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Autore: Polla89    01/05/2014    2 recensioni
Dal testo:
«[...] Ma per una volta (forse la prima, nella sua vita) aveva deciso di chiudere con il suo detective preferito. Il suo cervello, per niente d’accordo con tale decisione, continuava a dargli proiezioni mentali dell’unico uomo che, con tutta probabilità, avrebbe amato come nessun altro. Ogni volta che accadeva, però, scuoteva la testa per allontanarlo dai suoi pensieri».
La mia prima one shot Sherlolly.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
Questa è la mia prima one shot. L'ho collocata dopo i fatti della 3X03...

Vorrei ringraziare la mia amica Caterina, che ha sempre creduto in me e che ho trascinato in questo vortice di delirio all'ennesima potenza, e MelaChan, che mi ha pazientemente supportata; le ringrazio entrambe, inoltre, per avermi incoraggiata a pubblicare questa storia "cosa".



Do ye ken John Peel?


Molly Hooper era frastornata.
Sedeva ancora vicino al tavolo della sua cucina con un foglio in mano, su cui posava il suo sguardo, per poi spostarlo sulla tendina rosa della sua finestra, che tutto a un tratto sembrava attirare la sua attenzione.
Era frastornata, perché quel foglio era un invito.
Per la precisione, un invito alla tenuta Holmes nel Sussex. Mycroft aveva avuto la premura di farle arrivare il suddetto invito per un’esposizione eccezionale di arte contemporanea (che effettivamente desiderava vedere da tanto tempo) nella sua tenuta.
L’esposizione era stata organizzata, tempo prima, al Tate Modern, nel quartiere di Southwark, ma tra tutti i suoi impegni non era riuscita ad andarci nemmeno una volta.
Anche Lestrade, purtroppo, non era riuscito a vederla. «Troppo lavoro», le aveva detto. «Se mi libero, però, mi farebbe piacere accompagnarti». Lei gli aveva appena sorriso, perché la gentilezza e le attenzioni di Greg, in quel periodo, erano stranamente gradite, poiché nei suoi pensieri, purtroppo, continuava a dimorare Sherlock Holmes.
Ma per una volta (forse la prima, nella sua vita) aveva deciso di chiudere con il suo detective preferito. Il suo cervello, per niente d’accordo con tale decisione, continuava a dargli proiezioni mentali dell’unico uomo che, con tutta probabilità, avrebbe amato come nessun altro. Ogni volta che accadeva, però, scuoteva la testa per allontanarlo dai suoi pensieri.
Non che dicesse molto. Sentiva solo pronunciare il suo nome con quella sua voce profonda.


Molly.


Lei scuoteva la testa, cercando di rinchiuderlo nella parte più profonda del suo cuore, per lasciarlo lì. Quando lavorava, quando prendeva un caffè, quando accettava inviti da uomini che non erano Sherlock.
Sempre.


Molly.


