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Autore: Ita rb    28/04/2014    1 recensioni
Ciò che lo teneva ancorato in terra era quel suo sguardo dannatamente penetrante, lo sapeva almeno quanto desiderava credere che non fosse vero, ma forse era anche la sua aria terribilmente sfacciata e arrogante, quella caotica sicurezza che sembrava tanto effimera quanto palpabile, a mozzargli il respiro. […]
Accenni alla Aokaga.
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Taiga Kagami
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note: Salve a tutti, mi paleso per la prima volta in questo fandom con un po’ di timore (LOL). Non ho ancora avuto il piacere di leggere il manga, ma sono in linea per lo meno con l’anime, fatta questa premessa posso solo dire che questa storia, nata seriamente, nella sua conclusione ha avuto un risvolto inaspettato. In poche parole, perdonatemi se non è realmente comica ma a mio avviso è la scena di per sé che necessita tale avvertimento (?)
Spero che vi piaccia e che se passiate su questi lidi possiate lasciare una piccola impronta (?)
Mi auguro di non aver mandato OOC i characters, se così fosse vi prego di avvisarmi: è una cosa che detesto, soprattutto se non è inserito l’avvertimento *cerchietti in terra*
La dedico a Nahash, colei che dapprima mi ha superato nella visione dell’anime per finire in pareggio con me solo in questi giorni, la stessa sciroccata che mi ha convinto a scrivere questa storia dopo aver letto solo mezza pagina improntata su word (LOL).
Si può dire che ci siano degli accenni Aokaga *si guarda attorno con aria circospetta* ma solo se si vogliono cercare tra le righe, ecco ~ non volevo fare troppe assurdità tutte assieme *cofcof*
 
Questione di slancio

Ciò che lo teneva ancorato in terra era quel suo sguardo dannatamente penetrante, lo sapeva almeno quanto desiderava credere che non fosse vero, ma forse era anche la sua aria terribilmente sfacciata e arrogante, quella caotica sicurezza che sembrava tanto effimera quanto palpabile, a mozzargli il respiro.
Poteva certamente stargli dietro, poteva inseguirlo e coglierlo alla sprovvista, eppure era sicuro che la volta successiva ci sarebbe stato l’irrimediabile ribaltamento di situazione che tanto lo infastidiva.
Una presenza opprimente, ecco cosa era Aomine Daiki: bastava il suono basso della sua voce a fargli ovattare le orecchie e allora perfino la vista pareva appannarsi un po’ fino a distorcersi.
Il tempo scorreva veloce, irraggiungibile, mentre altre volte, dopo che gli era corso dietro per stare al passo, si fermava di botto e lo superava senza rendersene conto, troppo in ritardo per tornare indietro; così ricominciava la virata e la corsa, quella sfiancante prospettiva che non aveva colore o forma, ma solo tremore e immobilità.
Anche quando tutto era finito, quando i muscoli vibravano dopo la fatica di una partita asfissiante, quando il suo silenzio ronzava troppo forte dietro il suono che segnava il termine dell’ultimo quarto, lui era lì – continuava a fissarlo pur non guardandolo affatto e lo annientava con un sogghigno divertito che perlopiù sapeva di sfida.
La sensazione di vuoto che subentrava, poi, era ingiustificata tanto quanto la perseveranza del silenzio; ma di quel silenzio si sarebbe continuato a parlare nella sua testa, perché ogni altro suono sembrava condensato in frammenti senza logica e proprio lì andavano a disperdersi: lo stridore della suola in gomma sul campo, il rimbombo della palla che batteva al suolo, il fruscio di un vento instabile che gli cozzava contro e, ancora più assurdo, persino l’affanno che gli rampava nel petto.
Lo ricordava perfettamente da quando l’aveva visto in azione nell’Interhigh e sicuramente gli sarebbe rimasto impresso tanto a lungo quanto gli altri membri della fantomatica Generazione dei Miracoli, ma c’era anche da dire che non fosse solamente causa del suo stile di gioco tanto prorompente quanto imprevedibile, bensì addirittura per il modo di fare che lo caratterizzava da cima a piedi.
Era un individuo altamente irrispettoso e quella sua apparizione a metà partita gli aveva fatto ribollire il sangue nelle vene – senza contare, poi, quel tocco di classe che era stata la confidenza mai concessa che, nonostante ciò, Aomine si era preso nei suoi riguardi fino a circondargli il collo con un braccio.
