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Autore: GottaBeLou    26/04/2014    6 recensioni
"Mentre Kogoro sbraitava, il piccolo Conan non emetteva un suono, sembrava quasi non respirasse. Sentiva un enorme peso sul cuore guardando il viso della ragazza. I paramedici avevano chiesto più volte al bambino di rimanere sul posto ma lui non aveva ceduto. Era solo colpa sua se Ran si trovava in quella situazione, colpa sua e di nessun altro, la sua vita era appesa a un filo e se le fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato."
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kazuha Toyama, Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap 4
Instead of just acting
like I'm the one he's been looking for

I ought to say I'm sorry

I ought to say it's over
Let him live his own life
Stop crying on his shoulder
He'd probably say it's alright
And hold me while my tears pour

-Jamie Lynn Spears, How could I want more?


Il rumore delle sirene continuava a risuonare nella testa di Shinichi, tornato Conan ormai da un bel pezzo. L’odore di disinfettante gli dava fastidio, ma cercava di non farci caso. Si trovava nella sala d’attesa dell’ospedale di Tokyo da più di un’ora e di Ran ancora non si avevano notizie.
Kogoro era giunto sul luogo dell’incidente solo pochi attimi dopo che il detective, resistendo all’impulso di urlare per il dolore al petto, aveva spiegato ai paramedici ciò che era successo. Era poi riuscito a scappare dalla ressa per alcuni minuti, mentre uno dei dottori prestava soccorso all’amica. Non avrebbe voluto perderla di vista nemmeno per un secondo, ma non poteva lasciare che qualcuno lo vedesse mentre cambiava aspetto, sarebbe saltata la copertura e i membri dell’Organizzazione potevano essere ovunque.
Arrivato all’ospedale, aveva chiamato Hattori e con sua sorpresa a rispondere era stata Kazuha. Non aveva fatto domande sul perché fosse a Tokyo, le aveva solo spiegato brevemente la situazione e, come risposta, aveva sentito un rumore sordo, probabilmente il telefono le era scivolato dalle mani.
Una decina di minuti più tardi la coppia del Kansai aveva varcato la soglia dell’edificio,entrambi completamente fradici per colpa della pioggia battente. Ora erano seduti uno accanto all’altra, un paio di seggiolini più in là di lui, mentre Kogoro faceva avanti e indietro per tutta la sala, sperando di ricevere presto notizie riguardo le condizioni della figlia.
Sentì lo squillo di un cellulare, quello di Ran. Le era caduto dalla tasca dopo l’incidente e inspiegabilmente non si era rovinato. Uscì dall’ospedale, si sedette su un muretto riparato dalla pioggia, estrasse il modulatore di voce e rispose alla chiamata.
“Sonoko?” chiese, titubante. Si era completamente dimenticato di avvisarla dell’accaduto.
“Kudo-kun? Dov’è Ran? Perché non risponde alle mie telefonate?” sembrava piuttosto spazientita.
“Ha avuto un incidente” disse tutto d’un fiato. L’altra rimase in silenzio per diversi secondi.
“Che intendi dire?”
“Che un pazzo è passato con il rosso” sentì che prendeva un respiro profondo, come se volesse calmarsi.
“C-come sta?”
“Non sappiamo ancora niente”
Ci fu una nuova pausa dove nessuno dei due parlò, il che era ironico, la Suzuki era probabilmente la persona più logorroica sulla faccia della Terra.
“Dovresti starle lontano” disse infine. Gli occhi del detective si spalancarono e il papillon cadde a terra. “Non ti fai vivo per mesi, poi torni e ti aspetti che lei sia lì a braccia aperte, pronta ad accoglierti come se nulla fosse. Pensi che sia facile per lei vivere senza avere tue notizie? Non so se te lo ricordi, ma fino all’anno scorso vi vedevate ogni santo giorno. Ora è come se tu non esistessi. Non hai idea di quanto Ran stia male senza di te. Certo, fa finta che non le importi, ma non è così, lo sai anche tu.” la voce dell’ereditiera era forte e chiara, ma si stava sforzando parecchio per mantenere quel tono, Shinichi riusciva a captare quella nota di insicurezza che permeava ogni parola che giungeva al suo orecchio.