Lei scuoteva la testa, ogni volta, e spesso doveva scusarsi con chi aveva di fronte, perché senza volerlo mormorava, in un sussurro quasi disperato, un lasciami in pace.
Che, ovviamente, era riferito a Sherlock.
Per evitare queste situazioni imbarazzanti, aveva deciso di non accettare più inviti da nessuno.
Solo Greg, ogni tanto, le chiedeva di prendere qualcosa da bere insieme. E lei accettava, perché Lestrade, nonostante sapesse dei suoi sentimenti nei confronti di Sherlock, voleva solo passare un po’ di tempo con lei e vederla sorridere (cosa che, in effetti, non accadeva da troppo tempo). Sembrava aver dimenticato Sherlock (che non vedeva da mesi, ormai, dopo il ritorno di Jim).
E poi, quell’invito.
Sorrideva con affetto, pensando al gesto di Mycroft. Però, poco dopo, quel sorriso sparì. Perché sapeva che, andando nel Sussex, avrebbe potuto incontrarlo. Anche se, pensò, Sherlock Holmes odiava gli eventi mondani.
Si chiese, però, chi fosse stato invitato.
Non finì neanche di pensarlo, che il cellulare squillò. Lesse il nome sul display e abbozzò un sorriso che la tranquillizzò.
Greg.
Dopo un attimo di esitazione, rispose.
«Pronto?»
«Ciao Molly. Ti disturbo?»
Molly sorrise. Sempre gentile, Greg. Non come Sherlock.
Si morse la lingua per aver pensato di nuovo a Sherlock.
«No, figurati. Dimmi».
Per un momento, le sembrò che Greg esitò.
«Ehm…», cominciò. «… Hai ricevuto anche tu l’invito alla tenuta Holmes per questo sabato?»
Molly sorrise di nuovo.
«Sì».
Sentì Greg respirare faticosamente dall’altro lato del telefono.
«Ah, sono felice». Sembrò esitare di nuovo, ma continuò tutto d’un fiato. «Dunque… Ti andrebbe di venire insieme a me? So che preferiresti prendere  un treno e che posso sembrare un po’ insistente, ma Mycroft mi ha informato che, oltre ad aver prenotato delle camere d’albergo per me, te, John e Mary, manderà una macchina a prenderci e…».
Molly si intenerì, perché sapeva di piacere un po’ a Greg. Aveva capito che faceva di tutto per non discutere di possibili evoluzioni riguardo certi aspetti della loro amicizia.
Non lo stava ascoltando più.
«Sì, Greg, vengo volentieri con te».
L’uomo, dall’altro lato del telefono, si bloccò.
«Oh…», riuscì a dire. «Bene. Perfetto».
Molly, allora, lo salutò, ed era quasi sicura di averlo sentito sorridere.




~




Il viaggio in macchina era stato piuttosto piacevole.
Erano passati tre giorni da quando aveva ricevuto l’invito da parte di Mycroft, e ancora stentava a credere di essere in cammino verso la tenuta Holmes.
Greg, intanto, parlava moltissimo, raccontando anche episodi divertenti riguardo i vari casi che si era trovato a risolvere negli ultimi tempi. Poi, senza volerlo, spiegò come Sherlock, nell’ultimo caso, aveva dedotto chi fosse il colpevole in meno di due ore.
Molly, voltando lo sguardo verso il finestrino, sembrò non volerlo più ascoltare. Greg, leggermente deluso, smise di parlare. Però capì il motivo per cui Molly Hooper si era incupita.
Aveva involontariamente nominato Sherlock Holmes.
Sapeva quali fossero i suoi sentimenti, e per questo si dispiacque moltissimo.
«Scusami», sussurrò. «Non volevo…»
Molly si girò verso di lui, abbozzandogli un sorriso.
«No, tranquillo. Sto bene».
Se Sherlock smettesse anche solo di chiamarmi per nome, nei miei pensieri, starei ancora meglio, pensò.
La voce del detective l’accompagnò per tutto il viaggio, non lasciandole ascoltare nemmeno una parola di ciò che diceva Greg.


