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Autore: Anny_    01/05/2014    3 recensioni
New York, le sue luci, Jared Leto e una ragazza straniera che si è appena trasferita. Forse, è l'inizio di qualcosa di nuovo.
"Mentre lei ammirava tutte quelle luci, a cui ancora non si era abituata, lui ammirava la sua bellezza, a cui non si era ancora abituato e - sperava - mai l'avrebbe fatto."
(consiglio di ascoltare più volte Bright lights mentre si legge, la sua durata è troppo corta confronto a quanto ho scritto ^^")
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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https://www.youtube.com/watch?v=4S0lCMB7iqg

Bright lights, big city,
she dreams of love.

 
3 ottobre 1997
 
Anna era a New York da due settimane, e la adorava. Si era appena trasferita dall'Italia, e ogni angolo di quell'immensa città era per lei una sorpresa. Ancora non si era abituata a tutti i rumori, le luci, le persone. Ogni volta che si addormentava, nel suo appartamento sulla 48th, non riusciva a credere di essere lì davvero, nella città dei suoi sogni. La scelta di trasferirsi definitivamente era stata una scelta difficile, che aveva portato molta sofferenza, ma lei era lì, nella Grande Mela, a fare il lavoro che aveva sempre sognato, e questo ripagava tutte le lacrime e gli addii. Era un'interprete, e a New York di interpreti ne servono molti. Ogni quartiere aveva la sua parlata tipica, da China Town a Little Italy, e lei ogni sera sceglieva un ristorante diverso, e si sforzava di imparare la sua lingua, messicano, portoghese o turco che fosse. A volte era semplice, a volte non lo era, ma la continua sfida la intrigava. La mattina ormai aveva il suo Starbucks di fiducia, dove ogni tanto i baristi le chiedevano di ordinare in italiano, e cercavano di capirla, mentre lei chiedeva loro frasi che solo un newyorkese poteva dire, o i loro angoli segreti di quell'immensa città.
Nonostante New York fosse, appunto, una città enorme, Anna non si sentiva mai sola. Le persone che incrociava per caso spesso le sorridevano, e lei sentiva con loro un legame probabilmente assurdo, ma che per quel secondo era reale, ed era forte.
Quella sera aveva deciso di provare un ristorante italiano; sapeva bene che non sarebbe mai riuscita a trovare un posto che, come cucina, la facesse sentire a casa, ma ogni tanto ci provava, e qualche volta, seppur raramente, otteneva anche dei buoni risultati. Chiese un tavolo per una persona, e la fecero accomodare vicino a una vetrata, da cui poteva vedere uno scorcio di Times Square. Adorava quella piazza, le sue luci, gli schermi. Adorava tutto di New York. Un cameriere arrivò poco dopo, e lei ordinò acqua naturale e un piatto di spaghetti allo scoglio. Se l'avesse vista suo padre probabilmente l'avrebbe sgridata, perché non si può mangiare un piatto di pesce con l'acqua naturale, assolutamente! Ci vuole un buon vino bianco! Ma a lei non piaceva tanto bere, e soprattutto non credeva di potersi fidare molto della qualità del vino statunitense. Mentre stava ancora riflettendo se prendere un quarto di vino per assaggiarlo o se lasciar perdere, al tavolo di fronte a lei si sedette un ragazzo alto e moro.
'Purtroppo non saprò mai se ha un bel viso', considerò Anna, che di lui vedeva solo la nuca. Non fece in tempo a formulare questo pensiero che il suddetto ragazzo si spostò sulla sedia di fronte per avere, ipotizzò lei, una veduta migliore della città.
In quel momento arrivò il suo piatto, così dovette ritardare l'analisi del viso del moro. Ma dopo aver messo in bocca la prima forchettata - tra l'altro, gli spaghetti non erano neppure così male - si rese conto che era valsa la pena attendere: il suo viso aveva lineamenti molto dolci, e i suoi occhi erano più azzurri del cielo.
