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Autore: Gelidha Oleron    28/04/2014    2 recensioni
"Sai, Alison, la gente che viene qui spesso vuole solo essere confortata. Possono essere affetti dalla malattia più grave del mondo, ma ti basterà prendergli una mano e sussurrargli che va tutto bene e loro saranno felici.
Buffa la natura umana, vero? Perennemente in cerca di illusioni, possono tirare a campare anni interi dietro quelle che sembrano promesse di salvezza, nonostante abbiano la morte davanti agli occhi.
Il fatto è che diventano ciechi. Non riescono più a distinguere la realtà. E allora sperano, sperano di guarire anche quando sono spacciati, vorrebbero farcela anche quando hanno già esalato l'ultimo respiro, anche quando ormai gli effetti del disastro nucleare di St. Paul sono ormai intrinsechi nel loro DNA.
Ma sai che ti dico, piccola? Io sono uno di loro. Pur essendo un medico e conoscendo le conseguenze di certi tragici avvenimenti, anch'io spero che un giorno tutte le vittime delle calamità, tutti gli ammalati e i sofferenti, per tutti loro possa esserci un bellissimo e roseo miracolo dei ciliegi"
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chopper, Hiluluk, Kureha, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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L'avevo detto, che ci saremmo risentiti Emoji ma quanti preamboli devo fare su questa storia! D:
Allora: partiamo dal presupposto che sto provando a scriverla dall'anno scorso (!!!), aggiungiamoci pure che il documento a cui mi sono ispirata l'ho avuto quattro anni fa (!!!) e finiamo col dire che pensavo non avrebbe mai visto la luce, data la mia scarsa permanenza su Efp negli ultimi tempi.
Il documento di cui sto parlando è un estratto di "Preghiera per Cernobyl" di Svetlana Aleksievic in cui un testimone diretto della tragedia nucleare dell'86 (Nikolaj Fornir Kalugin) parla in prima persona della sua esperienza (non so se potete trovarlo sul web, ma se ci riuscite vi consiglio vivamente di leggerlo perché dopo quattro anni io ancora non riesco a dimenticarlo).
Volevo scrivere una storia introspettiva su un OC inserendo tutti i medici presenti in One Piece (da Trafalgar Law e Chopper a Hiluluk) e, per fare ciò, mi sono documentata sul disastro nucleare di Cernobyl ma ho deciso di ambientare la vicenda in Inghilterra.
Contemporaneamente, ho preso spunto anche dalla saga di Punk Hazard e dai pasticci che combina Ceasar nel suo laboratorio! Così, tra realtà e finzione (anche per non renderla troppo pesante) spero vi piaccia : )
Ovviamente è un AU, molto diversa dalle cose che sono abituata a scrivere di solito, ma spero ugualmente che possiate apprezzare!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
"Stai vivendo... da uomo qualsiasi. Piccolo.
Come tutti gli altri, vai al lavoro e ritorni dal lavoro. Ricevi una retribuzione media.
Una volta l'anno vai in ferie. Un uomo normale!
E di punto in bianco, un giorno ti trasformi in un uomo di Cernobyl.
In un fenomeno da baraccone! In qualcosa che incuriosisce tutti
e che nessuno sa cosa sia. Tu vorresti essere come tutti, ma non puoi.
Non ti è più possibile. Ti guardano con occhi diversi.
Ti fanno domande: hai avuto paura laggiù?
Hai visto bruciare la centrale? Com'era? Cos'hai visto?
E, in generale, puoi avere dei figli? Tua moglie non t'ha lasciato?
All'inizio siamo diventati dei fenomeni ambulanti... tuttora la parola "cernobyliano"
è come un segnale acustico... si voltano tutti a guardarti... viene da laggiù!"
 
 
(Preghiera per Cernobyl, S. Aleksievic)
 
 
 
 
CARBONIO 14
 
 
 
 
"...e così, la pioggia del 31 agosto si portò via il sole, le risate, il caldo e la spensieratezza tipica delle giornate estive, lasciando spazio alle gocce incessanti, ai sospiri rassegnati e ad un grigiore angoscioso nel cielo che proprio non si addiceva al ridente villaggio della Cornovaglia in cui stiamo per viaggiare..."
 
 
 