Giunti a destinazione, si trovarono in piena campagna del Sussex. Il sole e il caldo di giugno cominciavano a farsi sentire.
Mycroft ha fatto le cose in grande, pensò.
Erano di fronte a una piccola residenza, adibita ad albergo, dove avrebbero alloggiato per tutto il weekend.
Mentre Greg tirava fuori dal bagagliaio le loro piccole valigie, una piccola sagoma, in lontananza, faceva un cenno di saluto verso di loro: era John.
A passo svelto, si mosse verso di loro e li salutò calorosamente.
«Ciao Greg!», disse, dandogli una pacca sulla spalla. Poi, girandosi verso di lei, la salutò abbracciandola.
«Molly, come stai?»
«Ciao John», disse, ricambiando l’abbraccio. «Sto bene».
John la guardò con un’aria abbastanza preoccupata. Sapeva che, con buone probabilità, il giorno dopo avrebbero incontrato Sherlock Holmes. Non voleva nemmeno immaginare quale avrebbe potuto essere la reazione di Molly.
«Beh, io e Mary ci siamo già sistemati», disse a Greg. «Venite, così vi sistemate anche voi».
Greg si voltò verso Molly e, con un cenno del capo, la invitò a seguirli.
Entrarono nell’atrio della “piccola” residenza, divenuta la hall dell’albergo, e chiesero alla receptionist le chiavi delle loro camere.
Greg aveva la camera vicino a quella di John e Mary.
Molly, con sua grande sorpresa, aveva avuto un trattamento “speciale”.
«Signorina Hooper, per lei è stata riservata una suite».
Molly sgranò gli occhi. Si chiese come era possibile. Avrebbe preferito una camera vicina a quelle di Greg e John.
«Oh… grazie», disse lei, prendendo le chiavi e avviandosi con i suoi amici al piano superiore.
John si fermò per primo. Era arrivato davanti alla sua camera, disse di voler riposare un po’. Poi, dopo averli salutati, sparì dietro la porta.
Greg, però, decise di accompagnare Molly alla sua camera. Era l’ultima, in fondo al corridoio, con una porta leggermente più grande.
La salutò con un bacio sulla guancia, dicendole che si sarebbero visti più tardi, tutti insieme, per prendere qualcosa da bere.
Molly, sorridendogli, aprì la porta della sua camera e la richiuse alle sue spalle. Si trovò in una camera luminosa, spaziosa, con uno scalino che portava verso una grande finestra, la quale dava sul verde della campagna del Sussex. In lontananza riusciva a vedere un puntino chiaro, che sembrava essere un’altra residenza.
Chissà chi ci vive, pensò.
Poi, alzò gli occhi al cielo, tentando di reprimere quel groppo alla gola che le si era formato. Aveva sperato che, poco prima, a darle quel bacio sulla guancia fosse stato Sherlock.
Lasciata la valigia vicino al guardaroba, si lasciò cadere sul letto e sperò di riuscire a chiudere gli occhi per non dover combattere (ancora una volta) con i suoi sentimenti.
Forse così, pensò, riuscirò a tenere chiuso Sherlock nell’angolino più remoto del mio cuore.




~




Il mattino seguente, Molly si svegliò agitata. 
È il fatidico giorno, pensò.


Il giorno prima si era rivelato piuttosto piacevole. Dopo aver riposato per un po’, aveva raggiunto in giardino Greg, John e Mary; con loro, aveva trattenuto una lunga conversazione tra risate e resoconti divertenti della vita di coppia dei due sposini.
Il proprietario dell’albergo, poi, gli aveva suggerito di fare una passeggiata per le strade poco battute della campagna circostante, appartenente alla tenuta. Spiegò che, in quel posto, venivano ancora usati i carri trainati dal cavallo, come una volta.
A Molly, per un momento, sembrò di tornare indietro di un secolo.
L’uomo si era offerto di guidarli personalmente in quella piacevole camminata. Raccontava di come la natura era rimasta inalterata rispetto al secolo precedente, mostrando con un po’ di fierezza tutti i tipi di piante che incontravano.
Molly non ascoltava nemmeno una parola di ciò che quell’uomo stava dicendo. Era assorta nei suoi pensieri, ammaliata da quella visione bucolica che le rapì il cuore; le sarebbe piaciuto avere un posto come quello per rifugiarsi dalla vita quotidiana. A questo pensiero, ne seguì un altro: avrebbe voluto con tutta se stessa che Sherlock fosse lì con loro (con lei, si corresse mentalmente) per farsi raccontare da lui tutti i tipi di piante che osservava con uno sguardo assente.
«… E lì, in fondo, potete ammirare la tenuta Holmes».
Molly scosse la testa. La voce del proprietario dell’albergo la risvegliò completamente dai suoi sogni a occhi aperti.
L’uomo continuò a spiegare.
«Mycroft, un caro amico di famiglia, mi ha detto che domani sarete suoi ospiti. Mi ha anche chiesto di farvi raggiungere la sua tenuta con due carri come questo. Anche lui ci tiene a certe tradizioni, a quanto pare», disse sorridendo.
Per un attimo, Molly sentì girarle la testa. Ebbe un presentimento, e volle verificare se fosse reale. Si girò di scatto verso la tenuta, e la vide.
La sua camera.
L’unica che da quella prospettiva aveva davanti a sè, come un puntino all’orizzonte, la tenuta Holmes.
È solo una coincidenza, cercò di convincersi.