Anna si costrinse a voltare lo sguardo, onde evitare di guardarlo imbambolata. Dopo circa un quarto d'ora arrivò il piatto del ragazzo, e Anna sorrise divertita scuotendo leggermente la testa, pensando tra sé e sé che non sarebbe mai riuscita a cenare con un piatto, per quanto grande, di sole verdure, come invece stava facendo lo sconosciuto seduto di fronte a lei.
Finì di mangiare dopo circa mezz'ora, quindi si alzò per andare a pagare. Aveva ancora qualche problema con i dollari, infatti quando le chiesero ventitre dollari e cinquantasei centesimi disse cortesemente di aspettare un attimo per trovare le monete che le servivano.
"Ti servono questa, questa e questa" disse una voce accanto a lei, mentre un dito le indicava ciò di cui aveva bisogno. "Ecco il mio conto" disse ancora la voce, prima che lei potesse parlare.
Anna, alzato lo sguardo, sorrise a quegli occhi così azzurri. "Grazie mille!"
"Di niente!" rispose quello.
Senza volerlo si avviarono insieme all'uscita, e lui le tenne la porta aperta da vero cavaliere.
Dopo quel gesto, non riuscì più a trattenersi. "Grazie, di nuovo. Mi chiamo Anna, comunque, piacere" esordì, tendendogli la mano.
Lui la strinse, sorridendo. "Jared, piacere mio"
"Se mi sorride ancora così muoio" pensò lei.
"Stai andando da qualche parte in particolare?". La sua domanda la riscosse dai suoi pensieri.
"No, avevo solo intenzione di fare un giro per la città, non smette mai di sorprendermi" disse, incamminandosi verso il centro.
Lui annuì, seguendola. "È vero, New York è meravigliosa e piena di sorprese. Immaginavo non fossi americana" rifletté. Poi, vedendo il suo sguardo interrogativo, aggiunse: "Sai, per le difficoltà con i dollari"
Lei si portò una mano alla fronte, come per darsi della stupida per non averci pensato da sola. "Mi sono trasferita qui due settimane fa, e alcune cose sono ancora un mistero per me, tipo come attraversare col rosso e non farsi investire, come riescono a fare tutti quelli in giacca e cravatta con la ventiquattrore. Sono dei geni!"
Jared scoppiò a ridere. "Ci vuole una certa abilità in effetti, e anche una certa dose di fortuna" ammise. "Di dove sei, quindi?"
"Secondo te di dove sono?" lo stuzzicò lei. Lo fece per giocare, ma anche perché aveva notato gli sguardi che le lanciavano certe persone nel sentire il suo paese d'origine. Amava la sua Italia, ma sopportava poco quegli sguardi pieni di pregiudizi. Sperò con tutto il cuore che Jared non ne avesse.
Lui la guardò cercando qualche indizio. "Mmm... Hai un accento britannico, quindi dico Oxford!"
"Sono stata a Oxford, in effetti, ma no, non vengo da lì" disse, cercando di non sorridere troppo apertamente. Per lei era il complimento più bello che potessero farle, quello di dirle che aveva un accento inglese, come se l'inglese fosse la sua lingua madre; la ripagava di tutte le difficoltà affrontate e degli sforzi fatti in passato per eliminare dalla sua pronuncia i più piccoli difetti dovuti all'italiano.
"Allora Londra!" continuò il ragazzo. Lei scosse nuovamente la testa.
"Va bene, mi arrendo, dimmelo" disse dopo un attimo di silenzio.
'Forse è un tipo impaziente, o forse è estremamente curioso' considerò Anna. Si fermò a guardarlo, per non perdersi nulla della sua reazione.
"Sono di Verona, nel nord Italia".
Lui strabuzzò gli occhi. "Non ci credo! Hai un accento perfetto, non puoi non essere inglese!"
Stavolta rise lei. "Te lo giuro! Ti mostro il passaporto se vuoi!"
Rise un po' anche lui. "No no, mi fido! Mi hai sconvolto però, non ci sarei mai arrivato"
"Beh, grazie. Per me è un gran complimento"
"Non ti piace il tuo paese?"
"Io amo il mio paese. Per me è un gran complimento perché ho studiato interpretariato, ho dedicato tutta me stessa allo studio dell'inglese, a come parlarlo nel migliore dei modi, passando tantissimo tempo con dei madre lingua. Ora sono venuta qui per imparare altro, portoghese, spagnolo, cinese... Lo stesso accento americano mi dà qualche problema, e New York è la città che unisce tutto questo in un posto solo" spiegò.
