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Autore: Naima Dahmer    27/04/2014    6 recensioni
«Nessuno mi dice come educare mio figlio, assurdo!»
«Beh, qualcuno deve, dal momento che hai cresciuto un pazzoide!»
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie 'All You Can Write'
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Per la dodicesima volta la giovane donna sprimacciò i cuscini del divano, riponendoli contro lo schienale morbido in modo maniacale, allontanandosi di qualche metro per rimirare l’operato. Margaret Carter-Rogers era sempre stata il tipo di persona ossessionata dall’ordine, quel tipo di persona che riponeva i libri sugli scaffali secondo un criterio preciso: per anno di pubblicazione,  formato ed in ordine alfabetico.
 
Era cresciuta in una famiglia di militari. Suo padre era stato sergente, così come suo nonno, e perfino il suo bisnonno. Aveva seguito la tradizione di famiglia con orgoglio, percorrendo le orme dei suoi predecessori con piacere, diventando prima sergente e poi agente speciale per un ente governativo chiamato S.H.I.E.L.D.
 
Mentre era di istanza in Afghanistan aveva conosciuto colui che in seguito era diventato suo marito, Steven Grant Rogers. Steve era stato il suo capitano, all’epoca, e tra di loro c’era stata attrazione fin dal primo sguardo. Entrambi si erano stimati dal primo momento, inoltre, e si erano spalleggiati sul campo di battaglia, quindi il matrimonio, dopo tre anni di fidanzamento, era sembrato ad entrambi il miglior modo per dare un titolo riconosciuto al loro amore.
 
Peggy, così la chiamavano i più, dopo le nozze  aveva considerato Steve quasi come un trofeo ambito, si era sentita onorata di potergli stare accanto anche nella vita. Inoltre, suo marito, era davvero un ragazzo bellissimo, spesso le donne, quando camminavano insieme per strada, si voltavano a guardarlo, così come gli uomini facevano con lei.
 
Per la sua bellezza e le sue curve morbide, Peggy non aveva avuto vita facile nell’esercito, ma pian piano si era guadagnata il rispetto degli uomini, spesso con calci e pugni, dimostrando a tutti che la bellezza non era il suo unico punto di forza.
 
«Gesù, Peggy, lo hai già fatto mille volte.» Una testa bionda attraversò l’arcata che divideva il salotto dall’ingresso, bloccandosi sulla soglia. Gli occhi acquamarina osservarono la ragazza lisciare la lunga chioma castana – sembrava soddisfatta del proprio operato - prima di incrociare due grandi iridi nocciola.
 
«Dodici.» Precisò la mora, lanciando un’occhiata di sfuggita ai cuscini e sorridendo affabile. «Forse dovrei smetterla, hai ragione, in fondo i genitori di quel  pazzoide non meritano tali cure, hanno cresciuto un figlio così problematico.» Continuò pensierosa, portando entrambe le mani sui fianchi e guardandosi intorno per controllare che tutto fosse in ordine.
 
«E’ un ragazzino, non è carino chiamarlo pazzoide.» Gli ricordò Steve, scuotendo la testa bionda e lisciandosi il cardigan blu scuro sul petto, non avendo nulla di meglio da fare. «Potevamo anche evitare questo incontro, in fondo.»
 
In effetti, il biondo non era molto propenso alle visite, soprattutto in quel momento. Era successo che Peter, il loro bambino appena dodicenne, si era scontrato con un compagno nel cortile della scuola. Il ragazzino in questione lo aveva colpito in viso talmente forte da provocare lievi danni alla dentatura, nulla di così grave – per Steve, ovviamente, perché Peggy non era dello stesso avviso.
 
I genitori del bambino violento non si erano presentati all’incontro con gli insegnanti, declinando per motivi di lavoro, così la mora aveva deciso di chiamarli di persona ed invitarli a casa a discutere dell’accaduto e dei provvedimenti da prendere.
 
Inutile dire che era stato difficile ottenere un appuntamento, infatti era ormai passata più di una settimana e mezza dall’evento ed il piccolo Peter, grazie al bravo dentista di famiglia, sembrava in via di guarigione.  Peggy lo aveva lasciato dai nonni, quel giorno, per evitare che fosse presente quando i genitori dell’altro ragazzino si sarebbero presentati alla porta.
 
«Quel ragazzino ha fracassato la bocca di tuo figlio.»Disse indignata Peggy, scuotendo la testa ed incrociando le braccia al petto. Era stretta in uno dei suoi tailleur color ottanio ed indossava un paio di tacchi vertiginosi che la facevano sembrare molto più alta di quanto in realtà non fosse.
 
«Fracassato mi sembra esagerato.» Sbuffò un esasperato Steve, chiedendosi perché quella fosse così brava ad ingigantire le cose e risultare anche credibile. Quella storia aveva sconvolto più lei che il piccolo Peter, a conti fatti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’ascensore era ampio e dotato di un grande specchio. Una giovane donna bionda non smetteva di rimirarsi, acconciando qualche capello sfuggito alla crocchia e scuotendo la testa in disappunto per le imprecazioni poco fini che suo marito stava lanciando a vuoto.
 