Riaprì gli occhi, poiché aveva di nuovo preso sonno, e sentì attorcigliarsi lo stomaco. Era il fatidico giorno, e con buona probabilità avrebbe incontrato Sherlock.
Ricordava ancora l’ultima volta che lo aveva visto. 
Era stato dopo le notizie che la sua “amica” Janine aveva venduto a diversi giornali.
Era furiosa, aveva gli occhi arrossati per tutte le lacrime che aveva versato. Aveva sentito il suo cuore spezzarsi ancora una volta. E fu in quel momento che prese la decisione che cercava di rispettare con tutta se stessa.
Doveva allontanarsi da Sherlock Holmes.
Quando quest’ultimo entrò nel laboratorio a passo svelto, lei, per un momento, sembrò esitare.
«Molly Hooper, ho bisogno di avere accesso al cadavere che New-Scotland-Yard-Gavin-Lestrade ti ha mandato stamattina», disse di spalle, senza voltarsi.
Molly tirò le labbra per la tensione.
«Si chiama Greg».
Sherlock sembrò non avere alcun interesse a sapere quale fosse il nome di Lestrade.
«E comunque no».
Il detective, voltandosi di scatto, sperò di non aver capito bene.
«Come, scusa?»
«Ho detto di no».
Sherlock la osservava, quasi spaesato, cercando di capire cosa stava accadendo.
«Cosa non ti è chiaro del “mi ha mandato Greg”?»
Molly quasi esplose.
«E a te cosa non ti è chiaro del NO che ti ho appena detto? Sono stanca di essere utilizzata solo quando serve, a comando. Non sono il tuo cagnolino personale. Per questo hai Janine».
Rendendosi conto di non essere riuscita a controllare quelle ultime parole, si morse la lingua.
Accidenti, Molly, pensò. Hai praticamente dato L'INPUT a Sherlock per capire che ce l’hai con lui per la storia di Janine.
«Oh».
Fu l’unico suono che uscì dalla bocca di Sherlock. Poi, strinse gli occhi e cercò di capire il senso delle parole di Molly.
Notò appena gli occhi arrossati e le occhiaie scavate.
«Perchè hai pianto, Molly Hooper?» disse quasi innocentemente. «I tuoi occhi sono arrossati, probabilmente hai passato tutta la notte a piangere. Ma perchè? Non sarà per qualche assurdo motivo-»
«Ora basta».
Per Molly era troppo. Sperava, in cuor suo, che quello fosse un tentativo di Sherlock per smorzare la tensione. Ma lei non ce la faceva più.
Stavano pur sempre parlando dei suoi sentimenti.
Sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime, di nuovo, e strinse i pugni ai suoi fianchi.
«Basta, Sherlock. Se non sei capace di comprendere i sentimenti umani più semplici, nonostante tu riesca a dedurre in quale parte del mondo è stata una persona guardando solo una stupida macchia di cibo sulla sua camicia, è inutile continuare a parlare».
Sherlock restò immobile, sorpreso dalle parole dure di Molly.
«Per questo, ho detto che non ti mostrerò il cadavere che Greg ha mandato qui oggi. Credo lascerò con piacere il posto a un altro patologo, così che possa aiutarti al meglio, e Dio solo sa quanto pregherò per la sua stabilità mentale che sarà messa alla dura prova solo nell’avere a che fare con te».
Una lacrima, subito dopo, le rigò il viso.
Sherlock era ancora immobile, con la bocca socchiusa, senza riuscire a dire una parola.
Molly, allora, si voltò di scatto e andò via. 
Solo quando arrivò all’uscita, Sherlock sussurrò appena.
«Io e Janine non siamo stati realmente insieme».
Senza dire nulla, aprì la porta e scappò via, lasciando Sherlock da solo.


Scosse la testa per allontanare quel brutto ricordo. Ma fu quasi del tutto inutile: i suoi occhi erano (per l’ennesima volta) velati di lacrime che non esitarono a rigarle il volto.


Più tardi, in pieno pomeriggio, sentì appena squillare il suo cellulare. Cercò di darsi un contegno, si avvicinò al comodino e lo prese.
Era un messaggio di Greg. Le diceva di cominciare a prepararsi, perché a breve i carri sarebbero stati pronti a portarli alla tenuta Holmes.
Si avviò in bagno e, guardandosi allo specchio, pensò che sciacquarsi la faccia era il modo migliore per calmarsi. Poi, tornando in camera, si avvicinò al  guardaroba, dove erano sistemati il vestito e le scarpe che avrebbe dovuto indossare.
Bene, pensò. Prepariamoci per la battaglia1.