"Beh, direi che sei venuta nel posto giusto. Posso offrirti da bere in uno dei miei bar preferiti?" chiese Jared, con una paura terribile che lei rifiutasse
Anna, invece, sorrise. "Ma certo! Più posti conosco, meglio è!"
Ripresero a camminare, mentre il ragazzo le dava indicazioni su che strada prendere. Le mostrò anche come attraversare col rosso senza farsi investire, cosa che riuscirono a evitare per un soffio, beccandosi una bella suonata di clacson dell'autista del taxi che sfiorò l'italiana per un pelo. Una volta sul marciapiede scoppiarono a ridere, e Jared non poté fare a meno di notare quanto lei fosse bella col sorriso sulle labbra.
Dopo dieci minuti arrivarono a destinazione, e una volta seduti ordinarono due birre piccole.
"E tu?" domandò Anna, intavolando una discussione dopo aver bevuto un sorso della sua bevanda. "Di dove sei?"
"Sono nato in Louisiana e ho viaggiato moltissimo, ma ora abito a Los Angeles. Ogni tanto però torno a New York, ci ho vissuto per qualche tempo e rimane sempre nel mio cuore come una delle città più belle che io abbia mai visitato"
"Sei mai stato in Italia?"
"No, non ancora"
"Allora non hai ancora visto il meglio" commentò lei, facendogli l'occhiolino.
"Beh, ora che ho una guida esperta potrei anche pensare di farci un giro" disse il moro, con sguardo ammiccante.
"Tu portami a Los Angeles e io ti porto a Verona, Venezia, Roma, Firenze... quella che vuoi, o anche tutte" rispose lei, stando al gioco.
"Ci sto". Le tese la mano, con immensa sorpresa della ragazza, e lei la strinse.
"Quanto hai intenzione di stare qui?" le chiese poi.
"Beh, un anno sicuro, forse anche di più, dipende dal lavoro. E tu quanto stai?"
"Mah, non lo so. Come ti ho detto, ho viaggiato moltissimo da piccolo, e continuo a farlo tuttora. Sono parecchio libero su questo punto di vista"
Lei si incuriosì. "Ma scusa, che lavoro fai?"
Jared bevve un sorso di birra. "Sono un artista, un attore, un regista. Credo che la definizione che più mi si addice sia "sognatore". Ho moltissimi interessi, e sto cercando di farli diventare il mio lavoro, o i miei lavori. In parte ci sono già riuscito, ma sto lavorando a nuovi progetti. Non mi fermo mai"
Anna lo guardò ammirata. "Sai, da dove vengo io i "sognatori", per usare le tue parole, sono scherniti e scoraggiati. Nessuno sostiene i suoi figli o amici a intraprendere una strada come la tua, ed è triste"
"Tu non sosterresti i tuoi amici?"
"In Italia? No, non credo lo farei. Oppure lo farei, invitandoli a lasciare tutto e a venire qui negli Stati Uniti. Stando in questa città ho potuto appurare che è vero quello che dicono di questo Paese, che qui puoi davvero trovare la felicità e realizzare te stesso. Ma là... là non puoi, e non è colpa tua. È colpa del nostro modo di vivere e di pensare, per noi un lavoro è qualcosa che deve essere certo e che deve sostenere te e i tuoi cari. E fare l'artista non è un lavoro certo".
La ragazza si rattristò nel dire queste parole, ma erano la verità e la realtà in cui aveva vissuto fino a due settimane prima. Jared notò il suo cambiamento di umore e le si avvicinò, senza però sapere esattamente come comportarsi, ma lei si era già ripresa, allegra come lo era stata fino a pochi secondi prima.
Gli sorrise, e lui ricambiò. Andarono avanti a chiacchierare per ore, e per la prima volta da quando era arrivata lì Anna aveva trovato un amico, qualcuno con cui condividere tutto ciò che le era capitato in quelle due settimane. Tornò a casa all'una, accompagnata da Jared, che non voleva lasciarla rincasare da sola.
Prima di salutarlo, lei gli chiese il suo numero di cellulare; lui glielo dettò, e dopo essersi salutati in modo piuttosto goffo, lei entrò nell'appartamento, fiondandosi sul letto ancora vestita, e, pensando a quegli occhi azzurri che forse, inconsciamente, amava già, si addormentò.


