Nota: Storia scritta per il
Gioco Creativo “A ritmo di musica” facente parte della Severus House Cup del
Forum “Il Calderone di Severus”.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi
presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K.
Rowling e a chi ne detiene i diritti. Il personaggio originale, i luoghi non
inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia
proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per
pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa
storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna
violazione del copyright è pertanto intesa.
La
canzone da cui trae ispirazione questa storia è The Islander dei Nightwish.
I sentieri felici della solitudine
Ci
sono dei sentieri che ti conducono dove nessuno vorrebbe andare, eppure, a
volte, è proprio quella la strada che desideri percorrere, quell'oscuro e
silenzioso mondo che ti porta al di là di tutto, al di là di una vita che non
ti è mai entrata dentro, di una felicità mai assaporata, lasciata marcire come
un frutto abbandonato sotto un albero avvizzito.
E
in quel momento il tuo unico desiderio è di andare lontano, finalmente libero
di sorridere, in quel luogo dove puoi respirare a pieni polmoni l'aria libera
da ogni peso e limpida da ogni buio che ti ha avvolto per anni.
Là,
dove vorresti gridare tutto ciò che ti sei tenuto dentro per tutto questo
tempo, urlare al sole sul tuo viso, al tuo cuore che non batte più per piangere
e dolersi, a quell'anima di tenebra che non è più parte di te.
E
allora arrivi in quel luogo dove la luce ti acceca e il calore ti scalda il
cuore, dove ciò che hai desiderato per tutta la vita ti appare davanti, vivo e
reale, e allunghi la mano per sfiorarlo e adesso riesci persino ad afferrarlo,
a stringerlo tra le tue braccia e farlo tuo, completamente e come mai sei
riuscito.
Solo
in quel momento ti rendi conto che, per la prima volta, sei felice.
An old man by a sea shore at the end of day
Gazes the horizon with sea winds in his face.
Tempest-tossed island,
seasons all the same.
and a ship without a name.[1]
Il
mare con le sue piccole onde si era portato via il tempo, anno dopo anno, come
se fosse una spiaggia battuta dai venti e dalle maree, come se fosse quella
piccola spiaggia dove non v'erano che poche persone, poche vite che si
muovevano come industriose formiche di un minuscolo formicaio.
Era
una vita semplice la loro, alla quale ci si abituava presto se si era alla
ricerca di tranquillità e solitudine, di un posto dove essere uno qualsiasi tra
i pochi e dove nessuno avrebbe fatto domande alle quali non si voleva
rispondere.
E
il tempo scorreva così, nei sorrisi dei pochi bambini che c'erano e tra i
saluti cordiali degli abitanti, amanti fedeli di un mare che gli aveva donato
la vita e a volte gliela toglieva crudele, che permetteva loro di essere
persone semplici che scandivano le ore guardando quel sole che spesso
accompagnava le loro giornate.
Il
giorno volgeva al termine sulla piccola isola percossa con violenza dalla
tempesta, essa risuonava forte nell'aria, melodie sinistre che avrebbero
spaventato chiunque l'avesse ascoltate per la prima volta, del tutto profano a
quel mondo.
C'era
soltanto un uomo che si faceva beffa di quel tempo e se ne stava lì, immobile
ad osservare quel mare che lo aveva reso solo tra i soli, navigatore errante di
un'esistenza che non lo aveva mai voluto completamente; e guardava, guardava
con l'attenzione di un pittore davanti alla sua tela, ma lui non dipingeva
quadri e quell'orizzonte era nient'altro che il sibilo del passato che lo
guardava da lontano.
E
lui faceva altrettanto.
I
suoi capelli si muovevano sferzando l'aria, come quei vestiti che le anziane
donne dell'isola mettevano ad asciugare sui resti di alcune barche che spuntavano
dalla sabbia, simili a nuove e forti piante. Si muovevano seguendo la tempesta
che squassava il mare colorandolo di luci nella notte, e in essa si
confondevano, e si agitavano intensi mentre della spuma grigia sporcava anche
loro.
