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Autore: Elizabeth_Keats    21/07/2008    3 recensioni
La vera storia di cosa successe alla Compagnia dell'Anello e ai suoi derivati... Premettendo che non tutto il merito va ai soliti noti, soprattutto quando c'è di mezzo un orsachiotto che darà del filo da torcere ai nostri eroi... P.S.:sentitissime scuse alla memoria del grande John Ronald Reuel Tolkien; che non si offenda troppo per la storpiatura della sua illustrissima opera. P.P.S:sono gratite le recensioni
Genere: Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Il Signore degli Orsetti

 

 

 

 

1.  Come tutto ebbe inizio (ovvero: la sfiga non viene mai sola)

 

 

Buck non era affatto un orsetto come tutti gli altri, come si potrebbe invece pensare. Nossignore! Non passava le giornate seduto immobile su una mensola, a contemplare la parete di fronte stando in mezzo alla bambola Dolly e all’anonimo soldatino. Non si faceva strapazzare così facilmente da un qualunque marmocchio che passasse di lì, né usava prendere il tè con gli altri giocattoli, che essi fossero pupazzi, bambole, soldatini o qualcuno di quegli stupidi giochi a molla. No, decisamente… Dovete infatti sapere che Buck era un orsetto speciale, magico oserei dire. Non sto dicendo che fosse sotto uno di quegli incantesimi del tipo “sei condannato a rimanere un orsacchiotto per l’eternità! Solo di notte potrai rivelare la tua vera essenza di bambino buono”. Per l’amor del cielo! Nessun maleficio, come a volte veniva quasi spontaneo pensare, faceva sì che le sue gambe e le sue braccia si muovessero come quelle di un umano, né gli faceva articolare parole a cui si potesse attribuire un senso logico, né lo faceva pensare, dubitare, sognare e tutto il resto. La causa della sua “anormalità” doveva essere, infatti, ricercata nella catena di montaggio dei folletti di Babbo Natale, che, evidentemente, avevano montato qualche rotella di traverso, che però era bastata a catapultare Buck in quello che i vecchi barbuti chiamano “il mondo psichico dell’essere umano”. In altre parole, Buck era uguale in tutto e per tutto a un qualunque sfortunato individuo come noi, con la sola differenza dell’apparire come un innocuo orsacchiotto giocattolo. Ma nessuno, a parte noi lettori, conosceva il suo segreto, nemmeno il suo padrone, che incontreremo tra poco, e così a Buck bastava starsene immobile sul divano o sul letto per schivare tutte le evenienze della vita, passando per un oggetto senz’anima.

