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Autore: marani    02/05/2014    1 recensioni
Una paziente, un medico, un ricordo straziante.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NON PIU’ DI CENTO

Il dottor Pietraccioni sollevò lo sguardo sulle ampie finestre dello studio, fissando il profilo sfocato dei tetti al di là dei vetri rigati di pioggia. Quel giorno sembrava che il cielo premesse sulla città a non più di venti centimetri d’altezza. ‘Pressione abissale oggi, altro che bassa...’, pensò facendo ‘cigolare’ i tendini del collo doloranti, “e adesso ci starebbe proprio bene una sigaretta... e non quella schifezza elettronica che Baladi mi ha  convinto a comprare... lui e il suo ‘è brutto che un medico si faccia vedere con una sigaretta in bocca...”
Un singhiozzo soffocato lo distolse da quel sonnolento rimuginìo. Riportò lo sguardo sulla donna davanti a sè: minuta, quasi ingobbita, i capelli grigi raccolti (male) in uno chignon precario. Seduta ‘sul bordo’ dell’accogliente poltrona Frau, neanche se il cuscino in pelle fosse incandescente, o come se stesse decidendo se spiccare il volo o meno. ‘Un uccellino’, considerò, picchiettando con la preziosa Montblanc sul bloc-notes appoggiato alla gamba accavallata, ‘un uccellino ferito, smarrito, fradicio di disperazione...” Dalla mano serrata a pugno della paziente spuntò un fazzoletto sgualcito, come in un discreto numero di magia, e lei ci tuffò dentro il naso, stroncando un lamento sul nascere.
- Ventun’anni... - mormorò spalancando verso il medico due occhi bianchi e febbricitanti - aveva solo ventun’anni, e tutta la vita davanti... Com’è possibile sopportare il dolore per un ragazzo così giovane che non... - la voce le si ‘impastò’, e poi fu come se qualcuno abbassasse un’invisibile manopola del volume. Rimase in silenzio, mentre lievi tremori sembravano ‘sfuocare’ anche lei. Una mano pallida come la pancia di un pesce si aggrappò alla collana che le pendeva sul petto scarno, accarezzando un medaglione grosso come un uovo. Fin da dietro la scrivania lo psichiatra riusciva a scorgervi la foto ‘incastonata’: gli occhi svegli e neri di un giovane, il suo sorriso ampio e ignaro.
- Se la sente di parlare dell’incidente? - le chiese - di dirmi cosa è successo? -
La donna tirò su col naso, raddrizzandosi sulla poltrona. La borsetta le giaceva in grembo e lei vi posò le mani sopra, come a protezione di preziosissimi segreti.
- E’ stato due giorni prima della sagra dell’Assunta - disse corrugando la fronte - in paese non hanno neanche sparato i fuochi... per rispetto, ovviamente... ma a quel punto, non è che mi abbia restituito... - aprì la borsetta, infilando una mano - è venuto fuori anche sul giornale... solo che... - una smorfia dolorosa le solcò il viso - ...il cognome... hanno sbagliato il cognome... Silvio Magliaretti, hanno messo... Magliaretti, ma è Magliaretta... ma come si fa?... il mio unico figlio... avrebbe un fratello oggi, sa... se non fosse morto appena nato... per cui io e mio marito avevamo solo lui, e quelli vanno a scrivere male il cognome. Aspetti, le faccio vedere, ho qui il ritaglio... - aumentò la frenesia della ricerca, come un cane che ricordi il punto preciso in cui ha seppellito un succulento osso. Frugò per alcuni istanti, prima di bloccarsi in un’espressione a metà tra il deluso e lo smarrito - non capisco, non lo tolgo mai dalla mia... -
- Non importa, signora Magliaretta, ci sarà un’altra occasione... - la tranquillizzò l’uomo. Adesso la luce nella stanza, grigia di maltempo, addensava negli angoli e dietro le librerie stipate di volumi spiacevoli pozze d’ombra. Allungò una mano ad azionare l’interruttore della lampada accanto a sè, e una bolla calda e luminosa si spanse sulla scrivania - e poi le credo. I giornalisti, a volte... Continui, la prego, mi diceva di Silvio... -