Strafottente era il termine adatto, forse se lo sarebbe ripetuto in eterno, ma ancor di più fastidioso: sapeva insinuarsi nella testa di chi aveva di fronte con delle parole ben assestate e non l’aveva fatto solo con lui, ma anche con Kuroko stesso.
Ultimamente, poi, era sempre così: finiva col non fermarsi mai.
Non che non avesse mostrato questa sua dedizione accurata al basket prima di allora, è ovvio anzi il contrario, ma il modo in cui la sua mente sembrava essersi concentrata s’un unico pensiero fisso aveva dell’irreale.
Finiti gli allenamenti, infatti, si armava di quella che molti avrebbero definito audacia – almeno quanto tanti altri si sarebbero azzardati a chiamarla pazzia – e continuava fino allo sfinimento a provare con sguardo socchiuso quelli che erano da lui stati identificati come i tentativi.
Lo scopo ultimo degli allenamenti supplementari ai quali si dedicava con tanto sforzo, infatti, era quello di togliersi dalla mente le immagini di quel ghigno fastidioso che gli ballonzolava dinanzi con fare fin troppo provocatorio, anche perché sapeva bene che la sua pazienza era stata messa a dura prova da un po’ e perfino al suo rientro in città l’aveva notato: non calibrava molto bene la sua forza.
Ancora una volta, il suono della palla che batteva sul campo un po’ liso, gli fece battere le palpebre con un accenno d’incredulità. Non riusciva quasi a capacitarsi che gli allenamenti estivi avessero dato tanto i loro frutti e fintanto che se ne stava aggrappato con una mano al canestro, quello che era solo un lento fruscio di foglie parve amalgamarsi con ben altro:
«Non avevate gli allenamenti fino a un’ora fa?» Domandò una voce che proveniva dalle sue spalle.
Voltandosi in quella direzione e abbandonando il metallo rosso, Kagami scorse nella penombra serale una di quelle figure inconfondibili che di certo avrebbe preferito non avere tra i piedi in un momento come quello, vale a dire la sagoma di Aomine Daiki.
«Cosa ci fai qui?» Gli domandò di rimando, sorvolando sulla questione degli allenamenti della Seirin, anche perché era fin troppo palese che si trovasse lì con l’intento di prolungarli per proprio conto come spesso facevano anche altri membri della squadra – e chissà quanti, poi, in tutte quelle che aveva incontrato nell’Interhigh.
«Potrei farti la stessa domanda, ma a dirla tutta non m’interessa avere una risposta che conosco già», soffiò appena, chinandosi per recuperare la palla che aveva vicino, rigirandosela tra le mani fin quando non decise di palleggiarci un po’.
«E cosa ti da tutta questa sicurezza?»
L’irritazione di Kagami, spesso stentava a restarsene oltre la parvenza che mostrava al prossimo e in effetti, ancora una volta, era più che palese sul suo volto, tanto che Aomine stesso si trovò a ghignare divertito come quell’immagine che lo assillava dalla sconfitta nell’Interhigh.
«Quello che vedo», rispose alla svelta, continuando a osservarlo dritto in volto. «Non è abbastanza chiaro che tu stia tentando di allenarti oltre il tempo prestabilito dalla Seirin?» Domandò con un accenno d’ironia che aveva più sottintesi che altro.
«Fatti gli affari tuoi…» sbottò in tutta risposta il rosso, serrando i denti e aggrottando di più le sopracciglia.
«Anche ritagliando dello spazio, saresti comunque un passo dietro di me, Kagami», ci tenne a precisare Aomine, muovendo qualche passo nella sua direzione e autoinvitandosi letteralmente in un breve faccia a faccia; dopodiché riuscì a schivarlo con un dribbling improvviso che l’altro parve non intercettare bene più che altro per la stanchezza che si portava dietro dal primo mattino e solo allora, dopo aver saettato verso il canestro con l’anticipo sul salto del rosso, riuscì a schiacciare senza neppure troppa fatica. «Mi sembrava di avertelo fatto intendere bene all’Interhigh», sospirò allora, lasciandosi andare a un lieve sbadiglio quando la suola delle sue scarpe toccò di nuovo terra.
«Sei troppo presuntuoso per i miei gusti, Aomine», ringhiò a denti stretti il suo interlocutore, riuscendo per lo meno a catturare la palla prima che rimbalzasse troppo in basso sul campo all’aperto. «Continuando a sottovalutare la gente, di certo farai una brutta fine.» Schioccò la lingua seccato, accigliandosi nervosamente e cercando di superare quello che in realtà era un Daiki piuttosto statico – dopo tutto aveva fatto già abbastanza per quella sua apparizione fugace e improvvisa.