 
*
 
Nelle settimane seguenti Anna e Jared si videro spesso, facendo lunghe passeggiate per la città al pomeriggio o visitando sempre posti nuovi la sera. Andarono insieme al MoMA e al Metropolitan, che la ragazza non aveva mai visto, e anche sull'Empire State Building e all'isola della Statua della Libertà. Visitarono le Twin Towers e Wall Street, e andarono a Brooklyn e a Staten Island. Jared era una fonte inesauribile di informazioni, e Anna non si stancava mai di ascoltarlo e di imparare qualcosa di nuovo. Quando il ragazzo dovette tornare a Los Angeles per un provino, per lei fu difficile da accettare: tornava a essere sola in quella città così grande e nonostante tutto ancora così straniera. Ma lui le promise che l'avrebbe chiamata tutti i giorni, o quasi, e così fece. Lei conobbe altre persone, diventò loro amica e così le giornate passavano più in fretta, ma sentiva che solo con Jared sarebbe stata veramente bene. Dopo qualche mese, lui le fece una sorpresa e si presentò sotto casa sua senza preavviso. Lei reagì nel modo più spontaneo di tutti: gli saltò al collo, abbracciandolo. Si fece raccontare tutto quello che era successo, cosa aveva fatto, se era stato preso a quel provino - cosa che lui non aveva voluto dirle al telefono. Gioì con lui per il nuovo incarico, anche se questo significava dover stare ancora separati. Anna quella sera scoprì anche che il ragazzo non era tornato da solo: con lui c'era il fratello Shannon, e insieme le dissero che avevano appena deciso di fondare una nuova band, i 30 Seconds to Mars. Lei era entusiasta, e si fece raccontare com'era nata quell'idea, quando pensavano di pubblicare il primo disco e tante altre cose. Dopo cena Shannon li lasciò da soli, e Jared portò la ragazza sul tetto del suo albergo. Mentre lei ammirava tutte quelle luci, a cui ancora non si era abituata, lui ammirava la sua bellezza, a cui non si era ancora abituato e - sperava - mai l'avrebbe fatto. Lei si sentì fissata, e si voltò a guardarlo, sorridendogli. A quel sorriso lui prese coraggio, e le chiese se le andava di rispettare una parte del patto che avevano stretto mesi prima, e tornare con lui a Los Angeles per un po' di tempo. Le disse che aveva parlato con i suoi colleghi, i quali gli avevano detto che lei avrebbe potuto svolgere tranquillamente il suo lavoro dalla città degli angeli e mandare via fax le sue traduzioni. Anna non seppe come reagire, Jared l'aveva colta del tutto impreparata, e per qualche minuto rimase a fissarlo in silenzio, sconvolta. Quando alla fine si riprese, urlò un "Sì, certo che vengo!" e lo abbracciò. Non si erano ancora staccati del tutto quando lui la sorprese per la quarta volta nell'arco della giornata, tirandola a sé nuovamente e poggiando le labbra sulle sue. Era da quando era partito che voleva farlo, e, nonostante si fosse ripromesso di aspettare qualche giorno dopo il suo ritorno, non ci era riuscito. Tutto ciò che sentiva, in quel momento, erano le sue labbra morbide, il suo profumo nelle narici, la sua mano tra i suoi capelli e quella di lei poggiata sul suo petto, mentre il cuore batteva all'impazzata quasi volesse esplodere. Quando si separarono, Anna poggiò la sua fronte su quella di lui, e ridendo si specchiò in quel blu che adorava tanto, facendo quasi fatica a reprimere la gioia che provava in quel momento.
 
