Al ballo del ceppo II
Lentamente, Ron era scivolato via dalla sala da ballo,
pregando di non essere visto. Basta attirare l’attenzione per stasera .
Si era lasciato trasportare dalle scale fino alla sua stanza, era entrato senza accendere la luce, buttando qua e là un’occhiata per essere sicuro che non ci fosse nessun’altro nella camera, e dandosi dello stupido subito dopo.
Già.
Chi diavolo vuoi che ci sia, sono tutti di sotto, a divertirsi, cosa che tu ovviamente non riesci a fare senza rovinare tutto.
Idiota.
Si era seduto sul bordo del letto, con i grandi occhi fissi sul pavimento, leggermente umidi, pensando dio che sfiga, solo il fatto che Malfoy esista, dio, ma perché doveva sempre rovinare tutto? Davanti a lui poi, che diamine.
Ripensando al vero proprietario di quel suo delizioso smoking, gli era salito un lieve brivido a fior di pelle, che gli aveva accarezzato la spina dorsale incurvata, costringendolo a raddrizzarsi; gli era venuto spontaneo mordersi le labbra, per non mettersi a gridare come una ragazzina, e sempre sorridendo si era sfilato la giacca, con delicatezza, poggiandosela a fianco, sul letto; poi aveva slacciato il cummerbund, e aveva iniziato a sbottonare la camicia lentamente, con cura, quasi fosse fatta di ali di farfalla, per non rovinarla in alcun modo.
Se l’era sfilata dalle braccia e l’aveva poggiata sopra la
giacca, rimanendo così a dorso nudo. Ma la cosa pareva importargli poco. Si
stese di fianco, un braccio a sostenere la testa, ad ammirare la bella giacca e
la camicia che, nonostante il buio e tutto, erano comunque stupende. Con
dolcezza poi, aveva preso ad accarezzarla, prima distrattamente, sul colletto,
poi scendendo sui bottoni del petto, infilando le dita fra le asole, beandosi
di quel tocco morbido e soffice, sorridendo a fior di labbra, finché stanco di
quell’adorazione vana si era sdraiato sopra gli indumenti, facendo passare le
braccia sotto la giacca e tuffando il nasino lentigginoso nella stoffa,
aspirandone il profumo, nella disperata ricerca dell’odore di una pelle
familiare, che ricordava il latte caldo, la neve, la seta. Gli occhi gli si
erano di nuovo riempiti di lacrime, ma no, non avrebbe pianto, certo che no,
non era mica un ragazzino lui.
Si stringeva convulsamente la stoffa al petto, inarcando la schiena, in un
incontrollabile quanto inaspettato bisogno di contatto fisico, cercando di
riportare alla mente ogni dettaglio del viso diafano, dei grandi occhi
verdissimi, di quella zazzera scura sempre scompigliata, cercando di immaginare
che piega avrebbero avuto quelle labbra -troppo rosse per il resto del
viso- se avessero tentato di trattenere
un grido di piacere: il pensiero era venuto così, naturale, come lo era stato
farsi scivolare la mano lungo il torace, scendendo lentamente verso le piccole
curve degli addominali, accarezzando l’incavo dell’ombelico per poi addentrarsi
sempre più a sud, fino alla pericolosissima frontiera del bottone nero del pantalone
da sera.
E adesso? Sarebbe bastata una lieve pressione del pollice per superare definitivamente e trionfalmente l’ostacolo, ma perché tutto questo sembrava così pericolosamente solenne?
“Gesù, se Harry mi vedesse ora…”
“Cosa?”
Il sussulto era stato immediato, violento; nel preciso istante in cui quel cosa? veniva pronunciato, una mano scivolava su quella del ragazzo, che ora tremava convulsamente, poggiata lievemente sul bottone.
“Ron” Harry era lì, dietro di lui, era sgusciato nella camera, o forse c’era da prima, chissà, fatto stà che ora teneva il petto incollato alla schiena nuda di Ron, che tremava leggermente, con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, che tentava di articolare un misero “posso spiegarti”. Ma la presa non mollava, e più la pressione aumentava, e lo costringeva dolcemente a sdraiarsi a pancia ingiù sulla giacca, più le parole non venivano fuori, disperse chissà dove nella confusione generale della sua mente.
“Ron..se io ti vedessi, cosa?”
“Io... io..” mi manca il fiato, stava pensando, non riesco a respirare..
La sua mano aveva smesso di tremare, saldamente ancorata a quella di Harry; prese a carezzarlo con la mano libera, sul collo, sul petto, sul ventre teso, fino a ché la criniera fiammeggiante smise completamente di vibrare: lasciò la mano che stringeva, per sbottonare il pantalone, lentamente, con grazia quasi, mentre un nuovo accesso d’asma coglieva Ron, incapace del benché minimo pensiero logico o per lo meno sensato; ma era evidente che non si sarebbe fermato. L’asola ormai era un ricordo lontano, e la cerniera si muoveva lenta, inesorabile, verso il basso.
Un respiro spezzato, un sibilo fra i denti, isterico, scioccato, mentre la mano, scivolata nel boxer, tocca l’intimità meno coerente e più sincera del ragazzo, che a differenza di lui, sta facendo la sua parte a meraviglia. Oh, com’è bella la giovinezza.
§§§
“Da.. da quanto eri lì?”
I due ragazzi ormai sono entrambi sdraiati sul letto, l’uno al fianco dell’altro, e guardano entrambi fissi il soffitto; del piacere di appena qualche minuto fa, rimane solo l’intorpidimento delle gambe, e una sensazione di calma al bassoventre ;
“Vuoi sapere se ho visto dall’inizio?” un lieve sorriso; ah, il mio piccolo Weasley, nemmeno Ginnie dev’essere così pudica.
“Lascia perdere..”
“Dai, non mettere il broncio, si, c’ero dall’inizio. La tentazione di guardarti mentre ti toccavi era irresistibile...ma evidentemente quella di essere io a toccarti era più forte…”
Il rosso stava letteralmente andando a fuoco.
Si era portato un braccio sul viso, a coprirsi gli occhi, no, non poteva farsi guardare in viso ora; Harry aveva colto il messaggio, e dolcemente gli si era portato sopra, scostando il braccio, occhi verdi negli occhi verdi, intensi, grandi, troppo forse, ah, piccolo Ron, come mi fanno male i tuoi occhi…
Un bacio, piccolo, innocente anche, un bacetto sulle labbra, appena poggiato, senza pretese, una carezza timida quasi, che aveva avuto il potere di rilassare Ron, fino ad indurlo a dischiudere la bocca e di presentarsi alla nuova amica. Oh piccolo, impari in fretta, eh?
“Harry”
“Mhm?”
“Ho macchiato il tuo smoking…”
“Meglio così”
§§§
Di sotto i festeggiamenti continuavano, e finalmente Draco, dall’alto della sua bellezza, si gustava un po’ di pace; bello come una statua di ghiaccio, adesso era seduto a un tavolo, e si guardava in torno, apparentemente calmo, tradito appena dall’isterico battere di un piede sul pavimento. Dove sei… il tono in cui la sua mente aveva formulato quel pensiero era disperato, languido, e una malinconia aveva preso ad attanagliargli lo stomaco. Ha dato il suo smoking a quel maledettissimo pezzente; lo smoking che gli avevo regalato io. Perché?
Le lacrime minacciavano di buttarsi giù dalle belle ciglia bionde, ma no, non lì, non ora. Meglio andare di sopra.