Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: metaldolphin    30/04/2014    7 recensioni
Dopo una vita passata nello spazio, dove tempi e distanze diventano concetti relativi, può bastare un solo attimo per scoprire cosa è che manca davvero... Harlock lo scopre nella maniera più dolce possibile.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harlock, Tochiro, Yuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mini premessa: non ho ancora visto il film, ho scritto sull'onda dei ricordi di quando ero ragazzina e seguivo l'anime, quindi perdonate e spero non vi dispiaccia troppo.



Lo spazio era nero come il suo mantello ed oscuro come la sua anima.
Fissandolo di nascosto, sul ponte di comando dell’Arcadia silenziosa nella fase di riposo della giornata, Yuki si chiedeva se fosse il Capitano a fissare quell’infinita profondità o viceversa.
Perché Harlock e lo spazio le davano davvero l’impressione di fissarsi come due rivali che si apprestavano a sfidarsi in un duello mortale, e lei non era sicura di sapere chi dei due avrebbe vinto. Ai suoi occhi chiari come il cielo azzurro della Terra lontana, lui e lo spazio interstellare erano identici: ugualmente pericolosi e, senza il dovuto necessario per affrontarli, irraggiungibili… freddi allo stesso modo, oscuri nella stessa maniera, trasparenti ed impenetrabili allo stesso tempo.
Assorta in quelle riflessioni scaturite da quella vista così affascinante, Yuki non si accorse della piccola figura di Mayu che l’aveva raggiunta e sussultò, quando la piccola le mise una calda manina sulla coscia. Con una mano sul cuore, la ragazza sembrò cercare di occultare i battiti precipitosi che sembravano rimbombare su tutta la nave, non soltanto sul suo torace, forse sperando che lui non li sentisse… guardò gli occhi assonnati della bimba e le manine tese verso lei. Si chinò dalla poltroncina per accogliere quella muta richiesta, sollevandola e portandosela in grembo. Mayu le si strinse addosso, forse cercando il morbido calore materno che tanto le mancava, e si assopì senza difficoltà.


Nel silenzio del ponte di comando dell’Arcadia, Harlock si voltò lentamente a fissare Yuki che cullava Mayu.
In quel momento, quelle due figure vicine apparvero ai suoi occhi come due stelle luminose, uguali a quelle che li circondavano, seppur lontane, nello spazio profondo.
Come stelle erano i luminosi occhi di lei, ed un piccolo astro luminoso era la bimba che le dormiva fiduciosa in grembo… astri lucenti e perfetti, che donavano calore, chiarore e vita ai pianeti che ruotavano loro intorno, quelle due figure rannicchiate aprivano uno spiraglio di luce nel suo essere, regalandogli quel calore che lo spazio gelido sapeva sottrargli.
Nel silenzio della nave che riposava, un raro sorriso caldo e sincero stirò le labbra del Capitano, assorto a guardare le stelle più luminose della sua vita.
Si era accorto che anche Yuki si era assopita sulla poltroncina, stringendosi al calore della piccola, e in quel momento ebbe l’impulso di avvicinarsi alle due; solo per un attimo il mantello ne nascose il fluido movimento che fece chinandosi su di esse.


Lo spazio si apriva davanti alla prua dell’Arcadia che lo attraversava, silenziosa nel silenzio senza confini.
Era nero ed oscuro come le vuote pupille degli occhi degli uomini che avevano il coraggio di attraversarlo, ma c’erano numerosissime stelle a dargli luce e calore, colorati diamanti sul velluto nero tra le mani di un raffinato gioielliere.
Le telecamere che erano diventate gli occhi di Tochiro inquadrarono qualcosa di inaspettato nel ponte di comando, tra gli schermi ed il freddo acciaio, e la nave stridette, solo per un attimo, per la sorpresa.
Sul tetro ed anacronistico scranno di legno, Harlock sedeva, come al solito, a guardare le immensità dell’universo. Ma questa volta non stringeva con mani nervose e guantate i braccioli ornati dai teschi, emblema senza tempo dei pirati: si avvolgevano premurose attorno alla rosea uniforme di Yuki, che spiccava su quella nera che indossava lui. Ancor più risaltavano i capelli biondi, abbandonata nel sonno sul suo petto, mentre stringeva ancora a sé la piccola Mayu, che a lei si aggrappava, continuando a dormire.
Le aveva sollevate e portate con sé senza destarle, per godere di quel contatto senza che nessuno lo vedesse, come un ladro che si aggira nella notte per non farsi scoprire.


Presto le avrebbe portate in camera, in un posto più consono al riposo. Il suo letto era grande abbastanza, e grazie alla presenza della piccola, Yuki non avrebbe potuto dubitare della sua correttezza.
Dando un ultimo sguardo all’immensità di fronte a lui, si alzò, reggendole tra le forti braccia, quindi si avviò lungo il corridoio deserto e poco illuminato, dove soltanto i suoi passi risuonavano contro il metallo.
Decise, in quel momento, che non si sarebbe più forzato ad ignorare gli sguardi che Yuki gli rivolgeva, tantomeno avrebbe fatto più a meno del calore che soltanto lei avrebbe saputo donargli.
Perché lo spazio, anche (e forse soprattutto) il più profondo, ha bisogno delle sue stelle: senza di esse sarebbe ancora più oscuro, monotono e gelido.
   
 
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