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Autore: Kurapika_Kurata    28/04/2014    1 recensioni
Homer era un omaccione: molto alto, robusto ma non grasso, dalla barba non curata e capelli corti. Aveva gli occhi azzurri che, come gli facevano notare tutti i colleghi, poco si addicevano al suo lavoro. Era il complice di Garrish praticamente da sempre, il primo giro di estorsione l’avevano gestito insieme.
Homer era sposato. Aveva una bimba, Ashley, e un cane da compagnia.
Garrish era divorziato. Aveva una decina di bambini con altrettante donne, e ogni tanto faceva compagnia al cane di Homer.
L’unica compagnia di cui ho bisogno, diceva quando alla base alzavano il gomito, è una donna la sera e una bottiglia di birra di giorno.
Stamane, quando si erano alzati dal letto, si erano affrettati a vestirsi e prepararsi. Dovevano portare a termine un lavoro facile, un lavoro che credevano di finire in velocità e senza intoppi.
Ma un intoppo può capitare anche quando vai sul cesso a cagare, era solito dire Garrish.
A Homer quella frase era sempre piaciuta: la rima era perfetta, sembrava una frase fatta apposta. Realistica.
Oh, così realistica che i due ci stavano sguazzando.
Dentro al cesso.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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IL DETERGENTE DELL’ANIMA
Di Altair94

 

 

Garrish si sporse dalla finestra, mettendo la testa fuori dalla piccola fenditura nel muro solo il minimo necessario per prendere la mira. La scena che vide fuori lo demoralizzò.

Puntò la sua fidata magnum alla testa di uno dei tanti poliziotti che circondavano quella baracca dove lui e Homer erano nascosti. Il piedipiatti era giovane, non poteva avere più di trent’anni. A casa, la moglie e la figlia lo aspettavano, in ansia per la sua incolumità. Il dito indice della sua mano destra accarezzava il grilletto della magnum, provocandola.

Ne valeva la pena?

Forse, ma forse no.

Ormai erano circondati da due ore abbondanti. Non avevano via d’uscita. Magari il colpo di pistola avrebbe messo in allerta i poliziotti; magari accorgendosi che ad un loro collega era saltata via la scatola cranica sarebbero accorsi per cercare di portare un inutile soccorso. Magari avrebbero trascurato la formazione di accerchiamento, dando a lui e Homer una chance di fuga.

Magari.

Le possibilità erano scarse, se non nulle, ma valeva la pena provare.

Di uomini ne aveva fatti fuori più di una ventina, uno in più non avrebbe fatto differenza.

Prese meglio la mira. Posò entrambe le mani al calcio per avere maggiore stabilità e una risposta migliore al rinculo. Piazzò il mirino sulla fronte del malcapitato.

Poi lo fece.

Invece di schiacciare il grilletto della pistola diede uno strattone. Il colpo partì, ma mancò il bersaglio di pochissimo.

Lo sbirro si sentì sfiorato da una palla di fuoco. Capì quello che l’aveva accarezzato lasciandogli una linea rovente e bruciacchiandogli un po’ di capelli. Si gettò a terra, nascondendo il corpo tremante dietro la macchina della polizia, messa di traverso come si fa durante gli accerchiamenti.

- Merda... – mormorò a denti stretti Garrish mentre spostava la sua parte vulnerabile al sicuro, allontanandosi dalla feritoia, sedendosi sul pavimento di legno e appoggiando le spalle alla parete.

- Spari come una nonnina arteriosclerotica – lo prese in giro Homer.

Homer era un omaccione: molto alto, robusto ma non grasso, dalla barba non curata e capelli corti. Aveva gli occhi azzurri che, come gli facevano notare tutti i colleghi, poco si addicevano al suo lavoro. Era il complice di Garrish praticamente da sempre, il primo giro di estorsione l’avevano gestito insieme.

Homer era sposato. Aveva una bimba, Ashley, e un cane da compagnia.

Garrish era divorziato. Aveva una decina di bambini con altrettante donne, e ogni tanto faceva compagnia al cane di Homer.