“Ogni volta che Ran sembra riprendersi, arrivi tu” continuò lei “e distruggi tutte le sue certezze. Dovresti decidere cosa vuoi veramente, non per te, ma per lei. Ti rendi conto che quando compari qualcuno si fa male? E il più delle volte è Ran. Forse è un segno”
Shinichi era interdetto, forse perché era quello che pensava da tempo, forse perché aveva avuto bisogno dell’aiuto di qualcuno per capirlo, forse perché quel qualcuno era stato proprio Sonoko Suzuki.
“Ti richiamo quando so qualcosa” disse poi, dopo aver raccolto il modulatore di voce. Detto questo, attaccò, senza aspettare che l’altra aggiungesse altro, non se la sentiva di rispondere a quelle accuse.
Rimase fermo sul muretto, con le braccia appoggiate dietro di lui e lo sguardo al cielo. In quel momento il suo cuore somigliava a quella macchia scura sopra di lui, non sapeva cosa fare, si sentiva bloccato, come se fosse caduto in un buco nero da quale non riusciva ad andarsene.
Sentì Hattori chiamarlo, l’operazione era terminata e il medico avrebbe riferito l’esito di lì a poco. Corse di nuovo all’interno dell’edificio e vide un uomo sulla cinquantina parlare con Kogoro. Si avvicinò per sentire meglio.
“Le condizioni di sua figlia sono stabili, dovrebbe svegliarsi entro domani mattina. Non ha riportato danni gravi, nonostante pensassimo il contrario all’inizio. Dalla risonanza magnetica è risultato che tre costole, due a destra e una a sinistra, si sono fratturate a causa dell’impatto con la macchina. Non è chiara la dinamica dell’incidente, ma pensiamo che il veicolo abbia appena sfiorato, se così possiamo dire, la ragazza e che questa sia caduta a terra, perdendo i sensi. Il trauma a livello cranico è molto lieve, quindi non ci saranno conseguenze sulla sua salute. Nonostante questo, atterrando sull’asfalto ha riportato diverse ferite, ma niente che non potesse essere sistemato con un paio di punti.”
“Quindi va tutto bene, giusto?” si affrettò a chiedere il detective.
“Per ora direi di sì, domani, quando sarà sveglia, le faremo alcuni esami di controllo”
“Perfetto. La ringrazio, dottore” inclinò il capo in segno di saluto e si lasciò cadere su uno dei seggiolini di plastica, finalmente rincuorato. Aveva temuto tanto per la salute della figlia, si sentiva responsabile per essere stato così accondiscendente con lei e l’avrebbe sicuramente fatta pagare all’amichetto detective per aver lasciato la sua bambina da sola.
“Scusi, signorina” chiese il piccolo Conan a un’infermiera “è possibile vedere Ran?”
La donna, che non poteva avere più di trent’anni, si voltò verso il lui e gli sorrise.
“Ora sta dormendo, non possiamo disturbarla. La vedrai domani, d’accordo?”
Conan annuì, avrebbe comunque trovato un modo per vederla. Si sentiva pienamente responsabile di ciò che era successo all'amica d'infanzia; se non le avesse chiesto di vedersi, tutto sarebbe andato per il meglio. 
Scambiò uno sguardo d’intesa con Heiji e si allontanò, dicendo di aver bisogno del bagno. Giunto in corridoio iniziò a cercare la stanza della ragazza, la numero 156. L’aveva sentito dire dal dottore poco prima. Sperò di non trovare nessuno ad intralciare i suoi piani mentre varcava la porta della camera.
Il letto di Ran era vicino alla finestra, mentre l’altro era vuoto. A dividerli c’era una tendina blu piuttosto vecchia che copriva la metà superiore del lettino. Conan la spostò con una mano e si avvicinò all'amica. Sul suo viso era posta una mascherina per l’ossigeno, gli occhi erano chiusi e la pelle era fin troppo pallida. Le avevano fasciato la fronte con delle bende.
Lui le si avvicinò, alzò una mano e le accarezzò la guancia, lasciandosi scappare un sorriso.
“Scusa” disse in un sussurro prima di allontanarsi di nuovo. Avrebbe voluto rimanere con lei, sdraiarsi accanto a lei per infonderle tutto il calore che aveva in corpo, sussurrarle che tutto si sarebbe sistemato, ma non poteva. Se non avesse fatto in fretta gli altri avrebbero iniziato a cercarlo.