Virgina Potts-Stark, amministratore delegato delle Stark Industries -  una delle più grandi multinazionali d’America, fruttava a lei ed al suo coniuge, Anthony Edward ‘Tony’ Stark, miliardi di dollari all’anno. Il padre di quest’ultimo, Howard Stark, era stato un grande magnate dell’industria bellica, ma con l’avvento di Tony gli interessi delle Stark Industries si erano spostati verso nuovi lidi, dati gli investimenti in energia rinnovabile del nuovo proprietario.
 
«Se tuo figlio non fosse un pazzoide-» Cominciò l’uomo, i capelli scuri perfettamente pettinati all’indietro ed il pizzetto curato.
 
«Nostro figlio.» Lo corresse la bionda, puntando gli occhi chiari in quelli ambrati di suo marito, guardandolo come se avesse detto qualcosa di orribile. «Non chiamarlo pazzoide
 
«E’ quello che è, Pepps. Un pazzoide viziato.» Ribatté il moro, infilando il cellulare di ultima generazione nella tasca della sua giacca chiara, guardandosi allo specchio subito dopo per controllare che fosse tutto in ordine.
 
Pepper – era quello il nomignolo che gli aveva affibbiato suo marito – era ormai annoiata da tutta quella storia. Era stata un’impresa degna di nota convincere Tony ad andare a quell’incontro organizzato  dai genitori del ragazzino che era stato pestato dal loro bambino.
 
In effetti, era un’impresa convincere Tony a fare qualsiasi altra cosa che non avesse programmato lui personalmente, e con piacere.
 
Come nei più banali filmetti di serie B, in passato, Virginia era stata la sua segretaria, quindi aveva imparato a conoscerlo nel più profondo dei modi. In seguito avevano intrapreso una relazione e, senza non pochi problemi, erano arrivati a sposarsi – più per la gravidanza, che per altro, visto che per il povero Stark era stato un trauma dover mettere la testa a posto.
 
Così ecco che si era ritrovata a fare da moglie al più eccentrico e problematico miliardario d’America, spesso quasi si pentiva di aver accettato anche il lavoro come amministratore delegato, perché non era di certo facile gestire Tony Stark e la sua azienda in contemporanea. Entrambe le cose richiedevano molta pazienza, la donna ne stava esaurendo le scorte a poco a poco con il passare degli anni.
 
«Spero che questa cosa finisca in fretta, ho da fare più tardi.» Commentò la persona in questione, uscendo dall’ascensore non appena le porte metalliche si furono aperte.
 
Tony notò subito buon gusto nell’architettura del palazzo, segno che la gente che ci viveva non se la passasse affatto male – certo, nulla confrontato alle sue ville sparse per il mondo – e che probabilmente i genitori di questo ragazzino succube dovevano essere due snob con la puzza sotto il naso – lui non li tollerava affatto.
 
Ci pensò due volte prima di mettere piede fuori all’ascensore, quasi che Pepper dovesse trascinarlo per farlo camminare, e notò subito la porta spalancata alla fine del pianerottolo. Sulla soglia stava una delle donne più belle che avesse mai visto – e lui di belle ragazze ne aveva conosciute – con un’espressione rilassata molto fasulla ed un accenno di sorriso.
 
Si aggiustò la giacca, sfilando gli occhiali da sole ed infilandoli in una tasca a caso, seguendo la figura alta e slanciata di sua moglie fino all’entrata dell’appartamento. Pepper sembrava una gran signora – e lo era, in effetti – stretta in quel tailleur pantalone grigio, mentre ancheggiava sulle sue Louboutain.
 
«Buon pomeriggio. Piacere di conoscerla, io sono Virginia Stark.» Si presentò, quindi, alla bellissima ragazza sulla soglia, altrettanto elegante e raffinata. Si strinsero la mano con sorrisi di circostanza.
 
«Tony Stark.» Si presentò a propria volta l’eccentrico miliardario, mostrando alla mora uno dei suoi sorrisi patinati e stringendole con piacere la mano.
 
«Già.» Commentò quella, con un po’ di sarcasmo, visto che probabilmente non si era aspettata che il ragazzino violento che aveva colpito suo figlio non fosse altri che il figlio di Stark, quel Tony Stark. «La conosco, ho letto qualche articolo su di lei. Io sono Margaret Rogers.»
 
«Rogers? Interessante, un cognome molto diffuso a Brooklyn, ma il suo accento non ha nulla di americano.» Mentre pronunciava quelle parole, sua moglie si voltò a guardarlo con uno sguardo che non prometteva nulla di buono. Si era raccomandata più volte, prima, e l’aveva pregato di non essere inopportuno e sfacciato. Cosa impossibile da chiedere ad un genio, miliardario, playboy, filantropo.
 
«E’ il cognome di mio marito. E sì, sono inglese, mi dispiace deluderla.» Rispose Peggy, facendoli entrare e mantenendo la sua facciata per bene, nonostante dovesse mordersi la lingua più volte per non tirare fuori la sua vena poco chic e garbata.
 
«Nessuno è perfetto.» Commentò Tony, entrando in casa e seguendo sua moglie attraverso l’arcata che conduceva al salotto, guardandosi intorno con interesse, sbirciando qualche titolo nella grande libreria.
 