Ma un’anima, Buck, ce l’aveva eccome. Be’, non si può dire che fosse altruista, coraggioso, intelligente, sensibile, dotato del senso del dovere, forte, di buon temperamento e… si potrebbe andare avanti all’infinito elencando tutto quello che non era. Diciamo solo che non… straripava di virtù, sì, ecco. Dall’altra parte, era invece cinico, sempre e comunque, scansafatiche, vigliacco, egocentrico, scavezzacollo, che preferisce l’ingozzarsi al porsi le domande basilari dell’esistenza umana. Chi siamo? Dove andiamo? Da dove veniamo? Be’, lui la risposta a questi quesiti ce l’aveva già, e da un bel pezzo, anche. Perciò, si chiedeva, perché lui, piccolo esserino dalla mentalità limitata, c’era arrivato e tutto il resto del mondo no? Era una domanda troppo impegnativa, questa. Tornando alle tre domande fondamentali, be’, lui era Buck, o almeno tutti lo conoscevano così, anche se avrebbe di certo preferito un nome altisonante… che so, Alessandro Magno, Lorenzo il Magnifico, Ciro il Grande e via dicendo. Ma purtroppo era solo una manciata di quattro stupide lettere messe assieme per puro caso, che però avevano tanta voglia di divertirsi, far baldoria, rimuginare sull’hakuna-matata, ascoltare tanta musica rock e leggere decine e decine di fumetti osceni, che però lui teneva in altissima considerazione, neanche si trattasse dell’Iliade di Omero. Li classificava, infatti, come supremi esempi di vita. D’altronde, chi va con lo zoppo impara a zoppicare, no? Non sapeva perfettamente da dove veniva, forse da qualche parte su su, vicino al Polo Nord, dove un vecchio pazzo senza pensione cantava Jingle Bells anche ad agosto. Per il resto, non andava da nessuna parte, anche perché se ne stava più che comodo lì stravaccato sul divano-letto di una piccola hobbit casa della Contea, in quella che chiamano la Terra di Mezzo. Sì, perché quella era la sua casa praticamente da… sempre, e perciò non aveva la benché minima intenzione di scollare il posteriore da tutte quelle comodità, in particolare dalla poltrona in pelle con funzione doppio relax che al momento sostava davanti a un caldo caminetto. Però, forse, va precisata una cosa o due: infatti, Buck diceva di vivere lì, a Hobbiville, da quando il mondo era stato creato, ma in realtà ci stava soltanto da quando il suo padrone aveva deciso di venire ad abitare in quel piccolo paesino hobbit, a casa di un suo caro zio. Tutti quanti gli Hobbit erano delle personcine veramente gradevoli, benché somigliassero molto, ma non nella statura (assai inferiore), a quei perenni malintenzionati degli umani. Però, si diceva Buck, a parte la gentilezza, gli Hobbit, quando ci si mettono, riescono a romperti le balle come nessun altro. Lo sapeva bene lui, che ci aveva a che fare con quelli ogni santo giorno! Sì, perché anche il suo padrone, come si è potuto intendere, era un Hobbit, e di nome faceva Frodo, Frodo Baggins.

Si trattava di uno scapolo che aveva abbandonato l’età dell’innocenza già da un pezzo, e che viveva lì a Hobbiville con lo zio, Bilbo, da quando, ancora ragazzo, aveva abbandonato l’ala protettrice degli altri suoi parenti, in quella sottospecie di casermone di Villa Brandy, dove tutti si ubriacavano da mane a sera. Per quanto poteva ricordare Buck, le loro vite si erano incrociate a partire dal quinto compleanno di Frodo, durante il quale l’orsetto, che doveva essere il regalo del piccolo Hobbit, era stato murato dentro la torta di compleanno, una sottospecie di ziqqurat di fichi e mele con su almeno due spanne di glassa alla fragola. Da quel momento Buck era diventato l’amico più intimo di Frodo, fungendo da silente confessore dei segreti più imbarazzanti dell’Hobbit. E che due stivali e stivaletti dei pensieri del suo padrone! Per un’ora al giorno, la sera prima di addormentarsi, Buck era sottoposto al flusso ininterrotto dei pensieri contorti di Frodo, che sviscerava anima e corpo pur di trovare qualche dubbio da sottoporre allo sguardo statico e silenzioso del suo compagno di pezza.  E per fortuna Buck, in quanto semplice orsetto, non era tenuto a rispondere a tutti quei domandoni di un povero scapolo ultratrentenne, con un diploma conquistato per caso alla scuola professionale e che non era ancora riuscito a trovare il suo posto nella vita, come non era mai arrivato a cuocere un uovo senza trasformare il pavimento della cucina in una specie di distesa ricoperta di bava di lumaca. Però, anche se ogni sera doveva sorbirsi i suoi sproloqui, a volte gli faceva così pena quell’Hobbit! E poi, se continuava a recitare la parte di un qualunque orsetto indifeso, poteva usufruire di tantissimi confort e rubacchiare qua e là tutti i biscotti al cioccolato che voleva… quando Bilbo non guardava, s’intende.

