Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Ricorda la storia  |       
Autore: S_EntreLesLines    30/04/2014    7 recensioni
Più rapido della velocità della luce, come un giro sulle montagne russe...come un flash, come una saetta. Tutto cambia gusto, quando evadi dalla routine...quando attorno a te ci sono solo giostre, luci, voci e ti senti vivo dentro...oltre ciò che sei.
«Non sei uno sconosciuto» rispose.
Un tremito di disappunto gli percorse le braccia. «Ah no?».
«No, sei una variazione di qualcosa che conosco».
Se avesse detto che erano simili sarebbe stata una risposta azzardata, che non amava ricevere perché la gente spesso e volentieri crede di conoscerti e usa formule scontate per definirti. Per etichettarti. Per avvicinarti a sé. Lei aveva usato una variazione, in un certo senso. Era una definizione…colorata. E che stava a pennello a lei, perché lei era una variazione. Adesso aveva trovato il modo adatto a definirla.
«E tu, chi sei?» le chiese.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Vi ho lasciate la scorsa settimana con la promessa di dover sistemare le idee prima di farmi viva di nuovo…beh…come si dice? L’ispirazione arriva quando meno te l’aspetti…e sono riuscita a dare voce a quello che mi frullava per la testa!
Prima di partire con le mie filippiche senza senso, vi chiedo scusa per non aver ancora risposto alle recensioni riguardo l’epilogo di
Fire in the Air, cosa che farò oggi…promesso! La settimana scorsa è stata piena di impegni, motivo per cui ho pubblicato l’epilogo martedì scorso, sapendo che non avrei avuto poi tempo…e non volevo farvi aspettare una settimana con il magone e la voglia di SAPERE.
Chiusa questa parte, passiamo alla seconda: una nuova FF??? Muahahahahah, sì.
Ma questa volta sarà diversa, sotto molti punti di vista…cominciamo dalla lunghezza: questa storia vagava a pezzi nella mia mente bacata, in seguito a una foto che avevo visto su Pinterest e che avevo già etichettato come materiale ispirante per un mio prossimo trip mentale. Ebbene, dal nulla ho trovato lo sbocco ed ho deciso di CONDIVIDERE con voi, perché sono bastardah.
Quindi: se per Sara e la Gerry le cose erano iniziate ad minchiam (cit.), senza alcun progetto ma solo lasciandomi guidare dallo spirito d’avventura e di follia, adesso la cosa nasce circoscritta…perché la storia ce l’ho in mente dall’inizio alla fine. Ed è già scritta per tre quarti.
Quindi…(ok, cerco di dilungarmi il meno possibile…)…sarà composta da 5 capitoli di equa lunghezza, anche se inizialmente volevo farne una OS ma sarebbe stata troppo lunga.
Altra peculiarità: noterete uno stile diverso rispetto a Mr. Inginocchiati, Dai’s Story…perché? Perché il contesto me l’ha richiesto esplicitamente, in quanto volevo rendere l’atmosfera che percepivo immaginando i personaggi. Il colore della storia. Le sensazioni.
Lo so, sembro fatta di salvia o che so io…ma no, credetemi…sono così al naturale.
Bene, spero di non avervi spaventate e smaronate con sta presentazione…come ho sempre detto, in questo spazio voglio sperimentare modi nuovi, mondi nuovi e amo il fatto di poter avere un riscontro diretto con voi, se non vi farà troppo caghé…in tal caso, non mi offenderò, sappiatelo…capisco di essere lievemente borderline.
Ammetto di essere in fase ansia da prestazione, in quanto il “successo” (ok, non trovavo altri termini…) di Fire in the Air mi mette una scaga assurda x quella che sarà l’accoglienza di questa storia…ma d’altra parte, volevo scriverla…ecco. E farvela leggere, nel caso vi interessasse. A mali estremi potreste leggerla in bagno, al posto delle etichette dei detersivi o invece che spulciare Facebook….ahahahah.
Bene, penso di aver detto tutto (una settimana di assenza implicava molte cose da dire…).
 
Ah, sì…sapevo io di non aver finito…ahahahah…ogni capitolo avrà il proprio banner, diverso dagli altri.
(sono psicopatica, lo sapete…)
Altra cosa…vi invito alla lettura interattiva x ogni capitolo, pertanto cliccando sul titolo verrete spedite a calci dati dai piedi porno della Gerry alla song che ha violentato la mia mente per la stesura di cotanta malattia mentale. Il mio consiglio psicotico è di ascoltarla prima della lettura ed anche dopo, sempre nel caso la storia vi ispirasse trip di tipo allucinogeno e psichedelico. Perché questa FF la definirei proprio così…(preoccupanteh).
 
