Fanfic su artisti musicali > Of Mice & Men
Ricorda la storia  |      
Autore: virgily    29/04/2014    1 recensioni
"Ma la musica, inutile dirlo, è come una droga. Ti dici che puoi smettere quando vuoi, che non ti lascerai mai trascinare da un pezzo. Poi però ti accorgi che in quelle poche parole, piazzate l’una accanto all'altra e ritmate alla buona, riscopri una parte di te stesso. E ti ci ritrovi dentro, immerso fino alla gola e senza alcuna via di fuga. E proprio come se fossi stata attratta da quella voce sensuale, assuefatta e in piena crisi di astinenza, inevitabilmente stavo esponendo la mia faccia ad un rischio molto più grande."
[Austin Carlile x Nuovo personaggio]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Say anything that can make this all okay 


Quella sera, sebbene mi fossi ripromessa che non ci sarei più cascata, nulla era riuscito a impedirmi di presentarmi in quel piccolo locale pieno di ricordi. Proprio lì, molto tempo fa, era cominciato tutto. I nostri primi sguardi, le prime nottate tutti insieme dopo l’esibizione. Il primo bacio. Ma se ne ricorderà ancora?
 Certo, ero in ritardo rispetto all’orario stampato sul biglietto, tuttavia quando finalmente riuscì a entrare, destreggiandomi nella calca tutta affollata al bancone dove servivano birra alla spina shottini, lui e i ragazzi ancora non erano saliti sul palco e questo mi fece sospirare di sollievo.
-Tutto bene?- una mano mi sfiorò la spalla scoperta, cogliendomi alla sprovvista. Mi bastò voltarmi per osservare lo sguardo curioso e apprensivo della giovane, di qualche centimetro più bassa di me e un timido sorriso.
-Sì... Sono solo un po’…- non riuscì a terminare la frase che la giovane m’incalzò abilmente.
-Agitata? Lo credo bene….- Jo era molto empatica con il mio stato emotivo, e sapeva che quello che stavamo facendo lì quella sera non avrebbe portato a nulla di buono, soprattutto se loro si fossero malauguratamente accorti della nostra presenza, o per meglio dire: se lui si fosse accorto che ero venuta a vederlo. Ma era stato più forte di me. Dopo mesi estenuanti trascorsi a piangermi addosso dopo “quella sera”, gli Of Mice and Men avevano fatto ritorno a casa soltanto per un’unica data prevista nel loro tour. E pur rimproverandomi per non averlo più cercato, dopo tutto quello che era successo tra noi, non potevo lasciarmi sfuggire questa succulenta occasione per fingermi una sconosciuta, immergermi in quella folla compatta e sudata e ascoltarlo nell’ombra mentre lasciava uscire la sua anima, che con voce roca veniva impressa sull’apice del microfono, vibrando fino a toccarmi con vigore. Perché lui mi aveva sempre fatto questo effetto: come se fossi stata travolta da una forza incontrastabile alla quale non potevo far altro che arrendermi, e così era anche la sua voce.
Oramai il concerto era cominciato già da un po’, e a giudicare dalla vivacità del pubblico, stavano andando molto forte. E sebbene non fossi mai stata una vera e propria cima nella nobile arte del pogo la mia abilità dello “scivola e sguscia”, tecnica ormai reduce di un passato di concerti tutt’altro che da camera, io e la minuta Jo eravamo riuscite a raggiungere le prime file. Confesso che questo non faceva necessariamente parte del piano, anzi, l’idea era di stare il più lontano possibile. Ma la musica, inutile dirlo, è come una droga. Ti dici che puoi smettere quando vuoi, che non ti lascerai mai trascinare da un pezzo. Poi però ti accorgi che in quelle poche parole, piazzate l’una accanto all’altra e ritmate alla buona, riscopri una parte di te stesso. E ti ci ritrovi dentro, immerso fino alla gola e senza alcuna via di fuga. E proprio come se fossi stata attratta da quella voce sensuale, assuefatta e in piena crisi di astinenza, inevitabilmente stavo esponendo la mia faccia a un rischio molto più grande. Austin teneva le mani strette, avvinghiate al microfono come l’oggetto più prezioso, lo strumento tramite il quale avrebbe tirato fuori e mostrato al mondo tutto ciò che teneva dentro.   