«Vorrei ben sperare che stesse scherzando. Non amo le battute a sfondo razzista.» Disse piccata la mora, lisciandosi con stizza la giacca del tailleur e raggiungendoli.
 
«Oh, la prego di perdonare mio marito, Signora Rogers, ha una linguaccia biforcuta.»Cercò di glissare Pepper, sperando di uscire viva da quella situazione sgradevole. Da quel poco che aveva potuto capire, la signora Rogers era bacchettona quasi quanto lei, in più sicuramente permalosa ed aggressiva. Il tipo di persona che non ammette ignoranza, per intenderci. «Delizioso il suo tallieur. E’ un Ferragamo, vero?»
 
«Esattamente.» Peggy sembrò visibilmente più rilassata, segno che aveva sorvolato sulla pessima battuta di quello. In fondo non voleva essere del tutto sgarbata con la bionda, l’unica colpa che aveva era di aver scelto un marito come quello ed aver procreato un potenziale serial killer.
 
In quello stesso istante, in sala, fece la sua comparsa Steve con un vassoio contenente tea e pasticcini vari. Sua moglie, da brava inglese, offriva sempre quel tipo di bevanda ai suoi ospiti, ed erano rari i giorni che dimenticava l’ora del tea, perfino sul lavoro cercava di berne sempre un sorso.
 
Tony osservò il nuovo arrivato con stupore, quasi non si fosse aspettato che spuntasse così, all’improvviso. L’altro stava riponendo il vassoio sul tavolino, quindi non gli aveva prestato attenzione, con la conseguenza che non avevano nemmeno potuto scambiare uno sguardo.
 
«Steve, lascia che ti presenti i signori Stark.» Lo coinvolse Peggy, sapendo che fosse sempre un po’ impacciato e scostante quando si trattava di presentazioni.
 
Il biondo si voltò e strinse con il sorriso sulle labbra la mano di Pepper, per poi spostare l’attenzione sul marito della bella ragazza bionda. Restò un attimo imbambolato nell’incrociare quegli occhi d’ambra e si guardò intorno come se fosse spaesato, dopodiché strinse la mano del proprietario di quello sguardo penetrante e sorrise appena.
 
«Steve Rogers, eh. Così è lei quello di Brooklyn?» Domandò con un pizzico di divertimento nella voce, il miliardario, senza mai interrompere il contatto visivo. «Ha un volto familiare. Non è che ci siamo già visti da qualche parte?»
 
«Ne dubito.» Ribatté il biondo, a disagio, ritornando vicino al tavolino. «Tea?»
 
«Volentieri.» Accettò immediatamente l’altro, seguendolo con velocità, sempre con quel ghigno stampato sul volto, come se l’imbarazzo del ragazzo lo divertisse fin troppo. Quindi accettò di buon grado la tazza di tea che il padrone di casa gli porse subito dopo, cercando di incrociare ancora il suo sguardo.
 
«Signora Stark, gradisce del tea?» Domandò Steve, ignorando le occhiate di quello, schiarendosi appena la voce. Portò lo sguardo sulla bionda, aspettando che rifiutasse o accettasse l’offerta, lisciando in modo nervoso il cardigan, prima sull’addome e poi sulle braccia, come se stesse scrollando via della polvere.
 
«No, la ringrazio, sto bene così. E, la prego, mi chiami Pepper, possiamo darci del tu, non crede? Queste formalità sono inutili.» Rispose quella, con il solito sorriso collaudato. Sembrava fosse abituata a trattare con le persone, non di meno era l’amministratore delegato di una delle più grandi multinazionali del pianeta.
 
«Assaggia almeno un pasticcino.» Disse Peggy, prendendo subito confidenza con quella, invitandola con sé a sedersi sul divano in perfetto ordine, così che potessero discutere della vicenda il prima possibile, senza troppo giri di parole.
 
«Purtroppo mangio solo cibi macrobiotici.» Si scusò ancora una volta la bionda, rifiutando per l’ennesima volta l’offerta, accomodandosi compostamente con la borsa poggiata in grembo. «Ma sembrano deliziosi, Tony ne assaggerà sicuramente uno.» Continuò poi, lanciando un’occhiata a suo marito e facendogli cenno di prendere uno dei dolcetti posti ordinatamente sul vassoio.
 
«Senz’altro, prima però dovrei andare a svuotare la vescica.» Replicò il moro, chinandosi per riporre la tazza vuota sul tavolino, evitando di incrociare lo sguardo mortificato di Pepper. Gesù, lei odiava quando parlava in quel modo, in verità non sopportava molte cose di lui, quella era solo una delle tante.
 
«Tony, ti prego.» Mormorò infatti, come a confermare il suo pensiero, portandosi una mano alla fronte, in estremo imbarazzo, e scuotendo la testa.
 
«Steve, saresti così gentile da mostrare il bagno al Signor Stark?» Chiese Peggy, intromettendosi per togliere la bionda dall’imbarazzo, incrociando per un attimo lo sguardo preoccupato di suo marito. Decise di non indagare, in ogni caso, e lasciare che la sua ospite cominciasse ad elencargli i vantaggi del macrobiotico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La porta di legno massello si chiuse con un tonfo, l’eco del rumore sordo rimbombò in tutta la camera da bagno. Dopodiché il silenzio, silenzio assoluto, finché uno dei due non si decise a prendere la parola.
 
