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Autore: LilyLunaWhite    02/05/2014    3 recensioni
Tratto dalla storia:
"E fu così, tra le lacrime, che urlai il suo nome. Per la seconda volta, stavo urlando il nome di una persona che amavo, ma che mai sarebbe riuscita a sentirmi. Non più."
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nagisa Furukawa, Tomoya Okazaki
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo:
 Angels
Fandom: Clannad - After Story
Genere: One Shot, Drammatico, Malinconico, Triste
Personaggi: Tomoya Okazaki, Nagisa Furukawa, Ushio Okazaki
Coppia: Tomoya/Nagisa
Rating: Verde
Avvertimento: What if? Spoiler!
Beta: Lucia
 
Le stavo sistemando il cappottino rosso e la vedevo reggersi in piedi a fatica, ma sapevo bene che chiederle nuovamente se era sicura di andare in gita sarebbe stato completamente inutile. La sua risposta sarebbe sempre stata la stessa: sì. Con un sospiro chiusi l’appartamento dove vivevo, prima con Nagisa e ora con Ushio, e tenendola per mano cominciammo ad incamminarci. Camminavo lentamente, seguendo l’andamento della mia piccola bambina. Nel vederla così provata e affaticata, sentii una stretta al cuore. Solo nei mesi prima era così attiva e vivace, e ora? Ora si reggeva a fatica in piedi, la febbre non scendeva e da mesi era costretta a stare stesa in un letto. Se avessi potuto, le avrei dato un po’ della mia forza. Avevo già perso Nagisa, non volevo perdere anche lei, non lo avrei mai sopportato.
 