Ecco, così sembrerebbe un inizio perfetto, abbastanza tenebroso, il misto giusto di lugubre e sereno: il momento in cui lo scrittore posa la sua penna sul foglio, soddisfatto del suo lavoro, e i suoi lettori sono curiosi di cosa andranno a scoprire; oppure questa semplice e nuda premessa che compare su un grande schermo del cinema e gli spettatori, impazienti, non vedono l'ora che cominci il film e iniziano a sussurarsi a vicenda le proprie aspettative.
Il problema dei massmedia è proprio questo: possono dare agli spettatori una versione "di parte" di ciò che andranno a trasmettere; non sarà mai come se fossero lì di persona a guardare con i propri occhi la Savana dei documentari, non potranno mai provare davvero il significato delle grandi opere letterarie se non attraverso un tramandare passivo che è proprio degli autori, non saranno mai toccati a fondo da ciò che qualcun altro ha visto o ha scritto per loro, non sarà mai paragonabile ad una sana esperienza diretta.
Chi non ha vissuto St. Paul, non può capire di cosa si sta parlando. Non basta documentarsi su internet, non basta leggere gli articoli di giornale per capire la rabbia e la disperazione delle persone che morirono in quell'orribile incidente; non basta nemmeno ascoltare un testimone diretto come, in questo caso, la sottoscritta: per sperare di comprendere una tragedia, bisogna viverla.
È ridicola persino la pretesa di voler letteraturizzare ad ogni costo la sofferenza, di volerne fare uno show, un fenomeno da baraccone, una sorta di "Guardatemi, sono una vittima" agli spettatori incuriositi.
La verità è che nessuno di noi sembrava pensarla in questo modo prima di tutto ciò, nessuno avrebbe mai osato credere che tale catastrofe potesse abbattersi su di noi. Nessuno avrebbe potuto considerarsi neanche lontanamente pronto ad affrontare ciò che stava per succedere...
Molti anni prima che io nascessi, mi raccontavano i miei genitori, quando il nostro piccolo paese viveva ancora di materie prime, agricoltura e allevamento di bestiame, quelle grandi torri che sputavano fumo non c'erano: erano state costruite di recente, con il passare del tempo e del progresso, con l'avanzata dell'industrializzazione, con la corsa alla modernità che, come tutti gli altri luoghi limitrofi, anche l'Inghilterra si era decisa ad intraprendere.
St. Paul era un piccolo villaggio della Cornovaglia che non contava chissà quanti abitanti, chiunque voleva sperare in un futuro migliore, ricco di cultura semmai, avrebbe fatto meglio a trasferirsi a Londra o, comunque sia, in qualche grande metropoli che non fosse il sudovest della Gran Bretagna.
Personalmente, posso dire di essere sempre stata incoraggiata da parenti e amici a fare lo stesso, nonostante io fossi restia ad abbandonare la mia famiglia e il mio luogo natio. D'altra parte, mio padre era un semplice agricoltore e aveva tanto risparmiato durante gli anni per permettermi di frequentare l'università, sogno che non potevo proprio permettermi di fargli a pezzi. Inoltre, studiare era anche una mia ambizione: ero cresciuta con il mito di Londra, con le letture di Shakespeare, di Dickens, di Hardy.
La lettura come mezzo di evasione, come porta dei sogni, come chiave di accesso all'immaginazione, un giorno potevo essere la disperata ed infelice Juliet Capulet e un altro la fantasiosa e schietta Elisabeth Bennet, mi crogiolavo nell'Inghilterra seicentesca e viaggiavo attraverso paesi stranieri che, probabilmente, non avrei mai visitato in vita mia.
Insomma, ero impaziente di partire e non vedevo l'ora di poter immergermi ancora di più in quella che era la mia passione. Fato volle che alla vigilia della mia partenza per Londra, accadde ciò che accadde: mi trovavo in strada con mio padre per sbrigare le ultime commissioni quando, improvvisamente, luci incandescenti apparvero nel cielo, una più abbagliante dell'altra, parevano fuori d'artificio, stelle filanti a cui, tutti i passanti, alzavano gli occhi sorpresi.
"Guarda, papà!" esclamò innocentemente una bambina dietro di noi stringendo le mani dei suoi genitori, come se quelle girandole di stelle enormi che si accendevano e poi si spegnevano fossero l'omaggio finale di una grande festa.
Preannuncio della tragedia, ultimo sospiro felice di un popolo ingenuo, la devastazione, il disastro.
"Alison, cosa..." provò invece a chiedermi confuse spiegazioni mio padre, ma prima che potesse terminare la frase, ecco seguire alle luci una scia di fumo infuocato e dei rumori assordanti simili a vere e proprie esplosioni.
Un vociare spaventato cominciò a levarsi dai presenti, qualcuno iniziò a darsela a gambe.
"Papà, io credo che..." esordii, incerta, notando solo in quel momento che sia le luci che i rumori sembravano provenire dalla centrale nucleare di Punk Hazard "...Ceasar probabilmente starà combinando qualcosa"
Purtroppo, come a conferma delle mie avventate supposizioni, le scintille che avevamo visto poco prima presero a caderci addosso, come lame infuocate, al che tutti gli abitanti di St. Paul scapparono via in preda al panico.
"FUGGITE!" tuonavano "PERICOLO MORTALE! PERICOLO MORTALE!"
"Ma cosa succede?" chiedevano le donne, prendendo in braccio i bambini in lacrime e correndo senza meta "Qualcuno si degna di spiegarci cosa diavolo sta succedendo?"
Terrorizzata, cercai di portare mio padre al riparo prima che una di quelle scintille ci colpisse, ma eravamo entrambi troppo confusi per dire qualcosa.
Ci coprimmo al di sotto di un capannone inferriato che poteva ospitare una decina di persone impaurite, tutte a domandarsi istericamente se qualcuno ne sapeva più dell'altro, e ci restammo per una mezz'ora buona.
Avrei voluto tranquillizzare mio padre, ma non riuscivo a non stare in silenzio: ero silenziosa perché, pur avendo un piccolo sentore di ciò che probabilmente stava accadendo, non ne avevo del tutto la certezza, e allora mi tormentavo i pensieri, facevo congetture, mi mordevo il labbro inferiore, il tutto condito con una massiccia dose di puro terrore.
La pioggia di scintille bianche infernali... chi potrà mai più dimenticarla... le lame fattesi sempre più fitte, le urla, la follia, il fuoco adesso, i rumori dell'esplosione, il fuoco sul riparo, il fuoco su di noi, mio padre brucia, il sangue nei miei occhi, la morte, la morte, solo la morte, la morte e il buio, il buio e la morte.
"Mamma..." un sospiro dimenticato.
Cercai di far riprendere mio padre, ma con scarsi risultati e allora presi a piangere, in preda alla disperazione, confusa sul da farsi e nel bel mezzo della folla spaventata più di me.
Provai ad uscire fuori dal riparo, avrei voluto correre da mia madre, ma lì fuori era peggio che dentro: allora mi tormentai, le mani nei capelli, le dita sporche di sangue, la consapevolezza di una vera e propria catastrofe che mano a mano cominciava a farsi spazio nell'immaginazione di tutti i presenti.
La pioggia divenne più fitta e violenta e allora l'aria fu irrespirabile, priva di ossigeno, soffocante e deleteria. Molte persone caddero a terra prive di sensi e tra queste anch'io, incapace di muovere un dito, immobilizzata, inerme.
E intanto l'agitazione e il sonno perenne, la confusione generale e la paura regnante mi fecero sprofondare nell'abisso più profondo, facendomi credere di essere morta.
Tremendi i sogni durante l'agonia, sognai i miei genitori che si allontanavano da me come immersi in un buco nero, un ponte che da St. Paul mi collegava a Londra spezzato in due e irrimediabilmente in fiamme.
Nell'inferno, le mie membra contorcersi, la mia voce fuori di me urlare, ma tutto veniva da un altro mondo, non apparteneva al presente, era come ovattato e dimenticato nel tempo...
"Signorina, si calmi..."
I libri che speravo di studiare al rogo, le aspirazioni bruciate, vaporizzate, attorniate da una nube tossica che mi era ormai entrata dentro e mi dilaniava l'anima...
"Si rilassi, stia tranquilla..."
Le fiamme e i loro volti, le scintille e il disastro, la morte, l'esplosione, la tragedia, il sudore...
"CEASAR!" urlai alzandomi di scatto e aprendo gli occhi violentemente.
Seguì un attimo di incessante silenzio in cui mi accorsi di essere di fronte ad un perfetto sconosciuto, un diavolo magari, che pesava con gli occhi ogni mio ansante e disperato respiro.
Silenzio. Aria. Affanno. Un nuovo luogo. Passare del tempo. Come se mi svegliassi nel bel mezzo della mia agonia.
L'uomo che mi guardava sembrava un angelo della morte senza ali nere: i suoi occhi erano profondi e grigi, i suoi capelli corvini e la sua espressione di indecifrabile professionalità.
Lo trovai immediatamente bellissimo. Di una bellezza decadente, di una bellezza maledetta ma salvifica.
Non so per quale strano motivo per me allora incomprensibile, ma non appena lo vidi mi sentii subito al sicuro e, dopo aver smesso di agitarmi, chiusi gli occhi e mi addormentai beatamente con quest'infusione di serenità. ©
 