***

La coppia del Kansai si congedò dal piccolo Conan e da Kogoro quando il taxi si fermò davanti all’agenzia investigativa. Per quella notte avrebbero dormito a casa di Shinichi. Il Detective Dormiente si era offerto di ospitarli, ma loro avevano gentilmente rifiutato, non volevano causare altre preoccupazioni all’uomo, avrebbero dormito in hotel se l’altro non si fosse intromesso.
“Le chiavi di casa mia le hai ancora tu?” aveva chiesto Conan all’amico, sottovoce.
“Si, scusa. Quasi mi dimenticavo di restituirtele”
“No, tienile. Nell’armadio più grande in camera dei miei ci sono dei futon, oppure potete dormire in camera mia. Fate come se foste a casa vostra”
“Ma possiamo dormire in albergo..”
“Non ti preoccupare, Okiya non tornerà prima di una settimana, in casa on c’è nessuno”
A quel punto Heiji aveva sospirato, ringraziando l’amico per la gentilezza.
Giunti a destinazione, fece scattare la serratura e i due entrarono in casa, stanchi e stressati.
“Vado a prendere i futon” disse il ragazzo, dirigendosi verso il piano superiore.
Trovò ciò che cercava quasi subito e un attimo dopo sentì dei passi sulle scale, Kazuha lo stava raggiungendo. Ripensò a ciò che era successo solo poche ore prima, come doveva comportarsi con lei? Insomma, si erano baciati e probabilmente le cose tra di loro sarebbero cambiate radicalmente da quel momento. Heiji conosceva i sentimenti della ragazza, ma i suoi? Cosa provava veramente per lei?
Forse aveva solo agito d’istinto, non voleva che continuasse a piangere e basta. Forse non provava niente per lei, assolutamente niente. Era solo una sua amica, no? Si conoscevano da talmente tanto tempo che era impossibile che lui provasse qualcosa per lei. Se ne sarebbe accorto prima. Non puoi essere amico di una persona e poi d’un tratto innamorarti di lei. Ma lui cosa poteva saperne dell’amore? Quante ragazze aveva avuto nella sua vita? In sostanza, nessuna. Certo, aveva un sacco di ammiratrici, o almeno, si vantava di averne, ma chi di loro lo gli aveva parlato seriamente per più di un paio di minuti? Nessuna, di nuovo.
Riflettendoci, l’unica grande costante della sua vita era proprio quella ragazzina lagnosa. Fin da quando erano piccoli l’aveva sempre avuta al suo fianco, ne avevano passate tante insieme ed era arrivato già da tempo alla conclusione che sarebbe stato capace di dare la sua stessa vita pur di proteggerla.
Avevano passato anni e anni a prendersi in giro l’un l’altro, quasi fossero fratello e sorella, ma quel bacio aveva incasinato tutto. Come poteva trattarla da sorella se aveva condiviso con lei un momento così intimo?
Lo rifaresti se ne avessi l’occasione?
Sulla soglia della stanza comparve l’amica con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Assolutamente sì.
“Vuoi che ti aiuti?” chiese gentilmente Kazuha.
“No, tranquilla. Dove preferisci dormire? Io posso stare giù in salotto, ti lascio la stanza degli ospiti”
“Come vuoi tu. Puoi stare anche qui affianco, non c’è la camera di Kudo-kun?”
“S-sì, ma..”
“Ma cosa?”
Ma se dormo lì sarà ancora più difficile starti lontano. Cosa gli saltava in mente?
“Niente, solo preferisco dormire di sotto. Sai, tutte quelle foto di Kudo mi mettono in soggezione” buttò lì. Kazuha scoppiò a ridere.
“Che hai ora?” si imbronciò lui.
“Sei buffo”
“Sono buffo?” in tutta risposta l’altra continuava a ridere. Lui raccolse il futon da terra e si diresse goffamente verso l’altra stanza.
“Ma dove vai?” si lamentò l’altra “Quanto sei permaloso!”
Heiji scese le scale mentre l’amica lo rincorreva borbottando. Alla ragazza bastò un attimo di distrazione per inciampare e finire lunga e distesa sopra all’altro. Fortunatamente il materasso attutì il colpo e nessuno dei due si fece male.
“Scusa..” disse lei, cercando di trattenere una risata.
“Ma perché non stai mai attenta?” borbottò il ragazzo mentre si rialzava. I due si trovarono, per la seconda volta nella stessa giornata, con i visi a pochi centimetri uno dall’altro e a rompere la magia del momento ci penso Heiji, che, con un colpo di tosse, si voltò e iniziò a sistemare il futon.
La ragazza si chieste se l’altro la stesse evitando di proposito, sembrava quasi non volesse starle vicino. Eppure, prima sembrava così diverso..
Kazuha si sedette sul divano e poco dopo lui fece lo stesso, nessuno dei due sembrava avesse voglia di dormire, nonostante la giornata frenetica.
La ragazza lo vide avvicinarsi pericolosamente a lei ma rimase delusa quando, al posto di baciarla come aveva fatto poche ore prima, Heiji si alzò dal divano, dirigendosi verso uno stereo piuttosto vecchio. Cliccò dei pulsanti a caso chiedendosi perché i genitori di Kudo conservassero un tale pezzo d’antiquariato. Alla fine riuscì a far partire una canzone, Everybody loves somebody di Dean Martin.
Per un attimo un pensiero si insinuò fugace nella sua testa. Perché fai tutto questo? Perché illuderla se non provi niente per lei? E di nuovo, chi è lei per te?
Trasse un respiro profondo e si voltò verso l’amica che lo guardava confuso.
“Ricordi la promessa che ti ho fatto cinque anni fa?” chiese.
“Certo, ma..”
“Ma cosa?”
“Niente” continuò lei con un sorriso.