«Tu sei fuori di testa!» Esclamò Steve, a quel punto, tra i denti, mentre i capelli quasi gli si rizzavano in testa dalla rabbia. Quando l’altro fece per avvicinarsi, ovviamente, lo spinse via – e con poca delicatezza – per mantenere una sorta di distanza di sicurezza tra i loro corpi. «Venire in casa mia, così, e guardarmi in quel modo di fronte a Peggy! Se è uno scherzo, Cristo, non è divertente.» Sibilò, stringendo i pugni lungo i fianchi.
 
Peggy sapeva, era quello il punto. Peggy aveva intuito che ci fosse qualcosa che non andava nello stesso momento in cui aveva incrociato il suo sguardo preoccupato, perché lei lo conosceva fin troppo bene, riusciva a leggergli dentro tanto da metterlo in soggezione, certe volte.
 
Tony sbuffò, annoiato dalla sua isteria, ed andò ad accomodarsi sul water, tenendolo d’occhio. «Pensi che sia venuto qui di proposito? Ma se neanche mi hai mai detto dove abiti, Rogers.» Sbuffò a quel punto, innervosito, perché tutto si poteva dire di lui, tranne che fosse un rovina famiglie. Certo, più volte lo aveva esortato a parlarne a Peggy, visto che lui a Pepper aveva detto mezza cosa – non precisando che il suo amante fosse un uomo sposato, beninteso.
 
«Non posso restare qui, potrebbero insospettirsi. Torno dalle ragazze, tu fai quel che devi fare e raggiungici. Cerca di mostrarti… indifferente.» Lo liquidò Steve, prima che potesse dire qualsiasi altra cosa, aprendo la porta con uno scatto ed uscendo dal bagno di corsa. Sia mai che sua moglie fosse passata di lì, per caso, e lo avesse scoperto chiuso in una stanza di casa sua con un fastidioso estraneo.
 
Si chiuse la porta alle spalle, prima di ripercorrere il corridoio a ritroso. Credeva alle parole di Tony, doveva essere per forza così, era solo un puro caso che si fossero incontrati in quel modo. Entrambi sapevano che i loro figli frequentassero la stessa scuola, entrambi sapevano quasi tutto dell’altro, dei problemi di coppia, del matrimonio forzato di Tony e della non dichiarata omosessualità di Steve. Insomma, erano confidenti senza dubbio.
 
La loro relazione era nata molto tempo prima , troppo tempo prima, ed ormai erano anni che si vedevano di nascosto, celati al mondo esterno, amandosi in camere di motel ed appartamenti subaffittati. Perché sì, quelli erano gli unici posti in cui i paparazzi non avrebbero cercato Tony, gli unici posti in cui potevano dirsi al sicuro.
 
Il vero problema, però, era l’ostinazione di Steve a rimanere con Peggy. L’altro avrebbe mollato tutto in un secondo, avrebbe divorziato da Pepper in fretta, non gli importava di perdere una fortuna o di farla soffrire, l’unica cosa che aveva a cuore era la propria felicità e quella di Steve.
 
Il biondo, però, non era dello stesso avviso. Non voleva che Peggy soffrisse, non voleva farle un torto, ed ogni volta che stava con l’altro il senso di colpa lo distruggeva. Sapeva di amare solo e soltanto Tony, di non poter cambiare quella cosa, ma voleva un gran bene a sua moglie, si poteva dire fosse la sua migliore amica, era un’ottima compagna, e non poteva lasciarla in quel modo.
 
Poi c’era Peter, il suo adorato bambino. Peter era così piccolo, non sapeva come l’avrebbe presa, non voleva traumatizzarlo, mai nella vita. Quindi teneva duro, era meglio per tutti, anche per il figlio di Tony, che aveva già non pochi problemi a controllare la rabbia.
 
«-- se potessi coltiverei un orto personale, ma il tempo chi ce l’ha.»Probabilmente le due donne stavano ancora parlando di macrobiotico, quando Steve ritornò in sala, infatti quello decise di restare sulla soglia a fissarle, non sapendo come inserirsi nel discorso. Non riusciva a perdonarsi il fatto di aver completamente ignorato le parole di Peggy, sicuramente aveva menzionato il fatto che il cognome del ragazzino che aveva aggredito Peter fosse Stark, ma lui era sempre con la testa altrove.
 
Pepper puntò lo sguardo su di lui, accennando un sorriso. «Spero mio marito non ti abbia messo in soggezione, Steven, delle volte non riesce proprio a darsi una regolata.» Disse, vedendolo piuttosto teso, probabilmente era palese anche a lei ci fosse qualcosa che non andava. Steve non era mai stato il tipo di persona che si lascia scivolare le cose addosso, quello bravo a mentire, altroché, spesso era un libro aperto.
 
Prima che quello potesse ribattere, però, Tony ritornò in salotto con il suo portamento da padrone del mondo, e si avvicinò al tavolino per afferrare un pasticcino ed infilarlo in bocca, fissando Peggy dritto negli occhi come per ricevere la sua approvazione, mentre asciugava le dita su un tovagliolino.
 