~




Il tragitto per la tenuta Holmes le sembrò durare un’eternità.
Il cuore le batteva all’impazzata, e sperava con tutta se stessa di non dover incontrare Sherlock. Anche se, in fondo, una piccola parte di lei sperava esattamente il contrario.
Greg continuava a guardarla come se non avesse mai visto una cosa più bella di lei. Eppure, aveva solo indossato un vestito bronzo corto, con le maniche a tre quarti, che le lasciava un po’ scoperta la schiena, e le scarpe dello stesso colore, stile Chanel, con un grande cuore rosso sulla punta.
Che ironia, pensò Molly. Ho un cuore su entrambi i piedi. Quasi a ricordarmi che ho calpestato il mio cuore per Sherlock troppe volte.
«Stai benissimo», sussurrò Greg.
Molly sorrise appena, senza guardarlo.
«Grazie».


Poco dopo, arrivarono a destinazione.
La tenuta Holmes era davvero immensa: sembrava di essere in un film d’epoca, di quelli che a Molly sono sempre piaciuti.
Mycroft, davanti all’ingresso, fece loro un cenno di saluto.
«Salve. Venite, l’esposizione è già aperta».
Greg porse una mano a Molly per aiutarla a scendere dal carro. Non aveva un tacco eccessivamente alto, ma aveva comunque apprezzato il suo gesto galante.
Si sentiva come le dame di inizio novecento. E, per un momento, era felice di essere lì in compagnia di Greg, John e Mary. La gioia, però, svanì dal suo volto non appena alzò lo sguardo. Vide Sherlock Holmes, vestito di tutto punto, che li stava fissando.
Il suo cuore, allora, perse un battito.
«Così siete venuti», disse con un tono abbastanza indifferente. Si capiva, però, che a modo suo era soddisfatto della loro presenza. 
Fissò Molly per qualche secondo: osservò i suoi capelli, raccolti da un lato e che le ricadevano sulla spalla destra, il suo vestito, le sue scarpe. Poi, si voltò ed entrò nella dimora.
Greg e Mary si avviarono dietro di lui; John, invece, restò per un momento con Molly.
«Tutto bene?»
John sapeva cosa era successo in quel laboratorio. Le aveva spiegato che Sherlock, da quel giorno, si era incupito sempre di più.
«Sì… o almeno credo».
John sospirò, cercando di convincersi che era vero. Molly, poi, gli poggiò una mano sul braccio, invitandolo ad entrare insieme.


