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Autore: Justanotherpsycho    28/04/2014    1 recensioni
Può l'orgoglio di un Dio e la sua sete di gloria e potere aizzarlo contro suo Padre? Verrà l'Olimpo scosso dall'ultima e più grande delle Tre Guerre Divine, quella mai narrata?
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LIBRO II - Capitolo 36: Porte e Cancelli «Hai paura?» chiede Ecate, premurosa, a Persefone.
Le labbra raggrinzite e marce stanno risalendo sempre più fino all’angolo di quella sua bellissima bocca, rossa come le rose più belle, cancellando lentamente il luminoso sorriso, ultima stella del mondo infero.
«Sì… tanta…» risponde tremando la fanciulla.
«Ma si può sapere cosa sta succedendo?! – chiede delucidazioni Cerbero – Insomma, è un’immortale, non può morire!»
«Sta zitto, stupido cagnone tricefalo» fa brusca la Signora degli Usci, mentre stringe forte la mano alla Regina.
«Ormai il mio tempo qui è finito… per favore, assicurati che non succeda nulla a mia madre, ma fa che il destino di Ares si compia…»
«Mi dispiace che debba finire così… Ma la porta che stai varcando è troppo sconosciuta persino a me…»
Le guance putrescenti affogano il blu di quei meravigliosi occhi in un oceano di morte e angoscia, i bellissimi e lunghi capelli fluenti abbandonano il capo pallido come petali di rosa alle porte dell’inverno. L’Ade reclama il fiore più bello, afferrandolo in una fredda morsa per le sue radici e trascinandolo in lande senza sole, cancellando il colore dalla sua corolla.
Poi cala il silenzio.
Cerbero fissa la scena, ancora confuso, così come sembrano farlo le innumerevoli teste dell’idra che lo circondano, mentre ancora Sfinge giace al capezzale del fratello, entrambi immobili, e Leone ha ancora la testa conficcata nel pavimento.
«No, hai ragione… non può morire… - inizia lentamente a spiegare Ecate – ma quello che l’attende è peggio della morte… diventerà della morte servitrice, sua sposa e schiava, perderà il senno è diverrà solo i resti in continua putrefazione di quello che era il suo bellissimo corpo… è il modo che ha la Morte di vendicarsi su quanti sfuggano alla sua gelida morsa… Beati voi che un giorno morirete e darete finalmente pace alle vostre membra, e non dovete vivere col terrore di diventare un giorno così…»
Poi, all’improvviso, le membra di Chimera, prima inermi, iniziano a muoversi, scalciare, come nascendo di nuovo da un utero invisibile.
Si fionda dritto, senza dire una parola, e proprio come in un parto, tutti i presenti sono in apprensione, aspettando la prima voce del nascituro, e come questa tarda a farsi sentire, accresce il timore nei presenti.
Ma poi, di nuovo all’improvviso, un urlo squarcia la tensione e Chimera, o Ares per lui, si accascia a terra, tremante dal dolore.
Già, dolore fisico! Il Dio della Guerra! Mai ne aveva fatto esperienza.
Come freddi artigli conficcati in quella nuova carne, calda e pesante come nemmeno l’acciaio più rovente del suo vecchio corpo, gronda insieme al sangue portandosi via con esso l’energia vitale. Il braccio mozzato, il busto passato da parte a parte.
«Alla buon’ora» commenta, cinica, Ecate, ancora dandogli le spalle, ancora riversa sul corpo della fu Persefone.
Tra le lacrime che affollano i suoi occhi, Ares scorge la macchia cremisi che deve essere il moncherino dell’ora suo braccio e incomprensibilmente la sua mente riesce a formulare pensieri mentre assorbe tutto quel gelo: facile fare il Dio della Guerra senza avvertire dolore! Invece Chimera, Chimera come aveva fatto a continuare a combattere nonostante tutto ciò? E tutto per lui poi!
Poi un calore inizia a farsi largo tra il freddo, e moncherino e addome iniziarono a formicolare e vibrare, ma ciò non significava sollievo, tutt’altro: altro dolore, ancora più grande.
«La tua anima immortale sta iniziando a sanare le ferite… però dovrai soffrire e non poco… – spiega la Signora degli Usci – Ma ora non c’è tempo per lamentarsi, la Guerra è ormai ufficialmente iniziata e sospetto che vorrai sfruttare a tuo favore l’elemento rapidità…»
«N-no – la interrompe Ares, rantolando al suolo – v-voglio – ogni sillaba aumenta il dolore – voglio andare giù»
«Giù!?» sussulta Ecate.
«S-si… ho visto… ho visto qualcosa… prima…»
«Ma… ma non sei nelle condizioni…» fa l’anziana, per la prima volta stranamente turbata.
Ma Ares si rimette in piedi, lento, pesante, pianta gli zoccoli sulla fredda pietra. Sputa sangue, mortale. Ma si regge in piedi. Con la zampa sana si preme la ferita sull’addome mentre l’altro braccio, nello spettacolo orripilante della sua guarigione, penzola inerme. Ma avanza, e parla.