*
 
Bright lights, big city,
he lives to run.

 
12 gennaio 2014
 
Jared si stava cagando in mano. Era ai Golden Globe Awards, e si stava cagando in mano. Ovviamente, cercava di non darlo a vedere, e la presenza di Shannon al suo fianco lo aiutava a rilassarsi. Era abituato alla folla, dopo un tour di trecento concerti solo per This is war e un altro tour per Love Lust Faith + Dreams iniziato l'estate precedente e non ancora terminato, e infatti non era quello il problema. Il problema era il premio, erano le aspettative - anche se aveva cercato di non farsene -, e il fatto che Anna non avesse potuto essere lì con lui. Con il passare del tempo, anche lei aveva mantenuto la sua promessa, e l'aveva portato in tutte le città italiane che lui aveva voluto, facendogli da guida artistica e culinaria. Comunque, nonostante ciò, e nonostante fossero una coppia da molti anni, non sapeva se l'avrebbe esposta al pubblico proprio in quell'occasione: aveva cercato il più possibile di tenere la loro relazione nascosta per permetterle di vivere una vita abbastanza normale (stare con una rockstar, comunque, usciva dai canoni del "normale" in senso pieno), ed era riuscito nel suo intento. D'altronde, era Jared Leto: quando si metteva in testa una cosa, non c'era dubbio che l'avrebbe portata a compimento. Dopo un red carpet che gli sembrò infinito, entrò nel salone e si sedette al suo tavolo, sempre con Shannon al suo fianco. Sembrava una guardia del corpo, e sorrise a quel pensiero: suo fratello era la persona più importante della sua vita, insieme a sua madre e alla sua ragazza, e gli trasmetteva una sensazione di sicurezza di cui in quel momento aveva proprio bisogno. Quando iniziarono a dichiarare i vincitori per le varie categorie, decise di staccare il cervello finché non fosse arrivata quella in cui era nominato, e quando poi dissero il suo nome esplose in un sorriso, abbracciò il fratello e salì sul palco. Non si era propriamente preparato un discorso, aveva giusto due o tre concetti in mente e quelli sviluppò, ringraziando poi il suo team per il loro aiuto. Voleva ringraziare anche Anna per il supporto che gli aveva sempre dato, in ogni progetto. Quello di Rayon non era stato per nulla un ruolo facile, sia dal punto di vista psicologico che da quello fisico, e le occhiate che la ragazza gli aveva lanciato quando l'aveva visto dimagrire così tanto non gli erano certo sfuggite. Eppure, lei non disse mai una parola. Era preoccupata, si vedeva, ma non gli aveva mai chiesto di non farlo, di rinunciare, di rendere meno radicale quel cambiamento. In realtà, l'aveva anche preso in giro, scoppiando a ridere, quando lo vide senza sopracciglia, e completamente depilato in ogni parte del corpo, dicendogli che solo ora poteva capire ciò che provavano lei e tutte le donne. Le sfuggì che senza sopracciglia era, in effetti, piuttosto inquietante, ma a parte questo non fece altri commenti negativi, e Jared gliene era grato. Avrebbe voluto, avrebbe dovuto ringraziarla, ma non lo fece. Lei sapeva ciò che lui provava, e solo questo era importante. Sceso dal palco, ritornò al suo tavolo e attese la fine della cerimonia, rilasciò tutte le interviste del caso, sempre accompagnato da Shannon, e alla fine salì in macchina per tornare a casa.
"E bravo il mio fratellino! O forse dovrei dire sorellina" disse il batterista non appena salì in macchina, mettendosi al volante e ammiccando a Jared.
