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Autore: Cheonefer86    30/04/2014    1 recensioni
Severus Snape è sparito subito dopo la battaglia di Hogwarts, rifugiato in un luogo remoto del mondo, smarrito persino dalla sua stessa vita, ma un avvenimento lo metterà di fronte ad una scelta. E forse non sarà troppo tardi per essere felici.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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The Islander

Nota: Storia scritta per il Gioco Creativo “A ritmo di musica” facente parte della Severus House Cup del Forum “Il Calderone di Severus”.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Il personaggio originale, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

La canzone da cui trae ispirazione questa storia è The Islander dei Nightwish.

 

 

 

 

I sentieri felici della solitudine

 

 

Ci sono dei sentieri che ti conducono dove nessuno vorrebbe andare, eppure, a volte, è proprio quella la strada che desideri percorrere, quell'oscuro e silenzioso mondo che ti porta al di là di tutto, al di là di una vita che non ti è mai entrata dentro, di una felicità mai assaporata, lasciata marcire come un frutto abbandonato sotto un albero avvizzito.

E in quel momento il tuo unico desiderio è di andare lontano, finalmente libero di sorridere, in quel luogo dove puoi respirare a pieni polmoni l'aria libera da ogni peso e limpida da ogni buio che ti ha avvolto per anni.

Là, dove vorresti gridare tutto ciò che ti sei tenuto dentro per tutto questo tempo, urlare al sole sul tuo viso, al tuo cuore che non batte più per piangere e dolersi, a quell'anima di tenebra che non è più parte di te.

E allora arrivi in quel luogo dove la luce ti acceca e il calore ti scalda il cuore, dove ciò che hai desiderato per tutta la vita ti appare davanti, vivo e reale, e allunghi la mano per sfiorarlo e adesso riesci persino ad afferrarlo, a stringerlo tra le tue braccia e farlo tuo, completamente e come mai sei riuscito.

Solo in quel momento ti rendi conto che, per la prima volta, sei felice.

An old man by a sea shore at the end of day
Gazes the horizon with sea winds in his face.
Tempest-tossed island,
seasons all the same.
Anchorage unpainted
and a ship without a name.[1]

Il mare con le sue piccole onde si era portato via il tempo, anno dopo anno, come se fosse una spiaggia battuta dai venti e dalle maree, come se fosse quella piccola spiaggia dove non v'erano che poche persone, poche vite che si muovevano come industriose formiche di un minuscolo formicaio.

Era una vita semplice la loro, alla quale ci si abituava presto se si era alla ricerca di tranquillità e solitudine, di un posto dove essere uno qualsiasi tra i pochi e dove nessuno avrebbe fatto domande alle quali non si voleva rispondere.

E il tempo scorreva così, nei sorrisi dei pochi bambini che c'erano e tra i saluti cordiali degli abitanti, amanti fedeli di un mare che gli aveva donato la vita e a volte gliela toglieva crudele, che permetteva loro di essere persone semplici che scandivano le ore guardando quel sole che spesso accompagnava le loro giornate.

Il giorno volgeva al termine sulla piccola isola percossa con violenza dalla tempesta, essa risuonava forte nell'aria, melodie sinistre che avrebbero spaventato chiunque l'avesse ascoltate per la prima volta, del tutto profano a quel mondo.

C'era soltanto un uomo che si faceva beffa di quel tempo e se ne stava lì, immobile ad osservare quel mare che lo aveva reso solo tra i soli, navigatore errante di un'esistenza che non lo aveva mai voluto completamente; e guardava, guardava con l'attenzione di un pittore davanti alla sua tela, ma lui non dipingeva quadri e quell'orizzonte era nient'altro che il sibilo del passato che lo guardava da lontano.

E lui faceva altrettanto.

I suoi capelli si muovevano sferzando l'aria, come quei vestiti che le anziane donne dell'isola mettevano ad asciugare sui resti di alcune barche che spuntavano dalla sabbia, simili a nuove e forti piante. Si muovevano seguendo la tempesta che squassava il mare colorandolo di luci nella notte, e in essa si confondevano, e si agitavano intensi mentre della spuma grigia sporcava anche loro.