«Deliziosi, Peggy, davvero deliziosi, proprio come lei.» Si complimentò, voltandosi a guardare Steve e continuando a sorridere, come se quella situazione lo divertisse da matti. Peggy, invece, era perplessa, non ricordava di aver menzionato il proprio nome, tanto meno il nome con cui si appellavano a lei i suoi amici. «Steve, posso darti del tu? Sono sicuro che ci siamo già visti da qualche parte!» E continuò, quello, imperterrito, puntando un dito contro il ragazzo all’angolo, che si sentiva braccato come un animale in gabbia.
 
«E’ probabile, io e Steve lavoriamo per lo S.H.I.E.L.D.,  so che ha avuto contatti, qualche volta, con la nostra agenzia.» Si intromise la Carter, a quel punto, vedendo il proprio marito in difficoltà, andandogli in aiuto come era solita fare. «Sicuramente avrà conosciuto l’agente Coulson, che si occupa del—beh, del suo settore, per non dilungarci troppo.»
 
«Oh, Phil, ma certo!» Esclamò Pepper, inserendosi nel discorso e riponendo la borsetta all’angolo del divano, mentre accavallava le gambe. «Che persona squisita.» Tony non sembrava d’accordo con quel complimento, infatti inarcò entrambe le sopracciglia ma, come sempre, lasciò correre, perché Pepper era una spina nel fianco, ancora di più quando veniva contraddetta.
 
«Bando alle ciance, comunque, non siamo qui per una visita di cortesia. O sbaglio, Peggy?» Stark calcò il suo nome, facendoselo scivolare sulla lingua come fosse una zolletta di zucchero, puntando le iridi ambrate in quelle della donna, che erano davvero molto simili alle sue –dal momento che si soffermò a guardarle. «Siamo qui per rimediare al danno causato da quel pazzoid—simpatico bambino che abbiamo procreato.»
 
Pepper lanciò un’occhiata infuocata a suo marito e scosse la testa in disappunto, sembrando in procinto di gettargli addosso la borsetta. «Ti ho già detto che non è carino parlare di nostro figlio in questo modo, Tony.» Lo rimproverò, immensamente imbarazzata, non riuscendo però a contenere il proprio sdegno.
 
«Se mi posso permettere-» intervenne Peggy, lanciando un’occhiata ai due coniugi.
 
«Ma certo, dì pure Peggy.» La incalzò Tony.
 
«Vorrei consigliarvi un ottimo neuropsichiatra infantile,  si prenderà di certo cura del vostro Wade.» Disse, quindi, quella, mentre la testa della Potts si voltava di scatto, la donna aveva dipinta in volto un’espressione sorpresa, che presto diventò nervosa.  Infatti di alzò dal divano, lasciando perdere la sua costosa borsetta ed affiancandosi a suo marito.
 
«Scusami, Margaret-» cominciò «, stai per caso implicitamente dicendo che mio figlio è mentalmente disturbato?» Domandò, la voce che si faceva più acuta, mentre cercava il supporto di suo marito.
 
«Oh, Virgina, mi creda, Peggy non intendev-» Steve provò ad arginare la questione, ma fu inutile.
 
«Beh, converrai con me che non è normale il fatto che abbia spaccato la faccia a mio figlio. Non credi?» Anche Peggy si rimise in piedi, per nulla intimorita. «Coprirlo non gioverà di certo alla sua educazione, lo dico da madre, è un consiglio che ti do da madre, in primis.»
 
«Nessuno mi dice come educare mio figlio, assurdo!»Sbottò Pepper, voltandosi a guardare sconvolta Tony, aspettando che dicesse o facesse qualcosa.
 
«Beh, qualcuno deve, dal momento che hai cresciuto un pazzoide!» Anche la voce di Peggy si era alzata, mentre Steve faceva qualche passo avanti e si passava una mano tra i capelli, non avendo idea di come agire per interrompere il litigio che era appena cominciato.
 
«Oh, finalmente qualcuno che parla la mia stessa lingua!» Incalzò soddisfatto Stark, indicando la mora ed annuendo in approvazione, piuttosto che prendere le difese di sua moglie. In fondo, Wade era suo figlio ed era ovvio non potesse venir su psicologicamente stabile, non lo stava offendendo, era solo un dato di fatto. Il bambino aveva dei problemi, ma chi non ne aveva? – Beh, certo, a parte i perfetti coniugi Rogers.
 
«Per l’amor del cielo, state parlando di un ragazzino, non è affatto carino. Virginia, mi creda, sono davvero mortificato.» Si scusò Steve, guardando la donna che aveva il volto livido ed una mano sul petto.
 
«Brutta-» Pepper si morse la lingua, puntando un dito contro Peggy e facendo un passo avanti, minacciosa. «Tu non hai idea con chi stai parlando, io ti faccio causa! Brutta spocchiosa inglese
 
Ovviamente quella rise, trovando le offese davvero poco creative, ed incrociò le braccia sotto al seno. «Non mi pare il caso di prenderla così male, ho solo constatato l’ovvio, con due genitori così come poteva uscirne fuori un bambino sano?»
 
