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Autore: Astoria Castoldi    30/04/2014    2 recensioni
Sono passati sei mesi e non so come andare avanti. Tutti i giovedì mi siedo sulla stessa maledetta panchina, aspettando di vederlo sbucare dal sentiero che porta a casa sua, sperando che tutto torni come prima.
Ma quante possibilità ci sono? Nessuna, ormai. Me le sono giocate tutte quando ho scelto di permettergli di andarsene, quando ho deciso di dipingergli un paio di ali e lasciarlo libero.

[...] Giro pagina, ed inizio a gettare parole sul foglio.
È ora di fare un salto nel passato, di cominciare dall'inizio e parlare di questa storia.
Genere: Demenziale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo sesto.
Sleep.

 
There ain't no way that I'm coming back again
And through it all, how could you cry for me?
'Cause I don't feel bad about it.
So shut your eyes, kiss me goodbye and sleep.
Just sleep.

 

«Ancora non ci credo. Ripetilo.»
La voce di Delia risuonò da dietro la porta del bagno, con un'incredulità particolare nel suo tono.
Non avevo fatto in tempo a mettere piede in casa ed accennare dell'incontro con Alex, che subito lei volle sapere tutti i particolari, nonostante si trovasse sotto la doccia.
Così mi ritrovai a chiacchierare apparentemente da sola in corridoio, seduta per terra con una mela in mano. Ma a quanto pare il mio discorso non sembrava averla resa del tutto soddisfatta, o almeno così credevo.
Uscì improvvisamente dalla stanza, imbacuccata in due grandi asciugamani, e mi guardò con aria perplessa.
«Beh, allora?» disse stizzita.
Addentai il frutto che tenevo tra le dita con indifferenza e masticai lentamente. Sapevo che quel gesto l'avrebbe resa impaziente, ma in fin dei conti trovavo la cosa piuttosto divertente.
«È andata come ti ho detto. Niente di più e niente di meno.» risposi, biascicando.
Uno sbuffo di aria calda uscì dalle sue narici, mentre il suo viso si fece pensieroso. Sapevo cosa aspettarmi, ma altrettanto ero consapevole che fosse inevitabile, così lasciai che tirasse fuori dalla testa quello che stava pensando dalla sera precedente, ma non aveva ancora avuto il coraggio di esprimere.
«Sayu, io credo che in fondo Alex sia interessato...» cercò di dire. La fermai mio malgrado, non riuscivo a sopportare quelle parole.
«No, Didi. Alex non è interessato a me e anche se lo fosse...beh, sai come la penso.» borbottai, alzandomi dal pavimento.
Iniziai a dirigermi verso la cucina, ma Delia mi fermò, appoggiandomi una mano sulla spalla. Mi voltai per guardarla e sul suo viso lessi compassione, così tanta da cadermi addosso come una tonnellata di mattoni.
«Cosa credi di fare continuando così? Pensi che Roberto tornerà?»
Le sue furono parole dure, quasi più pesanti del suo sguardo.
Sospirai, irritata. Aveva ragione, completamente. Ma ero troppo testarda per ammettere un mio errore.
"Eccome se tornerà. Capirà il suo sbaglio e verrà a cercarmi. Sì, sicuramente sarà così." pensai, incoraggiandomi. Eppure sembrava inutile, come se ormai ogni parte di me sapesse che qualsiasi speranza fosse vana, scomparsa da tempo.
«Ho bisogno di fumare.» dissi con voce atona.
Scappare dai problemi distruggendosi i polmoni: la mia specialità. Avevo cominciato con le sigarette a quindici anni, giusto per il gusto di provare, giusto per "sentirmi grande". Nel giro di un anno, da qualche tiro ero passata a sigarette intere: prese in prestito dagli amici, poi rubate ai miei genitori o comprate con i soldi che mi davano per l'abbonamento dell'autobus. Infine, la confessione a mia madre e la condivisione in famiglia. Stranamente, non mi avevano fatto nessuna ramanzina; dopotutto sarebbe stato incoerente da parte loro, da parte di due fumatori. 
Quando mi trasferii con Delia, dovemmo ridurre le dosi di tabacco a causa dei nostri piccoli problemi economici. Ma non ne soffrimmo molto. In fondo non ero mai stata dipendente dal fumo, a dir la verità. Per me era solo un passatempo, uno sfogo, il riempitivo di un buco provocato dalla noia. O, come in quel caso, un modo per scappare dai problemi anche solo per sette minuti.
E Delia lo sapeva bene. Così lasciò la presa e mi permise di avviarmi verso la cucina. Sul tavolo trovai il disegno che avevo abbozzato in negozio: era un buon lavoro, tutto sommato. Non uno dei migliori, certo, ma comunque ben fatto. Decisi di continuarlo, poiché sapevo di essere agli sgoccioli per quanto riguardava il tempo che avevo a disposizione.
Presi il materiale, mentre mi accendevo la mia benedetta sigaretta: lavorare in quelle condizioni mi rendeva molto più rilassata. Collegai il lettore mp3 a delle piccole casse e lasciai che "The Black Parade" risuonasse per tutta la casa. Non avevo mai trovato una band che mi rappresentasse quanto i My Chemical Romance e quell'album era un capolavoro per la mia psiche: riusciva a calmarmi, a farmi reagire nei momenti difficili e andare avanti sempre e comunque.
"Chissà se proverò le stesse emozioni ascoltando la band di Zack..." mi domandai retoricamente mentre il pennino intriso d'inchiostro correva veloce e preciso sul foglio, guidato dalla mia mano. Di sottofondo, "Sleep" faceva il suo dovere di accompagnatrice: tutti i miei movimenti sembravano un ballo a ritmo di musica. Nella mia testa, nessun pensiero era in grado di opporsi a quel momento di calma e pace interiore: ero riuscita a mettere in pausa il mondo reale ancora una volta, per concentrarmi sulla magia che in quell'istante pareva essere entrata nelle mie vene per scorrere dentro il mio corpo.
Intanto, Delia mi aveva raggiunta in cucina e si era seduta al tavolo per guardarmi lavorare: a quanto pare trovava fosse un bello spettacolo, perché fino a che non finii di ripassare i contorni del disegno con la china, rimase ferma a fissarmi, curiosa e affascinata allo stesso tempo.
«Credi che gli piacerà?» le chiesi, con la testa ancora incollata al foglio.
La sentii trattenere una risata.
«Ma certo! Sayu, solo un cretino odierebbe un tuo disegno.» 
«Allora tutti gli editori delle maggiori case sono dei cretini.» sospirai.
Da quando avevo deciso di percorrere la strada dell'illustrazione, mi ero trovata di fronte a non poche difficoltà: per prima cosa, ero un'autodidatta, il che non mi giovava da qualsiasi punto di vista, sebbene avessi cominciato a disegnare seriamente verso i sette anni d'età; oltretutto ero sprovvista di titoli di studio, un particolare non molto apprezzato in generale. Insomma, durante i primi tempi sembrai più una ragazzina allo sbaraglio, scappata dalla scuola a causa dei propri tormenti segreti.
Ma rimboccandomi le maniche e facendo stupidi esercizi di autostima davanti allo specchio ogni mattina, nel giro di poco trovai un posto in una casa editrice di nicchia. Certo, prima mi beccai un sacco di porte chiuse malamente in faccia, ma riuscii ad andare avanti, grazie a Delia che non smise mai di credere in me.
Fu un sollievo avere lei al mio fianco, eppure dopo tempo quelle sconfitte bruciavano ancora dentro di me, alimentate dalla sensazione costante di essere una buona a nulla.
«Smettila di dire certe cazzate e rimettiti al lavoro.» disse Delia, seria.
Il suo modo di spronarmi mi fece sorridere. In fin dei conti, non avrei mai potuto chiedere un'amica migliore di lei.