Gli
anni erano passati uno dopo l'altro e la sua vita si era consumata come la cera
di una candela, ma stava ancora lì con la sua determinazione e tutto il suo
coraggio che si era portato dietro da quel passato ormai troppo lontano, che
neppure il tocco delicato della morte era riuscito a portargli via.
Passava
il tempo, passava inesorabile, ma per lui erano soltanto cicli che si
ripetevano, tutti uguali, quattro voci diverse di una stessa donna che
abbracciava le notti e i giorni, che li abbracciava mentre lui continuava a
guardare il mare, a camminare con i piedi nudi sulla spiaggia mentre la brezza
gli carezzava l'anima, cercando di ridestare quel cuore abbandonato al di là di
quelle acque.
E
se ne stava immutabile a scrutare l'orizzonte dipinto di luce che squarciava
quel tetto denso e scuro che proteggeva il mondo sotto di sé, lacrimando quella
stessa acqua che lenta era salita nel cielo.
E
la pioggia cadeva con impeto su quella barca non ancora finita che non aveva
mai ascoltato il dolce suono del mare aperto, che aveva conosciuto nient'altro
che il tocco della sabbia dorata, un pezzo di legno incompiuto, senza alcun
colore, nato per l'unico dovere di navigare, abbandonato prima di essere spinto
tra le onde per un difetto di esistenza.
E
lui si sentiva allo stesso modo, si sentiva quel pezzo di legno imperfetto,
lavorato per mesi col sudore delle mani ad impregnarlo; lui, però, era stato
impregnato dal sangue e dal male, da quell'oscurità che non era stata
squarciata da nessun fulmine e da nessuna vela rimasta chiusa.
Sea without a shore
for the vanished one unheard
He lightens the beacon,
light at the end of world.
Showing the way,
lighting hope in their hearts,
The ones and their travels homeward from afar.[2]
E
se ne era andato lontano, in un mondo fatto da nient'altro che mare aperto dove
non ci sarebbe stato approdo per lui, nessuna terra per l'assassino odiato da
tutti, per colui che nemmeno la morte aveva voluto.
Marinaio
solitario su una barca troppo grande per lui, marinaio partito da un porto
deserto di voci e paure, dove non ci sarebbe stato nessuno a piangere e a
pregarne il ritorno.
E
come poteva essere altrimenti per un uomo che era morto e sopravvissuto da
solo, con l'unica compagnia di una fenice che compiuto il suo dovere lo aveva
lasciato lì, sul pavimento polveroso in balia del suo destino, come fosse una
piccola imbarcazione in mezzo all'oceano aperto.
Nessuno
si era preoccupato di lui, nessuno aveva ascoltato i suoi lamenti e in silenzio
si era alzato a fatica, sparendo da un mondo e da persone che non lo avevano
mai realmente voluto e compreso.
Se
ne stava lì, fermo su quella spiaggia, a guardare il mare in tempesta mentre la
sua mente vagava ai giorni lontani, a quei giorni passati in quella stanza che
non gli era mai appartenuta e non l'aveva mai voluto, a quella volta che era
rimasto fermo a guardare una piuma tra le dita e una pergamena sulla quale non
c'era nient'altro che una macchia d'inchiostro.
E
anche in quel momento stringeva tra le dita un piccolo rotolo sul quale non
c'erano che poche righe, parole che lo avevano di nuovo portato in quel
Castello che era stato il suo rifugio per anni, alle tombe che aveva
contribuito a scavare con le sue mani, e a quell'amico e padre che aveva gettato
in un abisso dove la speranza era nient'altro che un prato scosso dai venti.
E
a quell'unica persona che gli aveva lanciato un ultimo sguardo di odio e con
quello nelle tasche era partito per andare chissà dove, per andare in un luogo
distante da quegli occhi e da quell'unica madre che aveva avuto.
Tornò
a guardare la pergamena e per un attimo gli parve di sentire in lontananza il
canto di una fenice e poteva affermare con assoluta certezza che fosse quella
fenice, nonostante fosse così lontana da casa, ma non era altrettanto
sicuro che quel suono provenisse da sopra le nuvole che coprivano il mare, o
fosse soltanto la macabra ironia della sua mente che si prendeva gioco di lui
ogni volta che la sua anima entrava in contatto con ciò che rimaneva dei ricordi
di Dumbledore.