 
“È tutta colpa tua se ci troviamo qui” borbottò il ragazzino prendendo in mano una scopa.
“Che hai detto? Scherzi, spero”
“Vuoi dire che non ho ragione?” la guardò di sbieco.
“Esattamente! Tu hai scritto sul mio spartito!”
“Era solo uno scherzo, non sarebbe successo niente se non ti fossi messa ad urlare come una pazza!”
Kazuha sbuffò, voltandosi dall’altra parte, chiedendosi cosa avesse fatto di male per ritrovarsi una persona tanto stupida come amico.
Si erano conosciuti tanti anni prima grazie ai loro padri, entrambi nella polizia, ed erano diventati inseparabili, strano a dirsi, dato che non facevano altro che insultarsi a vicenda. Eppure in un modo o nell’altro, finivano sempre per cercarsi.
Quella mattina, durante l’ora di musica, Heiji aveva avuto la bella idea di colorare con un pennarello nero parte dei pentagrammi dello spartito dell’amica, rendendole impossibile leggere le note. A quel punto lei lo aveva rincorso per tutta l’aula e, proprio quando stava per fargliela pagare, era entrata Kawaguchi-sansei, che aveva rispedito entrambi al loro posto e affibbiando loro il compito di pulire l’aula dopo la fine delle lezioni.
Kazuha, alle prese con una lavagna che sembrava impossibile da pulire, sentì un suono provenire dall’altra parte della classe.
“Ti sembra il caso di suonare?” disse senza voltarsi.
“Quanto sei lagnosa” si lamentò l’altro, allontanandosi dalla pianola “Per quanto tempo pensi di tenermi il muso?”
“Chi può saperlo” rispose lasciando andare un sospiro. Si voltò e vide l’amico che la fissava.
“Perché mi guardi?” chiese, stringendo lo straccio tra le mani.
“Giusto, tu preferisci dare le spalle a chi ti parla” aveva il suo solito sorrisino stampato in faccia. Kazuha si strinse nelle spalle, arrossendo. Si sentiva estremamente in imbarazzo in quella situazione e il fatto che lei avesse una cotta colossale per l’amico di certo non migliorava le cose.
“Dobbiamo spostare i banchi” disse, facendo cadere il discorso.
Avevano quasi finito, nel giro di una decina di minuti sarebbero tornati a casa. Heiji si guardò intorno per controllare che fosse tutto a posto e, distratto dai suoi pensieri, inciampò in qualcosa finendo a terra, mentre l’altra rideva fragorosamente.
“Ma che cavolo, Kazuha! Proprio qui la dovevi lasciare la cartella?”
“Se almeno guardassi dove cammini..” fece l’altra, abbassandosi per raccogliere ciò che l’amico aveva fatto caderedalla cartella.
“Ci andrai?” chiese lui, raccogliendo un cartoncino quadrato da terra. Era l’invito per il Galà tenuto annualmente dal corpo di polizia.
“Sì, i miei ci vanno ogni anno. Tu?”
“Non credo, il giorno dopo c’è il torneo di kendo e devo allenarmi. E poi quelle feste sono troppo noiose”
“Sei tu quello noioso..” borbottò Kazuha.
“No davvero, non capisco cosa ci trovi di tanto divertente”
“Beh.. c’è chi racconta aneddoti di cose accadute sul posto di lavoro, poi organizzano quei giochi di deduzione! Mio padre mi ha detto che hanno ingaggiato una band,quindi ci sarà la musica! Anche se poi nessuno mi..” si bloccò, come se avesse capito di aver detto qualcosa di troppo.
“Nessuno cosa?” indagò lui.
“Niente, non importa” aveva un sorriso triste stampato in faccia.
“Puoi anche parlare, non ti mangio mica” lei trasse un respiro profondo.
“Dicevo che nessuno mi chiede mai di ballare” disse tutto d’un fiato con il viso in fiamme.
“Hey hai dodici anni, insomma, hai tutto il tempo per trovare qualcuno con cui ballare” lui non la guardava, i suoi occhi erano fissavano un punto indefinito fuori dalla finestra.
“Io non..” lasciò la frase a metà.
“Sai, dovresti essere un po’ più ottimista, Kazuha. Pensi di non trovare qualcuno in grado di sopportarti? Ci sono tante anime pie in giro” questa volta si voltò verso di lei, ammiccando. Lei si sentì avvampare di nuovo.
“Beh, ecco..” balbettò, non le aveva mai parlato in quel modo.
Mantenendo il suo sorrisetto, Heiji tornò alla pianola e suonò l’attacco di una canzone che entrambi conoscevano molto bene, era una di quelle filastrocche che si insegnano all’asilo.
“Facciamo così, siccome ci tieni tanto. Se tra cinque anni nessuno si sarà offerto come vittima sacrificale per ballare con te, lo farò io. D’accordo?”
Cosa gli passava per la testa? Insomma, le avrebbe fatto molto piacere ballare con lui ma non aveva mai pensato sarebbe successo davvero, erano solo buoni amici.
Sicuramente aveva detto quelle cose perché provava pena per lei.