«Bene, visto che è tempo di constatazioni e confessioni, direi che-» Steve capì subito le intenzioni di Tony, e gli afferrò l’avambraccio con forza, puntando gli occhi chiari nei suoi per intimarlo di stare zitto, visto che quello non gli sembrava proprio il momento per rovinare le vite di entrambi. «Gesù, ragazzone,  ‘sta un po’ più attento, alla prossima stretta mi spacchi le ossa.»
 
«E tu sta’ zitto.» Ringhiò quello tra i denti, attirando su di sé l’attenzione di entrambe le donne, che per un attimo dimenticarono il loro litigio.
 
«Sono stanco di stare zitto.» Tony strattonò via il braccio dalla sua presa, e lo guardò male, massaggiandosi il punto in cui le dita di quello lo avevano afferrato. Sbuffò, contrariato, e decise di ignorare la richiesta poco cortese. «Dicevo-»
 
«Tony, ti ho detto-»
 
«Io e Steve siamo amanti da circa—uhm, dieci anni, su per giù.»
 
Silenzio. Nella stanza calò il silenzio, un silenzio così inquietante che quasi quasi Steve fu tentato di uscire di corsa da quella casa per non entrarvi mai più. La bomba era esplosa non lasciando superstiti, era stato tutto così insensato e veloce che non aveva nemmeno potuto fare qualcosa di concreto. Insomma, tutta la situazione era surreale ed assurda, sperava di essere in un incubo, o qualcosa del genere, era tentato di pizzicarsi per vedere se si sarebbe risvegliato nel suo letto.
 
Pepper si avvicinò al divano, mantenendo il suo contegno da Lady ed afferrando la borsetta, guardandosi intorno un po’ spaesata, ma tutto sommato non così sorpresa dalla cosa. Tony le aveva detto che aveva un amante, non gli aveva detto che fosse un uomo, ma ormai con lui non si stupiva più di nulla.
 
Peggy dovette sedersi, invece, e si passò le mani nella folta chioma castana, guardando un punto indefinito del tavolino – la teiera, forse, o il vassoio – cercando di assimilare la frase appena detta da Stark, ripetendola nella sua mente per trovarvi un senso. Non avrebbe mai detto che il rapporto tra lei e Steve fosse perfetto, lavoravano molto, il tempo che trascorrevano insieme  lo passavano con il loro bambino e spesso, di sera, a letto, non avevano nemmeno voglia di sfiorarsi. Un normale matrimonio, come lo avevano descritto molte donne. Ma da lì a scoprire che suo marito, quell’angelo di suo marito, avesse un amante, un amante uomo, da ben dieci anni – due anni dopo la nascita del loro Peter, quindi, era cominciata quella relazione – la destabilizzava totalmente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il borsone beige si schiantò al suolo in un tonfo sordo, mimetizzandosi quasi con il parquet chiaro della stanza lussuosa. Era chiaro ci fosse la mano di una donna, in quell’arredamento sofisticato, minimal ma allo stesso tempo elegante, sembrava che quella stanza fosse appena uscita da una rivista di Interior design. Steve, dal canto suo, sarebbe stato bene anche in una tenda, a dormire su una branda, come era abituato a fare quando era stato d’istanza in zone malfamate del mondo. Quello era fin troppo.
 
«Non era necessario, non dovevi disturbarti.» Disse a Tony, che l’osservava da dietro i vetri scuri dei suoi costosi occhiali da sole e se ne stava in piedi di fronte a lui. In fondo, era stato lui a creare quella situazione, gli doveva sicuramente delle scuse – cosa in cui non era affatto bravo – e quello era l’unico modo che conosceva per porgergliele. Pepper non aveva fatto una piega, in verità, quando lui le aveva detto che avrebbe ospitato Steve nel suo attico, alla Stark Tower. Aveva semplicemente annuito, ed aveva detto che non ci sarebbe stato alcun problema, e che  lei conosceva i propri limiti e sapeva che, a quel punto, non poteva fare nulla per riaverlo indietro – onestamente, nemmeno lo voleva indietro – né avrebbe fatto scenate patetiche. Non poteva competere con Steve.
 
L’unico problema, più che altro, sarebbe stato Wade. Nonostante Tony non ne parlasse molto bene – quella era prerogativa di ogni padre Stark, a quanto pare – gli voleva un gran bene e non sapeva come l’avrebbe presa. Era un ragazzino sveglio, tutto sommato, problematico ma sveglio, e chissà che in seguito non avrebbe fatto amicizia con Steve, che era adorabile, e magari anche con il figlio di quello, che aveva pestato.
 
«Adesso me lo dai un bacio, soldato? O vuoi tenermi il muso a vita?» Domandò quindi quello, sfilando gli occhiali dal viso e portandoli sulla testa, chinandosi poi a cercare le labbra di Steve che, a differenza delle altre volte, si lasciò andare e gli concesse anche un po’ di lingua. Grazie a Dio, pensò, perché lo amava come non aveva mai amato nessuno e non avrebbe sopportato di perderlo.
 