Ho finito, fuggo…un abbraccio e grazie ancora x tutto quanto mi avete dato finora…un abbraccionissimissimo!
Ste




      



 


Un break che aveva agognato per mesi, durante i quali ogni impegno era stato programmato al secondo pur di potersi ritagliare quei giorni di completo e totale relax e divertimento. Ovviamente se alla voce “relax” corrispondeva il sinonimo di “scarica di adrenalina”. Quarantadue anni suonati, anzi: suonanti, e l’entusiasmo di un bambino che scalpita per un giro in giostra, per un altro, per un altro ancora. Per lui la giostra era il palco, la creatività, la musica, la recitazione, l’esplorazione di se stesso. E poi, sì: le giostre dei parchi divertimento. Amava i luna park, l’adrenalina della pressione al torace quando il dubbio di potersi schiantare al suolo da un momento all’altro attanagliava lo stomaco e ti mozzava il fiato, amava la sensazione di pericolo e la successiva esplosione d’aria che tornava a riempirti i polmoni quando realizzavi di essere ancora vivo. Quella era vita, la metafora della sua vita: vissuta a mille all’ora fino a quando, in un secondo di quiete, riusciva a capacitarsi di tutto ciò che era accaduto in quella folle corsa. Compagno di viaggio, anche questa volta, era il suo fratellone: chi meglio di lui poteva condividere quella passione primordiale? L’adrenalina, che altro….


«Pacchetto completo: soggiorno al resort più accesso al parco…». Aveva sventolato i fogli con la prenotazione appena stampata davanti alla faccia di Shannon, impegnato in un combattimento a sangue alla Playstation. «Camere separate, ovviamente» aveva precisato, ricevendo un’occhiata ammiccante con tanto di sopracciglio alzato e sorriso sghembo.
In realtà Shannon non aveva capito un cazzo. Il motivo principale di quella scelta forzata era la necessità di staccare la spina e dividere la stanza con lui sarebbe stato come essere ancora in tour: scarpe in giro, occhiali da sole abbandonati anche dentro la doccia, russare costante. Insomma: la causa era Shannon. Ma sapeva che era troppo fiero delle proprie espressioni alla “You know what I mean” per smontargli il palco con la verità. Sperava solo che i muri fossero abbastanza spessi nel caso in cui avesse deciso di sbattere qualcosa che non fosse la grancassa della batteria. O che almeno optasse per una cosa sado, tanto per soffocare rumori che gli avrebbero rovinato il sonno. Sì, bramava lunghe dormite oltre alle scariche di adrenalina. L’equilibrio, che cosa meravigliosa.

Resort di lusso, anche se non richiesto: facchini e hall bianca, tappeti che tra poco scintillavano e cortesia ai massimi livelli. Certo, erano abituati a quel trattamento…ma questa volta era diverso. Perché non gli veniva riservato per il loro nome o perché fossero realmente in un albergo di lusso, ma perché quello era un angolo di mondo in cui ogni ospite era speciale ed ogni istante di permanenza in quell’isola di colori era destinato ad essere unico. Era la politica dei parchi divertimento, il cui unico scopo era regalarti emozioni fuori dall’ordinaria amministrazione e, quindi, perché no, farti sentire importante. Coccolato. Meritevole. E lo era anche per loro, perché finalmente si sentivano come tutti gli altri ospiti, nessun privilegio particolare…erano due persone qualsiasi. Una figata. Sì, perché, paradossalmente, nella bolgia di gente che popolava il resort e il parco passavano inosservati; chiunque fosse lì era ben lontano dal bombardamento di informazioni del mondo esterno: catapultati sull’Isola Che Non C’è, dove i personaggi delle fiabe sono reali e all’ordine del giorno…e vedere Jared e Shannon Leto per i corridoi dell’hotel non era certo cosa degna di nota, considerato il fatto che non li notavano neppure. Quindi, ecco, quella cosa era fantastica. Ed era uno dei motivi per cui amava quei posti.