 
Vide il braccio dell’amico allungarsi verso di lei.
“Allora?”
Kazuha increspò le labbra in un sorriso e afferrò la mano di lui con la sua e si alzò dal divano. Un attimo dopo stavano davvero ballando. Il sogno di una vita, eh Kazuha?

***

Conan passò la notte a fissare il soffitto, ogni volta che chiudeva gli occhi, gli si parava davanti lo scenario dell’incidente. Le parole di Sonoko lo avevano colpito dritto al cuore, forse perché aveva detto ciò che lui non era stato capace di ammettere. Ran avrebbe avuto una vita migliore senza di lui, sarebbe stata felice accanto a qualcuno capace di dargli ciò che non aveva mai ottenuto da lui.
C’era una cosa che più di tutte, gli premeva che la ragazza avesse: un futuro. Questo perché, con il senno di poi, nella situazione in cui si trovava era l’ultima cosa che avrebbe potuto prometterle. Ogni giorno la sua copertura diventava più debole e se gli Uomini in Nero lo avessero scoperto, sarebbe stata la fine per tutti coloro che, in un modo o nell’altro, erano entrati con contatto con lui e Ran non meritava una fine del genere, non l’avrebbe permesso.
Quando suonò la sveglia, si alzò a fatica e si trascinò fino al bagno. Lui e Kogoro sarebbero andati in ospedale prima dell’orario delle visite, per aggiornarsi sulle condizioni della ragazza.
Dopo aver fatto colazione scesero le scale e arrivarono in strada, dove li attendeva il taxi che il detective aveva chiamato poco prima.
“Conan-kun!” urlò qualcuno dall’altra parte della strada.
L’interessato alzò lo sguardo e intravide due dei suoi amici agitare le braccia per farsi notare, mentre una figura minuta se ne stava in disparte con le braccia incrociate.
“Ciao!” li salutò appena lo raggiunsero “Dov’è Genta?”
“Sta arrivando, è in ritardo come al solito” sbuffò Mitsuhiko.
“Abbiamo saputo di Ran-oneesan, come sta?” chiese Ayumi. Aveva nuovamente cambiato atteggiamento con lui.
“Moccioso, non ho tempo da perdere. Muoviti, o vado da solo” borbottò Kogoro dalla macchina.
“Il dottore ha detto che sta bene, stiamo andando a trovarla proprio ora, volete venire?”
“Dobbiamo aspettare Genta-kun!” continuò la bambina.
“Allora ci andremo dopo insieme” disse Conan con un sorriso, avrebbe dovuto posticipare la sua chiacchierata con Ran, ma forse era meglio così.
“Ti raggiungiamo più tardi” disse poi a Kogoro, che, sbuffando, avvisò il tassista.

***

Quando l’ultimo dei suoi amici arrivò, il gruppo si avviò verso l’ospedale. Non era così lontano da lì se si percorreva la strada a piedi. C’erano diversi percorsi secondari che avevano usato moltissime volte. Di nuovo, quando Conan entrò, l’odore di disinfettante gli si insinuò nelle narici, facendolo starnutire.
C’erano parecchie persone nella sala d’aspetto, mancava solo Kogoro, che probabilmente si trovava nella stanza di Ran insieme al dottore. Come a confermare i suoi sospetti, l’uomo sbucò dal corridoio accompagnato dalla ex moglie, dicendo che la ragazza stava bene e che dagli esami non erano risultate anomalie. L’avrebbero dimessa nel giro di un paio di giorni.
“Posso andare a salutarla?” chiese il bambino all’avvocato, se l’avesse chiesto al detective gli avrebbe sicuramente urlato contro.