Gli anni erano passati uno dopo l'altro e la sua vita si era consumata come la cera di una candela, ma stava ancora lì con la sua determinazione e tutto il suo coraggio che si era portato dietro da quel passato ormai troppo lontano, che neppure il tocco delicato della morte era riuscito a portargli via.

Passava il tempo, passava inesorabile, ma per lui erano soltanto cicli che si ripetevano, tutti uguali, quattro voci diverse di una stessa donna che abbracciava le notti e i giorni, che li abbracciava mentre lui continuava a guardare il mare, a camminare con i piedi nudi sulla spiaggia mentre la brezza gli carezzava l'anima, cercando di ridestare quel cuore abbandonato al di là di quelle acque.

E se ne stava immutabile a scrutare l'orizzonte dipinto di luce che squarciava quel tetto denso e scuro che proteggeva il mondo sotto di sé, lacrimando quella stessa acqua che lenta era salita nel cielo.

E la pioggia cadeva con impeto su quella barca non ancora finita che non aveva mai ascoltato il dolce suono del mare aperto, che aveva conosciuto nient'altro che il tocco della sabbia dorata, un pezzo di legno incompiuto, senza alcun colore, nato per l'unico dovere di navigare, abbandonato prima di essere spinto tra le onde per un difetto di esistenza.

E lui si sentiva allo stesso modo, si sentiva quel pezzo di legno imperfetto, lavorato per mesi col sudore delle mani ad impregnarlo; lui, però, era stato impregnato dal sangue e dal male, da quell'oscurità che non era stata squarciata da nessun fulmine e da nessuna vela rimasta chiusa.

Sea without a shore
for the vanished one unheard
He lightens the beacon,
light at the end of world.
Showing the way,
lighting hope in their hearts,
The ones and their travels homeward from afar.[2]

E se ne era andato lontano, in un mondo fatto da nient'altro che mare aperto dove non ci sarebbe stato approdo per lui, nessuna terra per l'assassino odiato da tutti, per colui che nemmeno la morte aveva voluto.

Marinaio solitario su una barca troppo grande per lui, marinaio partito da un porto deserto di voci e paure, dove non ci sarebbe stato nessuno a piangere e a pregarne il ritorno.

E come poteva essere altrimenti per un uomo che era morto e sopravvissuto da solo, con l'unica compagnia di una fenice che compiuto il suo dovere lo aveva lasciato lì, sul pavimento polveroso in balia del suo destino, come fosse una piccola imbarcazione in mezzo all'oceano aperto.

Nessuno si era preoccupato di lui, nessuno aveva ascoltato i suoi lamenti e in silenzio si era alzato a fatica, sparendo da un mondo e da persone che non lo avevano mai realmente voluto e compreso.

Se ne stava lì, fermo su quella spiaggia, a guardare il mare in tempesta mentre la sua mente vagava ai giorni lontani, a quei giorni passati in quella stanza che non gli era mai appartenuta e non l'aveva mai voluto, a quella volta che era rimasto fermo a guardare una piuma tra le dita e una pergamena sulla quale non c'era nient'altro che una macchia d'inchiostro.

E anche in quel momento stringeva tra le dita un piccolo rotolo sul quale non c'erano che poche righe, parole che lo avevano di nuovo portato in quel Castello che era stato il suo rifugio per anni, alle tombe che aveva contribuito a scavare con le sue mani, e a quell'amico e padre che aveva gettato in un abisso dove la speranza era nient'altro che un prato scosso dai venti.

E a quell'unica persona che gli aveva lanciato un ultimo sguardo di odio e con quello nelle tasche era partito per andare chissà dove, per andare in un luogo distante da quegli occhi e da quell'unica madre che aveva avuto.

