolare Lilo con un
braccio: i capelli rosa della bambola sfioravano ormai il pavimento.
“Niente ma, se proprio vuoi giocare, possiamo
fare il gioco del silenzio. Vince chi riesce a stare zitto più a lungo”
concluse Haymitch, tornando a sedere al suo solito posto.
Posy aggrottò indignata
le sopracciglia e mise il broncio, stringendo Lilo a
sé con trasporto: quel signore era tutto strano e le sue regole sembravano
esserlo ancora di più. Per Posy era impossibile non parlare e non muoversi,
specialmente in quel momento. Strinse le gambe e fece una smorfia, facendosi
ballare Lilo da una mano all’altra. Riuscì a
resistere appena due minuti, dopodiché si arrese e sbuffò esasperata.
“Non posso più stare
ferma!” ammise infine, camminando verso di Haymitch.
L’uomo roteò gli occhi.
“E perché, di grazia,
dolcezza?”
“Devo fare la pipì!”
esclamò la bambina, incominciando a spostare il peso da un piede all’altro. “Mi
scappa proprio!”
Haymitch sembrò
sbiancare.
“Mica vorrai farla lì?”
Posy scosse il capo in
fretta, mettendosi a saltellare.
“No, però mi
accompagni?” chiese, prendendolo per mano. “Non lo so dov’è il bagno!”
Haymitch alzò ancora
gli occhi al cielo, borbottando imprecazioni a denti stretti.
Quando, venti minuti
più tardi, Vick chiamò la sorella dal cortile di casa Abernathy, l’uomo aveva
ancora sul volto un’espressione seccata. Posy infilò manopole e paraorecchie
prima di sgusciare fuori di corsa e di gettarsi nella neve. Dopodiché, si mise
al lavoro con il fratello per costruire il pupazzo di neve più grosso di
sempre. Ne uscì fuori un omone spesso, dagli occhi grigi come le persone del
Giacimento, per via dei due sassolini che i due ragazzini gli avevano infilato
nel volto. Vick gli prestò perfino la sciarpa, per renderlo ancora più bello.
Mentre lavoravano, Posy sbirciava spesso verso casa Abernathy e, di tanto in
tanto, aveva riconosciuto Haymitch alla finestra. Li osservava corrucciato, la
medicina sempre alla mano e i capelli neri che gli ricadevano disordinatamente
sul volto. Quando alla fine il pupazzo fu pronto, Posy corse dentro per
chiamarlo.
“Vieni a vedere!” si
impuntò, ignorando le sue proteste burbere. Lo prese per mano e lo guidò fino
all’ingresso; non gli permise nemmeno di prendere la bottiglia.
“Ci manca il naso!”
spiegò infine, quando raggiunsero Vick e il pupazzo. Ripensò alle carote che
aveva visto in cucina poco prima, mentre esplorava casa. Avrebbero potuto usare
quelle: forse, il signor Abernathy gliene avrebbe prestata una per un po’.
“Ti piace?” chiese poi
Posy, sollevando il capo per osservare la reazione dell’uomo. Guardandolo, si
accorse che qualcosa nella sua espressione era cambiata. Le sue labbra avevano
una piega strana, quasi come se Haymitch stesse sorridendo. I suoi occhi,
tuttavia, sembravano tristi. Non arrabbiati, stanchi o annoiati, come poco
prima. Proprio tristi: come quelli di suo fratello Gale il giorno in cui
Katniss era partita dal Distretto 12, per andare in televisione.
“Sei stata brava,
dolcezza” si complimentò in quel momento l’uomo in un tono di voce atono, che
confuse Posy ancora di più.
“Ci manca il naso…”
mormorò intimidita la bambina, nella speranza che Haymitch andasse a prenderle
una di quelle carote. Non lo fece: tornò in casa, senza dire nulla né a lei, né
a Vick. Quando i due ragazzini rientrarono, Posy si accorse che lo sguardo
dell’uomo era tornato lo stesso di prima. Haymitch aveva ancora in mano la
bottiglia di medicina, ma non sembrava essercene rimasta più molta.
Quell’immagine intristì la bambina, anche se non seppe spiegarsene il perché. Ripensò
all’espressione del signor Abernathy nel momento in cui aveva visto quel
pupazzo di neve. Gli era piaciuto, Posy ne era convinta, perché per un attimo
le era sembrato che l’uomo le avesse sorriso. Era stato un sorriso piccolo e si
era sciolto in fretta, come prima o poi avrebbe fatto anche la neve, ma la
ragazzina ne era stata contenta lo stesso. Haymitch le era sembrato meno
strano, in quel frangente. Più simile agli altri signori del Giacimento che
conosceva. Fu quel pensiero a spingerla a decidere che l’indomani avrebbe
costruito un nuovo pupazzo di neve, di fronte casa sua.
Magari, si disse, il
giorno successivo Haymitch le avrebbe dato una carota da usare come naso.
Magari, rivedendo il
pupazzo, il signor Abernathy avrebbe sorriso di nuovo: questa volta per
davvero.
Nota dell’autrice.
Questa storia partecipa al contest a turni “1 su 24 ce la fa” [Hunger Games
Contest]di ManuFury. Il contest
richiedeva di scrivere qualcosa di incentrato su un ipotetico confronto fra
questi due personaggi ed è così che mi è venuto spontaneo immaginarli. L’idea del
pupazzo di neve è piuttosto comune, lo so, ma mente riascoltavo la canzone
dolcissima che la Anna bambina canta in “Frozen” ho
pensato istintivamente a Posy e ho pensato di collegare le due cose. Questa,
tanto per cambiare, sarebbe tecnicamente solo la prima parte del racconto. La
seconda parte dovrebbe essere dal punto di vista di Haymitch e spiegherebbe a
cosa sia dovuto quel sorriso triste di fronte al pupazzo. Spero di riuscire a
scrivere anche il seguito, prima o poi. Nella storia figurano alcuni elementi
già comparsi nel corso di Posy aveva
una bambola e A
Flower that Blooms in Adversity, in
particolare la bambola Lilo, amica fidata di Posy. Haymitch
è quel personaggio (assieme a Johanna) che mi mette proprio tanta, tanta
soggezione. Ho sempre detto che non ci avrei mai scritto su e spero di non
averlo reso OOC, ma sono contenta di esser stata costretta a fare un tentativo,
perché mi piace molto e raccontare di lui e Posy mi ha divertita un sacco xD
Credo di aver detto tutto! Grazie a chiunque si sia
soffermato a leggere!
Un abbraccio!
Laura