“Credo di sì, ma non portarti i tuoi amici dietro. Si è svegliata da poco ed è meglio evitare di fare troppo rumore. Non si è ancora ripresa del tutto. Loro la potranno vedere più tardi, okay?”
L’altro annuì e si infilò nel corridoio che conduceva alla camera della ragazza, davanti alla quale si fermò per alcuni secondi. Era veramente pronto per fare una cosa del genere? No, assolutamente, e non lo sarebbe mai stato, ma non aveva scelta. Varcò la soglia della stanza d’ospedale per la seconda volta. Il lettino di Ran era coperto dalla solita tenda blu. Fece alcuni passi, quasi sperando che la ragazza non lo sentisse.
“Shinichi?” sentì qualcuno chiedere.
“Come hai capito che ero io?” disse, portando velocemente alle labbra il modulatore di voce, non si aspettava un’accoglienza del genere.
“Ho tirato a indovinare” la sua voce era molto flebile, faticava a parlare.
In realtà non aveva tirato a indovinare, avrebbe sentito la sua presenza anche se si fosse trovata in una stanza piena di gente. Era come se lui emanasse un’aura particolare. Oltre a Shinichi solo un’altra persona le infondeva quello strano senso di sicurezza e protezione, ma in questo caso era qualcuno molto più piccolo e minuto del detective, qualcuno che da un po’ di tempo viveva sotto il suo stesso tetto e che secondo suo padre non sarebbe arrivato in ospedale prima di un’altra mezz’ora.
“Allora, come ti senti?” chiese, sedendosi appena accanto alla tendina.
“Bene, penso”
“Mi dispiace, Ran”
“Non è stata colpa tua”
“Avrei potuto evitarlo”
“Non credo, tutto ciò che succede ha un suo motivo. Doveva andare così”
Rimase in silenzio, colpito dalle parole che l’altra aveva appena pronunciato.
“Ran, devi fare una cosa per me” disse infine.
“Huh?”
“Dimenticami”
“Che stai dicendo?”
“Non sono la persona giusta per te, devi guardare avanti e dimenticarti di me. Odio vederti star male, soprattutto se per colpa mia”
“Perché mi stai dicendo queste cose?”
“Guardati. Sei sul lettino di un ospedale e io sono il responsabile di tutte le tue ferite. Se solo mi fossi attenuto al piano, ora non ci troveremmo qui. Devo starti lontano e tu devi fare lo stesso con me, perché più ti avvicini, più sarai in pericolo. Sono stato un idiota a pensare di poter risolvere tutti i problemi del mondo. Perché è così, ultimamente non faccio altro che causare guai su guai a tutti coloro che mi stanno intorno e ho bisogno di una pausa per concentrarmi e capire come rimediare ai casini che ho combinato. Ran, ti prego, perdonami”
Detto ciò si alzò e si trascinò verso la porta, ma prima che potesse aprirla, fu costretto a bloccarsi.
“Dovresti smetterla di darti la colpa per tutto. Hai fatto per gli altri molto più di quanto loro potessero fare per te, non ti ho mai visto tirarti indietro davanti ad un ostacolo, fin da bambino hai sempre preso posizione contro chi non rispettava le regole. Non hai nessuna colpa e se vuoi che io mi dimentichi di te ci vorrà ben altro che una manciata di parole” 
Lui strinse i pugni. Quanto vorrei che tu avessi ragione.
“Ci vediamo” disse solo, prima di uscire.