Tornò a guardare la pergamena e per un attimo gli parve di sentire in lontananza il canto di una fenice e poteva affermare con assoluta certezza che fosse quella fenice, nonostante fosse così lontana da casa, ma non era altrettanto sicuro che quel suono provenisse da sopra le nuvole che coprivano il mare, o fosse soltanto la macabra ironia della sua mente che si prendeva gioco di lui ogni volta che la sua anima entrava in contatto con ciò che rimaneva dei ricordi di Dumbledore.

I suoi occhi avevano il sapore della notte e non si mossero, persi in quel buio che li dipingeva nascondendo e proteggendo quel suo cuore che giorno dopo giorno si era fatto vetro fragile, e sarebbe bastata una carezza per spezzarlo, e lui non aveva aspettato nient'altro che quello per tutta la vita, ma nessuno era riuscito anche solo a sfiorarlo, a stargli vicino e sorridergli, perché nessuno avrebbe mai esalato il suo respiro di malvagità e odio.

Sai che non è vero, Severus...

Snape chiuse gli occhi e attese.

Un'attesa che durava da anni, di cosa non aveva saputo dirlo mai neppure lui, forse perché era semplicemente troppo stanco per continuare a pensare al futuro.

In quel momento, però, sapeva che lo aspettava una decisione da prendere, dubbi che lo assalivano come quelle onde che forti si abbattevano sugli scogli poco lontani che proteggevano l'alto faro che ogni tanto illuminava il mare, facendo concorrenza a quei lampi che gli cadevano a pochi passi.

Rifletté continuando ad osservare quell'acqua squassata dalla tempesta, e ogni tanto i suoi occhi volgevano all'imponente costruzione di pietra che da secoli si ergeva tra le mani della natura.

Sembrava che il tempo per esso non fosse passato affatto, che sabbia e venti non avessero corroso neppure un angolo del faro, e Snape si sentiva piccolo e insignificante con la sua vita persa e i suoi capelli che iniziavano ad ingrigirsi.

Continuava silenzioso ad illuminargli l'orizzonte, come se volesse mostrargli un sentiero da percorrere, sussurrandogli quelle stesse parole che erano scritte sulla pergamena che ancora stringeva tra le dita.

Lui, quel figlio rinnegato e lasciato andare senza uno sguardo d'amore, sarebbe ritornato in quell'unico posto che aveva chiamato “casa” per lungo, troppo, tempo, sarebbe tornato per un ultimo saluto, forse per un cordoglio di pacificazione giunto troppo tardi.

Rilesse di nuovo quelle poche righe senza mittente che qualcuno gli aveva spedito, unico grido che gli era giunto dal suo passato, e si perse nei pensieri, mentre ancora la tempesta si divertiva ad agitare con forza le acque.

This is for long-forgotten
light at the end of the world.
Horizon’s crying
the tears he left behind long ago.[3]

Sì smarrì in quei ricordi e pianse, lacrime che non era riuscito ad arrestare neppure con tutta la determinazione che aveva in corpo, e chiuse gli occhi cercando di arrestare il loro fluire in quel modo, ma il suo pianto era la pioggia che cadeva su quel mare che non si fermava e continuava ad agitarsi.

E chiuse gli occhi nel dolore, mentre la mente in un attimo lo riportò in quel luogo lontano che aveva cercato di dimenticare per tutta la vita, cancellandolo dal suo cuore che ogni volta sembrava volersi fermare, ma il suo desiderio non sarebbe bastato ad arrestarlo per sempre.

E così era di nuovo andato lassù, su quella Torre, senza timore né pensieri, un uomo sacrilego che stava nuovamente profanando il luogo in cui era morto, un uomo malvagio che tornava in quel luogo dove la sua mano si era levata nel vento e tesa aveva lanciato la sua ombra verso di lui, inghiottendolo prima di gettarlo in un abisso in cui sarebbe stato nient’altro che un corpo morto, dagli occhi vuoti e non più azzurri, vivi come il cielo limpido di un mezzogiorno estivo.

Lassù dove le sue bugie non erano state altro che sferzate che colpivano il viso sul quale aveva dovuto nascondere le lacrime, celarle a chi avrebbe potuto scambiarle per il pianto di un ipocrita, per il finto dolore del tutto inutile e fuori luogo.

