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Autore: mamie    01/05/2014    4 recensioni
"Ci sono persone che, a volte, vivono dentro i libri. Le vedi camminare per la strada, o comprare il pane, o magari parlare con qualcuno, ma in realtà non sono lì. Stanno dentro un libro: il libro che stanno leggendo."
Mia, dopo la scuola, lavora come volontaria in una biblioteca. Qui c'è anche un vecchio professore, che sembra abbia sempre vissuto lì fra gli scaffali polverosi...
Buon Primo Maggio a tutti :-)
[Partecipa alla challenge Pentahistoriomachia di darllenwr]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Nota: questa storia partecipa alla challenge Pentahistoriomachia di darllenwr col prompt - Quinta prova, originali con prompt iconico, e la seguente immagine http://safebooru.org/index.php?page=post&s=view&id=1212072
Il nome del professore è un omaggio al regista Hayao Miyazaki.



È SEMPRE TEMPO RUBATO
 
Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere d'altronde, o il tempo per amare).
Daniel Pennac
 
 
Ci sono persone che, a volte, vivono dentro i libri. Le vedi camminare per la strada, o comprare il pane, o magari parlare con qualcuno,  ma in realtà non sono lì. Stanno dentro un libro: il libro che stanno leggendo. Ci sono persone che camminano sempre dentro lo stesso libro, che so, Guerra e Pace oppure Moby Dick o anche l’Odissea. Altre, invece, ogni tanto si spostano, come se ogni libro fosse l’isola di un arcipelago che cambia continuamente forma e colore. Sono capaci di passare da Alice nel paese delle meraviglie a Re Lear (che non sono poi così diversi come sembra…).
Mia era così e la sua fortuna più grande, ma anche la sua sfortuna, era che faceva parte del club della biblioteca da quando aveva sette anni. Si fermava sempre dopo l’orario di scuola a sistemare i volumi che i ragazzi avevano lasciato sul tavolo. A volte indugiava a sfogliarne le pagine. Magari era un manuale di matematica, ma ci trovava sempre qualcosa di interessante.
Mia amava i libri in tutte le loro forme: amava quelli belli, illustrati, con la carta pesante, lucida, che quasi ti dispiace toccare per paura di lasciarvi le impronte delle dita; ma amava anche i tascabili da poco prezzo, quelli che, dopo essere passati per tante mani, si arricciano agli angoli e prendono un aspetto umido e mesto. Amava i libri di poesia, con le loro parole rade e lucenti come gocce di rugiada su un prato, ma le piacevano anche i romanzi scritti fitti fitti, che quasi ti pareva di annegare nella pagina piena e densa come gelatina di frutta.
A volte le succedeva di addormentarsi per la stanchezza sul libro che stava leggendo e di risvegliarsi poi bruscamente accorgendosi di aver perso l’autobus. In quel caso, di solito, era il professor Miyazaki a darle un passaggio fino a casa.
 
Il professor Miyazaki era un vecchietto piccolino, con una testa di corti capelli bianchi disordinati che parevano la peluria di un uccellino implume, gli occhiali rotondi e la voce gentile. Di solito era lui a chiudere la biblioteca alla sera e a riaprirla al mattino presto. Mia non l’aveva mai visto fare lezione, probabilmente doveva avere un incarico distaccato o qualcosa di simile.
Non parlava mai molto, nemmeno con Mia, limitandosi a volte a qualche domanda educata su quale libro avesse letto di recente. Mia si era affezionata a lui quasi senza accorgersene e lo trattava con la familiarità e la deferenza che avrebbe avuto verso un nonno affettuoso.
 
 
‒ Svegliati, Mia! È ora di andare a casa.
La ragazza tirò su la testa dal libro su cui era appoggiata, strofinandosi gli occhi.
‒ Che ore sono? – chiese.
‒ Sono le otto e mezza e fuori è già buio – rispose il professore.
‒ Su, vieni, che ti accompagno – continuò come sempre.
Stretta nella minuscola utilitaria del professore, Mia guardava le luci dei lampioni e delle vetrine moltiplicarsi sul vetro del finestrino.
‒ Ci vorrebbero dei giorni più lunghi – disse ad un tratto.
‒ Per leggere? – chiese il professor Miyazaki con un tono indulgente nella voce.
‒ Certo! E magari anche per scrivere – esclamò con entusiasmo la ragazza.
‒ E faresti solo questo, Mia, se avessi dei giorni più lunghi?
‒ Perché, lei no? – chiese la ragazzina con un sorriso.
Il professore non rispose, ma sembrava perso in un ricordo. Le luci scorrevano come un sentiero magico, verso la notte.
 