L’unica compagnia di cui ho bisogno, diceva quando alla base alzavano il gomito, è una donna la sera e una bottiglia di birra di giorno.

Stamane, quando si erano alzati dal letto, si erano affrettati a vestirsi e prepararsi. Dovevano portare a termine un lavoro facile, un lavoro che credevano di finire in velocità e senza intoppi.

Ma un intoppo può capitare anche quando vai sul cesso a cagare, era solito dire Garrish.

A Homer quella frase era sempre piaciuta: la rima era perfetta, sembrava una frase fatta apposta. Realistica.

Oh, così realistica che i due ci stavano sguazzando.

Dentro al cesso.

Homer era impegnato a riscaldare la lama del suo coltello con un accendino quando Garrish aveva sparato. La magnum aveva il silenziatore, quindi sentì solo un leggero sibilo, effimero, ma questo gli fece alzare la testa dalla lama del suo arnese che, man mano che si riscaldava, diventava rossastra. Garrish sorrise debole, mentre con le mani si dava un aiuto e si rimetteva in piedi. Percorse lentamente quel poco spazio che lo separava dall’amico. Mentre camminava si domandò cosa sarebbe successo se non avessero trovato questa casetta in mezzo alla piccola pianura dove la loro macchina si era fermata.

Sicuramente ci avrebbero preso, pensò e immediatamente rabbrividì.

La Florida è uno degli stati americani che non scherza con la pena di morte. Circa una settimana fa il suo compagno di riformatorio, Johnny Deliver, era stato acciuffato dopo aver rubato qualche verdone da mille alla National Bank Of Florida.

Gli promisero un processo equo. Johnny non aveva i soldi nemmeno per comperarsi i vestiti, figuriamoci un avvocato.

Fu processato equamente: lo condannarono all’iniezione letale per un reato dove in altri stati gli avrebbero fatto scontare si e no due anni di prigionia.

Lui e Homer, però, avevano fatto qualche scherzetto in più di rubare qualche biglietto da mille...

- Che, cazzo, facciamo adesso? – sperava che dicendolo a voce alta qualche Dio lo avrebbe illuminato, ma non rispose nessuna Nume: l’unica risposta la ottenne da Homer che lo invitava a osservare il silenzio.

Seduto sull’unica sedia disponibile, Homer aveva finito di scaldare il coltello. Ripose l’accendino nella tasca destra dei suoi jeans e porse il coltello arroventato a Garrish, che indietreggiò un poco

- Toglimi questo dannato proiettile dal braccio – gli disse – Il dolore mi fa impazzire –

Garrish aggrottò le fronte e guardò stupito il suo complice.

- Come dici, scusa? – gli chiese anche se aveva capito perfettamente la richiesta. Homer gli porse nuovamente il coltello, con maggiore foga.

Garrish lo prese e girò intorno alla sedia, credendo che l’amico gli stesse tirando uno scherzo: Homer era solito fare queste cose, anche nelle situazioni delicate.

Vide il foro. Una macchia scura si allargava sulla maglietta nera che indossava.

- Come diavolo hai fatto a guidare, sparare e tutte le altre cose con un proiettile nel braccio? – gli chiese saturo di incredulità.

I poliziotti avevano sparato solo due volte durante tutto l’inseguimento, la prima volta all’uscita del circolo golfistico e la seconda volta quando lui e Homer erano al sicuro dentro l’automobile.

Ma Garrish credeva che i poliziotti avessero sparato in aria, come fanno solitamente per cercare di intimorire i fuggitivi e farli fermare.

Homer non aveva fatto la minima espressione di dolore o di lamento.

Si, l’avevano beccato senza dubbio all’uscita dal circolo, mentre cercava di spingere oltre il limite quel patetico caddy rosa che li stava aiutando a fuggire.

- Che io sia dannato se riesco a scoprirlo – disse Homer e rise, poi con il dito indice della batte leggermente sulla sua spalla, come a voler incitare l’amico a farlo.

Garrish dubitò e stette fermo. Aveva paura di farlo.