Si era perso tanti anni fa, smarrito in un cumulo di falsità e di promesse mai mantenute, di pensieri sbagliati e desideri dei più oscuri; era sceso all’inferno e vi era rimasto sentendo il calore bruciargli l’anima senza sfiorargli il corpo, quell’inutile guscio vuoto che ancora continuava a camminare su quella terra malvagia e corrotta.

Proprio come lo era stato lui. E forse lo era ancora.

“Perché ho l’innata capacità di far del male alle persone? Cosa c’è in me che non va?” si era ripetuto spesso negli anni, nascosto su quella Torre o rinchiuso tra quelle pareti che gli sussurravano del sorriso di Dumbledore.

Eppure suo padre gli aveva ripetuto spesso che era nient’altro che un mostro, avrebbe dovuto ascoltarlo e fuggire da tutti, rovinare se stesso senza toccare gli altri; e invece non aveva fatto altro che odiarlo, odiarlo con tutto se stesso e temerlo, temere di diventare come lui, e aveva cercato con tutte le forze che possedeva di scappare da quel destino in cui avrebbe preferito morire piuttosto che trasformarsi nella copia di suo padre.

Lui non aveva bevuto liquori, aveva bevuto il sangue della gente, si era abbeverato delle loro anime e della sua stessa anima che si era allontanata da lui giorno dopo giorno, scansandolo come un appestato, e la sua era stata la malattia peggiore: aveva sofferto della mancanza di un cuore, di un cuore che batteva per fare la cosa giusta, per fermare le sue dita sporche di un fango che emanava l’odore aspro del ferro.

Aveva portato i ricordi tristi con sé, come fossero un pesante bagaglio, ma tra le pieghe di quella notte, nascondeva anche dei piccoli spiragli di luce, intensi e forti come quei fulmini che continuavano a squarciare il mare, ed erano stati due occhi che stringeva tra le dita della sua anima, a squarciare la notte che lo aveva avvolto tanti anni prima.

The albatross is flying
Making him daydream
The time before he became
One of the world’s unseen
Princess in the tower
Children in the fields
Life gave him it all:
An island of the universe[4]

Severus Snape stava ancora piangendo quando il bianco albatros cercava di volare lontano dalla tempesta con le sue immense ali che tagliavano l'aria, volava quieto, come se la burrasca non sfiorasse nessuna delle sue piume, navigatore esperto di un mare che nascondeva mille insidie.

Se ne stava lassù, nel cielo notturno reso più scuro dalle nubi, mentre la pioggia scendeva forte, e volava, volava lontano portando con sé i pensieri dell'uomo che silenzioso e solo lo osservava.

E così volò anche lui, lontano, volavano le sue riflessioni e quell'ultimo sorriso che aveva regalato alla vita che se ne andava.

E si sentiva un uccello che planava sul suo passato e si ritrovò nuovamente a sorridere quando il suo volto si addensò davanti ai suoi occhi, nitido, come se stesse su quella spiaggia di fronte a lui, ma il suo sguardo aveva il disprezzo del giorno in cui l'aveva cacciata da quella stessa torre in cui aveva perso la sua anima.

E tornò a quella spiaggia in cui l'aveva avuta per la prima volta, stretta al suo corpo mentre il sole andava a morire tuffandosi nell'orizzonte, su quella spiaggia in cui avevano dormito l'uno accanto all'altra, e avevano camminato per ore fino a quei campi dove il grano colorava il cielo d'oro, e dei bambini correvano felici tra le spighe, ridevano quando uno di loro cadeva al suolo sporcandosi di terra seccata dal sole.

Ed erano rimasti a lungo ad osservarli, fermi nel loro abbraccio ad osservare un futuro che avrebbe potuto essere il loro, perché forse nella sua vita ci sarebbe stato spazio per dei figli e una famiglia. E per la felicità.

