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Autore: Zodiac    29/04/2014    3 recensioni
Anno 2110 - Cento ragazzi vengono lanciati sulla terra;
Anno 1670 - Francia, caccia alle streghe;
Anno 2014 - America, San Francisco nel caos.
Tre epoche, tre storie, si intrecciano per lo stesso obiettivo: la salvezza dall'umanità.
[ Nota Bene: Le vicende sono frutto della mia fantasia. La Fanfiction segue solamente la trama generale della serie tv "The 100"]
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Ed incrociò con la sua via la strada

d'un mondo infranto,

e nella strada ardeva,

come brillante nuvola di fuoco,

la polvere del suo lungo passaggio.
[ Giovanni Pascoli ]


 




Terra – Anno 2014  [ San Francisco, California ]


Il sole giganteggiava  in cielo e niente osava intromettersi nel suo ciclico cammino. I luminosi raggi si infrangevano ovunque: sulle pareti cristalline dei grattacieli, sul suolo assolato, sulle chiome voluminose dei possenti alberi del centro della città. Tutto contribuiva al grande spettacolo.
San Francisco non era mai stata così splendente come quel giorno.
Un’onda frizzante di gente inondava le strade, rendendole energiche. Sembrava quasi respirassero.
Cher poteva sentire il battito della città, regolare, mentre chiudeva accuratamente il diario, riponendo la penna color argento nella sua borsa a frange di finto camoscio: l’idea del movimento che quelle molteplici frange producevano, trascinate nella sua camminata, la faceva sempre sorridere. Sembrava quasi che volassero.

Si alzò da quella panchina color verde smeraldo, rovinatasi nel tempo, che sempre l’accoglieva nel bel mezzo del gran parco e si avviò verso il penitenziario. Sapeva come immettersi nell’onda armonica di persone che la circondavano. Sapeva ancora meglio come non essere notata, come una semplice goccia nell’oceano. Sospinta e trascinata a destra e sinistra, non c’era bisogno di urlare: nessuno avrebbe sentito la tua voce.

L’estate la confondeva, la cambiava.
Si guardava intorno, mai smarrita né insicura, ma circospetta. Non riusciva a fidarsi di nessuno.
Non aveva amici ed era giunta alla conclusione che forse non ne aveva bisogno. Notava orde di ragazze che, euforiche, si spingevano da una vetrina all’altra, mentre radiose commentavano qualche ragazzo che, notandole, mostrava particolare interesse.
Lei non sapeva neanche cosa fosse l’interesse di un ragazzo.
Li aveva evitati da sempre, tutti.
Non aveva bisogno neanche di quello.

Il penitenziario si trovava poco lontano dal parco in cui, ogni mattina, Cher amava fermarsi a scrivere e a disegnare, attratta dall’atmosfera serena e accogliente del verde.
Era un edificio immenso, color panna, consunto e probabilmente molto sporco, corroso nel tempo. Tante finestrelle rettangolari si susseguivano, colmando la triste facciata.
Entrò, superando la faticosa e scomoda scalinata che conduceva all’ingresso, e salutò Jim, il custode, che ricambiò con un solare sorriso.
Quel luogo era deserto. E le metteva i brividi ogni volta.
Raggiunse poi l’ufficio del padre, poco distante dall’ingresso.
“Ecco la mia bambina!” disse Robert, schioccandole un sonoro bacio sulla guancia, ma con voce leggermente alterata.
In effetti il padre non era solo, quella mattina.
Una donna, davanti la scrivania color mogano, la scrutava.
“Permettimi di presentarti mia figlia, Cher” disse rivolto verso la femminile figura.
“Piacere cara, Jenevieve. Sono la nuova psicologa” rispose con un cenno del capo verso la ragazza.
Era alta, snella, indossava un tubino rosso scuro, un paio di occhiali neri alla moda.
Aveva due grandi occhi celesti, quasi glaciali, un paio di labbra carnose, anch’esse rosse fuoco  e lunghi capelli color rame che le scendevano sinuosamente sulle spalle.
“Tesoro, attendi qua fuori. Sono da te fra quindici minuti” aggiunse Robert infine.


Uscì da quell’asfissiante stanza e si sedette su una delle scomode sedie che, una in fila all’altra, occupavano l’inquietante corridoio.

Non sapeva cosa pensare. Quella donna le aveva lasciato una brutta impressione. Forse avrebbe potuto avvertire il padre riguardo le sue preoccupazioni ma non le avrebbe dato ascolto, come sempre.

Decise poi di attendere rimaneggiando quelle poche righe che aveva buttato giù, quella mattina, sul suo azzurro diario.

Dopo venti minuti, che le erano sembrati una eternità, una voce la svegliò da quello strano torpore.
“Hey, biondina! Potresti avvicinarti?”
Un ragazzo la scrutava dal fondo del corridoio, fissandola.
Mai nessuno l’aveva chiamata per avvicinarla, né tanto meno apostrofandola in quel modo.
“Giuro, non mordo” rispose con un malizioso sorriso allo sguardo sorpreso di Cher.