I
suoi occhi avevano il sapore della notte e non si mossero, persi in quel buio
che li dipingeva nascondendo e proteggendo quel suo cuore che giorno dopo
giorno si era fatto vetro fragile, e sarebbe bastata una carezza per spezzarlo,
e lui non aveva aspettato nient'altro che quello per tutta la vita, ma nessuno
era riuscito anche solo a sfiorarlo, a stargli vicino e sorridergli, perché
nessuno avrebbe mai esalato il suo respiro di malvagità e odio.
Sai
che non è vero, Severus...
Snape
chiuse gli occhi e attese.
Un'attesa
che durava da anni, di cosa non aveva saputo dirlo mai neppure lui, forse
perché era semplicemente troppo stanco per continuare a pensare al futuro.
In
quel momento, però, sapeva che lo aspettava una decisione da prendere, dubbi
che lo assalivano come quelle onde che forti si abbattevano sugli scogli poco
lontani che proteggevano l'alto faro che ogni tanto illuminava il mare, facendo
concorrenza a quei lampi che gli cadevano a pochi passi.
Rifletté
continuando ad osservare quell'acqua squassata dalla tempesta, e ogni tanto i
suoi occhi volgevano all'imponente costruzione di pietra che da secoli si
ergeva tra le mani della natura.
Sembrava
che il tempo per esso non fosse passato affatto, che sabbia e venti non
avessero corroso neppure un angolo del faro, e Snape si sentiva piccolo e
insignificante con la sua vita persa e i suoi capelli che iniziavano ad
ingrigirsi.
Continuava
silenzioso ad illuminargli l'orizzonte, come se volesse mostrargli un sentiero
da percorrere, sussurrandogli quelle stesse parole che erano scritte sulla
pergamena che ancora stringeva tra le dita.
Lui,
quel figlio rinnegato e lasciato andare senza uno sguardo d'amore, sarebbe
ritornato in quell'unico posto che aveva chiamato “casa” per lungo, troppo,
tempo, sarebbe tornato per un ultimo saluto, forse per un cordoglio di
pacificazione giunto troppo tardi.
Rilesse
di nuovo quelle poche righe senza mittente che qualcuno gli aveva spedito,
unico grido che gli era giunto dal suo passato, e si perse nei pensieri, mentre
ancora la tempesta si divertiva ad agitare con forza le acque.
This is for
long-forgotten
light at the end of the world.
Horizon’s crying
the tears he left behind long ago.[3]
Sì
smarrì in quei ricordi e pianse, lacrime che non era riuscito ad arrestare
neppure con tutta la determinazione che aveva in corpo, e chiuse gli occhi
cercando di arrestare il loro fluire in quel modo, ma il suo pianto era la
pioggia che cadeva su quel mare che non si fermava e continuava ad agitarsi.
E
chiuse gli occhi nel dolore, mentre la mente in un attimo lo riportò in quel
luogo lontano che aveva cercato di dimenticare per tutta la vita, cancellandolo
dal suo cuore che ogni volta sembrava volersi fermare, ma il suo desiderio non
sarebbe bastato ad arrestarlo per sempre.
E
così era di nuovo andato lassù, su quella Torre, senza timore né pensieri, un
uomo sacrilego che stava nuovamente profanando il luogo in cui era morto, un
uomo malvagio che tornava in quel luogo dove la sua mano si era levata nel
vento e tesa aveva lanciato la sua ombra verso di lui, inghiottendolo prima di
gettarlo in un abisso in cui sarebbe stato nient’altro che un corpo morto,
dagli occhi vuoti e non più azzurri, vivi come il cielo limpido di un
mezzogiorno estivo.
Lassù
dove le sue bugie non erano state altro che sferzate che colpivano il viso sul quale
aveva dovuto nascondere le lacrime, celarle a chi avrebbe potuto scambiarle per
il pianto di un ipocrita, per il finto dolore del tutto inutile e fuori luogo.