Dopo una cena veloce a base di cibo spazzatura e ramen instantaneo, mi dedicai alla colorazione del disegno. Scelsi di utilizzare gli acquerelli, data la loro brillantezza. In questo modo l'illustrazione avrebbe acquistato vivacità e dinamismo, cose che, secondo i racconti di Alex su Jack, sembravano parte del carattere del chitarrista.
Impiegai qualche ora tra la preparazione dei colori, la stesura di base e il chiaroscuro, ma il risultato sperato fu l'esatta copia dell'immagine che avevo nella testa.
Davanti a me, su quel cartoncino ruvido formato A3, una ragazza dalle forme aggraziate se ne stava appoggiata ad un amplificatore, in una posa piuttosto provocante; lunghi capelli ramati si appoggiavano delicatamente sul petto, su una maglietta dei Baltimore Ravens annodata appena sopra l'ombelico, e il bacino era coperto da un paio di shorts neri, fin troppo attillati. Racchiuso nella mano destra, il manico di una chitarra elettrica pronta per propagare nell'aria il suo suono inconfondibile.
"A quanto pare sembra io sia destinata a disegnare immagini sconce per i soliti stronzi arrapati per tutta la vita." pensai sospirando, leggermente afflitta.
Non era insolito per gli illustratori cominciare il proprio percorso dal campo della pornografia, a causa del bisogno di mantenersi in qualche maniera. Alcuni riuscivano ad uscirne, altri ne facevano un punto di forza e cercavano di definirsi artisti per lavarsi via il senso di volgarità che li copriva come uno spesso strato di sporcizia. Io subivo una fase di transizione: nella casa editrice per cui lavoravo non si trattavano certe tematiche, ma attraverso il negozio arrivavano sempre due o tre commissioni di quel genere. 
Scacciai il pensiero del mio triste futuro dalla testa e tornai a guardare il disegno. Un lieve senso di soddisfazione mi avvolse, ma non ebbi nemmeno il tempo di svilupparlo in modo completo che il sonno si impadronì prepotentemente delle mie palpebre, facendomi addormentare sul tavolo della cucina.
Ero felicemente esausta.

 
 
Lo so che in questo momento mi state odiando perché ancora non ho postato il capitolo sul concerto, ma vorrei rassicurarvi dicendovi che è il prossimo ed è in fase di scrittura.
Nel frattempo spero che comunque siate riusciti a godervi questo.
Prossimamente sarò più lenta nella pubblicazione a causa degli esami incombenti del mio corso di illustrazione e alla fantasia che in questo periodo manca.

Per il momento vi abbraccio, sperando di poter leggere i vostri commenti.
Mi fa sempre molto piacere che esprimiate il vostro parere su quello che scrivo.

Un bacio,
vostra Astoria.

(:
  
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