Č Dicembre. 
Un tripudio di gelo, sensazioni e nasi gocciolanti. Gli alberi sono come immortalati da una fotocamera antica, fermi lė nel tempo, esposti alle intemperie come i pių valorosi dei guerrieri. E lė, proprio accanto a un albero, passa una ragazzina. Quasi sedici anni, occhioni verdi e mal fermi, capelli castani. Cammina con passo fermo ma stanco, in quel viale circondato di alberi. La ragazza deve raggiungere il teatro  dove ogni dicembre si tiene eccezionalmente l'assemblea d'istituto del liceo, quella di Natale. 
"Maledetti capelli. Preferirei tagliarli a zero, sono orribili.", pensa Sofia. 
Č quasi arrivata. Cerca di sforzare gli occhi per riuscire a vedere se c'č qualche suo amico, ma non vede nulla, č ancora troppo lontana. Svolta l'angolo. Attraversa la strada. E si ritrova davanti il cancello del teatro, con i capelli al vento, il cellulare ormai spento in mano e quell'ansia perenne negli occhi. Quegli occhi inquieti che vorticano, cercando un viso amico, familiare. Quegli stessi occhi che non trovano quello che stavano cercando, bensė molto di pių. Un attimo. Sofia non sente pių il freddo sulle guance, non pensa pių al cellulare spento e ai capelli orribili, non cerca pių qualche compagno di scuola cui aggregarsi, non ha pių bisogno di nient'altro se non degli occhi che ha appena incrociato. Marroni. Come la corteccia di quegli alberi a dicembre. Miele. Come la dolcezza infinita del sorriso che spuntava.