Con un piede posato su una delle casse e la schiena china contro il pubblico, teneva gli occhi serrati, le vene del collo erano ben marcate a causa dello sforzo, e il suo corpo asciutto e tatuato era messo in risalto dalla sua canottiera morbida e sudata. Era diverso, pareva più confidente e prendeva possesso della scena come un vero animale da palcoscenico, intrattenendo i suoi fan come meglio sapeva fare. Eccolo lì, quello era lo stesso ragazzo per cui tempo addietro avevo perso la testa. Lo stesso che avevo lasciato andare per puro egoismo. Mi bloccai. Unica in tutta la sala. Immobile, lo sguardo fisso su di lui, come se tutto attorno a me fosse sparito nel nulla. Sollevai piano gli angoli delle labbra; non era un sorriso finto, esposto per pura necessità. Era vero, genuino e spontaneo. E questo significava soltanto una cosa: ero felice, nonostante tutto. Tornai poi alla realtà, cosciente del fatto che mi trovavo nel bel mezzo di un concerto, e che delle mani sconosciute e molto grandi si erano posate sui miei fianchi, afferrandoli vigorosamente. Inevitabilmente sbiancai, sgranando lo sguardo mentre mi voltavo di scatto, infastidita. Non riuscì a vederlo bene, ma con la coda dell’occhio intravidi un ragazzo che doveva avere qualche anno in più di me, altissimo e con le spalle larghe e tatuate. Il suo viso non mi diceva nulla, ma i suoi occhi chiari erano molto dilatati e arrossati.
-Ma che cazzo vuoi?!- risposi repentina, dimenandomi ma sfortunatamente senza successo.
-Vieni in mezzo…- rispose. Non avevo capito cosa intendesse, sia perché non riuscivo a sentire bene cosa stesse biascicando a causa del volume della musica, sia perché non avevo neanche intenzione di ascoltarlo. Non fin quando sentì la sua presa farsi più vigorosa nel tentativo di trascinarmi con sé proprio dove una massa indefinita di corpi si stava pesantemente prendendo a spallate. Trattenni il fiato, cercando immediatamente lo sguardo della mia compagna mentre sentivo la terra mancarmi sotto i piedi e il tizio sollevarmi di peso per potermi trasportare con facilità. Quasi come un soccorso divino, la musica terminò in quell’esatto momento, e nell’intermezzo tra una canzone e l’altra, mentre avvertivo che lo sconosciuto non mi avrebbe lasciato andare, vidi la piccola ragazza dalla chioma rovente venirmi in contro:
-Val!- gridò dando pieno fiato ai suoi polmoni. Stentai a crederci ma pur essendo piccina aveva una gran voce.
-Lasciala andare, coglione!- riprese la rossa afferrandomi per le mani, strappandomi  dalla sua presa. Questo allora, sollevò le mani al cielo facendomi quasi inciampare contro il corpicino di Jo, che prontamente mi abbracciò.
-Certo che la gente non sta bene. Manco i barbari!- bofonchiai alla mia amica che mi rispose con un sorriso.
-Ehi, tutto okay?- delle ragazze si erano avvicinate a noi. Evidentemente, quando la rossa mi aveva chiamata, la sua voce squillante doveva aver attirato l’attenzione.
-Sì. Tutto bene, grazie. Era solo un deficiente- risposi a quest’ultima con un sorriso, quando una piccola gomitata fastidiosa mi giunse al fianco, facendomi voltare di scatto contro la mia migliore amica. Aveva lo sguardo puntato contro il palco, le palpebre tirate e i lineamenti del viso sembravano essersi irrigiditi di colpo. Si era stranita tutta a un tratto, e questo non era da lei.
-Jo?-
-Val…- sussurrò senza distogliere lo sguardo dalla scena. Non sapevo se quello che stavo per fare sarebbe stata una buona cosa, ma se volevo scoprire per quale motivo la mia amica si era ammutolita tutto insieme, l’unica soluzione era voltarmi, e seguire la traiettoria del suo sguardo che inesorabilmente mi portò a scontrarmi con un paio di iridi scure e profonde. Due occhi che in un decimo di secondo riuscirono a trapassarmi da parte a parte facendomi trasalire. La band aveva cominciato con il nuovo pezzo, ma il loro lead screamer ancora non aveva dato il suo attacco, e aspettava pazientemente il momento giusto, immobile, con quell’occhiata enigmatica e penetrante ancora salda su di me. Riuscivo a sentirla carezzarmi, e al contempo graffiarmi piano. Un brivido estenuante e sadico mi percosse per l’intera lunghezza della colonna vertebrale, facendomi fremere.