«Ci vediamo tra mezz’ora» aveva detto a Shannon, aprendo la porta della stanza.
Luce ovunque, luminosa e ariosa. Si sdraiò sul letto, contemplando il soffitto bianco e respirandone l’odore asettico e vagamente floreale, tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e lo spense. La vacanza era appena iniziata.
Quel pomeriggio era stato un assaggio di ciò che il parco aveva da offrire: musica, spettacoli, attrazioni, colori, profumi, visi felici, corse e risate. Il lato bello della vita lo potevi cogliere nei luna park, perché potevi essere certo che mai nessuno in quei posti sarebbe stato triste: tiravano fuori un lato primordiale nelle persone, quella felicità e spensieratezza viscerale tipica dell’infanzia…anche se vissuta in età adulta era ben diversa. Perché eri conscio di avere un lasso di tempo definito per evadere dalla realtà, e lo vivevi appieno e a fondo…da bambini, invece, la percezione del tempo è ben diversa. Tutto ci sembra più grande, e il tempo pare scorrere a velocità ridotta. Nella realtà parallela della fantasia, ti consegnano un paio di occhiali che enfatizzano le percezioni: ogni cosa ha un sapore e un odore differente, ogni cosa ha un colore più vivido, ogni cosa ti bombarda la mente impregnandoti ognuno dei cinque sensi. Quelli di Shannon, poi…erano in preda a un’overdose.
«Bro…dovresti assaggiare queste cose…non ho idea di cosa siano, se non poveri animali morti e poi infiocchettati per la gioia delle mie papille gustative…ma, cavolo…toh, assaggia…». Gli buttò sul piatto un ex essere vivente sotto forma di polpetta, dall’aspetto decisamente invitante, che cominciò a mettere a dura prova la sua forza di volontà.
«Riprenditi quest’affare» sibilò, deciso a non lasciar trapelare la tentazione di mancare spudoratamente di rispetto all’intera stirpe bovina. Poi, dal profumo…pareva cotta nel burro…un attentato all’etica vegana. No. Non avrebbe ceduto. Soprattutto sotto lo sguardo spassosissimo di Shannon che non aspettava altro se non il ritorno di Jared Il Carnivoro.
Sbuffò, deluso. «Una volta, quando divoravi proteine animali con la tua classe innata, eri decisamente più divertente» osservò, ficcandosi in bocca l’intera polpetta. «Non sai cosa ti perdi…hai presente quando mamma preparava le polpette al sugo la domenica? Ecco…ancora meglio…».
In risposta si era riempito la bocca di insalata, ignorando il paragone e il tentativo subdolo del fratello di scatenare una crisi di astinenza animalesca. Che poi, detta così…sembrava tutt’altro. Stava masticando volutamente con la lentezza di un novantenne per evitare di dover interagire oltre con Shannon Tentatore Leto, intento a pulire signorilmente con un pezzo di pane il piatto, quando una saetta color Big Babol gli sfrecciò davanti: cercò con gli occhi il punto in cui l’aveva vista sparire, senza risultato. Eppure l’aveva vista. Anzi, aveva visto del rosa…ma non aveva ben chiaro che cosa fosse…se non una sfumatura veramente carina…carina. Insomma, un rosa figo. Ma cos’era?

