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Autore: Neko no Yume    29/04/2014    0 recensioni
L'uomo moderno non ama, si rifugia nell'amore; non spera, si rifugia nella speranza; non crede, si rifugia in un dogma. (Nicolás Gómez Dávila)
[fanfiction partecipante al contest "Alla ricerca dell'umanità" indetto da En~Dark~Ciel sul forum]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kazuhiko Yukimi, Miharu Rokujou, Yoite
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'uomo moderno non ama, si rifugia nell'amore.



Sin da quando era rimasto orfano Yukimi aveva sempre cercato l'affetto di qualcuno, più o meno consapevolmente.
Inizialmente era stato il sorriso gentile e incorniciato da rughe sottili di Hattori, era stata la sua mano tesa, la promessa di poter appartenere a un branco (si chiamavano pur sempre Lupi Grigi, no?), la certezza che Kazuho avrebbe potuto continuare a studiare serenamente e che lui avrebbe trovato un nuovo terreno in cui mettere radici.
Era stato il terribile gusto nel vestire di Raiko, lo sguardo traboccante di devozione che Gau gli rivolgeva ogni volta, per quanto stupido e irritante lo shinobi potesse apparire quando voleva.
Era stato un ragazzino problematico avvolto in un cappotto nero che non riusciva né a tenergli caldo né a nascondere quanto fosse malandato, un gatto randagio poco propenso alla conversazione o a qualsiasi comportamento civile.
Yukimi aveva bollato Yoite come una seccatura sin dal primo istante, kira o meno.
Poco gli importava di quello che poteva fare semplicemente con un dito, era pur sempre una scocciatura e un peso in più sulle sue spalle.
L'aveva accolto in casa sua solo perché era stato Hattori a chiederglielo e c'era una piccola, fastidiosa parte di Yukimi che ancora cercava ossessivamente la sua approvazione; mai avrebbe pensato che in quel modo casa sua sarebbe diventata casa loro.
Eppure Yoite si era infiltrato nella sua vita poco per volta, come l'acqua che gocciola dalle foglie degli alberi dopo la pioggia, senza disturbare, e Yukimi aveva imparato a dire "sono a casa".
Ci era voluto del tempo, ma alla fine raggomitolarsi l'uno vicino all'altro dividendo una coperta e sorseggiando limonata calda mentre il televisore cullava le loro orecchie con stupidaggini di poca importanza era diventato parte integrante della sua routine. Della loro routine.
In un mondo come Nabari, dove la minima distrazione poteva portare a ritrovarsi una lama conficcata tra le scapole o peggio, affezionarsi a qualcuno poteva rivelarsi rovinoso; affezionarsi a una pedina di Hattori (non che lui contasse qualcosa di più) che si trascinava in un corpo corroso dal kira sarebbe stato definito suicida.
Eppure più Nabari sembrava stringere la propria morsa attorno a lui, più Yukimi si appigliava a Yoite, ripetendo come un mantra "sono a casa".


Non spera, si rifugia nella speranza.



La gente di Nabari parlava raramente di speranza.
Hattori elargiva discorsi edificanti su come avrebbe cambiato il mondo una volta salito al potere e gli occhi gli brillavano di una luce che lasciava intuire quanto, sotto strati di utilitarismo e retorica, ci credesse davvero, ma per il resto sperare in qualcosa tendeva a ridursi al minimo indispensabile.
Sperare che Raiko imparasse ad accostare i colori un po' meglio, sperare di non fare un incidente in auto con lui, sperare di sopravvivere ancora un po'.
Sperare che Yoite potesse sopravvivere ancora un po'.
Era come arrampicarsi sugli specchi, ma Yukimi affondava le unghie nel vetro un po' di più ogni volta che lo vedeva farsi sempre più fragile.
Il kira strappava la vita dalle mani di Yoite con violenza e lui era costretto a guardare senza poter fare nulla, il desiderio di poter riportare indietro le cose che gli brunciava costantemente nel cranio.
Poi era arrivato Miharu.
Yukimi si era concesso un sorriso amaro quando il ragazzino aveva annunciato di voler passare ai Lupi Grigi: era la seconda volta che il destino gli metteva tra le mani un ragazzino minuto e gravato dal peso di una tecnica troppo distruttiva per lui.
Del resto forse era proprio per quello che Yoite aveva legato con lui così in fretta.
Yukimi li aveva osservati avvicinarsi a passi quasi impercettibili: dapprima gli occhi di Yoite, di solito tanto placidi da sembrare vuoti, si erano increspati nel sentire nominare lo Shinrabansho, poi i due scriccioli (non sapeva in che altro modo definirli, erano così piccoli) si erano confrontati sul campo, intrecciando le loro esistenze senza neanche rendersene conto, comunicando, finché Miharu non era passato dalla parte dei Lupi Grigi. O meglio, dalla parte di Yoite.
Hattori aveva accolto la notizia con un sorriso e Yukimi con una fitta allo stomaco perché quella che avrebbe dovuto essere una conquista per lui rappresentava solo un'ulteriore possibilità di perdere uno dei pochi brandelli di famiglia che gli restavano.
Lo Shinrabansho avrebbe potuto cancellare gli effetti del kira in una frazione di secondo e lui sapeva quanto Miharu sarebbe stato felice di usarlo in quel modo, ma sapeva anche che Miharu era legato a qualcosa che Yoite gli aveva fatto promettere, qualcosa che Yukimi aveva già indovinato ma non riusciva ad affrontare.
Eppure, nonostante quello sguardo verde e imperturbabile gli ricordasse continuamente quanto fossero fragili i legami affettivi a cui lui si aggrappava, Yukimi aveva finito con l'accettare un altro gatto randagio con sé.