- Che aspetti? Che mi va in cancrena? – lo aggredì tagliente Homer.

- Non ho mai estratto un proiettile – rispose Garrish, vergognandosi della propria inettitudine. Homer sapeva sempre cosa fare, quando agire e quando invece aspettare.

Lui invece era solo capace di sparare mancando il bersaglio e di lamentarsi della situazione.

Oh, ovviamente non dimentichiamo l’uccidere la gente a sangue freddo

- Devi solo infilare il coltello nella ferita e tirarlo fuori, non credo sia una cosa molto complicata –

Garrish si fece forza. Deglutì vistosamente prima di infilare il coltello nella parte lesa dell’amico e spingere fuori il corpo estraneo.

 

*********************************************************************************************

 

Erano orami passate quattro ore. Homer aveva fasciato il suo “buco da pezzo di ferro”, come amava chiamarlo, con un pezzo della sua maglietta scura.

Adesso la maglietta lasciava scoperto un bel pezzo della pancia. Si poteva vedere dall’ombelico in giù.

Stava seduto, rigirandosi tra le mani il sottile ma rotondo pezzo di metallo. Era macchiato da una sostanza nera e indelebile che non era altro se non il suo sangue rappreso.

Lo guardava in tutti i modi possibili: lo metteva in controluce, lo guardava di straforo, lo studiava tenendo un occhio chiuso come se dentro quel bozzolo di gelido metallo avrebbe potuto trovare qualcosa. Ogni tanto fischiettava qualche motivetto dei Beatles o degli AC/DC. Tra uno e l’altro se ne inventava uno di sana pianta.

Garrish lo guardava, ricordandosi di suo nonno, che era solito passare le giornata sulla veranda di casa. La pipa in bocca e il cappello di canapa sugli occhi. Homer Sembrava libero da tutte le preoccupazioni. Sembrava del tutto dimentico di essere circondato dagli agenti della polizia statale e del tutto inconsapevole che se gli avessero messo le mani addosso l’avrebbero sbattuto nel braccio della morte e soppresso per omicidio.

Garrish era tornato a sedersi sul pavimento di legno. Febbricitante di paura si guardava intorno, lanciando occhiate di odio alle pareti di marcio legno che lo separavano da una sicura cattura. Venti minuti prima aveva lanciato un urlo isterico che era dovuto al fatto di sentirsi già in galera.

Si. Perché si sentiva già prigioniero in qualche modo

Quella catapecchia era una prigione: differiva da quelle vere e proprie solo per il materiale con cui erano costruite le mura, per il resto era maledettamente simile.

Un solo buco per la luce, la mancanza di spazio nel quale muoversi liberamente.

La sensazione di privazione e condanna aggravava su di lui e pesava come un macigno.

Il turbine delle emozioni in cui era finito lo faceva sudare come un grassone in pieno luglio, mentre fuori era marzo e il termostato segnava 18 gradi al sole.

Poi fu troppo.

Un altro flusso di isterismo lo prese in pieno. Si alzò di scatto, come quando ci si siede per sbaglio su una sedia bagnata. Cominciò al saltare sul posto, facendo scricchiolare allegramente il legno del pavimento. Digrignando i denti come un cane furioso e sbavando, mentre la sua pupilla destra schizzava senza controllo nel suo occhio, in preda ad un tic furioso.

- Che cazzo facciamo! – urlò con disperazione. Homer lo sentì, ma non lo degnò della sua attenzione, continuò a osservare il suo prezioso e inutile proiettile.

I poliziotti, intanto, aspettavano.

Un ora prima avevano parlato, tramite megafono.

Avevano invitato i due rifugiati a venire fuori con le mani in alto e ben visibili. Avevano detto che in quel modo avrebbero salvato la pelle.

Garrish aveva fatto una battuta:

- Finché non riuscite a metterci su una sedia friggi-cercello – aveva commentato sottovoce e con tonalità ironica e Homer aveva riso.

Poi silenzio; due ore di silenzio e calma interrotte solamente dalle crisi di Garrish.