«Sono un Dio, vecchia! Il Dio Ribelle! Ho la forza per dichiarare guerra all’Olimpo, non saranno certo un paio di ferite a fermarmi!»
«Chimera! – Sfinge si sveglia dal suo sonno fiondandosi sul corpo del suo fratello – Sei salvo!»
Ma Ares la respinge via con una zampata.
«Non è il momento Sfinge»
Cerbero raggiunge la sorella, rimasta al suolo, fa per spiegarle l’accaduto, ma con un battito d’ali quella è in piedi e, con sguardo corrucciato e terribile, si fionda di nuovo verso Ares.
«Vieni fuori dal corpo di mio fratello, lurido olimpico! Non oltraggiare la sua memoria!»
Ma, senza nemmeno voltarsi, una delle code del corpo di Chimera, nonché piccole copie in miniatura delle teste di Idra, la avvolge bloccandola a mezz’aria.
«Ripeto… non è il momento» poi le spire mortali si stringono intorno al suo corpo leonino.
«Ares! Cosa stai facendo!» tuona Cerbero.
«Anche se fosse… non mi servirebbe più… l’ho solo usata per arrivare a voi altri… non ha alcuna utilità in battaglia… – poi Sfinge perde i sensi e Ares la rigetta a terra – ma non ti preoccupare, l’ho solo messa fuorigioco, ci sarà tempo per farla rinsavire»
Ecate bussa tre volte a terra col piede destro, e subito la pavimentazione prende vita ridisponendosi da solo a formare una porta.
«Spero che tu sappia sceglierti bene gli alleati, Enialo, e che non faccia qualcosa di stupido… io non potrò seguirti laggiù…»
«Non ce ne sarà bisogno» il Dio trascina le sue membra mortali, a fatica, verso il varco appena creato, e vi entra scendendo delle scale aperte nella roccia.
Poco dopo sbuca nell’enorme stanza che aveva visto in forma di spirito, ma non dall’alto, come si aspettava, bensì da un’altra porta aperta nel pavimento.
Non si ferma più di tanto a riflettere sul potere della Signora degli Usci, data la gigantesca struttura che gli si propone alla vista: la stanza, perfettamente quadrata, è più vasta di qualsiasi singola stanza egli abbia mai visto e, probabilmente, occupa tutta la pancia dell’isola retta dall’Ecatonchiro, grande quanto il Palazzo al di sopra di questa.
Ma una delle pareti è sostituita da un enorme Cancello, probabilmente in bronzo, cinto da innumerevoli catene e strisce di carta che recano rune arcane e antichissime, come quelle della forma divina di Ares stesso o incise sulla falce di Thanatos. Dietro il Cancello solo buio, il più denso e impenetrabile mai visto.
Davanti a questa imponente cancellata spunta dal pavimento un busto, lo stesso che aveva trovato sotto al Tempio di Delfi: Gea. Eppure non ricordava di averlo visto quando combatteva contro Ade…
Il Dio si avvicina alla statua che sembra accoglierlo rimanendo immobile, come fosse stata creata proprio per questo.
E, come si aspetta, una voce viene fuori dal nulla:
«Ares… Finalmente hai ripensato alla mia proposta?» la titanessa non sembra confusa da quel suo nuovo corpo.
L’Enialo si immobilizza, cala la testa, il respiro ancora pesante per il dolore che gli proviene da quel corpo alieno.
«La Guerra non è ancora cominciata e già sono stato quasi distrutto… Sono qui, ridotto ad occupare il corpo di un mostro, a chiedere consiglio ai Titani…»
Poi il buio davanti a lui si muove, dagli angoli della parete spunta un bianco accecante che inizia a guadagnare terreno, lasciando al buio una nera e gigantesca pupilla, che, come tale, si sposta su Ares.
«Dio della Guerra – esordisce una voce potente, surclassando quelle dei due interlocutori – Benvenuto ai Cancelli del Tartaro, luogo della nostra eterna prigionia. E bada che eterna rimanga»
«Titano, non vuoi essere di nuovo libero? Dare di nuovo battaglia all’Olimpo?»
«Ma, Olimpico, io non l’ho mai fatto… Credi forse di parlare con Crono o uno dei suoi fratelli? No, io sono molto più antico di loro, sono il Primo Titano, sono loro Padre, Urano»
«U-Urano?» Ares non aveva contemplato la possibilità di trovarsi di fronte un’entità talmente antica che nessun Olimpico l’aveva mai incontrata.
«Mio figlio, compagno di cattività, è troppo schiavo del suo orgoglio per chiedere la libertà, ma così facendo lascia a me l’opportunità di redarguirti, dato che io sono ormai troppo lontano da ogni logica fuori da questo mondo d’oscurità perché possa importarmene qualcosa»
«E allora perché vuoi aiutarmi?»