La mostra era bellissima, come se l’era immaginata: l’arte contemporanea l’aveva affascinata da sempre.
Molly, però, non riusciva a goderne appieno, perché ogni volta che guardava un quadro, o una statua, o un’installazione particolare, i suoi occhi cadevano su Sherlock. Lo vedeva fin troppo a suo agio, nonostante in un primo momento sembrò essere un pesce fuor d’acqua.
Si stava intrattenendo con un gruppetto di amici di Mycroft, e rideva di gusto insieme a una giovane donna che, doveva ammetterlo, era davvero affascinante. In quel momento, Sherlock volse il suo sguardo in direzione di quello di Molly, la quale finse di guardare una tenda che le sembrò davvero molto interessante.
Tornato a intrattenere i suoi ospiti, Molly riprese a guardarlo con occhi tristi ma, allo stesso tempo, pieni di rabbia. Avrebbe dovuto dedicare a lei tutte quelle attenzioni, molto tempo prima. Vederglielo fare con altre donne la faceva stare male.
Sentì lo stomaco aggrovigliarsi.
Decise, allora, di prendere un po’ d’aria. A passo svelto, si avviò verso l’uscita.
Non appena arrivò sul patio, una leggera brezza notturna le accarezzò il viso. Chiuse gli occhi, per un attimo, e cercò di calmarsi: in fondo, aveva deciso di chiudere il capitolo Sherlock Holmes. Ma sapeva di mentire a se stessa perché, non appena aveva visto il detective all’ingresso della sua dimora, il suo cuore cominciò a battere come se avesse finalmente ricordato cosa significasse vivere. Da quell’angolino del suo cuore, dove aveva relegato Sherlock, il pensiero di lui si propagò in pochissimi secondi per tutto il corpo. Sospirò, perché sapeva che non c’era alcun modo di combattere contro quel sentimento che provava per il più grande idiota di Londra.
Poi, vide il carro che era fermo davanti alle scale. Pensò che una passeggiata, con il cielo stellato, non le avrebbe fatto male.
Non finì nemmeno il suo pensiero, che la raggiunse Greg.
«Molly… ero preoccupato per te».
Lei lo guardò con dolcezza.
«Sono venuta a prendere un po’ d’aria… ho avuto un piccolo mancamento».
Greg, allora, la guardò con agitazione.
«Ti senti bene? Devo riportarti in albergo?»
Molly gli rispose con un sorriso stampato sulle labbra.
«No, anzi… vorrei fare una passeggiata con il carro».
Greg la guardò per qualche secondo.
«Se vuoi, posso farti da cavaliere. Ammetto di non essere così bravo, però…»
«La accompagno io, Grant».
Molly sgranò gli occhi.
Alle sue spalle, era apparso Sherlock. E aveva appena detto di volerla accompagnare per la sua passeggiata.
«Greg. Mi chiamo Greg».
«Poco importa», disse Sherlock con un tono piatto. «Ora, se non ti dispiace, puoi tornare dentro. Resto io con Molly».
Greg non seppe cosa dire: guardò Molly che gli fece un cenno d’assenso per rassicurarlo, e tornò dagli altri ospiti.
«Perchè sei qui?»
Sherlock, come prevedibile, non rispose alla sua domanda.
«Bene, Molly Hooper. Andiamo a fare questa passeggiata».
Detto ciò, salì sul carro e, inaspettatamente, le porse la mano per aiutarla a salire.




~




Per buona parte della passeggiata, i due non si parlarono.
Una, troppo imbarazzata. L’altro, troppo impegnato a riflettere.
Poi, fu proprio Sherlock a spezzare il silenzio.
«Perchè non mi hai più aiutato al St. Bart’s, Molly Hooper?»
Molly, che guardava il panorama, si girò di scatto verso di lui.
«Perchè…?», disse esitando.
«Esatto. Perchè. Non mi sembra una domanda tanto difficile».
Molly per poco non esplose.
«Hai anche la faccia tosta di chiedermi il perché…».
Sherlock, che guardava la strada, si voltò e la guardò negli occhi.
«Sì. A quanto pare, c’è qualcosa che mi sfugge. Ricordo solo che il giorno  in cui mi hai abbandonato ti chiesi il motivo per il quale avevi gli occhi arrossati e le occhiaie marcate. Inoltre, mi hai aggredito, dicendo di non essere il mio cagnolino personale, dicendo che avevo Janine… Oh».
Finalmente, Sherlock aveva smesso di parlare.
Avrà capito, pensò Molly.
«Dici sempre cose brutte, Sherlock. Nei momenti meno opportuni. Non ti sei minimamente accorto che la storia di Janine mi ha distrutto, dato che, evidentemente, non mi sei poi così tanto indifferente. Non potevo sopportare di essere usata per motivi puramente lavorativi, dato che in tua presenza soffrivo troppo. E tu, quando ti ho messo palesemente davanti ai fatti, cosa hai fatto? Hai provato a dedurre perché avevo gli occhi arrossati e le occhiaie marcate! Santo cielo, Sherlock, i sentimenti non si DEDUCONO
Sherlock, colpito per il tono di voce abbastanza elevato di Molly, non riuscì a dire nemmeno una parola. Fermò il cavallo, e si rinchiuse in un silenzio a dir poco snervante, lasciando Molly di stucco.
«Oh… non è possibile. Adesso non dici nemmeno una parola. Prima, in sala, sembravi essere perfettamente a tuo agio con quella giovane donna che ti mangiava con gli occhi».
Sherlock, di scatto, si voltò verso Molly, che aveva uno sguardo furioso.
«Beh, sai che ti dico? Fai come ti pare. Rintanati nel tuo Mind Palace. Io, nel frattempo, faccio una passeggiata a piedi per la campagna».
Poi, dopo essersi tolta le scarpe, scese dal carro e si incamminò verso il prato lì vicino.
Sherlock, però, non la seguì. Era ancora immobile, perso nei suoi pensieri.
Perdonami, Molly Hooper, pensò.