-Cazzo…- sussurrai piano, abbassando violentemente lo sguardo. Non riuscivo a sostenere oltre, era insopportabile il peso che quel gesto silenzioso potesse significare.
-Ci ha visto. Che facciamo?-
-A-Andiamo via- risposi subito. Senza neanche pensarci troppo.
-Via? Val siamo venute apposta per vederlo- rispose l’altra mentre mi seguiva nel mio articolato percorso che prevedeva lo schivare delle mosse repentine di tutti gli altri fan che sarebbero rimasti a godersi il resto della serata. E destreggiandosi argutamente, Jo riuscì persino a raggiungermi quando ero già arrivata a pochi metri dall’uscita e del locale e sicuramente molto lontana da quel maledetto palcoscenico, afferrandomi per il polso per guadagnarsi la mia attenzione. Faticavo persino a guardarla in faccia, perché sapevo che cosa mi avrebbe detto… e non volevo ascoltarla.
-Non puoi fare così…-
-No. Infatti, dovevo restarmene a casa- risposi freddamente, scostandomi da lei.
-Forse. Ma fatto sta che sei venuta ugualmente. Che cosa pensi di risolvere andandotene proprio adesso che Austin ti ha vista?- lo sguardo verdognolo della ragazza sembrava essersi illuminato, quasi folgorandomi. E aveva ragione. Ma c’era qualcosa dentro di me, un istinto incontrollabile che m’implorava di scappare, come avevo sempre fatto. Perché ero debole. Fingevo che niente potesse ferirmi, neanche la rottura con lui. Ma non facevo altro che illudermi, mentendo a me stessa piuttosto che ammettere che ero egoista, e che nel tentativo di non farmi ferire in realtà ero io per prima a essermi fatta del male.
-Restiamo Val. Affrontalo…- mi pregò Jo, abbracciandomi amorevolmente. Sapevo che la rossa voleva soltanto aiutarmi, spronarmi a essere più coraggiosa, a cercare di mettere a posto le cose. E sapevo anche che Alan gli era mancato troppo in quest’ultimo periodo, e che anche loro avevano bisogno di mettere in chiaro delle questioni in sospeso. Tuttavia ero, e sarei sempre stata, una grandissima vigliacca, e sospirando appena scostai la più piccola dal mio corpo, sorridendole amaramente.
-Resta pure se vuoi. Ad Alan farebbe piacere…-
-Val... -
-È meglio così, Jo- e senza dire nient’altro, la lasciai alle mie spalle, mascherando con il boato delle casse, che pompavano a tutto volume, il suono soffocato dei singhiozzi che mi riempivano la gola.

***
      
Il rientro a casa in completa solitudine non aveva migliorato la mia condizione. Anzi, il silenzio non aveva fatto altro che alimentare quei brutti pensieri, che mescolati ai suoi ricordi formavano un connubio perfetto per farmi salire un inquietante e tormentato stato di angoscia. La porta d’ingresso si chiuse alle mie spalle. Per qualche minuto rimasi in quella posizione, con la schiena addossata alla parete lignea e lo sguardo puntato in un punto indefinito della casa. Non capivo bene cosa mi stesse accadendo in quel momento. I miei occhi vagavano senza sosta, scrutando ogni angolo dell’ambiente, e sebbene fossi pienamente cosciente del fatto che ero al sicuro nel mio salotto, il respiro cominciò a mancarmi, e la testa girare. Vivevo in quella casa, ma non la riconoscevo. E chi ero io? In momenti come questi me lo chiedevo spesso. Da cinque mesi a questa parte, i miei attacchi di panico avevano ricominciato a farsi sentire. Scivolai a terra in un grande tonfo, restando immobile, con le ginocchia al petto e le braccia legate attorno alle mie gambe, rannicchiandomi ai piedi della porta laccata. Era bastato un suo solo sguardo per farmi gelare il sangue. Se ci pensavo bene, anche quella sera, quando trovai in me stessa il coraggio recondito e letale per lasciarlo andare, gli era bastata un’occhiataccia per farmi fremere, dando inizio a quell’incubo che per mesi non ha fatto altro che svegliarmi nel cuore della notte con una gelida e distaccata sensazione di solitudine. La verità era che avevo bisogno di lui, ne avevo sempre avuto bisogno. Era la mia roccia, la mia forza. Non volevo veramente allontanarlo da me, ma soltanto liberarlo. Perché mai avrebbe dovuto passare il periodo più esaltante della sua carriera badando alle mie paure? Alla mia gelosia? No. Non potevo permetterlo. Pensavo che poi sarebbe stata la cosa migliore per entrambi, così che niente potesse più renderci infelici. Eppure, il vuoto nel mio petto in tutto questo periodo non aveva fatto altro che dilatarsi, lentamente, dolorosamente. Cominciavo a temere che di questo passo prima o poi mi avrebbe inghiottita. Diedi un leggero scossone alla testa, nel disperato tentativo di far uscire tutti quei pensieri e tornare alla realtà. Mi stropicciai gli occhi, probabilmente impiastricciandomi il viso con il trucco ormai semi disciolto dalle lacrime sapide. Infilai una mano nelle tasche dei pantaloncini, sentendomi il cellulare vibrare. Era Jo. E come se non mi fossi minimamente resa conto del tempo che scorreva, era quasi l’una.