La situazione per lui era diventata insostenibile.

Sbraitò per un bel pezzo; quando si calmò Homer non si era mosso da un millimetro.

- Basta! – annunciò. Prese la sua pistola ed estrasse il caricatore. Era rimasto solo un colpo sui nove totali.

- Merda in tegola! – urlò e infilò nuovamente il caricatore nella magnum, facendolo entrare da sotto il calcio.

- Dammi una tegola e ci cago sopra – disse Homer e rise.

Doveva essere facile sbarazzarsi della vecchia magnaccia, invece qualcosa era andato storto.

Ma un intoppo può capitare anche quando vai sul cesso a cagare

Un passante che attraversa la strada senza guardare, era andato storto.

Homer l’aveva messo sotto involontariamente, era troppo impegnato a vedere quanta distanza avevano dal poliziotto in moto.

In seguito all’incidente le moto erano state sostituite dalle automobili, e quel singolo agente era stato moltiplicato per venti.

Si erano sintonizzati sulla frequenza della polizia. Scoprirono di essere inseguiti per duplice omicidio, omissione si soccorso e un centinaio di violazioni al codice della strada.

- Appena usciamo da questo casino - disse Homer prima di abbandonare la macchina, che aveva esaurito il carburante, per cominciare a fuggire a piedi – l’eliminazione dei personaggi seccanti la facciamo fare ai ragazzi -.

Garrish aveva annuito e aveva aumentato la velocità della sua corsa.

La bella e scattante T-bird di Homer era ridotta male. Gli sbirri avevano allestito un posto di blocco poco dopo l’uscita autostradale. Per evitare di schiantarsi contro loro, Homer era stato costretto ad avvicinarsi al muro fino a toccarlo.

Al contatto, la lamiera dell’auto sfrigolò. Homer era pochi passi dal pianto.

La vernice del lato che aveva sfregato il muro si era completamente staccata, dall’altro era perfettamente integra.

Durante un salto sulla sterrata aveva perso la marmitta a causa di un dosso preso ad andatura troppo elevata, un colpo di proiettile aveva mandato in frantumi il vetro posteriore.

- Quell’automobile è stato il frutto del mio primo furto – aveva detto Homer mentre Garrish si affrettava a chiudere la porta di legno della baracca. Gli scese una lacrima e Garrish si affrettò a consolarlo.

In fondo, Homer era un sentimentalone.

 

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Un’altra ora trascorse lentamente e andò a sommarsi alle quattro precedenti.

Si era quasi fatto buio fuori.

Garrish, dopo aver percorso la distanza della maratona Newyorkese facendo avanti e indietro in uno spazio di cinque metri, era tornato a sedersi.

Homer continuava la sua totale adorazione per il proiettile.

La sanità mentale di Garrish se ne andò a ballare il tip-tap con le gemelle Kessler, lasciandolo sotto il controllo del suo istinto.

Anche lui, come Homer, aveva cominciato a comtemplare un oggetto.

La sua Magnum a cui aveva svitato il silenziatore.

- Il nostro corpo non è nient’altro che un involucro. Un contenitore – disse Homer distogliendo lo sguardo dal sottile e puntuto pezzo di piombo raggrumato di sangue.

Garrish tolse la sicura alla sua pistola. Aveva uno sguardo vacuo e assente.

- Hai ragione – concordò, cominciando a lacrimare.

- E’ solo il contenitore dell’anima. E sai una cosa? – chiese con entusiasmo. Homer scosse la testa al rallentatore mentre squadrava l’amico con gli occhi leggermente umidi.

- L’anima è un po’ come la nostra pelle. E’ sempre la stessa, non la cambiamo, e ce la portiamo dietro fino alla morte – Homer annuì, mentre dai suoi occhi cominciavano a cadere vere lacrime.

- Stavo pensando, ecco, la nostra pelle con il passare del tempo si sporca. L’aria è piena di sostanze che le si appiccicano sopra, il sudore dopo una giornata di lavoro faticosa e molte altre cose che la fanno diventare scura, brutta – Homer annuì nuovamente

- Beh, poi ci laviamo con l’acqua e tutto torna normale – sospirò e cominciò a sentire un lieve bruciore agli occhi. Homer era scosso da leggeri singhiozzi ogni tanto.