Mentre all’orizzonte stava sorgendo il sole, il cielo si tingeva di rosa.
Che posto meraviglioso, pensò Molly. Peccato che aveva appena litigato con Sherlock. O meglio, aveva appena versato tutta la sua rabbia su di lui. E Sherlock, di tutta risposta, aveva lo sguardo perso, senza riuscire a dire nulla.
Il prato era morbido, a contatto con i piedi di Molly. Era una sensazione che la rilassò moltissimo e, inoltre, la aiutò a riflettere su cosa era appena accaduto. Guardava i fiori che accompagnavano il prato e si incantò nell’osservare alcune lucciole che apparvero a pochi metri da lei.


Non sapeva dire quanto tempo era passato, perché si accorse che si era alzata una nebbia piuttosto fitta.
Bene, ci mancava solo la nebbia, disse tra sé e sé.
Procedendo a tentoni, capì che da sola non avrebbe potuto fare molto. Provò un po’ di paura al pensiero di restare lì, da sola, nella campagna.
Sospirando, pensò che provare a cercare Sherlock fosse l’unica soluzione plausibile.
«Sherlock, dove sei?», urlò, con un tono piuttosto incerto. «Vorrei che ti facessi sentire».
Sherlock, poco più in là, sentì la sua voce.
Nemmeno lui si era accorto della nebbia.
Provò a pensare quale suono riprodurre, per farsi sentire da Molly.
Poi, un’illuminazione.



«Do ye ken John Peel with his coat so grey?
Do ye ken John Peel at the break of day?»



Molly, sentendolo cantare, sorrise.
Sherlock Holmes stava cantando un motivetto per aiutarla a ritrovare il carro.
«Che stai facendo, Molly Hooper? Riesci a sentirmi?».
«Sì, ti sento. Sto cercando di andare dall’altra parte di questo prato, da dove sembra provenire la tua voce. Che cosa canti?», gli chiese incuriosita.
«Una vecchia canzone che ricordo sin da quando ero piccolo».
Poi, sorridendo, riprese a cantare.


«Do ye ken John Peel when he's far, far away
With his hounds and his horn in the morning?»
2


Molly alzò la testa al cielo e sorrise come non faceva da troppo tempo.
Sherlock aveva una voce meravigliosa. E cantava per lei.
Il detective, intanto, stava quasi perdendo le speranze di ritrovare Molly. Si girò verso l’esterno del carro, pronto a scendere per andare a cercarla. L’idea di perderla lo inquietava.
Volse il suo sguardo verso gli scalini, quando apparve il viso di Molly nella nebbia.
I due rimasero così, a pochi centimetri l’uno dall’altro, per un tempo indefinito. Poi, Molly si avvicinò sempre di più alle sue labbra, fin quando non vi appoggiò sopra le sue. Sherlock, come prevedibile, rimase immobile. 
Molly si inebriò del contatto con quelle labbra morbide e perfette, ma poi realizzò che, forse, aveva azzardato troppo.
Fece per staccarsi, quando sentì le braccia di Sherlock cingerle il busto in un abbraccio che, per poco, non le fece esplodere il cuore. La strinse sempre di più a sè, per paura di perderla di nuovo.
Restarono così, in mezzo alla campagna e nascosti nella nebbia, scambiandosi un bacio atteso da troppo tempo (per lei) e decisamente da catalogare come “nuovo, inaspettato e piacevole” (per lui).









Note:
Frase che, ovviamente, fa eco a quella di Sherlock della 3X02.
Chi di voi l’ha visto, avrà già capito di che canzone (e che scena) si tratta. Parade’s End, 1X01. *spariscenelsuoangolinobuio*

Ebbene sì: Mi sono lasciata ispirare da una delle scene più belle di Parade's End: il primo "incontro ravvicinato" tra Christopher Tietjens e Valentine Wannop. Ho pensato a una specie di Plot Twist, immaginando Sherlock e Molly al loro posto.
Spero vi sia piaciuta!

 
  
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