Si
era perso tanti anni fa, smarrito in un cumulo di falsità e di promesse mai
mantenute, di pensieri sbagliati e desideri dei più oscuri; era sceso
all’inferno e vi era rimasto sentendo il calore bruciargli l’anima senza
sfiorargli il corpo, quell’inutile guscio vuoto che ancora continuava a
camminare su quella terra malvagia e corrotta.
Proprio
come lo era stato lui. E forse lo era ancora.
“Perché
ho l’innata capacità di far del male alle persone? Cosa c’è in me che non va?”
si era ripetuto spesso negli anni, nascosto su quella Torre o rinchiuso tra
quelle pareti che gli sussurravano del sorriso di Dumbledore.
Eppure
suo padre gli aveva ripetuto spesso che era nient’altro che un mostro, avrebbe
dovuto ascoltarlo e fuggire da tutti, rovinare se stesso senza toccare gli
altri; e invece non aveva fatto altro che odiarlo, odiarlo con tutto se stesso
e temerlo, temere di diventare come lui, e aveva cercato con tutte le forze che
possedeva di scappare da quel destino in cui avrebbe preferito morire piuttosto
che trasformarsi nella copia di suo padre.
Lui
non aveva bevuto liquori, aveva bevuto il sangue della gente, si era abbeverato
delle loro anime e della sua stessa anima che si era allontanata da lui giorno
dopo giorno, scansandolo come un appestato, e la sua era stata la malattia
peggiore: aveva sofferto della mancanza di un cuore, di un cuore che batteva
per fare la cosa giusta, per fermare le sue dita sporche di un fango che
emanava l’odore aspro del ferro.
Aveva
portato i ricordi tristi con sé, come fossero un pesante bagaglio, ma tra le
pieghe di quella notte, nascondeva anche dei piccoli spiragli di luce, intensi
e forti come quei fulmini che continuavano a squarciare il mare, ed erano stati
due occhi che stringeva tra le dita della sua anima, a squarciare la notte che
lo aveva avvolto tanti anni prima.
The albatross is
flying
Making him daydream
The time before he became
One of the world’s unseen
Princess in the tower
Children in the fields
Life gave him it all:
An island of the universe[4]
Severus
Snape stava ancora piangendo quando il bianco albatros cercava di volare
lontano dalla tempesta con le sue immense ali che tagliavano l'aria, volava
quieto, come se la burrasca non sfiorasse nessuna delle sue piume, navigatore
esperto di un mare che nascondeva mille insidie.
Se
ne stava lassù, nel cielo notturno reso più scuro dalle nubi, mentre la pioggia
scendeva forte, e volava, volava lontano portando con sé i pensieri dell'uomo
che silenzioso e solo lo osservava.
E
così volò anche lui, lontano, volavano le sue riflessioni e quell'ultimo
sorriso che aveva regalato alla vita che se ne andava.
E
si sentiva un uccello che planava sul suo passato e si ritrovò nuovamente a
sorridere quando il suo volto si addensò davanti ai suoi occhi, nitido,
come se stesse su quella spiaggia di fronte a lui, ma il suo sguardo aveva il
disprezzo del giorno in cui l'aveva cacciata da quella stessa torre in cui aveva
perso la sua anima.
E
tornò a quella spiaggia in cui l'aveva avuta per la prima volta, stretta al suo
corpo mentre il sole andava a morire tuffandosi nell'orizzonte, su quella
spiaggia in cui avevano dormito l'uno accanto all'altra, e avevano camminato
per ore fino a quei campi dove il grano colorava il cielo d'oro, e dei bambini
correvano felici tra le spighe, ridevano quando uno di loro cadeva al suolo
sporcandosi di terra seccata dal sole.
Ed
erano rimasti a lungo ad osservarli, fermi nel loro abbraccio ad osservare un
futuro che avrebbe potuto essere il loro, perché forse nella sua vita ci
sarebbe stato spazio per dei figli e una famiglia. E per la felicità.
