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Autore: delilahs    30/04/2014    0 recensioni
Kate aveva sei anni la prima volta che sentì la parola omicidio. Accadde di venerdì. Doveva essere di venerdì, perché era emozionata, come lo era di solito il venerdì, il giorno in cui suo padre smontava dal lavoro.
***
“Dormi?”
“Si, mamma.”
“Sei troppo piccola per capire. Lo so.”
“Sto dormendo.”
“Non mi credi?”
“Dormo.”
“Sai che ti voglio bene, Katie.”

***
“Questa è la nonna?” chiese Javier.
“Si.” rispose la madre, mentre suo marito le faceva passare un braccio intorno alle spalle e la abbracciava, la stringeva. Si sentì al sicuro. “Sì. Lei è la nonna. So.. so che sarebbe stata una buona nonna, bambini” Ambre esibì un sorriso sbilenco, e Javier ne sfoggiò uno luminoso. Tommy si limitò ad annuire.
“Vi avrebbe voluto bene.”
Genere: Angst, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Johanna Beckett, Kate Beckett, Nuovo personaggio, Richard Castle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro, Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'This is war'
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Kate aveva sei anni la prima volta che sentì la parola omicidio. Accadde di venerdì. Doveva essere di venerdì, perché era emozionata, come lo era di solito il venerdì, il giorno in cui suo padre smontava dal lavoro. Faceva di tutto per far passare il tempo. Disegnava omini in divisa sul foglio di carta bianca. Guardava i cartoni animati. Usciva e faceva un giro sull’altalena in giardino. Si divertiva anche a vedere i telegiornali, anche se  spesso non capiva. Fu durante uno di questi, alle otto di sera di venerdì ventuno aprile, che Kate assistette alla scena di un uomo che ne accoltellava un altro. Una lite, un coltellino semplice, una coltellata pulita. Un lavoro ripreso dalle telecamere di qualche negozio, un filo reciso. Una vita spezzata.
L’aria di aprile era fredda, lassù in montagna. Il vento sospirava attraverso le montagne, ma la piccola Kate Beckett uscì lo stesso. Il padre stava uscendo in quel momento dalla jeep color ruggine, che tante volte Kate si era divertita ad esplorare, in quei weekend che loro due si concedevano. Raccontò al padre dell’uomo che aveva visto in televisione, e gli chiese il perché. Il padre le rispose che alcuni uomini erano cattivi, demoni senza anima, come i mostri che a volte si nascondevano nel suo armadio. A quel tempo, Kate non aveva afferrato. Non conosceva il significato pieno della parola omicidio, morte. E non era abbastanza grande per rendersi conto dell’ingiustizia, per capire che l’unica colpa era dell’omicida stessa, non delle sue ragioni. Kate aveva il sospetto, dal modo in cui Jim l’aveva pronunciato, che l’omicidio fosse una cosa brutta, schifosa, come gli scarafaggi che zampettavano veloci mentre sua madre li copriva di insulti scopandoli fuori dal balcone.
Crescendo, Kate aveva capito. Era il modo in cui il padre pronunciava la parola, sputandola fuori dai denti, che la spaventava. Allora aveva compreso cosa voleva dire Jim, che un omicidio era qualcosa di sbagliato. Che l’omicidio, un reato federale, era un atto innaturale.
Johanna non parlava mai di queste cose, né del fatto che il padre lavorasse sei giorni su sette, né dei suoi problemi con il lavoro, che iniziavano a mostrarsi nelle sue gote scavate e nella pelle emaciata. Johanna diceva che lei era il suo fiorellino. Le piaceva prenderla sulle gambe e raccontarle storie, della loro famiglia , come la volta in cui le aveva raccontato che Washington, la città in cui era nata nel 1951, era stata un tempo culla della rivoluzione.
“Dove lavoro io non puoi alzare il piede senza dare una pedata nel sedere ad un bugiardo.”  Le raccontava “C’è una grossa sala dove le persone stanno tutte insieme e si divertono. Davvero. Una volta ti ci ho portata. Eri piccola. Non puoi ricordare.”
Era vero. Kate non ricordava. E pur vivendo a New York, non avrebbe mai visto la sala di cui parlava la mamma. Non avrebbe mai passeggiato per i viali di Washington con lei. Ma tutte le volte che Johanna parlava, lei la ascoltava entusiasta. Fremeva d’orgoglio ad avere una madre che sapesse tutte quelle cose.
Quando Johanna la metteva giù e si metteva a lavorare con il suo computer, Kate tornava dal padre e insieme ascoltavano i notiziari della sera, poi giravano sui cartoni animati. Da venerdì ventuno aprile c’erano stati altri sette omicidi.