 

 
Dunque, il nome "St. Paul" è chiaramente inventato, non mi andava di scegliere una località reale.
Mi sono molto informata anche sul Carbonio 14 e, dai pochi rudimenti di chimica che mi restano, so per certo che è un elemento radiattivo xD anche se non sono sicura fino in fondo che sia usato nelle centrali nucleari (più che altro è utilizzato per la datazione dei fossili), però in questo caso vi chiedo di lavorare un po' di fantasia: non studiando più chimica, non sono molto ferrata sull'argomento e dalle ricerche che ho potuto fare su internet ho trovato che nelle nubi tossiche sprigionate dalle centrali nucleari tra gli elementi più abbondanti ci sono il Cesio 137, lo Stronzio 90 e lo Iodio 129.
Tuttavia, ho deciso d'inserire il Carbonio 14 e d'intitolare la storia in questo modo proprio perché è uno dei pochi elementi che conosco meglio ma, nonostante ciò, lo userò in modo "fantasioso", cioè inventerò deliberatamente i suoi effetti (ve lo dico in anticipo così se c'è qualche studente/essa di chimica chiedo venia e, per favore, non bacchettatemi T_T).
Anche il processo vero e proprio di "esplosione" della centrale nucleare è molto romanzato: in verità, gli abitanti di Cernobyl dovettero aspettare un paio di giorni prima che fosse loro comunicata la natura dell'incidente e fossero evacuati, mentre qui io ho scritto tutto di fretta e furia come l'eruzione di un vulcano (!).
Spero che il tutto non risulti troppo "pesante" ma nemmeno trattato con troppa leggerezza! Fatemi sapere cosa ne pensate Emoji 
 
  
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