Perciò, anche quella sera, come tutte le altre, Frodo, da buon adulto vaccinato che però ama ancora stringersi al petto un animale sintetico come Buck (accidenti a lui e ai suoi abbracci!, pensava l’orsetto; una volta o l’altra ci sarebbe rimasto asfissiato!), si mise a raccontare la sua giornata, che non si sapeva bene cosa dovesse avere di speciale. Invece, Buck si sbagliava grandemente, poiché, sì, proprio quella sera e quel dialogo avrebbero cambiato per sempre la sua vita. Se ne stava come sempre tra le braccia di Frodo, infilato a dovere sotto le coperte e con i piedi riscaldati da una soffice trapunta patchwork, mentre zio Bilbo aveva da poco spento la luce. Frodo, come da copione, iniziò nel buio a raccontare dal principio la sua giornata che, stando all’introduzione, doveva aver riservato notevoli sorprese al piccolo Hobbit. Buck, con le coperte che gli sfioravano il naso, se ne stava immobile, fermissimo, tanto da parere davvero un semplice pupazzo di pezza inanimato: in lunghi anni di esperienza era ormai diventato un esperto in questo. Per il resto, una parte del suo cervello ascoltava distrattamente le parole concitate di Frodo, che fremeva nel narrare ogni singolo particolare, mentre l’altra, la parte più grande, era concentrata sull’elaborazione di una teoria che avrebbe potuto cambiare il mondo: il tizio di quella soap-opera che aveva visto quel pomeriggio in tv alla fine avrebbe scoperto che la ragazza della porta accanto andava a passeggio con il fattorino? Mah…

«Sai, Buck, credo che presto dovrò prendere una decisione importante, dopo tutto quello che mi ha rivelato Gandalf…» disse Frodo, con fare melanconico e stringendo ancor di più Buck al suo petto.

L’orsetto fu per un attimo sottratto alle sue riflessioni “filosofiche” dall’entrata in scena di Gandalf, il mago pazzo del villaggio. Eh, sì, proprio lui, Gandalf, il buon vecchio Gandalf! Perché continuasse a frequentare la Gente Piccola, lui che era uno della Gente Alta, tutti se lo chiedevano a Hobbiville. In particolare, pareva nutrire un rapporto di calda amicizia verso i Baggins, gente rispettabile da secoli. E anche Buck, come tutti gli altri, se lo ricordava bene, eccome! Come poteva dimenticare quella volta in cui il vecchio mago aveva voluto dar prova dei suoi straordinari poteri, facendo resuscitare un coniglietto appena sbranato da un lupo che passava per caso di lì? E ci era pure riuscito, sì. Il lupo aveva vomitato fino all’ultimo ossicino del coniglio, restituendolo così al mondo, quando aveva visto Gandalf esibirsi in una strana danza indiana completo di costume tradizionale: paglietta in testa, pareo con lustrini, occhiali da sole stile John Lennon e assolutamente e sfortunatamente al naturale. Oppure di quella volta in cui aveva inculcato nelle menti di tutti loro la ricerca del proprio “io” nascosto, che li aveva portati a un lungo peregrinare… e proprio perché siamo in mezzo a persone civili è meglio non dire dove arrivarono alla fine.

Mentre pensava al vecchio barbagrigia, Buck si ritrovò a domandarsi, per la prima e ultima volta nella sua vita, perché il suo padrone ostentasse un’espressione decisamente più tirata e preoccupata del solito, quando gli rivelava i suoi piccoli crucci quotidiani.

«Ah, Buck, non te l’ho detto! La cosa più importante della giornata non te l’ho ancora raccontata! Ma dopotutto sono così tante le cose di cui vorrei parlarti!» esclamò Frodo, e stampò un grosso bacio sulla fronte del povero orsetto.

Buck trattenne a stento un rigurgito.

«Come ben sai, mio caro Buck, oggi è il compleanno di zio Bilbo. E lo zio, sai, ha deciso di concedersi una vacanza. Dice che partirà domani mattina per Gran Burrone, e inoltre mi ha dato una cosa molto speciale. Guarda…».