E lo aveva creduto possibile, lo aveva davvero creduto fin quando la realtà era di nuovo tornata prepotente su di lui, come uno di quei fulmini che colpivano il mare davanti ai suoi occhi, e inesorabile lo aveva gettato di nuovo nell'ombra, in quel luogo lontano dove aveva portato con sé l'unica persona che si fidava di lui, l'unico amico e padre.

Aveva avuto tutto tra le mani e in un attimo aveva perso ogni cosa. Di nuovo.

Snape scrollò con prepotenza la testa, stringendo le spalle per l'aria fredda della notte.

Now his love's a memory
A ghost in the fog
He sets the sails one last time
Saying farewell to the world
Anchor to the water
Seabed far below[5]

Avevano sognato per mesi di attraversare un mare lontano e irreale dove il tramonto avrebbe colorato il viso di Jeanne, quelle labbra che avrebbero sorriso soltanto per lui, quelle dita allungate alla brezza che avrebbero aspettato solamente la sua mano.

Lo aveva sognato e si era ritrovato in quel mare, da solo, senza nessun corpo da accarezzare, senza nessuna bocca da baciare e una voce da ascoltare per ore ed ore.

Dicono che nella lontananza la prima cosa che si dimentica di una persona è proprio la voce, e Severus non ricordava neppure una sfumatura di quella di Jeanne e questo era un dolore che si portava nel petto come un grosso peso difficile da disintegrare.

In quel momento avrebbe voluto fare un enorme balzo verso il cielo e volare lontano, volare verso quei suoi pensieri che avevano i capelli sfumati di nero e gli occhi brillanti di un mare calmo e limpido, voleva soltanto per un lungo, interminabile istante carezzare di nuovo la sua pelle, ascoltare di nuovo la sua voce e portare per sempre con sé il ricordo di ciò che era stato, di Jeanne che era stata il bello nella sua patetica esistenza.

L’ultimo oscuro desiderio di Severus Snape.

Si alzò con lentezza dal piccolo tronco sul quale era seduto, con la piccola pergamena che gli era stata portata quando il sole era ancora alto nel cielo, ancora stretta in una mano, mentre l'altra afferrava con discrezione la sua bacchetta, cercando di tenerla nascosta, anche se su quella spiaggia c'era solo e soltanto lui.

Quel pezzo di legno che per anni era stato nient'altro che un inutile oggetto da tenere celato in un cassetto, un oggetto che per tutto quel tempo non gli era servito, andando avanti con la sola magia delle sue stesse mani si era quasi dimenticato di cosa significasse stringerlo tra le dita, se quel senso di potere e compiutezza fosse ancora presente in quella stretta.

Sospirò rassegnato a tutto ciò che era stato su quell'isola, un uomo perso, un mago a metà, soltanto un’ombra che si aggirava silenziosa tra i vicoli sporcando il loro bianco e su quella sabbia che non aveva saputo erodere quell'ultimo brandello di anima che ancora esisteva in lui.

Camminò piano verso il mare che si agitava, verso quella barca che andava a sbattere sul piccolo molo poco lontano, mentre un'ancora non le permetteva di perdersi nel mare aperto; camminò sentendosi l'acqua carezzargli la pelle, udendo i clangori ancora troppo distanti per aver paura di compiere i suoi passi sulla spiaggia.

Severus Snape aveva preso la sua decisione: sarebbe tornato in quel mondo che non l'aveva mai voluto e sarebbe tornato per portare le sue lacrime a quella donna che aveva imparato a rispettare e ad amare anno dopo anno, fino ad allora, fino a quella spiaggia, e quei sentimenti, sapeva, che li avrebbe portati con sé fino alla fine, fino a quando l'ultimo e infinito orizzonte avrebbe richiesto la sua, di presenza.

Sciolse la fune che bloccava la piccola barca e con decisione ritirò l'ancora.

Guardò per un'ultima volta l'isola che si stava lasciando alle spalle e le sorrise, salutandola come una vecchia amica in quel muto ringraziamento che voleva mandarle a tutti costi, perché lei aveva saputo accoglierlo e accettarlo, e si era presa cura di lui in tutti quegli anni.