-Ehi…- risposi alla telefonata schiarendomi appena la voce. Non volevo che mi sentisse con il timbro tremante e impastato dal pianto.
-Tesoro, sei a casa?- mi domandò l’altra.
-Sì. Sto bene non ti preoccupare…-
-Oh, allora ancora non è arrivato?- mi chiese la giovane dall’altro capo del telefono. Confesso che la sua domanda mi aveva colto alla sprovvista, e stavo giusto per chiederle “chi?” quando il suono del campanello istintivamente mi fece balzare per lo spavento improvviso.
-Scusami Jo devo vedere chi è. Ti richiamo dopo…- e senza lasciarle neanche il tempo di rispondere attaccai. Tutto ciò era veramente strano. La mia migliore amica evidentemente aveva qualcosa a che fare con tutto questo, e non mi resta altro che scoprire che cosa diavolo stava succedendo. Mi sollevai pesantemente dal pavimento, scrollandomi qualche pulviscolo dai vestiti. Afferrai prontamente la maniglia della porta, senza neanche degnami di affacciarmi dallo spioncino. Una sottile brezzolina umidiccia mi saltò al naso, e quando posai lo sguardo sul mio visitatore notturno, il mio cuore perse un battito, e mi sentì tutta un fremito: un cappotto di media lunghezza scuro e sbottonato lasciava intravedere il fisico asciutto e tatuato, due occhi scuri ed enigmatici mi osservavano sornioni mentre un mezzo sorriso, molto rigido e artefatto, si disegnava sulle sue labbra sottili e contornate da un velo di barba.
-Austin?- Sussurrai piano, quasi incredula. Era davvero lui, alla mia porta. Non che non mi aspettassi una sua reazione dopo quello che avevo fatto, ma venire in piena notte a casa mia?! Con tutto che sarebbe dovuto partire per la prossima meta del tour qualche ora più tardi?! Evidentemente il mio viso doveva aver assunto un’espressione insolita, poiché riuscì a intravedere il suo finto sorriso tramutarsi in un ghigno divertito… e sotto certi versi anche sadico.
-Pare che tu abbia visto un fantasma…- rispose freddamente, abbassando lo sguardo soltanto per un decimo di secondo prima di tornare a putarlo contro il mio. Sembrava nervoso.
-Fammi entrare…- aggiunse poi, con tono imperioso e tutt’altro che diplomatico,
-I-Io non credo che sia una buona idea…-chinai timidamente lo sguardo, aggrappandomi quasi alla porta mentre sentivo le gambe ricominciare a tremare. Pregustavo il sapore amaro della sua risposta, mi morsi allora il labbro inferiore pazientando.
-Sul serio Val?- ridacchiò maligno, posando una mano all’angolo della porta, cucciandosi lentamente così che la distanza che lentamente si accorciava tra di noi potesse torturarmi per bene.
-Dopo mesi, scappi dal mio concerto senza dire una parola. E adesso dici che “non è una buona idea”? Beh, vaffanculo. Me ne fotto di quello che credi e adesso lasciami entrare- ruggì facendo sì che un barlume d’ira folgorasse il suo sguardo, e un brivido mi percosse tutta al solo contatto con esso.  Deglutii piano, facendomi da parte. Chiusi successivamente la piccola porticina, respirando piano cercando di trovare il coraggio per girarmi e guardarlo ancora senza sentire un forte calore nostalgico e sensuale al petto. Feci per voltarmi quando mi ritrovai le sue grandi mani posarsi veementemente ai lati della mia testa, poggiandosi con un forte boato contro la porta, che in quell’esatto istante accolte anche le mie spalle e la mia schiena, pressate nel tentativo di arretrare dal ragazzo che a mano a mano si faceva sempre più vicino. Braccata, intrappolata dal suo corpo, prestante e caldo. Il suo fiato tiepido mi carezzava le gote, non riuscivo a sostenere il suo sguardo rovente.