Continuarono la cena chiacchierando del più e del meno, mentre con noncuranza continuava a cercare quella saetta in giro per la sala. Era sicuro di averla vista. «Hai adocchiato i dolci?». Scatenò la sua vendetta su Shannon, che aveva esaurito la quantità di calorie assumibili per quel giorno. Da quando si era messo in testa di dover eliminare i carboidrati complessi dall’alimentazione era diventato una donnetta in crisi isterica di fronte a fonti di zucchero da occlusione coronarica istantanea. Poi però faceva la scarpetta sull’unto delle polpette fritte, ma quella era carne…proteine.
«Prenderò l’ananas» rispose con superiorità, ignorando la frecciatina.
Jared si era passato la lingua sui denti, ghignando tra sé. «Prendi anche un the verde, già che ci sei…combinato all’ananas dicono sia una bomba». La saetta rosa, eccola. Piantò gli occhi sui capelli di una ragazza appena uscita dalla cucina, diretta a un tavolo con due coppe di macedonia tra le mani. Pantaloni neri eleganti, camicia bianca con le maniche risvoltate, cravatta leggermente allentata e primo bottone aperto, capelli di un rosa pastello legati in uno chignon sulla nuca…qualche ciuffetto ribelle scappava dall’elastico. La seguì, guardandola servire al tavolo. Poi tornò verso la cucina, grattandosi il naso. Quel rosa era…una figata.
«Scusi, signorina…?».
La voce di Shannon l’aveva risvegliato dal trance, riportò l’attenzione al fratello.
«Mi dica…».
«Vorremmo ordinare il dessert».
«Certo, ditemi…».
«Per me una macedonia di ananas…».
«Per lei, invece?».
Jared aveva ascoltato distrattamente la conversazione, giocherellando con le briciole di pane in mezzo alla tavola. Quel rosa continuava a guizzargli in testa. Era come se fosse il colore giusto nel contesto giusto, anche se il ristorante del resort era alquanto formale. Ma era un rosa aggraziato, discreto, eppure saltava all’occhio. Forse si era sentito meno solo, forse. In fondo era l’unico della sala ad avere i capelli blu elettrico. Insomma….
«Jared?». Shannon gli pestò il piede sotto al tavolo.
Aggrottò la fronte, sollevando lo sguardo. «Dimmi».
«La signorina ti ha chiesto se prendi il dolce» gli rammentò, appoggiandosi allo schienale della sedia con fare rilassato e lanciando un’occhiata di scuse alla cameriera.
Jared si voltò alla propria destra, seguendo lo sguardo di Shannon. La saetta rosa era ferma al loro tavolo, un sopracciglio perfettamente curato leggermente sollevato e un sorriso di circostanza sulle labbra. La fissò, spaesato, per qualche secondo, scombussolato e ammaliato dalla freschezza che trasudava. «Per me la vegan red velvet» le disse poi, guardandola annuire per poi dirigersi verso la cucina con i loro piatti.

Wow. Era l’unica cosa che riusciva a pensare. Quella saetta rosa era un pugno nell’occhio…anzi, ne era la conseguenza immediata: non era l’irruenza del colpo, ma lo sfumare della sensazione di colori che percepivi strizzando la palpebra subito dopo. Quindi, era una sensazione sublimata senza capo né coda: fluttuante, dispersa nell’aria; la percepivi, potevi coglierla, ma non aveva un senso. Era una sorta di nevillizzazione di se stessi in una dimensione irreale, giusto il tempo di una saetta, che appariva e scompariva a distanza di millesimi di secondo. Gli capitava raramente che un dettaglio in movimento come quello scatenasse in lui una sorta di Sindrome di Stendhal, lanciandolo in una spirale psichedelica di sensazioni. Il colore, lui lo amava. Ogni colore. Quel rosa saettante era come una parola d’ordine a lui sconosciuta per aprire un portale, il Ponte per Terabithia verso un frangente inesplorato della propria fantasia. Non sapeva né come né perché quel flash scatenasse in lui sensazioni così improvvise e indefinite, ma erano la scarica di adrenalina che cercava: inseguire la scia di quei capelli come fosse il vorticare delle montagne russe, lasciandosi trasportare oltre i confini della percezione della realtà.
E, come un lampo nel cielo, era sparita dietro le porte della cucina senza più riapparire. Ne era rimasta traccia nella red velvet che aveva di fronte, poggiata sul tavolo da mani che non erano sue: non c’era la freschezza di una folata di vento che portava con sé petali di ciliegio rosa dipingendo l’aria con pennellate sfuggenti, non c’era il profumo di lampone che l’aveva preceduta ed era rimasto a stagnare nelle sue narici trepidanti di poterne cogliere qualche dettaglio che prima non aveva fatto in tempo ad assimilare. Solo quel tenue rosa pastello, gli occhi azzurri ben più lucenti dei suoi, le labbra fresche come ghiaccio. Una tela bianca su cui aveva abbozzato dei particolari. Ma non riusciva a ricordarne l’insieme: una percezione, una presenza…nulla più. E quella red velvet parlava di lei, ne possedeva qualche pigmento…qualche traccia: qualche nota della sua voce, che adesso faticava a ricordare, uno scintillio dei suoi occhi, che ora gli apparivano quasi vitrei, e il lucido, gelido e liscio della sua bocca, glassa che avrebbe solleticato i palati più assetati.