 

 
***




Uno dei primi ricordi di Kate era il ticchettio della tastiera di sua madre, delle sue mani sottili che picchiettavano i tasti fino a renderli quasi illeggibili.  Li sentiva ogni sera, che accompagnavano i suoi sogni. Johanna si stendeva accanto al suo letto e ticchettava tutta la serata, finché non si appisolava. A quel punto, Kate spegneva il computer, spegneva la lucina e dormiva.
Il suono della tastiera le portava sonnolenza. Ma a Kate dispiaceva che sua madre non le dicesse cosa scrivesse tutte le sere. Una volta le aveva chiesto qualcosa a proposito, ma la madre si era limitata a scuotere la testa. La bambina era rimasta insoddisfatta, ma aveva alzato le spalle e si era coricata. Sua madre aveva sorriso e le aveva detto “Sei una brava figlia.”
“Dormi?”
“Si, mamma.”
“Sei troppo piccola per capire. Lo so.”
“Sto dormendo.”
“Non mi credi?”
“Dormo.”
“Sai che ti voglio bene, Katie.”



 
***
 



“So quello che voglio.” Disse Kate a Jim.
Era l’inizio dell’inverno del 1999, l’anno in cui Kate compiva diciannove anni. Erano seduti fuori dalla loro casa di montagna, a sorseggiare un caffè. La ragazza era appena tornata da un’altra giornata di accademia. “Per il mio compleanno, so quello che voglio.”
“Davvero?” chiese Jim con un sorriso mesto.
Due settimane prima, Jim, messo alle strette dalla sua inflessibile figlia, aveva rivelato che la madre stava attraversando un periodo difficile al lavoro, ed era ancora più magra e pallida del solito.
“Voglio che tu convinca la mamma a staccare da questo caso.” Disse Kate “Voglio che si rilassi. Voglio passare un po’ di tempo con lei.”
Appena pronunciò queste parole, l’atmosfera cambiò. Il padre scosse la testa, preoccupato.
“Non credo sia possibile, Katie.”
La ragazza entrò decisa dentro casa, e ne uscì poco dopo. Alzò gli occhi sconfitta, incontrando quelli del padre. Lui bevve un altro sorso di caffè, mentre fissava il lago.
“Visto?” disse Jim “Anche tua madre mi dà ragione.”

 

 
***



Jim prese a girare a lunghi passi attorno al bar, serrando convulsamente i pugni. Ad ogni giro portava con sé un odore penetrante di alcool scadente e sigaretta.
“Di tutte le figlie che avrei potuto avere, perché Dio mi ha mandato un’ingrata come te? Con tutti i sacrifici che ho fatto! Come osi! Ridammi subito la mia bottiglia e i miei soldi, traditrice!”
Marzo era stato particolarmente freddo, nel 1999. Fuori dal bar si respirava ancora un’atmosfera gelida, e i respiri si trasformavano in nuvolette. Kate assisteva devastata ed imponente agli strepiti di suo padre, tenendolo comunque lontano dalla bottiglia semivuota di alcool che stringeva nella mano fredda. Poi Jim passò allo scherno.
“Come sei stupida! Pensi di essere importante, con quell’aria da cadetta e il distintivo nuovo? Pensi che qualcuno ti aiuterà se ti accoltelleranno come hanno fatto con tua madre? Ascolta bene. Il cuore dell’uomo è spregevole, spregevole, Kate. Non hai altri al mondo oltre me, e quando io non ci sarò più, tu non avrai più niente! Tu non sei niente!”
La ragazza ascoltava, mentre il suo viso diventava di ghiaccio a contatto con le sue lacrime. Poi Jim passò al senso di colpa.
“Se non mi aiuti, io morirò. Ridammi la bottiglia, e starò bene. Vedrai, se me la porti via morirò. Non lasciarmi, Kate. Ti prego, rimani. Se te ne vai, io muoio.”
Kate taceva.
“Sai che ti voglio bene, Katie.”
Kate disse a Jim che voleva andare a fare una passeggiata, e portò via la bottiglia con lei. Temeva che, se fosse rimasta lì, gli avrebbe detto cose che l’avrebbero ferito: che la mamma sapeva a cosa andava incontro e che lui era un ubriacone che non aveva le palle per affrontare il dolore senza affogare negli alcolici. Se avesse saputo dire quello che provava in quel momento, Kate avrebbe detto a Jim che era stufa di sopportare le sue sbronze, stufa di ascoltare bugie. Che non ne poteva più del modo in cui Jim la manipolava per giustificare i suoi eccessi.
“Tu hai paura, papà” avrebbe potuto dirgli. “Hai paura che io possa riprendermi. Che il mondo vada avanti senza la tua Johanna, senza la mamma.  Non vuoi che io sia felice. Sei tu ad avere un cuore spregevole, adesso.”



 
***



Si sedettero di fronte a lei, Ambre e i suoi fratelli, a un lungo tavolo marrone scuro. Al centro c’era un vaso di cristallo con rose e calendule e perline colorate. Ambre teneva gli occhi bassi, nelle mai una foto a colori.
“Questa è la nonna?” chiese Javier.
“Si.” rispose la madre, mentre suo marito le faceva passare un braccio intorno alle spalle e la abbracciava, la stringeva. Si sentì al sicuro. “Sì. Lei è la nonna. So.. so che sarebbe stata una buona nonna, bambini” Ambre esibì un sorriso sbilenco, e Javier ne sfoggiò uno luminoso. Tommy si limitò ad annuire.
“Vi avrebbe voluto bene.”
   
 
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