Stavo per perdere le speranze. Nagisa aveva perso più volte i sensi. Le ore passavano e la neve non cessava di cadere e di bloccare i trasporti.
Il dolore che lei stava provando, stava diventando anche il mio.
Le stringevo la mano cercando di essere forte, di supportarla ma, in realtà, mi stavo arrendendo, stavo perdendo le speranze.
Fu proprio in quel momento che un pianto mi riportò alla realtà, allontanando i pensieri che stavano affollando la mia mente.
Il pianto di un bambino.
Del mio bambino.
Alzai il viso stupito e la guardai, guardai quel piccolo fagottino che piangeva e si dimenava. In men che non si dica, me lo ritrovai tra le braccia.
Il mio bambino, pensai stupito. Poi, mentalmente, mi corressi: la mia bambina.
Mi voltai nuovamente verso Nagisa, con Ushio tra le braccia e la trovai con gli occhi chiusi.
«Nagisa?», la chiamai cautamente, quasi spaventato di non vedere i suoi occhi aprirsi.
Non mi rispose e non riaprì gli occhi.
«Nagisa?», provai a chiamarla ancora, ma nessuna risposta giunse alle mio orecchie se non il continuo pianto della mia bambina.
«Nagisa…», sussurrai debolmente, le presi la mano e gliela strinsi forte.
«Nagisa…», la chiamai ancora ma, questa volta, alzando leggermente il tono della miavoce, dalla quale trasparì tutta la mia paura.
E finalmente lei aprì gli occhi velati dalle lacrime. Erano spenti e vi leggevo tanta stanchezza e debolezza.
«Tomoya-Kun…», sussurrò lei debolmente, cercandomi con lo sguardo.
«Sono qui! Nagisa, sono proprio qui!», le parlai, trattenendo quelle lacrime che premevano di uscire fuori.
Mi lasciai andare ad un sorriso triste, pieno di dolore, continuando a stringere la mano di quella che era diventata mia moglie e ora mamma della nostra bambina.
«Riesci a sentirla, vero?», continuai, notando il suo sguardo sempre più stanco e il suo respiro lento e irregolare, «La voce della nostra bambina che piange?»
«Sì…», sussurrò debolmente lei.
«Guarda, sono il primo a tenerla.», le dissi con un sorriso appena accentuato, carico di dolore. Sapevo bene che la mia Nagisa voleva partorire in casa in modo che io, e poi lei, fossimo i primi a tenere in braccio la nostra bambina.
«Già…», sussurrò di nuovo, tenendo però lo sguardo puntato verso il soffitto e con il respiro sempre più debole.
Faticava a parlare, eppure riuscì a farlo, «È bellissima.»
«È la nostra bambina. È Ushio.», continuai a parlarle, sorridendo ancora e cercando di ignorare quelle lacrime odiose che volevano rigarmi il viso.
«Shio-Chan…», sussurrò lei debolmente, continuando a combattere.
«È una bambina. È una bambina in salute!», esclamai io, sempre più spaventato.
«Già…», sussurrò nuovamente Nagisa, «Sono felice di averla partorita in casa. Devo averle causato un sacco di problemi.»
«Ben fatto… Davvero.», le sussurrai notando nella mia voce una leggera nota di speranza.
«Però, ora sono un pochino stanca.», riuscì a sussurrare tra un respiro e l’altro, «Posso riposare un po’?»
Vedevo le sue palpebre che premevano di chiudersi e la paura farsi prepotentemente strada nel mio cuore.
Mi aveva promesso che saremmo stati per sempre insieme. Che avremmo vissuto assieme. Non avrebbe rotto la promessa, non mi avrebbe abbandonato. Eppure, perché vorrei solo piangere?
Sentii Sanae-San chiamare la figlia, Akio imprecare perché l’ambulanza era rimasta bloccata e non arrivava.
E io?
«Nagisa… Aspetta, Nagisa.», sussurrai ancora a mia moglie, «Parliamo ancora un po’. Va bene anche se mi ascolti e basta.»
Così cominciai a parlarle della nostra bambina, nel tentativo disperato di distrarla e di tenerla ancora lì con me. E più parlavo, più passava il tempo e più il mio desiderio di piangere aumentava.
Poi…
«Nagisa?», la chiamai di nuovo dopo aver sentito il suo ultimo respiro e la mano cadde dolcemente, priva di vita, sul futon1.
La chiamai più volte, sempre più disperato, sempre più spaventato.
«La senti? È la guancia di Ushio. Si? La senti?», le presi la mano e gliela poggia sulla guancia di Ushio, mano che però poco dopo cadde nuovamente.
Fu allora, in quel preciso istante, che ricordai tutti i momenti passati assieme a lei, ogni piccolo istante.
Urlai con forza il suo nome, urlo che lei non sentì mai.
 