Non crede, si rifugia in un dogma.



Quando Miharu aveva usato lo Shinrabansho per cancellare la presenza di Yoite Yukimi si era sentito come se qualcuno gli avesse appena scavato una voragine al centro del petto, aspirando via tutti i secondi, i minuti, le ore, i giorni passati con lui senza il benché minimo riguardo.
La rabbia l'aveva invaso come una mareggiata, accecandolo come acqua salata, trascinandolo a fondo; lontano da Yoite.
Yoite che non era più Yoite, Yoite che ormai esisteva solo come mancanza.
Yukimi aveva finito col proiettare tutto sul proprio braccio (o meglio, sulla perdita di esso), stringendo le dita attorno alla cicatrice ancora fresca e i denti attorno alle grida che minacciavano di farlo esplodere.
Aveva un uragano dentro di sé ma bastava la presenza di Miharu a imporre silenzio, dolore e frustrazione relegati a un ronzio lontano.
Miharu il Re di Nabari, Miharu il ragazzino minuto che sorseggiava limonata calda con lui arricciando appena le labbra per il vapore, Miharu che capiva.
Yukimi gli aveva insegnato a maneggiare una macchina fotografica, aveva passato giornate intere disteso sul tatami con lui a parlare di tempo di scatto, diaframma, luminosità, continuando finché Miharu non iniziava a sbadigliare.
Anche il gatto che avevano preso con loro sbadigliava e Yukimi si ritrovava a sorridere mentre quei due si raggomitolavano su se stessi cullati dal sonno.
Se avesse potuto avrebbe scattato una foto.
Poi c'era stata la sera in cui il mondo era tornato a infuriare nelle loro vite, la notte in cui Miharu era stato finalmente liberato dallo Shinrabansho.
Yukimi aveva passato la notte prima sveglio, accovacciato accanto al letto del ragazzino a osservarlo respirare, a imprimersi nella mente e nel corpo il ritmo col quale il suo petto si alzava e abbassava.
Era rimasto teso come una corda di violino fino a quando non aveva avuto la conferma che fosse tutto finito e che Miharu fosse sano e salvo, per poi venire travolto da ricordi che credeva di aver perso per sempre.
Un cappello beige, occhi azzurri, mani corrose dal kira, pomeriggi piovosi passati a osservare le gocce rigare la finestra del salotto.
"Sono a casa."


Il click di una macchina fotografica risuona con uno scatto secco nelle orecchie di Yukimi, che si volta giusto in tempo per catturare un Miharu sorridente e archiviare il ricordo come farebbe con una diapositiva. Ne ha centinaia dentro di sé.
"Uno non può neanche farsi un pisolino in pace," borbotta senza troppa convinzione. "Avrei dovuto cercarmi un assistente meno zelante."
"C'era una bella luce," Miharu spiega con un'alzata di spalle e Yukimi non può dargli torto.
Sono seduti (beh, lui più che altro è sdraiato) in mezzo a un prato che hanno notato sulla via di ritorno da uno dei loro servizi fotografici e un piacevole sole primaverile inonda l'aria attorno a loro, trapassando l'erba attorno al volto di Yukimi e danzando negli occhi di Miharu.
Lo scricciolo sembra felice e Yukimi sente l'improvviso bisogno di alzare il suo unico braccio verso di lui e arrufargli i capelli (Miharu arriccia il naso, lui annota anche questo), per poi lasciar scivolare la mano fino alla sua guancia.
Le sue dita da sole coprono metà del viso del ragazzo e a Yukimi si attorciglia lo stomaco per un istante, ma Miharu inclina il capo nascondendo un sorriso nel suo palmo e tutto torna al proprio posto.
"È un peccato che Yoi non sia qui a godersi il caldo," mormora Miharu ed entrambi sanno che non si sta riferendo solo al loro gatto.
"Sono sicuro che se la stia passando bene comunque," risponde lui, lo sguardo rivolto al cielo e la mente a due occhi dello stesso colore.
Yoite non c'è più e Nabari continua a essere un mondo spietato, ma ci sono ninja che si stanno dando da fare per ricostruirlo dalle fondamenta e lui ha ancora una famiglia, ha ancora Kazuho, Yoi, Raiko e Gau, ha ancora Miharu e può passare giornate come questa assieme a lui, parlando di qualsiasi cosa e guardandolo crescere.
Yukimi sorride, dopo tutto è a casa.
  
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