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Buonassssera
Ebbene, sono tornata! Non che me ne fossi andata, era per dire.
Anyway.. ci ho messo un secolo per scrivere questo capitolo, più che altro mi sono incasinata sull'ultima scena, ho in mente il momento in cui lui le chiede di dimenticarlo da tipo tre settimane ma non riuscivo a buttar giù qualcosa di sensato e alla fine questo è stato il risultato sob
Ammetto che mi è dispiaciuto farli separare così perchè li adoro insieme, ma non tutte le storie sono a lieto fine, no? Okay forse anche questa lo sarà (io non vi ho detto niente), ma voglio sottolineare il "forse".
Scopriamo un po' di più sull'incidente e sulle condizioni di Ran, anche se dell'autista della macchina che l'ha investita non si sa ancora niente, saprete qualcosa di più nel prossimo capitolo? Chissà.
Passiamo all'altra coppia, Heiji si sta arrovellando per capire cosa caspita prova per la sua amica ma di nuovo non abbiamo una risposta. Ora sapete a cosa si riferiva Kazuha nel flashback dello scorso capitolo e qual era la fantomatica promessa del suo amichetto, direi che l'ha mantenuta, no?
Comunque vi anticipo che nel prossimo capitolo saprete anche a cosa alludeva con quella cosa di cui parlava l'ultima volta, avrei voluto inserirlo qui ma erano già sette pagine di Word quindi uhm
Detto questo boh vi saluto e niente ahah
Gaia

Ps. Ringrazio i recensori dello scorso capitolo:
rosadc: potrei aver stravolto un attimo le tue aspettative, ma spero che tu voglia comunque continuare a leggere la storia;
shinichi e ran amore: credo di aver risposto a tutte le tue domande tranne quella su Alchermes, di cui, come ho già detto, probabilmente si parlerà nel prossimo capitolo;
Kazuha95: la tua recensione mi ha ricordato un'altra cosa, prossimamente si parlerà anche della trasformazione del caro Shinichi!
Cercherò di frenare il mio lato sadico d'ora in poi, ma una storia angst che si rispetti merita un bel po' di suspense, non credi? uhuh

SkyDream: mi hai commossa aww ti chiedo scusa per il semi infarto ma era proprio quello che volevo ahahah
giuggiola5: spero che il capitolo abbia soddisfatto le tue aspettative!
E niente, ringrazio tutti voi di cuore, mi fa davvero piacere leggere quello che pensate della mia storia.
  
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