-Perché sei venuta oggi?- domandò spavaldo, cercando i miei occhi lucidi e languivi che tentavo invano di mascherare con la frangia dei lunghi capelli,
-A-Austin, ti prego…- mi tremavano le labbra, a stento riuscivo a sussurrare qualcosa. Sentivo il cuore galopparmi all’impazzata nel petto, le lacrime gonfiarmi gli occhi. Sapeva cosa ero andata a fare, lo sapeva benissimo. Ma avrebbe preferito torturarmi con qualsiasi mezzo pur di farmi parlare. Se non mi faceva gustare l’inferno e il paradiso al tempo stesso, il moro non sarebbe mai stato soddisfatto. Era così che aveva catturato il mio cuore, sapeva essere dolce e spietato; sapeva come prendermi e farmi sua, farmi cedere.
-Dimmelo- lasciò combaciare la superficie della sua fronte contro la mia, soffiandomi tra le labbra mentre strofinava la punta del suo naso sulla mia pelle arrossata. Probabilmente stavo per scoppiare: le meningi pulsavano, il cuore pompava il sangue senza sosta facendomi mancare il fiato. Il suo respiro mi entrava in bocca, e pareva quasi nutrirmi.  Una lacrima allora, nel tremore della mia fragile emotività, sgusciò solitaria e silenziosa dal mio autocontrollo, tracciando una scia invisibile lungo la mia guancia. Successive a esse, altre piccole gemme incolori colarono a picco, bagnandomi il viso che il vocalist coglieva con delicatezza tra le mani, sollevandomi appena lo sguardo, facendo incontrare i miei occhi pallidi ai suoi, ora più eloquenti e rassicuranti.
-Dimmelo piccola. Per favore…- un singhiozzo sgraziato si fece largo tra le mie labbra. Scoppiai in lacrime proprio quando le sue dita lunghe e affusolate mi carezzarono tutta, stringendomi fra le sue forti braccia.
-M-Mi manchi. Mi manchi!- biascicai affondando il viso nel suo petto –Ti ho lasciato perché non volevo sentire il dolore per la tua mancanza. Sono un mostro cazzo. Sono un mostro…-
-No, no piccola non lo sei. Avevi solo paura…- sussurrò lui, questa volta riacquistando quel tono dolce e suadente con il quale sapeva farmi sciogliere. Non riuscivo a contare quanti brividi mi lanciasse la sensazione di protezione che sentivo stando stretta fra le sue braccia. Era inconcepibile il fatto che per tutto questo tempo avessi respinto il suo calore, il suo amore.
-l’idea di stare così lontani quasi sei mesi mi terrorizzava. E poi…- mi bloccai, mordendomi con timidezza il labbro inferiore, sollevando piano il capo mentre le carezze gentili e soffici di Austin mi scostavano i capelli dal viso.
-Cosa?-
-È una cosa stupida…- cominciai abbassando lo sguardo, sentendo la sua presa sui fianchi farsi un filino più vigorosa,
-Avevo paura che… Magari. Ecco…-
-Val?-
-Avevo paura che avresti incontrato una ragazza migliore di me. Magari che non fosse gelosa, pessimista, egoista e paranoica ecco…-.
Silenzio. Abbassai automaticamente lo sguardo, quasi nascondendomi nel suo abbraccio. Inutile negarlo, temevo la sua reazione. Le sue mani salirono sulla mia schiena, avvolgendomi; un risolino sghembo gonfiò le sue labbra.
-Non troverò mai un’altra come te, piccola- sussurrò piano, immergendo il capo tra i miei capelli, lasciando l’impronta di un bacio sul lobo, facendomi vibrare piano tra le sue mani.
-Austin…- lo chiamai dolcemente, facendo arrampicare le mie mani sul suo petto massiccio, legandogli le braccia attorno al collo. Era sempre stato alto rispetto alla mia minuta figura, tanto che dovetti sollevarmi sulle punte dei piedi per poter accorciare le distanze tra i nostri visi.