 
 
 

La stanza bianca, nel riflesso della notte, era come quella tela abbozzata: lo incitava a continuare il dipinto, ma un cieco come può rendere ciò che ha percepito a occhi chiusi? Non vedeva i colori, perché la tavolozza era lei: lei, da cui attingere e rendere vivido il ricordo di un barlume. Il tempo di un respiro. Come puoi dare forma a un flash? Il bianco è la somma di tutti i colori, pertanto non avrebbe avuto senso smembrarlo per vivificare quel volto. Aveva visto l’energia di quei toni e smaniava per poterla respirare e plasmare, sentirne la consistenza tra le mani, catturarne l’odore e imbottigliarne l’essenza nella propria memoria olfattiva, imprimere come ceralacca quelle tonalità nei propri occhi, come fosse un feticista, come un alchemico giro della morte nella giostra delle sensazioni: carezzevole, gutturale, sferzante e impalpabile. Era una fantasia. Lei. Doveva uscire e prendere aria prima che quel tunnel lo inghiottisse rubandogli la lucidità, perchè l’unica lucidità cui riusciva a pensare era quella del sottile strato di gloss sulle sue labbra.

Il parco di notte era muto, buio, vuoto, inquietante. Era stato facile scavalcare la recinzione e addentrarsi nel labirinto della felicità preconfezionata per raggiungere il The Truman Show coscientemente scelto per la propria fuga dalla banale realtà. Il rischio da correre era scavalcare quella recinzione per prendere atto che fosse finzione, costruzione. Dava l’idea di un luna park abbandonato: le attrazioni spente, i vialetti vuoti. Lampone. Fragola. Si voltò, socchiudendo le palpebre e respirando con cautela un odore che avrebbe potuto fargli esplodere i polmoni: era ovunque.

«Il parco è chiuso».
Una voce, alla sua destra. Di nuovo. Si voltò seguendone le note che scorrevano nel pentagramma della sua mente, già provata dalle troppe recezioni degli ultimi secondi. Un fantasma, perché in quel buio saettava ancora lei: rosa, azzurro, bianco, nero, fragola e lampone.
«Lo so».
«È bello, quando non c’è nessuno».
Tu sei bella. Inspirò, riempiendosi di ogni dettaglio che riusciva a cogliere: i capelli sciolti e lisci, la t-shirt a righe bianche e nere le scopriva le spalle lasciando intravedere le spalline di una canotta nera nascoste tra i ciuffi color confetto, gli shorts in jeans erano strappati, le calze a rete nere, i Doc Marteens bianchi, lo zucchero filato rosa in mano.
«Se il parco è chiuso, come mai hai lo zucchero filato?».
Rise. Melodiosa. Squillante. Luminosa. «Ho i miei agganci, lavorare qui ha i suoi privilegi».
«Avere il parco tutto per te?».
«Di solito, ma stasera mi hai rovinato la passeggiata». Un altro sorriso.
«E tu la mia». Ricambiò il sorriso.
«Dove stavi andando?». Staccò un pezzo di zucchero filato e lo tenne tra le dita, poi lo avvicinò alle labbra. Fragola.
Stavo fuggendo da te. E alla fine, sei venuta da me. «In nessun posto, mi piace l’inquietudine dei luna park di notte».
Si leccò le dita, sovrappensiero. «Ah sì? Beh, allora vieni con me…». Si voltò, incamminandosi nella direzione da cui era arrivato Jared, facendogli cenno di seguirla. Fragola e lampone. Quando furono di fronte al tendone di un circo si portò l’indice alle labbra, intimandogli di fare silenzio. Si infilò tra le tende chiuse, addentrandosi nel buio più totale. «Vieni» sussurrò, prendendogli la mano e muovendosi nella penombra. Quel posto era inquietante: non udiva alcun rumore, se non i loro passi. L’odore del legno, della plastica e della polvere era fuso con la scia dolce che lo teneva per mano guidandolo nell’oblio, nel ventre della propria fantasia. Era realtà? Era sogno? «Non muoverti». Gli lasciò la mano e si allontanò di qualche metro, udì un click e poi lo scricchiolio metallico di una lampadina che lampeggiò un paio di volte e poi si accese. Luce fioca, polverosa. Riabituò le pupille alla luce e mise a fuoco lei. Poco distante da lui. Lo zucchero filato tra le mani. Si leccava le dita guardandosi intorno. «Benvenuto…». Sorrise, facendo un inchino, accompagnando il suo sguardo alle proprie spalle, con un gesto della mano.
Jared fece un passo avanti, alzando le sopracciglia: il deposito costumi del parco. Mascotte, acrobati, personaggi di ogni forma e dimensione, marionette…assurdo. Fantastico. Scrutò ogni maschera, ogni centimetro di stoffa, annusò ogni molecola di polvere e umidità, cogliendo solo quel misto di frutti di bosco asprigno e zuccherino, come un cacciatore ipnotizzato dall’odore della propria preda. Portò lo sguardo sulla fonte della propria ossessiva ricerca di saziare la sete, sull’interruttore che avrebbe spento quella luce fioca ammutolendo ogni saettare che occupava lo schermo della sua mente. Colse un lampo di apprensione negli occhi azzurri, impegnati a seguire i suoi.