 
La mattina dopo il professor Miyazaki non andò ad aprire la biblioteca. Tutti si preoccuparono immediatamente, perché era sempre stata una persona puntuale e precisa. Non aveva avvertito, cosa molto insolita, e a casa sua non c’era nessuno. Non aveva parenti da cui sarebbe potuto andare, non l’avevano visto al solito ristorante dove cenava, sembrava vaporizzato nel nulla. Fecero denuncia alla polizia, ma neanche loro trovarono indizi di nessun genere.
Soltanto dopo dodici giorni, Mia ricevette per posta una lettera. Era una lettera scritta in eleganti caratteri, su una bella carta spessa. La calligrafia era quella del professore.
 
Cara Mia,
ti prego di perdonare queste mie parole. Forse sarebbe stato più giusto se fossi scomparso e basta, presto le chiacchiere sarebbero finite e io non sarei stato altro che uno dei tanti aneddoti da raccontare sul nostro Istituto, quello del professore un po’ matto che un giorno svanì nel nulla. Ma non me la sono sentita di lasciare proprio te senza una spiegazione.
I libri sono stati sempre la mia vita. Ci sono cresciuto in mezzo e non li ho mai abbandonati, ma la vita è strana e ha un senso dell’umorismo tutto suo, che spesso noi uomini non riusciamo a capire.
Ho conosciuto mia moglie in questa stessa biblioteca, sì, non te l’ho mai detto. Avevo una moglie. Era la creatura più squisita che avessi mai conosciuto, e amava i libri come me. Atsumi. I primi tempi, quando flirtavamo di nascosto dietro gli scaffali, ci sentivamo quasi gli eroi di un romanzo d’amore: uno di quelli che finiscono col tragico suicidio degli amanti. I giovani, sai, sono sempre molto drammatici.
A quel tempo non era facile come oggi per due ragazzi frequentarsi, specialmente se, come succedeva a noi, erano di due caste diverse. Tuttavia eravamo giovani e testardi, e molto innamorati. Ci sposammo ugualmente. Le nostre famiglie si ritennero disonorate da questa scelta, e non vollero più saperne di noi.
I primi tempi furono molto duri. La guerra era finita da poco. Io avevo solo il misero stipendio da professore, lei lavorava part time nella biblioteca, però eravamo molto felici. Avemmo una bambina, che chiamammo Akihime. Fu una gioia immensa. Non potevamo chiedere altro alla nostra felicità.
Finché Akihime non si ammalò di tifo e morì.
Morì nonostante tutte le cure e tutte le preghiere che spargemmo su di lei, morì nonostante tutto il nostro amore. Puoi immaginare una cosa del genere, Mia? No, forse non puoi. Sei troppo giovane. Tuttavia, credimi, questa cosa banale, la morte di una bambina, ecco, quella fu la fine.
Eravamo giovani, avremmo potuto avere tranquillamente altri figli, era quello che ci dicevano tutti. La vita continua e anche noi dovevamo andare avanti.
Sono tutte menzogne, Mia. La vita va avanti anche senza di noi e ci lascia indietro.
Atsumi smise di leggere, quei libri che le avevano dato tanto piacere ora le parevano insopportabili. Quei finali così giusti per le loro storie sembravano solo una beffa crudele. Poco a poco smise anche di mangiare. Una sera scomparve. La ripescarono tre giorni dopo dalle acque del fiume.
Allora sono morto anch’io, Mia. Mi sono rinchiuso in questa biblioteca cercando nei libri risposte che non potevano darmi, tuttavia senza mai smettere di cercare. Qualcuno ha detto che la loro morte è stata una maledizione, che non dovevamo sposarci senza il consenso delle nostre famiglie, che è stata una punizione divina. Sarebbe stato quasi consolante, se fosse stato così, vorrebbe dire che di noi importava qualcosa a qualcuno, ma io non ci credo. È stata solo la vita che è bellissima e crudele, da cui non puoi pretendere di più di quello che dà.
Ora è arrivato il momento che anch’io vada con loro. Ti auguro di avere tanto tempo per leggere e per scrivere, e anche più tempo per amare di quello che è stato concesso a me. Trasformati in una ladra di tempo e rubalo per le cose importanti della tua vita. Il resto non conta nulla.
E vedi di non addormentarti più in biblioteca, perché da questo momento non ci sarà più nessuno a riportarti a casa.
Con affetto.                                        
                                                           Professor Miyazaki
 
 
Mia si lasciò scivolare la lettera in grembo e rimase per un po’ così, in silenzio. Aveva voglia di piangere, ma non lo fece. Invece si alzò e andò a scuola come al solito. Poi si recò fino alla biblioteca. C’era un professore giovane, cui avevano affidato temporaneamente le chiavi.
Non gli raccontò niente. Si limitò a girare un po’ fra gli scaffali, poi si fermò a guardare fuori dalla finestra i ciliegi che sfiorivano.
 
  
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