Indossava una di quelle tipiche tute arancioni che portavano coloro che, per un motivo o per un altro, si trovavano tra le mura del penitenziario.
Un paio di manette costringevano le sue braccia dietro la schiena, in una innaturale posizione.
Capelli color nocciola, riccio, occhi azzurri.
Sembrava più giovane degli altri carcerati. Forse anche più sexy.
La ragazza cacciò subito via quel pensiero dalla mente.
 
Cher, stufa di attendere ancora su quella sedia ferruginea, si alzò.
Pian piano che si avvicinava, il castano ragazzo la scrutava minuziosamente dalla testa ai piedi.
E lei riusciva a percepirlo, le pareva quasi di sentirli quegli occhi che si appoggiavano, senza permesso, su ogni parte del suo corpo.



Giunta al grande spiazzo principale, una sala in cui si svolgevano le varie noiose mansioni del penitenziario, si guardò in giro.
Non vi era anima viva.
Erano soli.
Sembrava che tutto d’un tratto l’universo, dopo essersi fermato per un millisecondo, fosse fuggito lasciandola lì, sola con quel dannato ragazzo.

“Ben arrivata, bionda!” disse soddisfatto “Sono la cosa migliore che ti potesse capitare oggi…” proseguì con la sua fastidiosa voce. “Sei la figlia di Robert, giusto? Quindi puoi togliermi le manette. Credimi, non sto cercando di fuggire… sto cercando un complice, piuttosto” aggiunse infine mentre continuava a fissarla negli occhi. Quello sguardo cominciava a darle sui nervi. Sembrava che capisse ogni cosa. Ogni sua emozione. Ogni sua paura.
“Come potresti anche solo pensare che io possa davvero aiutarti?” rispose con un leggero tono di sfida. Si sorprese da quel suo atteggiamento. Non era mai stata così sfrontata.
“Ho qualcosa da farti vedere che potrebbe interessarti, credimi bionda” disse in risposta.
La voce del ragazzo era sicura e decisa.
Non stava mentendo.







Terra – Anno 2110

La luna sembrava scrutarlo dal suo alto trono. Da sopra il Monte Weather.
Tutto era calmo.
Quella tranquillità stava corrodendo tutto. E tutti. Persino Bellamy Blake.
Seduto sotto un grande albero, lontano dagli altri sopravvissuti, cercava di immaginare come fosse la vita su quel pianeta quando ancora era possibile assaporarla, viverla, respirarla. Non riusciva però a focalizzare nessuna immagine nella sua testa. Cosa ne sapeva lui di cosa volesse dire vivere per davvero? Aveva passato la maggior parte dei suoi anni lottando per la speranza di una vita per la sorella.
Octavia ora era libera, però. A lui cosa rimaneva, invece?
Il pensiero della ragazza lo svegliò, portandolo all’angoscia.
Erano giorni ormai che entrambi non si rivolgevano la parola.

Ed erano anche giorni che la gente soffriva la fame.
Ormai le bestie cacciate durante le lunghe mattinate non riuscivano più a soddisfare tutti.
E in più, ormai la fauna del luogo si teneva a debita distanza da loro.
Si sentiva responsabile per tutto ciò che stava accadendo.
Per tutto ciò che sarebbe successo.
Senza una spiegabile ragione.

Ed ora era lì, a fissare le stelle.
Esprimi un desiderio lo aveva incalzato Clarke poche sere prima.
Non saprei cosa desiderare  le aveva risposto.
Lui voleva ardentemente tutto e niente.
E poi, perché avrebbe dovuto confidarsi con lei? Proprio con Clarke?!
A volte era insopportabile. Sembrava sapesse tutto.
Tutto di lui.
A quel pensiero, un lieve sorriso animò il suo volto, impercettibile.
Quella sensazione gli piaceva.
Solo quella che lei riusciva a regalargli.


Ad un tratto sentì dei passi dietro di sé.
Era impossibile non avvertirli.
Oltre al vociare lontano dei suoi compagni, niente disturbava il silenzio terrestre notturno.

Cercò di non muoversi, allarmato.
Respirò. L’adrenalina cominciava ad impossessarsi del suo corpo.
Era pronto ad attaccare.
La figura si avvicinava sempre più. Lo stava raggiungendo.



Quando ormai il soggetto era dietro all’albero sotto cui sedeva, Il ragazzo balzò fuori all’improvviso.
Si avventò e cadde a terra, avvinghiato a quella misteriosa ombra.
Il coltello tra le mani minacciava il collo della ragazza inerme.
“Bellamy!” urlò divertita Raven mentre, uno sopra l’altro, cercava di riprendersi da quella caduta.

Entrambi cominciarono a ridere.
Il respiro di lui sul viso di lei.
Caldo.


Improvvisamente un’esplosione acuta, vibrante e lontana violentò la fresca quiete.
Tutto si risvegliò.
  
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