- Credo... – disse Garrish sollevandosi, appoggiando meglio la schiena alla parete e portandosi le ginocchia quasi al petto. Con la mano faceva girare la fidata pistola – ...credo che le nostre anime siano diventate nere come la pece. E’ da un bel pezzo di che non le laviamo – Homer annuì.

Ancora una volta.

Non lacrimava più, ma le lacrime versate gli avevano irritato gli occhi. Sembrava che le sue iridi blu nuotassero in un mare di sangue.

- Dovremmo pulirle – Homer scosse violentemente la testa, spaventato, ma Garrish non ci badò, e continuò come se il collega avesse annuito.

- Dobbiamo pulirle! – Gli sovvenne in mente l’immagine del poliziotto che per un pelo non aveva ucciso. Si era esercitato molte volte, ma non riusciva a sparare ancora bene.

Questa volta non sbaglierò. Si disse.

- Sono convinto che l’Anima si lavi con il detergente – Homer era sgomento – Il detergente dell’Anima esce dalle ferite del corpo – disse.

Poi si mosse in fretta.

Con espressione ridente e con occhi vivi e spalancati si portò la canna della pistola alla bocca.

Con i denti la morse.

A Homer ricordò tanto a sua figlia che, dopo aver aspettato il pranzo per tanto tempo, si ci fionda sopra.

Contò fino a tre. Negli ultimi attimi della sua vita vide Homer urlare, piangere e singhiozzare nello stesso tempo.

Alzò la mano sinistra e la aprì in segno di saluto.

Un saluto a quello che era stato da sempre e per sempre il suo unico migliore amico. Homer girò la testa dall’altro lato.

Speriamo che questo lavaggio basti, se resta qualche macchia non posso lavarla nuovamente. Il detergente si consuma in fretta. E il suo costo è elevato.

Premette il grilletto.

L’esplosione fece saltare via buona parte della testa di Garrish.

I poliziotti, come richiamati, si lanciarono sulla casa al rumore dello sparo.

Con un calcio tirarono a terra la porta.

Homer, intanto, lottava con tutte le sue forze. Cercando di non mandarlo giù.

Ma quel bozzolo di metallo, quella pallottola, non ne voleva sapere di rimanergli incastrata nella trachea.


Fine





Nota dell'autore:

Non mettevo piede su questo sito da un bel po' di tempo, un anno, come minimo! Gli studi di Giurisprudenza, tuttavia, mi stanno bruciando il cervello e, quindi, per scaricare la tensione sono tornato a scrivere, quello che più mi piace fare quando non ho una qualsiasi console per videogiochi a portata di mano o gli amici sono impegnati.
Ho trovato questa storia in mezzo a tantissimi altri file, alcuni cominciati ma non finiti, altri impubblicabili per via del contenuto altamente malato e altri ancora molto "fanciulleschi", scritti o abbozzati come minimo alla tenera (si fa per dire :D) età di 15-16 anni.
Dopo un'accurata selezione, tra tutti quelli rimasti, leggere "Il detergente dell'anima" mi ha fatto fermare il cuore per qualche secondo. Come mi ero affezionato a Homer, cavolo! 
Non ho riletto integralmente la storia alla ricerca di errori da correggere per evitare che la mia attuale personalità mi costringesse a cambiare qualche parte e, quindi, a snaturare tutta la storia per come era stata concepita in partenza. Il me del passato non merita una cosa del genere.
Beh, scusatemi se vi ho annoiato fino a qui, voi che avete letto tutta la storia. Lasciatemi un parere, anche cattivo, che non fa mai male. 
Fatemi sapere anche se vi è piaciuta! Ho mente di scrivere ancora su Homer e un vostro sostegno mi sarebbe di sicuro incitamento!
Fine dello sproloquio, buona giornata a voi che avete letto! 
 

   
 
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