Da quel giorno erano trascorsi poco più di cinque anni e ora tenevo stretta la mano della mia bambina che, a fatica, stava continuando a camminare. Le avevo chiesto se voleva che io la portassi in braccio, ma non aveva voluto.
In quel momento, mi maledissi per averla lasciata per ben cinque anni da Sanae e Akio, ma lei mi ricordava troppo Nagisa e tutt’ora me la ricordava. Ero stato un pessimo padre e, quando finalmente le cose si stavano rimettendo al loro posto, la mia piccola Ushio si era ammalata.
Mi odiavo, mi odiavo come non mai.
Più la guardavo e più la tristezza invadeva il mio cuore. Poi, dei piccoli e candidi fiocchi di neve mi strapparono dai miei pensieri.
«Nevica.», sussurrai debolmente, alche la mia bambina annuì silenziosamente.
«Ti piace la neve, Ushio?»
Annuì leggermente, per poi guardarmi e domandarmi, «Piace anche a te?»
«A me…», non sapevo come risponderle perché nuovamente mi ricordai di Nagisa: anche quel giorno stava nevicando.
«Si, piace anche a me.», aggiunsi infine, con un leggero sorriso.
Quella risposta la fece sorridere e un po’ mi rincuorò.
«Ushio, vuoi fare una pausa?»
Negò con la testa. Allora, le proposi di prendere un taxi e di portarla in spalla, ma negò nuovamente dicendomi che avrebbe camminato. Così, esaudii anche quel suo desiderio, riprendendo a camminare lentamente e notando che più passava il tempo e più Ushio faticava a muoversi, finché cedette e dovetti chinarmi a prenderla tra le mie braccia prima che cadesse a terra.
La strinsi a me, spaventato e preoccupato, sentendo il suo debole respiro e vedendo gli occhi che un tempo erano vivaci, spenti e stanchi, proprio come quelli di Nagisa.
«Papà…»
«Cosa c’è Ushio?»
«Dove siamo? Siamo sul treno?»
Quelle due domande mi ferirono. Ushio non si rendeva più conto di dove si trovava, di cose fosse appena successo.
Di nuovo, la paura di perdere qualcuno prese il sopravvento.
«Sì, siamo già sul treno.», le risposi senza sapere esattamente cosa fare, cosa dire… Come poterla aiutare.
Mi sentivo distrutto.
Chinai il viso sul suo piccolo corpo e la strinsi forte a me, disperato.
«È buio… È notte?», sussurrò ancora.
«Sì… È notte fonda.», le risposi, carezzandole i capelli.
«Capisco…»
Stavo cercando di tenere a freno il dolore. Più la sentivo parlare e più sentivo la paura e l'incapacità di salvarla, farsi strada nella mia mente.
Non riuscivo a crederci.
Stavo per perdere nuovamente una persona che amavo perché sì, anche se cercavo di convincermi del contrario, sapevo che stava per accadere.
Me lo sentivo.
«Papà…», mi chiamò lei in un sussurro.
«Mh.»
«Ti voglio bene.», sussurrò Ushio sulla mia spalla.
«Anche io ti voglio bene.», le sussurrai, stringendola forte a me e lasciando libere tutte quelle lacrime che, finalmente fuori, cominciarono a rigare il mio volto.
Sentii un piccolo e sussurrato sorriso e poi più nulla.
Silenzio.
«Ushio..?», la chiamai in un sussurro disperato, pur sapendo che ormai era troppo tardi.
E fu così, tra le lacrime, che urlai il suo nome. Per la seconda volta, stavo urlando il nome di una persona che amavo, ma che mai sarebbe riuscita a sentirmi. Non più.
 
***
 
Sono trascorsi tre mesi da allora e io non sono mai riuscito a riprendermi. I genitori di Nagisa, i miei amici, venivano a trovarmi ma io non li ascoltavo. Io mi sentivo vuoto. Avevo perso tutto: prima Nagisa e poi Ushio. Ora cosa mi restava? Nulla.
Apprezzavo i loro sforzi, ma ormai vivere non mi interessava più. Da quando avevo perso anche Ushio, mi ero trasferito da Sanae e Akio o, meglio, mi avevano obbligato a trasferirmi da loro. Non volavano lasciarmi solo, temevano qualche mia pazzia.
Pazzia che decisi di compiere quella notte di inizio primavera.
Volevo raggiungere i miei due angeli.
Senza di loro la mia vita era vuota.
Così, scrissi un biglietto a Sanae e Akio e me ne andai.
 
Vado da Nagisa e Ushio. Grazie per tutto.
Tomoya.
 

1Futon: (布団 oppure 蒲団 futon) vuol dire letteralmente "materasso arrotolato". È il materasso tradizionale della cultura giapponese, interamente in cotone, rigido, sottile e arrotolabile.

-Angolo autrice-
Salve, eccomi anche qui. Premetto che so che ho reso più triste un anime che già di per se lo è quindi non uccidetemi. T^T
Prima di vedere l'ultimo episodio, credetemi, mi sono immaginata un finale simile. Così, a distanza di mesi, ho deciso di trasformare quella mia idea, in storia. Quindi, a parte la tristezza della trama, spero vi sia piaciuta e spero mi lasciate qualche piccolo commentino, anche per dirmi come, secondo voi, sarebbe potuto finito l'anime. Detto ciò, lascio a voi il giudizio. ♥
Alla prossima,
Lily. ♥
   
 
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