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Autore: _Prophecy_    29/04/2014    1 recensioni
STORIA SCRITTA A QUATTRO MANI DA PROPHECY E LIKEAPANDA:
In un mondo dove il Sole è scomparso, con la stessa facilità con cui si spegne una candela, gli uomini devono sopravvivere ai continui attacchi di ciò che rimane degli Estranei. Unica arma per difendersi, il Cuore. Ma la dèa ha lasciato una profezia:"Arriverà il guerriero del Sole, colui che porterà la luce".
L'ombra del lupo ed il leggero volo del colibrì andranno di pari passo in questa avventura. Seguiteli e forse non avrete più paura del buio.
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Più in alto arrivo, più in basso sprofondo. Non posso annegare i miei demoni, sanno come nuotare.
- Can You Feel My Heart, Bring Me The Horizon




 
La Foresta del sole non parlava sempre, quasi mai: le sue foglie erano silenziose da anni; il vento che scivolava fra gli alberi come un serpente non riusciva a far fremere nulla; la selvaggina camminava piano e tendeva bene le orecchie in cerca di ogni movimento strano, anomalo. Il lupo si acquattò silenziosamente fra due cespugli, il pelo grigio si sporcò nel fango. In lontananza, nell’unico, piccolo spiazzo senz’alberi della foresta un cervo bianco dalle lunghe corna ramificate brucava tranquillamente. Sopra di lui, il cielo era azzurro e terso; la sua luce si gettava sul manto candido dell’animale sfumandolo con il suo colore vivo.
La preda sembrava risplendere.
Il lupo, dopo aver alzato il muso al cielo e aver annusato l’aria –che sapeva di selvaggina, erba e bacche- alzò leggermente le gambe posteriori, falciò l’aria con la coda lunga e avanzò in avanti, silenzioso come il vento.
Mentre avanzava nell’erba alta, aprì di poco le fauci per assaggiare l’aria; il cervo non era invisibile ma, visto l’intenso colore oro dell’erba e la sua altezza, per il lupo era difficile individuarlo.
E ogni regalo la natura gli aveva fatto era da apprezzare.
Quando sentì in bocca il forte odore del cervo, si acquattò nuovamente e scattò. Con la sua mole il predatore lacerò l’erba e affondò dove poco prima risiedeva la preda, che ora era già diversi metri più avanti. Colto alla sprovvista, l’enorme cane selvatico schizzò in avanti alla ricerca della selvaggina. La voleva ma non per fame. O meglio, aveva fame di una fame che però non conosceva. Si sentiva svuotato, impaurito e curioso di assaggiare quella carne. C’erano migliaia di cervi e altri animali nella Foresta del sole, ma nessuno aveva attratto il lupo come quello. Adesso, il cane selvatico correva con tanta velocità che, per la prima volta dopo molti anni, nei meandri della foresta risuonavano i suoni delle sue zampe contro il terreno fangoso –che gli sporcava le gambe possenti, il petto grigio e il ventre candido. Il vento gli sferzava il muso, seccando il fango che la sua preda gli aveva spruzzato in faccia con la sua corsa frenetica. Il cervo era così vicino, il predatore riusciva a sfiorargli la grossa coscia con il muso; caricò un’ultima volta le zampe posteriori e saltò.
Nulla da fare.
Il cervo parve essere più furbo del lupo e, dopo aver evitato le mandibole affilate dell’animale, scartò a destra. Il manto bianco riluceva ancora di una sfumatura celeste, lasciata dal cielo, sebbene fra le fronde di quegli alberi secolari non filtrasse una lama di luce da decenni. Le fronde erano così fitte che si faceva fatica persino a respirare. Il lupo scivolò sul terreno fangoso, si rialzò e riprese la corsa. Era tutto sporco, i muscoli gli bruciavano e aveva qualche arto dolorante a causa della virata improvvisa. Doveva prendere quel dannato cerbiatto, assolutamente; riusciva a vedere la sagoma di quel grosso erbivoro in lontananza, mentre zampettava velocemente fra le radici e saltava tronchi di alberi caduti. Il lupo riprese terreno e saltò un grande arbusto dalla corteccia scura, evitò qualche radice e, quando fu vicino a raggiungere nuovamente la sua preda, inciampò su una grossa rientranza del terreno nascosta da delle foglie. Fu catapultato su se stesso, atterrò di schiena e ruzzolò per qualche metro finendo infine in un corso d’acqua congelato.
Il liquido gli lambiva la parte destra del corpo quando il predatore aprì gli occhi e alzò il muso, in cerca del cervo che era fuggito. Con un ringhio soffocato nel basso ventre, l’animale si alzò e scosse la pelliccia per asciugarsi. Quando si sedette nell’acqua e prese a leccarsi le zampe per ripulirle un sapore ferroso e intenso, e dolce come il miele gli fece fremere le papille gustative. Abbassò di scatto l’arto e sbarrò gli occhi color ambra liquida a osservarsi attorno: centinaia di colibrì giacevano morti sulle rive del fiume con i petti squarciati. I loro corpi colorati di azzurro, verde, bianco e migliaia di altri colori erano spenti e sfregiati da schizzi di rosso, che colorava a sua volta l’acqua. Il lupo saltò in piedi, la testa che continuava freneticamente a voltarsi da una parte all’altra della sfonda, gli occhi puntati sui piccoli colibrì morti e il loro sangue che macchiava ogni cosa, che veniva assorbito dalla terra. Il povero animale sentiva il proprio cuore battergli così sorte in petto che aveva paura gli sarebbe uscito fuori. Così, dopo aver constatato che quello era un brutto presagio, si voltò e riprese a correre fra gli alberi e il buio della foresta. Ma si sentiva sporco, ancora macchiato del sangue dei colibrì e del fango.
Poi, Axel aprì gli occhi e una lama di luce irruppe dalla finestra illuminandogli il viso e facendo risplendere i suoi occhi d’oro.
   
 
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