Così dicendo, Frodo si tolse dal collo una catena dorata, che a Buck risultava completamente nuova, e la fece oscillare davanti al suo muso. Solo allora l’orsetto si accorse che vi era appeso un bellissimo anello d’oro, che, pensò, a occhio e croce doveva valere un bel po’ di verdoni. Chissà quanti biscotti al cioccolato avrebbe potuto comprare con il ricavato della vendita di quel ninnolo!

«Stai bene attento, perché questo non è un anello come tutti gli altri. Nossignore! Come mi ha spiegato Gandalf, questo è l’Anello, l’unico e autentico Anello del malvagio Sauron».

Così Frodo iniziò a raccontare a Buck la storia di quell’incredibile manufatto, rifacendosi a ciò che Gandalf gli aveva spiegato aiutandosi con un teatrino e alcuni gnomi da giardino. Man mano che il suo padrone cianciava e cianciava ancora, Buck vedeva il valore dell’Anello salire, salire fino alle stelle e nei suoi occhi già si delineava il simbolo luminoso del dio Denaro. Non gli importava granché che quell’oggetto dorato fosse frutto di un potere malvagio, creato solamente per dominare ogni creatura della Terra di Mezzo, dai Nani agli Elfi, dagli Hobbit agli Uomini e consegnare il potere assoluto e irreversibile nelle mani del più diabolico e crudele aspirante tiranno che fosse mai comparso sulla faccia della terra. Per il guadagno, la coscienza scroccona dell’orsetto poteva passare anche sul fatto che quell’Anello poteva rivoltarsi al suo possessore e farlo diventare una specie di umanoide. Invece, il fatto che fosse in grado di rendere invisibile chi lo indossa, giocava a vantaggio del prezzo, che saliva, saliva e saliva ancora. Centomila biscotti al cioccolato, anzi no, un milione, no, no, tre miliardi… una caverna hobbit strapiena di biscotti fino a scoppiare! Ma un problema si delineava all’orizzonte…

« …e proprio per questo devo mettermi in viaggio e andare fino al Monte Fato, a Mordor, la terra di Sauron, per distruggere l’Anello, poiché può essere eliminato solo nel luogo in cui è stato forgiato, ha detto Gandalf. E così, Buck, solo così riusciremo a salvare la Terra di Mezzo da un grande male» disse Frodo e tutte le speranze di guadagno che la mente di pezza di Buck aveva sfornato andarono in fumo, spargendo nel suo animo la stessa delusione dell’arrivo della bolletta del telefono.

In quel istante, in quel preciso secondo, avrebbe dato qualsiasi cosa per poter urlare qualche invettiva in faccia al suo padrone, con l’alito che puzzava ancora di bruschetta all’aglio, oppure per rompergli in testa quel prezioso vaso cinese nell’angolo, che però Frodo, da idiota qual era, adoperava come vaso da notte. Il tutto riuscendo a fregarsene altamente delle conseguenze. Però tutto ciò non gli era concesso, e quindi dovette, come sempre, subire in silenzio.

«Quindi, Buck, mi metterò in viaggio appena possibile, dato che Sauron sta cercando il suo Anello, e potrebbe essere ormai vicino, forse troppo, a noi. Finalmente la famiglia Baggins potrà annoverare un altro eroe in famiglia, secondo solo a Bilbo s’intende, dopo quel suo incidente con il drago… Ma il percorso è molto pericoloso, Buck, e già dubito delle mie capacità. Oh, chi sono io per pretendere di elevarmi a salvatore della Terra di Mezzo? Sicuramente ci sono un sacco di persone più in gamba di me, degli eroi in grado di compiere gesta gloriose che saranno ricordate per l’eternità. Io non sono un eroe, no… però il destino ha scelto me e quindi andrò fino in fondo!».

E bravo ragazzo!, pensò Buck trattenendo uno sbadiglio. Finalmente hai trovato sul tuo dizionario una parola importante: autostima! Anche se a lui, l’orsetto più genovese del mondo, ancora non andava giù il fatto di dover rinunciare ad ingozzarsi di biscotti al cioccolato fino a vomitare. E per cosa, poi? Ah, sì, per la salvezza della Terra di Mezzo, bell’affare!