«Non sto aiutando te, che sei solo una pedina, ma il Destino»
«Io sarei solo una pedina?!»
«Non stare ad ascoltarlo! – interrompe Gea – I Titani hanno la forza per soverchiare il regno di Zeus! Liberali!»
«I Titani sono incontrollabili, Ares, lo sai benissimo. Ma c’è un’altra forza ancestrale, creata solo per distruggere Zeus e l’Olimpo, figlio dell’Odio e del Destino. Il suo nome fa tremare Titani e Dei. Ha già tentato di adempiere al suo ruolo naturale, e ha fallito, ma col tuoi aiuto e quello degli Echidnidi potrebbe farcela: il suo nome è Tifone»
«La prigionia ti ha reso folle, Urano!» erompe Gea, per la prima volta fuori controllo.
«Ma dove posso trovarlo?» chiede Ares, incalzando.
«La sua prigione è l’Etna, e il suo guardiano Efesto che lì ha la sua fucina divina, ti basterà superare quest’ultimo ostacolo e la Guerra sarà vinta»
«Come potevo pensare che tu, stupido Dio della Guerra, potessi essere il nuovo Re degli Dei?» Gea è ormai infuriata, quando Ares getta nuovamente uno sguardo al suo busto, questo è completamente diverso: una nuova espressione, minacciosa, e le braccia protese verso di lui, ma ancora orribilmente immobile.
Tutto intorno la terra comincia a tremare, crepe si aprono sulle pareti di roccia e piccoli detriti iniziano a venire giù dal soffitto.
«Vai e adempi al tuo destino» chiude Urano, prima che una mano afferri il piede di Ares e lo trascini dietro un’altra porta, che si chiude bruscamente.
Il Dio si ritrova in una galleria, abbastanza grande da farci stare Ecate, ma soprattutto Cerbero, che sulla groppa trasporta i corpi inermi del Leone e di Sfinge.
«Come previsto, stavi per farti ammazzare… e ovvio che non hai idea dei rischi che corra un corpo mortale…» lo sgrida la Signora degli Usci mentre, senza perdere tempo, avanza in quella buia galleria, illuminandola con il suo braccio-torcia.
«Spero che tu ora sappia come procedere» fa Cerbero, rinunciando a capire tutto quello che sta succedendo.
«Credo di avere un asso nella manica…» sogghigna quello.
«Ma mio fratello Idra?» chiede l’Echidnide.
«Mi sa che dovrò tornare indietro e creare un portale molto più grande, ma ci vorrà del tempo…» fa Ecate, evidentemente scocciata.
«A proposito – interviene Ares – ma se volessi, potresti creare una porta per il Tartaro?»
Un istante di silenzio.
«Mi dispiace, quello era un Confine già esistente… io posso creare passaggi per ogni punto del mondo, ma temo che il Tartaro non appartenga a questo Mondo…»
 
Sul tetto del Palazzo Thanatos ha risucchiato quasi tutte le anime dei morti, ma ancora Ade non demorde e si fa scudo di quelle rimaste.
«E’ inutile capo, è così che deve andare!» fa Ker.
«No! Sono io il vostro padrone, il Re degli Spiriti!» urla Ade.
Poi decide di fare la sua mossa: invece che tentare di fuggire dalla sua morsa, l’anima del Dio si getta fra tutte le altre fino a raggiungere il corpo del Demone Ancestrale, tuffandovisi dentro.
«Vuoi-vuoi prendere possesso della Morte!? – chiede Ker, sconcertato – Ma… non è così che deve…»
«Non è così che deve andare?» la labbra inesistenti di Thanatos si sono mosse, e ne fuoriesce la voce di Ade.
Silenzio. Le anime dei defunti rimaste si disperdono e il mulinelli di spiriti inghiottiti dal demone cessa all’istante.
«Che strano corpo… disgustoso… ma potente…»
«Tutto questo non finirà bene…» commenta il Demone della Morte Violenta…
«Sì… sono io l’unico padrone del mio destino… Aspetta, ma questo cos’è? – si interrompe Ade, parlando da solo – cosa vuol dire tutto questo… è… è già scritto? E chi sono costoro? Io… io non capisco…»
«Non finirà per niente bene…»
«E’ tutto… E’ tutto uno scherzo – la voce rotta ma quasi felice – Sì, è uno scherzo! Che senso ha! Che senso ha!»
«Gente nata nelle trame del Tempo non dovrebbe vedere la storia da fuori…»
Ade esplode in una grassa risata, rimanendo lì immobile, sul tetto del suo Palazzo, dimentico della sua storia e troppo piccolo per capacitarsi di quella di tutti.






Cantuccio: e con la pazzia di Ade si chiude il libro II. Spero vi sia piaciuto perché ora arriva il terzo e ultimo. In realtà ce ne sarebbe dovuto essere un "II e mezzo" ma ci ho messo 2 anni e più per arrivare a questo punto e direi che è ora di dare una fine a questa storia ;)
  
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