Click. Luce spenta.

Si dice che quando la vista è accecata si sviluppino maggiormente gli altri sensi, come in una caccia. E quella era la sua battuta di caccia, in un tendone da circo, nel deposito dei costumi di scena, inseguendo la scia rosa fluttuante che gli aveva mandato in tilt le papille percettive razionali. «Perché mi hai portato qui?» chiese, incapace di capire dove si fosse spostata, visto che il suo odore era ovunque.
«Perché hai detto che ti piace l’inquietudine dei luna park di notte».
Un brivido, la voce era esattamente di fronte a lui. «E a te, piace?».
«Mi piace sapere che, anche se le luci sono spente, si riaccenderanno il giorno dopo e l’incantesimo comincerà di nuovo».
«Non hai paura del buio?».
«Con le luci spente tutto fa più paura, fiuti il pericolo, ma domani si riaccenderanno…no?» rispose, ironicamente.
«Anche se sei con uno sconosciuto?». Si avvicinò maggiormente, volendole incutere volutamente timore.
«Non sei uno sconosciuto» rispose.
Un tremito di disappunto gli percorse le braccia. «Ah no?».
«No, sei una variazione di qualcosa che conosco».
Se avesse detto che erano simili sarebbe stata una risposta azzardata, che non amava ricevere perché la gente spesso e volentieri crede di conoscerti e usa formule scontate per definirti. Per etichettarti. Per avvicinarti a sé. Lei aveva usato una variazione, in un certo senso. Era una definizione…colorata. E che stava a pennello a lei, perché lei era una variazione. Adesso aveva trovato il modo adatto a definirla.
«E tu, chi sei?» le chiese.
«Charlie».
«Charlie?».
«Charlotte».
Un nome dolce come il miele, delicato e senza tempo, scheggiato in qualcosa di più algido…come le spalle bianche su cui spiccavano le spalline della canotta nera, accarezzate dai lunghi capelli rosa. Un contrasto. Un paradosso. Un anacronismo. Era ossigeno. Era adrenalina. Cercò la sua mano, la solleticò con le dita per capire se avesse potuto spingersi in un contatto: lei ricambiò il tocco e si lasciò guidare verso lo zucchero filato, strappandone un pezzo e portandolo alle labbra. Jared si avvicinò, poi, intrecciando le dita alle sue e compiacendosi nella sensazione del sentirle appiccicose. Ne bramava il sapore zuccherino e stucchevole, dolce. Invitante. Un amplificarsi di sensazioni, forse, perché al buio tutto risuona più forte, tutto è maggiormente percepibile. E le labbra di Charlotte erano sulle sue, adesso. Un invito silenzioso che aveva pensato con troppa intensità, che aveva accolto avvicinandosi lentamente a lui che ne percepiva il sapore farsi sempre più vicino. Labbra caramellate, glassate, buone.
Chi era quella sconosciuta dal sapore così invitante? Una calamita cui non riusciva a non pensare, anche adesso che era sulle sue labbra lambendole con la propria dolcezza…un contatto flebile e inconsistente, che svanì lasciandogli in bocca il retrogusto aspro di un lampone…come la scia di profumo nell’aria che si mischiava al pulviscolo. Così come era apparsa dal nulla, la saetta rosa se ne era andata in un click. La luce si era riaccesa riempiendo malamente il vuoto impresso nella sua mente.

Non è la realtà, è un sogno.



 
      ∞



Primo capitolo...
...dunque, devo fermarmi e non pubblicare il seguito?
Lo cancello dall'hard disk?
Me lo tengo x me?
Sto giro sono lievemente agitata...
...apparte gli scherzi, se avete opinioni, insulti, sputi in faccia...li accetto a braccia aperte...
perchè è un genere nuovo, se così vogliamo definirlo...x me...
Baci baci

Ste


 
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: S_EntreLesLines