E
lo aveva creduto possibile, lo aveva davvero creduto fin quando la realtà era
di nuovo tornata prepotente su di lui, come uno di quei fulmini che colpivano
il mare davanti ai suoi occhi, e inesorabile lo aveva gettato di nuovo
nell'ombra, in quel luogo lontano dove aveva portato con sé l'unica persona che
si fidava di lui, l'unico amico e padre.
Aveva
avuto tutto tra le mani e in un attimo aveva perso ogni cosa. Di nuovo.
Snape
scrollò con prepotenza la testa, stringendo le spalle per l'aria fredda della
notte.
Now his love's a
memory
A ghost in the fog
He sets the sails one last time
Saying farewell to the world
Anchor to the water
Seabed far below[5]
Avevano sognato per mesi di attraversare un mare lontano e irreale dove
il tramonto avrebbe colorato il viso di Jeanne, quelle labbra che avrebbero
sorriso soltanto per lui, quelle dita allungate alla brezza che avrebbero aspettato
solamente la sua mano.
Lo aveva sognato e si era ritrovato in quel mare, da solo, senza nessun
corpo da accarezzare, senza nessuna bocca da baciare e una voce da ascoltare
per ore ed ore.
Dicono che nella lontananza la prima cosa che si dimentica di una
persona è proprio la voce, e Severus non ricordava neppure una sfumatura di
quella di Jeanne e questo era un dolore che si portava nel petto come un grosso
peso difficile da disintegrare.
In
quel momento avrebbe voluto fare un enorme balzo verso il cielo e volare
lontano, volare verso quei suoi pensieri che avevano i capelli sfumati di nero
e gli occhi brillanti di un mare calmo e limpido, voleva soltanto per un lungo,
interminabile istante carezzare di nuovo la sua pelle, ascoltare di nuovo la
sua voce e portare per sempre con sé il ricordo di ciò che era stato, di Jeanne
che era stata il bello nella sua patetica esistenza.
L’ultimo
oscuro desiderio di Severus Snape.
Si
alzò con lentezza dal piccolo tronco sul quale era seduto, con la piccola
pergamena che gli era stata portata quando il sole era ancora alto nel cielo,
ancora stretta in una mano, mentre l'altra afferrava con discrezione la sua
bacchetta, cercando di tenerla nascosta, anche se su quella spiaggia c'era solo
e soltanto lui.
Quel
pezzo di legno che per anni era stato nient'altro che un inutile oggetto da
tenere celato in un cassetto, un oggetto che per tutto quel tempo non gli era
servito, andando avanti con la sola magia delle sue stesse mani si era quasi
dimenticato di cosa significasse stringerlo tra le dita, se quel senso di
potere e compiutezza fosse ancora presente in quella stretta.
Sospirò
rassegnato a tutto ciò che era stato su quell'isola, un uomo perso, un mago a
metà, soltanto un’ombra che si aggirava silenziosa tra i vicoli sporcando il
loro bianco e su quella sabbia che non aveva saputo erodere quell'ultimo
brandello di anima che ancora esisteva in lui.
Camminò
piano verso il mare che si agitava, verso quella barca che andava a sbattere
sul piccolo molo poco lontano, mentre un'ancora non le permetteva di perdersi
nel mare aperto; camminò sentendosi l'acqua carezzargli la pelle, udendo i
clangori ancora troppo distanti per aver paura di compiere i suoi passi sulla
spiaggia.
Severus
Snape aveva preso la sua decisione: sarebbe tornato in quel mondo che non
l'aveva mai voluto e sarebbe tornato per portare le sue lacrime a quella donna
che aveva imparato a rispettare e ad amare anno dopo anno, fino ad allora, fino
a quella spiaggia, e quei sentimenti, sapeva, che li avrebbe portati con sé
fino alla fine, fino a quando l'ultimo e infinito orizzonte avrebbe richiesto
la sua, di presenza.
Sciolse
la fune che bloccava la piccola barca e con decisione ritirò l'ancora.
Guardò
per un'ultima volta l'isola che si stava lasciando alle spalle e le sorrise,
salutandola come una vecchia amica in quel muto ringraziamento che voleva
mandarle a tutti costi, perché lei aveva saputo accoglierlo e
accettarlo, e si era presa cura di lui in tutti quegli anni.