In quel momento, però, era arrivata l'ora di tornare, tornare a casa, nella sua vera casa, quella che lo aspettava da tempo a braccia aperte, anche se lui non lo sapeva, scappato in un attimo e nel silenzio.

Si lasciò guidare dalla corrente verso il mare aperto e squassato dal temporale e, quando fu sicuro che nessuno l'avrebbe visto, afferrò la piccola ampolla che aveva in tasca e sparì.

Sparì dagli occhi della tempesta, sparì dall'albatros che impacciato era planato sul piccolo tronco dove fino a poco prima sedeva Snape, e scomparve dalla vista dell'isola e dei suoi abitanti che non si sarebbero neppure accorti della sua scomparsa, della scomparsa dello strano uomo che era arrivato all'improvviso una mattina d'inverno e altrettanto in silenzio se n'era andato.

Oppure avrebbero visto che quella piccola imbarcazione non c'era più, e avrebbero immaginato che il mare aveva esatto l'ennesima vita.

 

***

Grass still in his feet
And a smile beneath his brow[6]

Severus Snape camminava lentamente su quel prato che aveva tante volte percorso fin da quando era bambino, si sentiva uno straniero su quel terreno, nonostante lo conoscesse alla perfezione, e non poté fare a meno di sorridere quando vide il modo in cui era vestito, così diverso da com'era abituato prima di partire per un luogo sperduto della Terra.

Il suo abito nero non c'era più, così com’era sparito il suo lungo mantello che quell'erba l'aveva toccata a lungo e nella sua rugiada si era bagnato, quando, appena il sole si levava sull'orizzonte, lui tornava dalle notti di sangue, Mangiamorte tra i Mangiamorte.

Per un attimo il dolore adombrò il suo volto, ma volle con forza cancellare quei ricordi crudeli, ripensando a quando invece aveva passato notti intere a passeggiare e ridere con lei al suo fianco, e il suo mantello aveva sfiorato l'umidità sul prato mentre l’aveva protetta dall'aria fredda della sera, e si era sentito come se fosse stato lui stesso ad abbracciarla.

E ne aveva gioito di quel tocco riflesso quando non aveva potuto fare nient'altro, quando nessuno dei due aveva mostrato i propri sentimenti all'altro, così timorosi di ciò che il destino avrebbe potuto riservare loro in quella sporca guerra che distruggeva ogni cosa bella.

Era stato lui, però, a distruggere di nuovo ogni cosa, e a quel pensiero il suo sorriso svanì definitivamente.

This is for long-forgotten
light at the end of the world.
Horizon’s crying
the tears he left behind long ago.[7]

«Sei venuto alla fine.»

Era bastato un attimo e quella voce era entrata nella sua testa come se mai l'avesse dimenticata ed era bastato quell'istante per riempirgli di nuovo quel cuore che aveva smesso di battere su quel pavimento coperto dalla polvere del tempo, dopo che il suo incedere aveva rallentato giorno dopo giorno, ad ogni goccia di sangue che gli era scesa davanti agli occhi.

«Sì.»

Quella mattina pioveva anche su Hogwarts, come se il cielo stesso volesse piangere per quella scomparsa, e anche lui avrebbe voluto piangere, piangere a lungo come aveva fatto su quella spiaggia scossa dal vento.

Lì, però, sarebbe dovuto tornare ad essere il freddo e traditore Severus Snape, perché così aveva lasciato quel mondo e in quel modo sarebbe stato giusto farvi ritorno, non c'era tempo che guariva certe ferite o lontananza che cancellasse tali colpe.

E lui era ancora malato e macchiato, era come il giorno in cui era scomparso in silenzio.

«Perché?»

Non c'erano domande sul dove fosse stato e cosa avesse fatto per tutto quel tempo, non c'era niente, esisteva soltanto un passato troppo lontano per poter essere ridestato, un luogo remoto impossibile da raggiungere, come quell'isola che si era lasciato alle spalle da poche ore che gli sembravano già degli anni.