Un lungo respiro, incerto, poi la donna riprese:
- Non doveva nemmeno uscire col motorino, quella sera... Mi aveva detto che passavano a prenderlo gli amici, ma poi sa come vanno queste cose... uno ritarda, o il luogo dell’appuntamento cambia... i giovani, così irrequieti di natura, non trova? - lo psichiatra assentì, togliendosi un invisibile pelucco dai pantaloni in tweed - ...lui è venuto in cucina e mi ha dato un bacio... ‘non faccio tardi’, ha detto... ‘un salto in pizzeria a Meledo, e poi vogliamo tornare alla sagra...’-
Le lacrime presero a solcarle le guance. Continuò a parlare, fermandosi ad ansimare a tratti, la bocca aperta, come se il racconto e il ricordo le togliessero ossigeno vitale. Il medico prese alcuni brevi appunti, sottolineando più volte i passaggi che riteneva salienti. Un antico orologio a pendolo accompagnò col suo ticchettìo discreto la seduta, mentre il pomeriggio autunnale prendeva sempre più possesso dell’elegante studio. I minuti passarono lenti, silenziosi, quasi rispettosi del dolore ‘evocato’ ad ogni singhiozzo, ad ogni frase spezzata, ad ogni lacrima. Una macchina passò rombando nella via, facendo tintinnare i vetri delle finestre.
‘Vanno sempre troppo veloci’, pensò infastidito lo psichiatra, ‘e quando va male poi qualcuno piange e si dispera...’
- ...alla fine è venuto il maresciallo... - la donna, rattrappita nella poltrona che adesso sembrava enorme per lei, aveva un’aria ‘spenta’, consumata - ...l’ho capito subito, senza nemmeno che aprisse bocca. L’oliera che stavo portando dalla sala in cucina mi è scivolata dalle mani... era ancora quella del servizio di nozze... e per terra è successo un disastro di vetri, sale, pepe... e olio dappertutto. Non sono più riuscita più a far andar via l’alone, pur provando di tutto... ha detto che non è mai arrivato in pizzeria. Che è successo prima... quindi nessuna malelingua ha potuto attaccarsi all’alcol, alle birre... ce ne sono anche in un piccolo paese, sa? Me l’hanno fatto vedere, poi... in ospedale... neanche un graffio. Sembrava solo addormentato... -
Lui sbirciò l’orologio al polso. Discretamente, senza farsene accorgere:
- Signora Magliaretta... temo che per oggi abbiamo finito. Ci vediamo la settimana prossima. La aspetto - la donna sembrò ridestarsi da un sonno confuso, guardandosi intorno smarrita - possiamo tranquillamente mantenere l’ora di oggi, se le va bene... Silvio, la riporta lei come al solito? Direi di continuare con la terapia che ho prescritto, senza aumentare il dosaggio... -
Il ragazzo appoggiò la rivista sul basso tavolino di cristallo, tirandosi su dal divano. Era un bel ragazzone alto e robusto, gli occhi neri e svegli, un sorriso che di sicuro creava non poco scompiglio tra le ragazzine del paese.
- Sì certo, dottor Pietraccioni, e grazie ancora per tutto quello che fa - rispose, porgendo una mano verso la donna ancora seduta - su mamma, andiamo che forse ce la facciamo, con la corriera delle cinque e mezzo... -

“La sindrome di Cotard, detta anche "le délire de négation" (delirio di negazione), è una sindrome psichiatrica caratterizzata dalla derealizzazione della realtà. Si suppone derivi da un’interruzione patologica delle fibre nervose che connettono il centro delle emozioni alle aree sensoriali. Gli individui che ne sono affetti affermano di non avere parti del corpo, come il fegato, il cuore, etc, credono che il loro corpo si sia trasformato, pietrificato, e ancora negano l’esistenza di persone care. La sindrome di Cotard è una delle malattie più rare oggi conosciute, si stima esserci non più di un centinaio di casi noti alla scienza.”

Mauro Marani
  
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