In
quel momento, però, era arrivata l'ora di tornare, tornare a casa, nella sua
vera casa, quella che lo aspettava da tempo a braccia aperte, anche se lui
non lo sapeva, scappato in un attimo e nel silenzio.
Si
lasciò guidare dalla corrente verso il mare aperto e squassato dal temporale e,
quando fu sicuro che nessuno l'avrebbe visto, afferrò la piccola ampolla che
aveva in tasca e sparì.
Sparì
dagli occhi della tempesta, sparì dall'albatros che impacciato era planato sul
piccolo tronco dove fino a poco prima sedeva Snape, e scomparve dalla vista
dell'isola e dei suoi abitanti che non si sarebbero neppure accorti della sua
scomparsa, della scomparsa dello strano uomo che era arrivato all'improvviso
una mattina d'inverno e altrettanto in silenzio se n'era andato.
Oppure
avrebbero visto che quella piccola imbarcazione non c'era più, e avrebbero
immaginato che il mare aveva esatto l'ennesima vita.
***
Grass still in his
feet
And a smile beneath his brow[6]
Severus
Snape camminava lentamente su quel prato che aveva tante volte percorso fin da
quando era bambino, si sentiva uno straniero su quel terreno, nonostante lo
conoscesse alla perfezione, e non poté fare a meno di sorridere quando vide il
modo in cui era vestito, così diverso da com'era abituato prima di partire per
un luogo sperduto della Terra.
Il
suo abito nero non c'era più, così com’era sparito il suo lungo mantello che
quell'erba l'aveva toccata a lungo e nella sua rugiada si era bagnato, quando,
appena il sole si levava sull'orizzonte, lui tornava dalle notti di sangue,
Mangiamorte tra i Mangiamorte.
Per
un attimo il dolore adombrò il suo volto, ma volle con forza cancellare quei
ricordi crudeli, ripensando a quando invece aveva passato notti intere a
passeggiare e ridere con lei al suo fianco, e il suo mantello aveva sfiorato
l'umidità sul prato mentre l’aveva protetta dall'aria fredda della sera, e si
era sentito come se fosse stato lui stesso ad abbracciarla.
E
ne aveva gioito di quel tocco riflesso quando non aveva potuto fare
nient'altro, quando nessuno dei due aveva mostrato i propri sentimenti
all'altro, così timorosi di ciò che il destino avrebbe potuto riservare loro in
quella sporca guerra che distruggeva ogni cosa bella.
Era
stato lui, però, a distruggere di nuovo ogni cosa, e a quel pensiero il suo
sorriso svanì definitivamente.
This is for
long-forgotten
light at the end of the world.
Horizon’s crying
the tears he left behind long ago.[7]
«Sei
venuto alla fine.»
Era
bastato un attimo e quella voce era entrata nella sua testa come se mai
l'avesse dimenticata ed era bastato quell'istante per riempirgli di nuovo quel
cuore che aveva smesso di battere su quel pavimento coperto dalla polvere del
tempo, dopo che il suo incedere aveva rallentato giorno dopo giorno, ad ogni
goccia di sangue che gli era scesa davanti agli occhi.
«Sì.»
Quella
mattina pioveva anche su Hogwarts, come se il cielo stesso volesse piangere per
quella scomparsa, e anche lui avrebbe voluto piangere, piangere a lungo come
aveva fatto su quella spiaggia scossa dal vento.
Lì,
però, sarebbe dovuto tornare ad essere il freddo e traditore Severus Snape,
perché così aveva lasciato quel mondo e in quel modo sarebbe stato giusto farvi
ritorno, non c'era tempo che guariva certe ferite o lontananza che cancellasse
tali colpe.
E
lui era ancora malato e macchiato, era come il giorno in cui era scomparso in
silenzio.
«Perché?»
Non
c'erano domande sul dove fosse stato e cosa avesse fatto per tutto quel tempo,
non c'era niente, esisteva soltanto un passato troppo lontano per poter essere
ridestato, un luogo remoto impossibile da raggiungere, come quell'isola che si
era lasciato alle spalle da poche ore che gli sembravano già degli anni.