Quel luogo che lo aveva protetto come un muro e che ora, su quell'erba, si era di nuovo disintegrato, mattone dopo mattone.

«Perché lei era tutto ciò che avevo e tutto ciò che mi era rimasto per lungo tempo.

Non la guardava neppure mentre parlava, sapeva soltanto che fosse lì, percepiva la sua presenza come se fosse una di quelle sere in cui camminavano sotto la luna che splendeva nel cielo illuminandogli i visi.

«Allora per quale motivo te ne sei andato?»

E non voleva guardare neppure se stesso, il riflesso del suo volto e di ciò che ormai era diventato: un uomo vecchio e stanco ingrigito dallo scorrere del tempo, da ciò che aveva lasciato lì prima di prendere il mare.

Chissà com'era cambiato il suo mondo in tutti quegli anni, e dentro di sé si chiedeva se maghi e streghe continuassero a pensare a lui solamente come l'assassino e traditore, oppure se qualcosa fosse cambiato.

In cuor suo era combattuto, non sapeva se il giovane Potter avesse reso pubblici i suoi ricordi o se li avesse tenuti per sé, magari troppo imbarazzato per ciò che vi era celato.

D'altronde non lo avrebbe biasimato per nessuna delle due scelte, e ormai non era più il tempo dei biasimi e dei rimpianti; ormai era tempo di andare avanti e lui aveva scelto di restare, di ritornare a casa.

«Perché non c'era più spazio per me, qui. Non c'era più spazio per niente in me.»

«Nemmeno per me?»

«Nemmeno per te.»

L'aveva sentita avvicinarsi, aveva percepito il suo caldo respiro che per lunghe notti gli aveva sfiorato le labbra dischiuse alla sua essenza, e per un attimo gli era parso di tornare in quella stanza buia e solitaria dove si consumavano in quell'amore che sarebbe sopravvissuto a fatica, morso e squarciato dalla bestia di un mondo che andava smarrendosi, dove tra le piaghe di una guerra certi sentimenti non erano contemplati.

«Cos'è rimasto di me in te?»

«Tutto» le disse rimanendo immobile mentre si sentì sfiorare il braccio, in quel punto dove un tempo quel Marchio si prendeva beffe di lui, muovendosi sulla pelle come un rapido veleno che si propaga nelle vene.

«Che cosa sono io, adesso, per te?»

«Sei tutto ciò che mi rimane.»

Lei che era rimasta la sua unica luce alla fine del suo mondo, quell'unica speranza che lo aveva tenuto a galla quando aveva nient'altro che mare da osservare.

L'unica persona che aveva sempre voluto accanto mentre percorreva lento i sentieri felici della solitudine.

 

 



[1] Un vecchio uomo sulla spiaggia al tramonto |guarda l’orizzonte con i venti del mare in faccia |L’isola scossa dalla tempesta, |le stagioni tutte uguali |Ancoraggio non verniciato |e una barca senza nome.

[2] Un mare senza costa per colui |che è stato bandito inascoltato |Illumina il faro, |la luce alla fine del mondo |Mostra la strada |illuminando la speranza nei cuori |di coloro che sono di ritorno a casa da lontano

[3] Questo è una a lungo dimenticata |luce alla fine del mondo |L’orizzonte piange |le lacrime che ha lasciato indietro tanto tempo fa

[4] L’albatro sta volando |facendogli sognare ad occhi aperti |il tempo prima che diventasse |uno dei dispersi del mondo |La principessa nella torre |I bambini nei campi |La vita gli diede tutto: |in’isola dell’universo

[5] Ora il suo amore è un ricordo |un fantasma nella foschia |Sistema le vele un’ultima volta |dicendo addio al mondo |L’ancora nell’acqua |Il fondo del mare lontano laggiù

[6] L’erba ancora tra i suoi piedi |E un sorriso sotto la sua fronte

[7] Questo è una a lungo dimenticata |luce alla fine del mondo |L’orizzonte piange |le lacrime che ha lasciato indietro tanto tempo fa

   
 
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