«Però, Buck, non ti devi preoccupare per me…» disse Frodo, con una nota affettuosa nella voce.

A quel punto l’orsetto non vedeva l’ora che tutta questa storia finisse. Aveva un urgente bisogno di andare al gabinetto, lui!

«È vero, ci sono molti pericoli sul mio lungo percorso. Il Signore Oscuro, l’Occhio Che Tutto Vede, sta cercando il suo Anello, ed è ansioso di rimpossessarsi del potere, e perciò avrà dato ordine ai suoi malvagi servi di cercarci… Gandalf ha detto che i suoi servitori più temibili sono i Nazculi. Non ha avuto il tempo di spiegarmi esattamente cosa sono, comunque girano con l’aspetto di Cavalieri Neri, dai quali c’è da guardarsi eccome. Gandalf, purtroppo, è dovuto ripartire in fretta e furia, poiché aveva degli affari urgenti da sbrigare, e ha detto che ci rincontreremo a Brea».

Problemi con la banca, commentò Buck mentalmente. Non esisteva garbuglio nel quale prima o poi il vecchio mago non fosse caduto: truffa di sigarette, raggiro di vecchiette con la scusa di raccogliere assegni e carte di credito per l’otto per mille, spaccio di tartarughe carnivore brasiliane, tentato omicidio di Babbo Natale durate un periodo di depressione (Gandalf affermava che il buon vecchio voleva rubargli il lavoro), falsificazione di buoni sconto per il supermercato Sganci-Tu-Magno-Io, eccetera eccetera.

«Comunque, non ho intenzione di partire da solo, Buck. Sam, Merry e Pipino si sono offerti di accompagnarmi» aggiunse Frodo.

E no! Proprio con i tre idioti del villaggio no! Erano perfino più stupidi di Frodo, e per fare ciò bisogna sforzarsi non poco, senza contare che, messi insieme, assomigliavano più a una banda di tacchini appena uscita da un cocktail party a Saint Tropez. Anzi, i tacchini sono troppo intelligenti per subire un tale affronto nell’essere paragonati a quei tre Hobbit, naturalmente amici di Frodo, che tutto il santo giorno ronzavano in giro a rompere le palle perfino ai morti. No, quella era proprio un brutta compagnia con cui partire, e per di più per un viaggio così pericoloso!

Ma cosa diavolo gliene importava a lui?, si disse Buck alla fine, cominciando a sentire i crampi alla schiena a forza di stare lì fermo come uno stoccafisso. Tanto lui, quel povero orsetto di pezza, era destinato a rimanere lì a Hobbiville, nella sua confortevole casetta hobbit. E, finalmente, avrebbe potuto usufruire di tutto ciò che si trovava lì dentro senza avere l’acqua alla gola dal timore che, improvvisamente, qualcuno avrebbe potuto sorprenderlo a rovistare nella cassaforte di Bilbo e, cosa ancora più grave, scoprire la sua vera natura di orsetto magico e vivente. Ma, se tutti se ne andavano da casa Baggins, avrebbe potuto sguazzare tutto il giorno nella vasca idromassaggio, stare alzato fino a tardi a guardare Dracula in DVD, prosciugare le scorte di birra e idromele del padrone di casa e riscoprire il ronzio di un lucida-scarpe elettrico che Bilbo aveva relegato nel ripostiglio del sottoscala il Natale scorso. Stava per addormentarsi tra le braccia di Frodo, con in gola un sospiro di sollievo e un’esclamazione di gioia davanti a tutta quella promessa libertà, quando il suo padrone lo riscosse, mettendolo a sedere dritto sul cuscino. Era ormai giunta l’ora della buonanotte.

Sia Frodo che Buck stavano per rimettersi a dormire, quando il primo disse all’altro: « Ah, Buck, quasi mi dimenticavo… vieni anche tu con me».

  
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