Quel
luogo che lo aveva protetto come un muro e che ora, su quell'erba, si era di
nuovo disintegrato, mattone dopo mattone.
«Perché
lei era tutto ciò che avevo e tutto ciò che mi era rimasto per lungo tempo.
Non
la guardava neppure mentre parlava, sapeva soltanto che fosse lì, percepiva la
sua presenza come se fosse una di quelle sere in cui camminavano sotto la luna
che splendeva nel cielo illuminandogli i visi.
«Allora
per quale motivo te ne sei andato?»
E
non voleva guardare neppure se stesso, il riflesso del suo volto e di ciò che
ormai era diventato: un uomo vecchio e stanco ingrigito dallo scorrere del
tempo, da ciò che aveva lasciato lì prima di prendere il mare.
Chissà
com'era cambiato il suo mondo in tutti quegli anni, e dentro di sé si
chiedeva se maghi e streghe continuassero a pensare a lui solamente come
l'assassino e traditore, oppure se qualcosa fosse cambiato.
In
cuor suo era combattuto, non sapeva se il giovane Potter avesse reso pubblici i
suoi ricordi o se li avesse tenuti per sé, magari troppo imbarazzato per ciò
che vi era celato.
D'altronde
non lo avrebbe biasimato per nessuna delle due scelte, e ormai non era più il
tempo dei biasimi e dei rimpianti; ormai era tempo di andare avanti e lui aveva
scelto di restare, di ritornare a casa.
«Perché
non c'era più spazio per me, qui. Non c'era più spazio per niente in me.»
«Nemmeno
per me?»
«Nemmeno
per te.»
L'aveva
sentita avvicinarsi, aveva percepito il suo caldo respiro che per lunghe notti
gli aveva sfiorato le labbra dischiuse alla sua essenza, e per un attimo gli
era parso di tornare in quella stanza buia e solitaria dove si consumavano in
quell'amore che sarebbe sopravvissuto a fatica, morso e squarciato dalla bestia
di un mondo che andava smarrendosi, dove tra le piaghe di una guerra certi
sentimenti non erano contemplati.
«Cos'è
rimasto di me in te?»
«Tutto»
le disse rimanendo immobile mentre si sentì sfiorare il braccio, in quel punto
dove un tempo quel Marchio si prendeva beffe di lui, muovendosi sulla pelle
come un rapido veleno che si propaga nelle vene.
«Che
cosa sono io, adesso, per te?»
«Sei
tutto ciò che mi rimane.»
Lei
che era rimasta la sua unica luce alla fine del suo mondo, quell'unica speranza
che lo aveva tenuto a galla quando aveva nient'altro che mare da osservare.
L'unica
persona che aveva sempre voluto accanto mentre percorreva lento i sentieri
felici della solitudine.
[1] Un vecchio uomo sulla spiaggia al tramonto |guarda l’orizzonte con i venti del mare in faccia |L’isola scossa dalla tempesta, |le stagioni tutte uguali |Ancoraggio non verniciato |e una barca senza nome.
[2] Un mare senza costa per colui |che è stato bandito inascoltato |Illumina il faro, |la luce alla fine del mondo |Mostra la strada |illuminando la speranza nei cuori |di coloro che sono di ritorno a casa da lontano
[3] Questo è una a lungo dimenticata |luce alla fine del mondo |L’orizzonte piange |le lacrime che ha lasciato indietro tanto tempo fa
[4] L’albatro sta volando |facendogli sognare ad occhi aperti |il tempo prima che diventasse |uno dei dispersi del mondo |La principessa nella torre |I bambini nei campi |La vita gli diede tutto: |in’isola dell’universo
[5] Ora il suo amore è un ricordo |un fantasma nella foschia |Sistema le vele un’ultima volta |dicendo addio al mondo |L’ancora nell’acqua |Il fondo del mare lontano laggiù
[6] L’erba ancora tra i suoi piedi |E un sorriso sotto la sua fronte
[7] Questo è una a lungo dimenticata |luce alla fine del mondo |L’orizzonte piange |le lacrime che ha lasciato indietro tanto tempo fa