Quindi si accomodò accanto a lui, vendendolo abbattuto, e gli strinse la mano che aveva poggiato sulla coscia, accennando un sorriso. «Che dice Pegs?» Domandò, visto che i giorni prima Steve non lo aveva mai telefonato, lo aveva chiamato solo quella mattina per chiedergli cosa avrebbe dovuto fare e lui lo aveva invitato a stare nel suo attico – Pepper preferiva il loro mega appartamento a Manhattan, per cui, non avrebbero rischiato di incrociarsi.
 
«Non parla molto, stranamente. Mi ha chiesto solo di andarmene per un po’, per rimettere in ordine le idee e spiegare tutto a Peter nel modo più delicato possibile, prima di chiedere il divorzio.» Spiegò Rogers, puntando le iridi acquamarina nelle sue, ambrate, e sospirando appena, perché si sentiva dannatamente in colpa per aver sconvolto la vita di sua moglie e suo figlio.
 
«Divorzio per colpa?»
 
«No, ha detto che non c’è bisogno. La cosa che mi preoccupa è proprio questa. Lei, sai, è sempre stata molto gelosa e possessiva, e questa sua tranquillità mi spaventa, non vorrei le venisse un esaurimento nervoso o cadesse in depressione, non me lo perdonerei mai.» Ed era vero, era la prima volta che Steve la vedeva così pacata, non gli aveva urlato dietro o provato a spararlo, come era successo un paio di volte in passato. Semplicemente se ne stava zitta, quieta, ed accennava sorrisi di circostanza.
 
«E’ una donna fantastica, e forte, vedrai che ha solo bisogno di metabolizzare, in fondo anche Pepps, quando in passato le dissi che avevo un amante, si comportò allo stesso modo. Sanno che quello che c’è tra di noi non è solo sesso, lo hanno capito, hanno solo bisogno di tempo per accettarlo.» Tony si stava comportando da uomo adulto, come non era solito fare, e gli strinse di più le dita per dargli conforto. «Adesso, Capitano, vai a farti un bagno, mentre io mi occupo di soddisfare ogni tuo capriccio ed ordino una bella cenetta.» Dicendo quello, gli lasciò un bacio a stampo e si alzò, uscendo dalla camera.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Peggy lo aveva finalmente chiamato, dopo una lunga settimana priva di contatti alcuni, e Steve era stato subito meglio dopo aver sentito la sua voce. Quella gli aveva spiegato, in breve, che si era messa d’accordo con Pepper e volevano entrambe che lui e Tony andassero a prendere Peter e Wade a scuola, facendoli trascorrere la giornata con loro e spiegandogli ciò che stava succedendo – visto che loro avevano già fatto la loro parte, cercando di dire ai bambini della relazione tra i due.
 
Stark non si era lamentato come suo solito ed aveva accettato, visto che quello gli sembrava un ottimo piano. Così aveva preso la sua Audi A3, quella che considerava l’unica auto formato famiglia che possedeva, e lui e Steve avevano raggiunto la scuola dei ragazzini, caricandoli in macchina e ritornando alla Stark Tower, visto che non era il caso andare in giro, le facce dei due uomini erano su tutti i giornali, non volevano attirare paparazzi più del necessario.
 
Steve si era voltato più volte, quasi con la paura che Wade potesse colpire di nuovo Peter, nonostante non sembrasse un bambino così violento come dimostravano le sue azioni. Stranamente, i due erano tranquilli, non avevano proferito parola ed erano rimasti a guardare fuori dal finestrino. Era successa la stessa cosa in ascensore, e i due padri erano abbastanza impacciati per intraprendere subito una conversazione.
 
«C’è qualcosa che preferisci mangiare, Wade?» Provò a chiedere   Steve, una volta nell’attico, vedendo il ragazzino lasciar ricadere lo zaino in un tonfo ed andando a tuffarsi sul divano, ordinando a Jarvis – l’intelligenza artificiale creata da Tony, che fungeva da maggiordomo – di accendere il televisore. Ovviamente il bambino non gli aveva risposto, gli aveva riservato solo un’occhiata infuocata, storcendo il naso e ritornando a fissare lo schermo.
 
Peter era a disagio, invece, ed aveva riposto educatamente lo zaino in un angolo sotto l’attaccapanni, guardandosi intorno con curiosità, visto che era un bambino molto intelligente ed adorava ogni tipo di tecnologia – ed in segreto anche Tony Stark, che era un sognatore ed un futurista, l’emblema del genio. Infatti, quando lo vide spuntare dalla zona notte – era andato a mettere qualcosa di comodo – si avvicinò subito a lui, un po’ impacciato, e gli porse la sua manina di dodicenne.
 
«E’ un piacere conoscerla, Mr. Stark.» Affermò, sorridendo – era così simile a Steve, in quel momento – e facendosi stringere la mano da quello, che lo fissava piacevolmente colpito.
 