Quest'ultimo sorrise, e si lasciò andare sul sedile anteriore, rilassandosi. "Dobbiamo andare a festeggiare con mamma e gli altri, giusto?" chiese.
"Per quello c'è tempo, ora ti riporto a casa"
Shannon continuò a guidare finché non arrivò a destinazione. "Mettici pure tutto il tempo che ti serve, non avere fretta" commentò, con uno sguardo tra l'enigmatico e il divertito.
Jared ne rimase confuso, ma scese dall'auto ed entrò nella sua abitazione. Pose le chiavi sul tavolo accanto alla porta d'ingresso e salì in camera per cambiarsi e darsi una rinfrescata. Si sedette sul letto pensando a cos'avrebbe potuto indossare, e un istante dopo sentì due mani massaggiargli dolcemente le spalle e una voce sussurrargli all'orecchio: "Congratulazioni amore mio".
Entusiasta, l'uomo si voltò e prese tra le mani il viso di Anna. "Sei qui" le sussurrò di rimando. Quasi stentava a crederci: lei doveva essere in Spagna per una conferenza che doveva tradurre simultaneamente, invece era lì, davanti a lui.
"Sono qui" confermò lei, fissando quell'azzurro che amava da tempo, che sempre avrebbe amato.
"Ma... com'è possibile?" le domandò, continuando ad accarezzarle gli zigomi: era da mesi che non si vedevano a causa del tour, e ora doveva sentire la sua presenza, toccarla, stringerla.
"Ho detto al mio capo che questa volta non potevo proprio andare. Non ho mai saltato una conferenza da che lavoro lì, e dopo dieci anni ho maturato qualche bonus" gli rispose, sorridendogli e accarezzandolo a sua volta.
"Sei qui" ripeté sottovoce lui, e finalmente la baciò. Non esisteva più nulla: solo Anna, le sue labbra, il suo corpo.
Le tolse il cardigan e subito dopo la camicia, forse con troppa irruenza, ma non importava. Anche lei iniziò a spogliarlo, facendo cadere sul pavimento la sua giacca e la sua camicia. Gli tolse la cintura, gli sbottonò i pantaloni e glieli sfilò. Lui fece lo stesso, per poi toglierle anche il reggiseno.
Anna finse di scappare via, si rifugiò sotto le coperte del letto di Jared, che la raggiunse immediatamente. Riprese a baciarla, con amore e con passione. Si liberarono anche degli ultimi indumenti, e fecero l'amore con calma, assaporando ogni istante. Ora Jared capiva la frase che gli aveva detto Shannon con quel tono così divertito, e non se lo sarebbe fatto ripetere due volte: in quella camera, in quel letto con lui c'era l'unica persona di cui aveva bisogno, e la stava stringendo, baciando, amando. Viveva sempre di corsa, viaggiando da una città all'altra, tra aeroporti, hotel, palchi, e tutto questo gli piaceva, era ciò che aveva sempre desiderato, era la realizzazione di un sogno.
Ma per quella volta, Jared si fermò. Smise di correre, e si prese tutto il tempo di cui aveva bisogno con la persona che l'aveva sempre capito e che gli era rimasta a fianco per più di quindici anni e che, sperava, non se ne sarebbe mai andata.
Smise di correre, e la amò con tutto se stesso.


Okay, è la prima volta che scrivo una Shot con protagonista Jared, spero non vi faccia schifo. Sono anche nuova su questo sito, quindi mi auguro di non aver fatto troppo casino con il postarla e con i tag vari, visto che non sono molto pratica ^^"
Mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ne pensate.
Un bacio,
Anna
   
 
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