-Vorrei che tutto questo non finisse. Vorrei che tu non dovessi patire domani... -
-lo sai che tornerò no? Non starò via per tanto...- approfittandone della situazione le sue labbra mi stamparono un soffice bacio sulla guancia, mentre le sue parole cercavano vanamente di alleviare il dolore che mi portavo dentro. Come potevo sopportarlo? Ora che eravamo finalmente una cosa sola doveva allontanarti da me, ancora. Le lacrime cominciavano a gonfiarmi gli occhi ma pregai di resistere, odiavo piangere, soprattutto davanti a lui, e mostrarmi per quella che ero... una fragile ragazzina.
-Io ho b-bisogno di te... - la mia voce orami spezzata dalle lacrime, pregava in ginocchio l’amore per un uomo, forse il più folle, o il più sciocco dei maschi... ma il più perfetto che potessi mai incontrare, l’unico di cui potessi innamorarmi veramente.
-Anche io. Ti prego fidati se ti dico che non voglio lasciarti piccola...-
-Ti amo-
-Ti amo anche io- affermò portandomi a se, nascondendo il viso tra i miei capelli color mogano, gustandone l’odore, sfiorandomi le guance con le dita mentre le sue labbra mi donavano il privilegio di farsi assaporare dalle mie, troppo deboli per tremare ancora dall’angoscia, troppo desiderose del suo calore per separarsi. Ci mescolammo in un tutt’uno mentre vagavamo ciechi e innamorati per la casa, alla ricerca del nostro piccolo giaciglio, lasciando una scia informe e scombinata di vestiti. Stavamo stesi, l’uno sopra all’altra, non ci stavamo più guardando perché’ non c’era più nulla da vedere. Adesso tutto quello che rimaneva da fare era dare sfogo a ciò che stavamo nutrendo dentro. E trasportati dall’euforia, lasciammo che anche le nostre carni potessero godere di tutto quel calore che ci stava infiammando dentro. La mia pelle pareva quasi brillare in contrasto con la sua tutta tatuata, marchiata di ricordi indelebili e profondi. Sebbene i movimenti quasi timidamente impacciati e focosi non ci lasciavano molto tempo per riprendere fiato, le nostre mani non si slegarono mai. Per quell’istante rimanemmo costantemente annodati l’una all’altra, e i nostri respiri e i nostri gemiti rappresentavano l’unica colonna sonora che riusciva a coronare il nostro momento di amore intenso. Con ogni bacio, con ogni carezza, con ogni spinta i nostri cuori bruciavano, correndo lentamente verso l’auto distruzione. Sapevamo che ci stavamo facendo del male ma quell’atto era più che del comune sesso, e quel letto significava più che un semplice appoggio per stare comodi. Lamenti lussuriosi e lacrime disegnarono il mio viso, compiaciuti e soddisfatti di tutto quello che stavamo consumando assieme. Austin non lasciò minimamente che qualcosa andasse storto, per quell’ultima sera io e lui saremmo stati una cosa sola, e il piacere ci avrebbe aiutato a fonderci.  Mi baciò, asciugandomi le lacrime che continuavano a sgorgare dai miei occhi con le sue stesse labbra; infondo sapeva che non sarebbe stato più come prima, era al corrente che adesso per entrambi il risveglio sarebbe stato la pena più dolorosa. Affannati e sudati ci lasciammo andare tra le spoglie delle lenzuola candide, abbracciati come fosse stata la prima volta che avevamo fatto l’amore. Ci scrutammo, nella penombra della camera e le nostre labbra si fusero ancora. Ci dissetammo della nostra saliva, ci saziammo di quell’ultimo attimo di passione... prima che il fuoco, e i ricordi, perirono nei nostri cuori.

*Angolino di Virgy*

Sebbene gli impegni universitari non mi permettono di proseguire le mie long fic, nulla mia ha impedito di scrivere una one shot (puttosto lunga lo ammetto). Questa è la mia prima fic su gli Of Mice & Men (è stato amore a prima vista). Si tratta di un esperimento, anche per capire se in tutto questo tempo sono migliorata come scrittrice oppure mi sono arrugginita xD Spero che vi piaccia, ci ho messo tutto il mio cuore. Lasciatemi dei commenti se vi fa piacere, gradirei sapere se vi è piaciuta o meno e dove posso e devo ancora lavorare. Se lo stimolo creativo me lo consente, potrei scrivere ancora su di loro ;)
Grazie per aver letto la mia fic.

Un bacio
-V-
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Of Mice & Men / Vai alla pagina dell'autore: virgily