«Piacere mio, Pete. Puoi chiamarmi Tony, gli amici mi chiamano così.» Lo spronò quello, sorridendo contento per il fatto che il bambino non lo odiasse a prescindere, come era sicuro facesse Wade con Steve. In quel momento erano entrambi responsabili del fatto che le loro famiglie si fosse sfasciate e ci voleva una certa maturità per non vedere uno dei due come una cattiva persona o un nemico a tutti gli effetti
 
Lasciò una pacca sulla spalla del ragazzo e gli chiese di seguirlo, accomodandosi sul divano e lasciando che si sedesse, accomodandosi poi tra lui e Wade che se ne stava con la fronte aggrottata a guardare il televisore, e sembrava detestare il mondo intero. Tony lo aveva visto, in quei giorni, e non gli era mai sembrato più arrabbiato di così, segno che, probabilmente, era la presenza di Steve e Peter ad infastidirlo.
 
Rogers era dispiaciuto, decise di non insistere e si mise a preparare il pranzo per tutti, aiutato da Jarvis.
 
«Ehi, scheggia, cosa stai guadando?» Provò a domandare Stark, passano le dita nel ciuffo biondo del suo bambino e scompigliandogli appena i capelli, per attirare la sua attenzione. Quello sbuffò, però non lo scansò, e puntò gli occhi celesti nei suoi – quelli li aveva ereditati da sua madre, così come il colore dei capelli.
 
«Mi pare ovvio, pà, ti sei rincoglionito o cosa?» L’atteggiamento era tutto Stark, invece. L’aria divertita, lo sguardo vispo e la costante voglia di prendere in giro tutto e tutti. «Tutto questo è ridicolo, comunque – mi ricorda tanto quel film di cui non ricordo il nome, con l’attrice dalla bocca gigante.»
 
«Julia Roberts?»
 
«Sì, quella.» Borbottò Wade, che odiava essere corretto, riportando lo sguardo sullo schermo, mentre Peter sorrideva divertito. A scuola, Stark jr. era un chiacchierone, faceva sempre ridere tutti con i suoi discorsi sconclusionati. A Peter piaceva, c’era stato solo il problema del pugno in faccia, tra loro, che quello gli aveva dato per non sfigurare agli occhi di Flash Thompson e gli altri bulli.  
 
«Perché non dici a Steve cosa preferisci mangiare?» Tony aveva tutte le intenzioni di fare in modo che suo figlio facesse amicizia con Rogers, era sicuro gli sarebbe piaciuto un sacco, solo un pazzo avrebbe potuto odiare quello, era l’emblema della pazienza e della dolcezza, quando si ci metteva.
 
«Perché mi sta sulle palle per partito preso.» Confessò Wade, sbuffando ed incrociando le braccia al petto, dopo aver tirato sulla testa il cappuccio della sua felpa rossa e nera.
 
«Non è male, invece. E non lo dico perché è mio padre.» Peter dimostrò di nuovo la sua maturità, parlando al posto di Tony e ricevendo un’occhiata grata da quest’ultimo. «Certo, delle volte è un po’ troppo apprensivo, ma se glielo fai presente smette subito.»
 
Wade portò lo sguardo su quello, osservandolo come se stesse decidendo se dargli una possibilità o meno. In verità si sentiva in colpa per quello che gli aveva fatto, non era bravo a chiedere scusa, proprio come suo padre, quindi non si era mai avvicinato a lui, in classe, per fargli sapere che gli dispiaceva.
 
«Beh,  meglio di questo qui, allora, che se ti tagli per sbaglio un dito, ti dice “non è niente, mettici una medicazione”.» Indicò Tony ed entrambi scoppiarono a ridere sonoramente, facendo ridacchiare anche Steve, intento a rompere un paio di uova in una padella.
 
«Beh, cos’è? Adesso sono io quello che ti sta sulle palle?» Borbottò Stark, facendo il finto offeso ed alzandosi con falsa indignazione dal divano, allontanandosi a testa alta per raggiungere Steve e provare a dargli una mano. «Vi diseredo, tutti e due!» Minacciò poi i ragazzini, parlando come se Peter fosse suo figlio, tanto che Rogers non riuscì a non sorridere e lanciargli un’occhiata carica di sentimento.
 
«Chissenefrega, , io diventerò un ninja da grande.» Wade portò il pugno in aria e strizzò l’occhio in direzione di Tony. «Le Stark Indutries lasciale a lui, è una specie di Einstein, dovresti ascoltarlo parlare mentre siamo in classe.»
 
Peter arrossì appena, prendendolo come un complimento, e sorrise in direzione di Wade, e poi dei genitori. Forse non era tanto grave, forse sarebbe stato bello avere un nuovo fratello ed un papà aggiunto. Le cose sarebbero andate bene, perché Steve e Tony riuscivano sempre a farle andare bene. Non erano partiti con il piede giusto, ma sembrava che da quel momento, la situazione, potesse solo migliorare.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: No, ma… NO. Questo è un momento storico, gente, non scrivevo una storia così verde da non so quanto tempo. In verità questa os doveva essere pubblicata mooolto tempo fa, e non doveva nemmeno andare così, più che altro l’ho terminata per allenarmi un po’, visto che è da tempo immemore che non scrivo da sola, ed ho intenzione di ritornare a farlo regolarmente, dato tutte le idee che mi frullano nella capoccia.
Detto ciò, non so che dire, è venuta fuori così e l’ho tenuta così.
Bacio. <3
 
Ps: La storia è ispirata all’omonimo film di Polanski, Carnage, che è perfetto sopra più livelli. 
   
 
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