«Fin’ora non ho sottovalutato nessuno», mormorò, sentendo la suola delle scarpe altrui stridere appena contro la polvere fina che ricopriva il suolo.
Kagami si voltò a guardarlo, tenendo la palla in mano e accorgendosi finalmente che questo non aveva la benché minima intenzione di continuare quell’one on one allora storse il naso con una punta di fastidio, cercando di non finire col cedere all’irascibilità che gli scorreva nelle vene.
«C’è sempre una prima volta», disse soltanto.
«E con questo?» Domandò divertito Aomine, restando di spalle senza neppure degnarlo di un’occhiata. «Sei davvero così sicuro di quello che dici?» Chiese ancora, riuscendo a malapena a trattenersi dal ridacchiare sommessamente. «Pensi che io ti stia sottovalutando?»
«Cos’altro?» Lo rimbeccò subito il rosso, rimpiangendo l’assenza di Kuroko solo per il fatto che questo, di sicuro, avrebbe saputo tenerlo a freno molto più della sua coscienza che, spesso e volentieri, si prendeva delle ferie prolungate.
«La presunzione è ben oltre ciò che credi, Kagami», gli suggerì Aomine, sollevando immancabilmente un angolo della bocca nel girarsi appena verso di lui. «Credere di battermi con un atteggiamento tanto infantile è presuntuoso», aggiunse subito dopo, sollevando di poco un sopracciglio e notando come la pressione delle braccia di Kagami sembrava voler distruggere quell’innocente palla da basket.
«Credersi invincibili non è da meno.»
«Se davvero ci tieni tanto a dimostrare la tua tenacia, allora fa pure…» soffiò «… è solo che non ho intenzione di dartela vinta, ma questo atteggiamento mi diverte.» Ghignò ancora, o sarebbe meglio dire che la sua espressione rimase immutata per tutta la durata di quel testa a testa. «Almeno di questo non posso lamentarmi: più t’incaponisci e più mi viene voglia di giocare.»
«Allora merito dei ringraziamenti», suonò subito con una punta di cinismo, accennando a sua volta un sorriso divertito e infastidito al contempo.
«Per così poco?» Aomine fece spallucce, finendo con entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa scolastica che aveva indosso. Ridacchiò appena, incurvandosi leggermente in avanti, dopodiché fece un breve cenno con il capo nella direzione del rosso e s’incamminò verso l’uscita del campo come se nulla fosse, certo che Satsuki lo stesse cercando già da un po’. «Preoccupati di dosare lo slancio che prendi, piuttosto.»
Con quelle parole, Aomine Daiki si dileguò con passo fermo e annoiato, differentemente da Kagami che, fermo lì dov’era, restò a fissare il vuoto lasciato da quella presenza con una sorta di rancore nostalgico che prese a farlo fremere da capo a piedi in una sensazione non dissimile dalla rabbia o dall’eccitazione che lo scuoteva prima d’una partita fino a tenerlo sveglio per tutta la notte.
Scattò con il braccio, lanciando la palla in terra senza neppure rendersene conto – in un momento come quello, probabilmente avrebbe mandato all’aria qualsiasi cosa si fosse trovato di fronte.
Con un ringhio mal trattenuto, restringendo lo sguardo, l’eco della voce di Aomine parve infastidirlo al pari di quel giorno in cui se l’era ritrovato sfacciatamente dinanzi nell’Interhigh.
«Come se non sapessi dosare uno slancio…» sbuffò aspro.
 
Il suono della sirena che stabiliva la conclusione del primo quarto della partita contro la Josei parve scattare nell’esatto momento in cui tutti, nessuno escluso, rimasero basiti a osservare il paradosso di quella scena. Se da un lato c’era chi sembrava essere sorpreso per l’elevazione del numero dieci, in molti avrebbero preferito che Kagami si contenesse in qualche modo invece di prendere in pieno il canestro col centro della fronte.
Sull’eco dei complimenti per la Seirin, mentre il rosso se ne stava frastornato con la schiena schiacciata contro il campo da basket, per un attimo il punteggio provvisorio della partita parve farsi più distante e gli undici punti che dividevano le due squadre non sembravano poi così importanti se messi al confronto con l’eco di un certo qualcuno di nome Aomine Daiki:
Preoccupati di dosare lo slancio che prendi, piuttosto.
Oh, non c’era alcun dubbio, si sarebbe ricordato a vita quell’espressione fastidiosa!
   
 
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